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Metalmeccanici, un contratto da bocciare
11 Dicembre 2025
FIM, FIOM E UILM erano partiti chiedendo 280 euro di aumento in tre anni e una riduzione d’orario a 35 ore a parità di salario; hanno firmato invece per 205 euro in quattro anni (2025-2028), allungando pure di sedici ore la flessibilità (l’orario plurisettimanale, cioè i sabati mezzo gratuiti, non pagati come straordinario, i quali passano da 80 ore a 96). Per la stragrande maggioranza dei lavoratori e delle lavoratrici l’aumento si aggira tra i 185 e i 192 euro lordi.
Un risultato disastroso che si commenta da solo, e a tutto vantaggio della controparte. Per due anni, fino al giugno del 2026, i metalmeccanici non andranno più in là dei 27 euro lordi erogati a giugno 2025 per l’ultrattività del vecchio contratto scaduto. Per recuperare il costo delle 40 ore di sciopero fatte per ottenere questa misera cifra dovranno aspettare grosso modo la prima busta paga dell’anno 2027.
I vertici sindacali sbandierano come vittoria il mantenimento della clausola di salvaguardia, cioè la salvaguardia dell’indice IPCA, un indice che è al di sotto dell’“inflazione programmata” degli anni ‘90 con cui i padroni smantellarono la scala mobile.
La partita non si giocava sulla “clausola di salvaguardia” ma sull’“assorbibilità” che nello scorso contratto in buona parte delle fabbriche si è mangiata l’aumento. E questa resta tale e quale a prima. Dal 2017, infatti, i vertici sindacali hanno accettato che i minimi aumentino solo nel caso lavoratrici e lavoratori non abbiano superminimi o altri emolumenti aggiuntivi. In quel caso sono sotto ricatto delle aziende.
Si arretra anche sui PAR, due in meno a disposizione individuale e due in più per le chiusure collettive. Il resto è poca cosa: la stabilizzazione (dal 2027) del 20% dei precari, prima di poter assumere altri precari con causali, si perde in un dedalo di precisazioni che la controparte facilmente aggirerà; lo staff leasing limitato a 48 mesi significa che dopo 48 mesi un’azienda assumerà un altro staff leasing lasciando a casa il primo.
Era ampiamente prevedibile una capitolazione del genere, a fronte di scioperi telefonati e fatti per fare il meno male possibile, dividendo territorialmente il fronte. A ciò si aggiunga che gli scioperi hanno messo in discussione solo la piattaforma di Federmeccanica, ma non l’impianto generale del contratto, incardinato su quel Patto della Fabbrica, firmato da CGIL, CISL e UIL nel 2018, che vincola al ribasso gli aumenti, sposta tutto sul welfare (50 euro in più rispetto ai 200 dello scorso contratto, e naturalmente confermati Metasalute e Fondo Cometa per la distruzione di pensioni e sanità pubbliche) ed è fatto su misura per i padroni.
Bisogna riprendere la lotta per un aumento serio e che parta subito, non tra un anno. Un aumento almeno doppio e vincolato all’unico vero indice che tenga dietro all’inflazione: la scala mobile. E per un aumento doppio ci vanno scioperi veri e prolungati, senza preavviso di un mese ma con casse di resistenza che lo supportino. Solo così si possono ottenere riduzione serie di orario e mettere fine ai contratti precari di qualunque tipo.
I metalmeccanici inoltre non devono viaggiare da soli, tanto più che il loro bastione più importante, quel che resta di FIAT-Stellantis, per la miopia dei vertici, è ormai lasciato al suo destino a combattere da solo. Invece per noi va riaccorpato al resto della truppa e unificato a tutte le altre categorie per un unico rinnovo generale che pieghi finalmente il padronato.
L’attuale lotta all’Ilva può essere il punto di partenza per portare a casa finalmente una vittoria e non rassegnarsi a questi aumenti da clochard. Nel referendum che viene, i vertici sindacali punteranno proprio su questo, sulla rassegnazione per far ingoiare ai metalmeccanici l’ennesimo rospo. Bisogna farlo ingoiare a loro. Sarà come farlo ingoiare a Federmeccanica, l’unica a far guadagni principeschi con questo contratto bidone.








