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Legge di bilancio. Bilancio della legge

Una cartina al tornasole della società capitalista, e della natura di chi la governa. Del governo Meloni e non solo

23 Dicembre 2025
manovra2026


Depositata la polvere delle tormentate schermaglie parlamentari, la legge di bilancio del governo Meloni appare per quello che è: un regalo a Confindustria e al capitale finanziario pagato dai lavoratori e dalle lavoratrici.

Come già avevamo osservato al piede di partenza della legge, la sua ossatura è dettata dalla volontà di uscire dalla procedura di infrazione europea. Rientrare sotto il tetto del 3% di deficit è stato l'imperativo categorico del governo.
La ragione immediata di questo imperativo è stata candidamente dichiarata dallo stesso governo: uscire dalla procedura d'inflazione è la condizione prevista per poter attingere al prestito europeo SAFE ai fini del grande riarmo. Per l'Italia un ricorso obbligato. Perché a differenza dell'imperialismo tedesco, l'Italia non dispone dei margini di bilancio necessari per finanziare autonomamente il proprio riarmo. Ha bisogno di credito agevolato. Tutto il complesso militar-industriale tricolore, da Leonardo a Fincantieri, in piena espansione di affari e di utili, ha esercitato in questo senso una pressione decisiva. E Fratelli d'Italia, Crosetto in primis, ha costruito con questo mondo, e non da oggi, una relazione politica privilegiata.

Ma non è questa la sola ragione dell'impostazione “austera” della manovra di bilancio.

Il debito pubblico italiano continua a crescere. La produzione industriale è in ritirata. I 190 miliardi di PNRR non hanno garantito il rilancio economico ma solo evitato la recessione, e per di più si esauriscono nel 2026, mentre la BCE ha ridotto in termini strutturali l'acquisto dei debiti pubblici nazionali, debito italiano incluso.
Devo collocare ogni anno 400 miliardi di titoli sul mercato finanziario, e i tassi d'interesse previsti non sono più a zero o sotto zero come qualche anno fa” ha dichiarato Giorgetti nel suo discorso di replica in Parlamento. È vero. Per pagare ogni anno circa 100 miliardi di interessi sul debito a banche, assicurazioni, fondi finanziari – grandi acquirenti dei titoli di Stato – bisogna rendere i titoli appetibili. E per renderli appetibili occorre offrire garanzie ai creditori, cioè “i conti in ordine”. Per questo il giudizio positivo delle agenzie di rating sul rigore finanziario della manovra è la medaglia che Giorgetti e Meloni si appuntano al petto.

La nostra prudenza di oggi servirà anche ai governi futuri, a chi eventualmente verrà dopo di noi” dichiara il ministro dell'Economia con ammiccamento bipartisan. E i partiti borghesi di opposizione, critici su altri aspetti, non hanno minimamente contestato il rigore sui conti, al contrario. Non è un caso, essendo stati negli anni e decenni i principali garanti dell'austerità.
Peraltro il governo ha ringraziato pubblicamente il “senso di responsabilità delle opposizioni” in Commissione Bilancio per aver evitato ogni forma di ostruzionismo e il relativo ricorso all'esercizio provvisorio. Tra gentiluomini del capitale tutto torna, al di là delle parti in commedia.

Tuttavia, la quadratura del cerchio per il governo Meloni è stata più difficile che in altre occasioni. Con la seconda amministrazione Trump, e il potente rilancio del protezionismo, la competizione capitalistica sul mercato globale si è inasprita pesantemente a ogni latitudine. In particolare per l'Europa, stretta sempre più nella morsa tra dazi USA e “invasione” cinese. E ancor più per l'Italia, massicciamente esposta sul versante delle esportazioni (essendo ormai il quarto esportatore mondiale). Da qui le pressioni incalzanti di Confindustria sul governo Meloni per incassare aiuti “vitali”: in fatto di ulteriori agevolazioni fiscali, cancellazione di vincoli (in particolare ambientali), altre liberalizzazioni di mercato, riduzione dei costi dell'energia, apertura di nuovi mercati (Mercosur).
Una pressione peraltro presente in tutti i paesi su tutti i governi da parte dei capitalisti di ogni bandiera.

Il governo Meloni ha raccolto il grido di dolore delle imprese in cambio del loro sostegno politico. La legge di bilancio parla chiaro: Confindustria ha incassato un iper-ammortamento triennale per l'acquisto di macchinari, compensazioni per il caro materiali in edilizia, l'estensione dei vantaggi fiscali della ZES (Zona Economica Speciale) all'intero territorio nazionale, l'impegno italiano in sede europea per ridurre ulteriormente i vincoli della cosiddetta transizione ambientale (già peraltro in piena ritirata continentale). In tutto altri tre miliardi e cinquecento milioni versati nelle tasche dei padroni, dopo anni di profitti sontuosi e arricchimenti di Borsa. Non a caso il nuovo Presidente confindustriale Orsini ha dichiarato pubblicamente la propria soddisfazione, confermando l'appoggio politico al governo.

Il conto lo hanno pagato i lavoratori e le lavoratrici, con l'ulteriore aumento di fatto dell'età pensionabile, i colpi assestati ai lavoratori precoci e usuranti, la cancellazione anche formale di Opzione donna, e persino l'abolizione della possibilità di uscire dal lavoro cumulando contributi INPS e previdenza complementare. Oltre ai tagli di 7 miliardi ai ministeri in tre anni, con ricadute a pioggia su enti locali e servizi, e all'aumento di numerose imposte indirette. Una rapina. Tanto più clamorosa se compiuta da coloro che dovevano “abolire la Fornero” e “cancellare le accise”.

Abbiamo fatto pagare ben 11 miliardi alle banche e alle assicurazioni!” rispondono Salvini e Meloni. Nulla di più falso. La verità è opposta. Metà di quella cifra è solo un anticipo di liquidità che sarà recuperato dopo il 2029, o una ritenuta anticipata (0,5% nel 2028, 1% dal 2009) per i pagamenti tra imprese. Il resto è un aumento irrisorio dell'IRAP del 2% spalmato su tre anni, a fronte di profitti netti di oltre 50 miliardi realizzati dalle banche in un solo anno. Una carezza. In cambio, le assicurazioni incassano l'obbligo della polizza per eventi catastrofali, il trasferimento del TFR ai fondi pensionistici privati attraverso il meccanismo truffa del silenzio-assenso, la liberalizzazione degli investimenti dei fondi pensionistici privati in tutti i settori, dalle infrastrutture alla sanità. Ma soprattutto incassano la certezza del pagamento del debito pubblico, di cui assieme alle banche sono i principali acquirenti.

Del resto, la grande corsa alla riduzione delle tasse sui profitti, praticata in tutto il mondo per attrarre gli investimenti – in una spietata concorrenza tra gli Stati capitalisti (all'interno della stessa UE) – è la base strutturale del crescente ricorso all'indebitamento pubblico degli Stati borghesi con le banche, a vantaggio del capitale finanziario.

L'oro di Banca Italia è del popolo” esclamano Meloni e Salvini per ingannare gli sciocchi. La verità è che l'”oro del popolo” è quello rubato quotidianamente a chi produce la ricchezza e versato nel portafoglio dei capitalisti, banche incluse. La legge di bilancio lo documenta una volta di più. In questo senso è una cartina al tornasole della società capitalista e del governo che la presiede (come di ogni governo) quale suo comitato d'affari.

La conclusione è semplice, se guardiamo le cose dal versante del movimento operaio. Non si tratta di rivendicare “un'altra politica economica”, come ripetono instancabilmente le sinistre riformiste di tutte le salse quando stanno all'opposizione (salvo poi una volta al governo realizzare inevitabilmente le stesse politiche). Si tratta di battersi per un'altra struttura dell'economia, che liberi la società dalla dittatura dei capitalisti, e la consegni a un governo dei lavoratori e delle lavoratrici. L'unica vera alternativa possibile. L'unica che possa riorganizzare la società dalle fondamenta in base ai bisogni della maggioranza. L'unica vera democrazia.

Partito Comunista dei Lavoratori

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