Prima pagina
La pace delle bombe, la violenza delle bombolette
Lo sgombero di Askatasuna tra FdI, PD e AVS
20 Dicembre 2025
Più chiara di com’è, la situazione non può essere. Il governo Meloni ha atteso l’assottigliarsi del grande movimento per la Palestina, quello che negli scioperi generali di settembre e ottobre raggiungeva intorno alle 500.000 persone. La «polpetta avvelenata» del piano di finta pace Trump-Blair-Netanyahu è stata preparata come arma politica finalizzata al riflusso internazionale e, a cominciare dall’approvazione di Hamas, ha agito subito come tale.
Ma questa è solo una parte della spiegazione del fenomeno della momentanea recessione del movimento. L’altra parte è la solita piaga, cioè la "crisi" della direzione politica. Tra i tanti solidali democratici, contrari alle politiche israeliane e alla complicità del governo italiano, in pochi possono esser stati convinti della «pace dei cimiteri», specie a fronte dei bombardamenti che, nella perfetta tradizione sionista, ricominciavano poche ore dopo il "cessate il fuoco". Migliaia di persone possono anche rimanere profondamente perplesse e avvertire un distinto sentore di truffa di fronte a simili operazioni diplomatiche. Ma quando queste migliaia di persone si ritrovano a dover lottare contro il nemico manifesto e contemporaneamente contro i propri condottieri (le burocrazie sindacali, i leader di associazioni palestinesi che inneggiano alla "pace" come «vittoria storica», certe frange del movimento che, con sconsiderate "fughe in avanti", boicottano oggettivamente l’unità), finisce per prevalere il disorientamento che si traduce in immobilità.
Ai primi segnali di riflusso, il governo colpiva a Milano, con un secondo foglio di via al presidente dell’Associazione Palestinesi in Italia, Mohammad Hannoun; colpiva a Napoli, arrestando i compagni del SI Cobas in un presidio di protesta contro Teva, l’azienda farmaceutica israeliana; colpiva a Torino caricando a freddo il corteo contro Tajani. Nel frattempo, presentava un DDL Gasparri che identifica antisemitismo e antisionismo e recludeva l’imam Mohamed Shahin, colpevole di aver definito un atto di resistenza anticoloniale le azioni militari di Hamas nel 7 ottobre 2023.
Particolarmente su questo episodio, pur senza ritrovare i volumi di massa dei mesi precedenti, il movimento si riaggrega. Si ripristina un coordinamento nazionale, le manifestazioni a Torino si rifanno quotidiane e sono tenaci anche davanti al CPR di Caltanissetta dove l’uomo è sospeso tra la vita e la morte (il rimpatrio in Egitto, in quanto dichiarato oppositore politico di al-Sisi, avrebbe significato la sua fine) e una parte di opinione pubblica nonché l’intellighenzia non solo italiana si riattiva e sostenutamente denuncia l’abuso di potere del governo. La situazione è tesa e Torino per Gaza, il coordinamento cittadino forse "ammiraglio" per il resto del Paese, si impegna perché l’attenzione non cali. La pressione sociale, il risalto mediatico, la reazione di una parte di voci istituzionali sortiscono il loro effetto: l’imam viene rilasciato, non sussistono gli estremi per l’espulsione.
Il governo capisce che, nonostante il generale spopolamento del movimento, la brace è ancora calda ed è sempreviva minaccia di nuovi divampamenti. In più, negli ultimi giorni sono emersi ulteriori seri grattacapi per il Palazzo: le proteste a Genova degli operai dell’ex Ilva, con fotografie che sembrano strappate al Sessantotto, l’incubo puntualmente esorcizzato da Meloni, Valditara, Sangiuliano, La Russa, Roccella, ecc. Nella narrazione meloniana, la più sfacciata controrivoluzione mondiale assegna al Sessantotto il posto che in quella putiniana assegna al bolscevismo.
In cotanto marasma, è in dirittura di voto la manovra finanziaria 2026, che regala miliardi di sgravi e incentivi fiscali ai ricchi e per gli altri minaccia l'innalzamento dell'età pensionabile a 70 anni. Se non ora, quando? È il momento di colpire. Non farlo adesso significa non poter farlo quando di nuovo il movimento ingranerà. Nei giorni di massima tensione, quando la classe operaia era la protagonista se non altro formale delle mobilitazioni, persino i terribili Decreti sicurezza sono rimasti inattivi.
Il ministro degli Interni ordina lo sgombero del centro sociale occupato e autogestito dal 1996, Askatasuna, tra le componenti di Torino per Gaza e dell’Intifada Studentesca. «Like I see through the water/ that runs down my drain», Piantedosi è in effetti limpidissimo: il motivo per cui bisogna colpire Askatasuna è politico. Questi ragazzi avrebbero forzato l’ingresso della Leonardo S.p.A. vandalizzando dove capitava, avrebbero lanciato uova contro le OGR, avrebbero fatto irruzione negli uffici de La Stampa, bombolettando sui muri e spargendo simbolico letame. È un attacco politico a un soggetto politico per ragioni politiche e a fini politici.
Sennonché Torino è governata da un consiglio comunale a schiacciante maggioranza PD. E, posto che un sindaco non comanda la polizia, Stefano Lo Russo avrebbe potuto fronteggiare politicamente la disposizione di Piantedosi, opponendo ragioni di sicurezza pubblica o la necessità di soluzioni profondamente diverse. Avrebbe potuto chiedere rinvii, opzioni alternative, sollevare criticità operative, sanitarie e sociali alla conquista, se non altro, di una dilazione.
Nessuna persona raziocinante può pretendere che un membro di spicco del partito che più ha armato Israele nelle sue stagioni di governo dichiarasse: «La Leonardo è la fabbrica di morte, la produzione materiale del genocidio in Palestina, l’indignazione – al netto di bravate che colpiscono le utilitarie degli operai invece di colpire i padroni – è del tutto comprensibile, moralmente e politicamente». Oppure: «Il quotidiano di Agnelli ha consegnato come un terrorista il buon Shahin al governo, divertendosi a esporlo a rischio di morte». Sarebbe bastato l’argomento borghese del rifiuto di precipitare la città in una barricata permanente, consapevole del legame che il centro sociale vanta presso gli studenti, il quartiere, il movimento nazionale, a determinare l’opposizione almeno politica del primo cittadino.
Stefano Lo Russo invece si nasconde dietro la contestazione dell’inagibilità. Il patto di cogestione dell’immobile, sottoscritto con gli attivisti di Askatasuna ad aprile, cesserebbe perché tradita la promessa della non assegnazione dei pericolanti piani alti dell’edificio a uso abitativo. La polizia avrebbe invece trovato sei persone e due gatti.
Ora, volendo assecondare le turlupinature istituzionali, la questione che si pone al sindaco è semplicemente la seguente: ammesso che questi «autonomi» abbiano così dolorosamente tradito la tua fiducia e che pertanto urgesse veramente un intervento previa rescissione del patto, l’intervento doveva essere questo?
Non è nostro compito, ma vogliamo prenderci la pena di consigliare noi come avrebbe potuto agire un sindaco di centrosinistra davvero in apprensione per chi dorme sotto tetti pericolanti:
1) Invii i controlli;
2) Individuate irregolarità, dai il tempo che gli abitanti raccolgano gli effetti personali ed escano, destinati ad altre, dignitose soluzioni abitative;
3) Convochi a un incontro i responsabili delle irregolarità;
4) Contesti loro l’irresponsabilità per l’incolumità delle persone;
5) Raccomandi che il fatto non si ripeta oppure, propendendo per la decisione più dura, limiti i sigilli ai piani inutilizzabili, decaduta la fiducia che vengano interdetti secondo coscienza dei gestori.
Ma anche a voler lasciare tutta la libertà al sindaco di agire per lo sgombero, si domanda se è politicamente opportuno approvare l’operazione nell’identico momento in cui è comandata dall’"avversario" Piantedosi. Se davvero, indipendentemente e per le diverse ragioni accampate, Lo Russo fosse arrivato alla stessa decisione di Piantedosi, sgomberare Askatasuna, onde evitare di dar lustro al nemico, sarebbe stato raccomandabile procedere in un’altra fase, riservandosi – sia pure! – gli stessi mezzi! Trattandosi del partito dei lager in Libia, delle manganellate alla FIOM di Terni (29 ottobre 2014), delle botte a ogni fiaccolata i 24 aprile ecc. ecc., chi ne sarebbe stupito?
Dietro la cantilena «dissentiamo dalle scelte e dalla impostazione culturale di questo governo», la verità è che Lo Russo ha assecondato Piantedosi. È per questo che, prima Lo Russo parla delle irregolarità abitative, presentandole come l'autentico ed esclusivo motivo dello sgombero, poi inanella tutte le considerazioni politiche del caso (Leonardo, OGR e Stampa). Di rilievi politici Lo Russo non dovrebbe farne mezzo. Se esistono denunce a carico di qualcuno e se davvero, come dice, Lo Russo ritiene che debbano rispondere gli individui per gli addebiti individuali, perché chiudere la struttura?
Forse, tra i responsabili degli episodi incriminati, si annovera solo qualcuno dell’Askatasuna. Forse costoro non hanno nemmeno agito in rappresentanza di Askatasuna (d’altra parte non risultano rivendicazioni politiche). Forse tra le file di Askatasuna i posizionamenti sono stati diversificati. Questi, beninteso, sono scrupoli che dovrebbe porsi un sindaco, tanto più se si pretende alternativo alla «impostazione culturale» della criminalizzazione generalizzata, manettara, non tatticamente critica ma politicamente nemica usuale al governo centrale.
Va da sé che, quando viene a scatenarsi una rappresaglia di chiaro segno politico, i compagni difendono i compagni senza se e senza ma, e su chi scaricare la responsabilità individuale è argomento che non si discute nemmeno.
Politicamente e personalmente, Lo Russo avrebbe potuto opporsi allo sgombero di Corso Regina Margherita 47. Avrebbe potuto essere in prima fila, insieme alla sua «parte politica» e collaboratori, se davvero tali li avesse ritenuti, a prendersi l’acqua degli idranti e sventolare la bandiera dal suo partito, riservandosi sistemazioni future.
Il punto è capire perché non può succedere. E non può succedere perché il movimento per la Palestina, con l'ampliarsi del campo gravitazionale della lotta di classe che rischia di potenziarlo enormemente, preoccupa il centrosinistra esattamente come le destre populiste. Il movimento per la Palestina mette i bastoni tra i cingoli dell’imperialismo tricolore, i cui interessi il PD ha curato da tempi più lunghi e con più sperimentata scienza dei biscazzieri postfascisti. Al governo del paese, il PD avrebbe in Torino per Gaza, nelle Intifade studentesche, nei sindacati di base, nel malcontento sociale sempre crescente la stessa sfida che si trova di fronte il governo Meloni.
Ecco spiegata la complicità! Finché Askatasuna non ha contribuito ad alimentare una dinamica di tensione di massa, si sono cercate intese utili altresì a consolidare quella parte di elettorato legata a vario titolo, persino più sentimentalmente che operativamente, al presidio autonomo. Ma arriva il tempo di soppesare costi e benefici. Lo Russo sa che, con l'approvazione dello sgombero, rischia la revoca del suo deposito elettorale relativamente sicuro. Ma sa anche che se il popolo di centrosinistra ti vota disgiuntamente e contrariamente alla borghesia che conta, quelli non sono voti che portano al governo. Viceversa, se è la borghesia che conta a votarti disgiuntamente e contrariamente al popolo di centrosinistra, qualche speranza rimane. All’occorrenza, bisogna scaricare gli ornamenti accessori, le fortune incidentali. E per il PD gli ornamenti accessori e le fortune incidentali sono le simpatie, convinte o costrette, di un elettorato socialmoderatissimo. Il cuore da preservare sono i padroni, vero soggetto di riferimento della nuova DC.
Un’ultima nota per gli esponenti di Alleanza Verdi Sinistra, loro sì, al contrario di Lo Russo, fisicamente a fianco dei manifestanti in queste ore. Che mentre con un piede marciano nei cortei, prestano l’altro piede a Lo Russo perché non crolli sulla sua stessa giravolta. «Il sindaco è stato intimidito dal ministero, minacciato dal governo», Marco Grimaldi si appresta a difendere l’amico che non lo ha proprio chiesto e che insiste sicuro col suo spartito: rivendico la scelta, una scelta giusta: c’erano gli Aristogatti a suonare il jazz!
E visto che consigliare ai borghesi come salvarsi da se stessi è esercizio utile almeno a evidenziare lo stato di totale decadenza in cui la borghesia versa attualmente, di nuovo indichiamo ad AVS cosa avrebbe dovuto fare qualora rappresentasse una reale alternativa al PD – ciò che, d’altro canto, dovrebbe costituire l’unico motivo della sua esistenza.
Appurato, membri di AVS, che il PD cede alle pressioni del rivale per l’ennesima volta, ebbene non è questa l'opportunità per affermare distintamente la correttezza di una scelta, l'inaugurazione di una parabola alla sinistra di PD che si conferma irreparabilmente corruttibile, capitolardo, traditore? Con questa mossa, il PD ha fatto il più grande regalo ad AVS. Quale più emblematica risposta a chi lamenta la divisione delle sinistre, di cui AVS è sovente indicata come corresponsabile?
Ma anche AVS bilancia i costi e i benefici. E il beneficio maggiore, per chi si fosse distratto durante le parate per l’Europa del 15 marzo e necessitasse di conferme, è mantenere il cordone ombelicale col PD. Che è a sua volta il comitato d'affari di banche e Confindustria. Che sono esattamente gli speculatori che trasognano i «resort» a Gaza. Che dunque continuano a distruggere la Palestina in società con Netanyahu. Queste, cari Marco Grimaldi, Alice Ravinali ecc., non sono contraddizioni politiche che può coprire una kefiah.
Crisi di sovrapproduzione e attriti prebellici portano il mondo a uno snodo storico. L’alternativa o è anticapitalista o non è. Per realizzare una società anticapitalista occorre la rivoluzione. La rivoluzione ha bisogno del suo partito. Il movimento antimperialista per la Palestina deve trovare la sua evoluzione nella costituzione di un nuovo soggetto politico, coerentemente anticapitalista, coerentemente antimperialista. I padroni vincono coi loro partiti, apparentemente diversi, in realtà partito unico dell'amministrazione del capitale.
Il proletariato può vincere solo con un grande partito del lavoro.
Il Partito Comunista dei Lavoratori propone la costruzione di questo nuovo partito, anche se il processo di raggruppamento rivoluzionario su un programma anticapitalista determinasse il superamento di se stesso nelle forme attualmente date.
Nessun altro soggetto avanza questa proposta. È la proposta dei veri rivoluzionari.








