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Nessuno sconto a questa finanziaria di lacrime e sangue
11 Dicembre 2025
Testo del volantino distribuito in occasione dello sciopero generale del 12 dicembre
La Finanziaria 2026 è la fotografia più chiara della direzione presa da chi governa: un Paese dove chi lavora deve pagare tutto, mentre chi comanda continua a vivere al riparo da ogni sacrificio: l’ennesimo assalto ai diritti, ai salari e alla dignità della classe lavoratrice.
Aumentano le imposte indirette, diminuiscono le detrazioni, si riduce ciò che resta in busta paga. Ancora una volta, l’inflazione la pagano gli operai, i turnisti, i precari, chi vive davvero del proprio sudore. Chi sta al governo, invece, continua a recitare la farsa dei “redditi da tutelare”, mentre svuota le tasche proprio di quelli che lavorano per tenere in piedi ospedali, scuole, fabbriche, trasporti.
Un altro colpo arriva sul fronte del welfare. Invece di rafforzare le tutele in un paese dove milioni di persone sono intrappolate nella precarietà, la manovra taglia ancora. Meno fondi per la formazione, meno risorse per chi perde il lavoro, meno strumenti per affrontare transizioni industriali sempre più brutali.
E poi c’è la questione delle pensioni. Con la Finanziaria 2026 diventa ancora più difficile andare in pensione in tempi umani. Nuovi requisiti, nuove restrizioni, nuovi ostacoli. Come se chi ha passato una vita nei reparti, nelle officine, sui turni di notte o nei lavori usuranti potesse continuare eternamente.
Il tratto più rivelatore di questa manovra, però, è la totale assenza di un piano per alzare i salari, per creare occupazione stabile, per ridurre gli orari, per investire nei settori strategici. Zero. Solo tagli a difesa di un sistema che continua a imporre sacrifici a chi lavora mentre garantisce margini e rendite a chi vive di profitti.
La Finanziaria 2026 non è un incidente né un errore tecnico: è un documento politico che racconta chiaramente da che parte sta il potere. E non è certo dalla parte dei lavoratori. È dalla parte di chi considera la forza-lavoro un costo da ridurre. Dalla parte di chi preferisce alleggerire i conti dei privilegiati anziché riconoscere il valore della fatica quotidiana di milioni di lavoratrici e lavoratori. Nel 2026, a quanto pare, chi lavora deve ancora pagare per tutti. È questa la linea: colpire chi crea la ricchezza per continuare a favorire
chi la accumula.
Nonostante le potenzialità che tutti abbiamo visto il 3-4 ottobre, la CGIL ed i sindacati di base non hanno trovato una data unitaria per dare vita ad una vertenza generale unificante in grado di contrapporsi a questa aggressione che il governo Meloni porta ai diritti della classe lavoratrice.
È ora di una piattaforma di rivendicazioni vere:
- aumenti molto più consistenti per tutti che recuperino la reale inflazione, grosso modo il doppio di
quella segnata dall’indice IPCA, quindi 400- 500 euro;
- ripristino della scala mobile e riduzione dell’orario a 30-32 ore settimanali a parità di salario;
- abolizione di tutte le leggi sul precariato dal Jobs Act fino al pacchetto Treu; abolizione della Legge Fornero e di tutti i suoi predecessori: in pensione con 35 anni di contributi, 60 di età e con minima almeno a 1500 euro, quindi abolizione di tutti i fondi pensione e salute che smantellano i diritti pubblici;
- abolizione dell’autonomia differenziata, che riduce salari e diritti, in maniera indifferenziata, dal nord al sud;
- abolizione di tutte le leggi antisciopero e del Decreto legge sicurezza che criminalizza le lotte;
- nemmeno un euro per il riarmo! In Italia si passerà da 45 miliardi nel 2025 a oltre 146 miliardi annui nel 2035 (più dell’importo della spesa per la sanità pubblica), arrivando in un decennio a circa 964 miliardi per il riarmo.
Queste rivendicazioni possono essere portate avanti da un'assemblea di delegati e delegate eletti nei luoghi di lavoro, che guidi la lotta da Stellantis alla GKN, dalla ex Ilva a tutte le altre mille vertenze sparse per il paese, e che istituisca casse di resistenza adeguate allo scopo.








