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Per una Palestina libera dal fiume al mare. No all'ingannevole accordo di Trump e Israele

Dichiarazione internazionale

21 Ottobre 2025
dichiarazionegaza


La massiccia e crescente mobilitazione e lo spostamento della maggioranza dell’opinione pubblica mondiale a favore del popolo palestinese e contro il genocidio dello Stato sionista di Israele hanno accelerato gli sforzi dell’imperialismo per ottenere una nuova e precaria tregua, il cui obiettivo è smantellare tale mobilitazione internazionale e fornire al sionismo nuovi mezzi; tregua basata su un patto controrivoluzionario con la leadership palestinese.

Comprendiamo e condividiamo il conforto della popolazione di Gaza per la cessazione dei bombardamenti quotidiani durati per due anni e per la possibile fine dell’assedio criminale, che l’ha sottoposta a una inesorabile crisi umanitaria. Ma dobbiamo essere onesti: questo non significa una vittoria della resistenza palestinese, come affermano erroneamente varie organizzazioni. La realtà è molto più complessa.

Questa tregua è in parte il risultato della straordinaria mobilitazione globale, così come del pericolo che la situazione di Gaza diventasse imprevedibile. Ma l’accordo parallelo che Hamas e Israele hanno firmato è stato negoziato alle condizioni imposte dagli Stati Uniti. I suoi 20 punti, se si concretizzassero, rappresenterebbero un arretramento per la lotta per l’emancipazione della Palestina. Questo accordo, in sostanza, propone alla Palestina di accettare di sottomettersi all’imperialismo e di legittimare l’occupazione sionista.

Per raggiungere questo accordo, le potenze imperialiste hanno contato sulla collaborazione diretta del Qatar, dell’Egitto e della Turchia, e sulla celebrazione complice dell’intera borghesia occidentale, delle autocrazie arabe e persino della Russia e della Cina.

L’accordo, se l’imperialismo riuscisse a impedirne il fallimento prima che si raggiunga la sua seconda fase, oltre al rilascio degli ostaggi israeliani e dei prigionieri palestinesi, che è già in via di definizione, propone la trasformazione di Gaza in un protettorato statunitense sotto la tutela di un governo fantoccio guidato da Donald Trump e Tony Blair.

Non richiede che Israele ritiri completamente le sue truppe da Gaza né che ponga fine alla sua avanzata coloniale in Cisgiordania. Richiede però che Hamas si disarmi e non ostacoli né la formazione di un nuovo governo di tecnocrati palestinesi “apolitici” e di “esperti internazionali” né l’istituzione di una forza militare straniera che assumerebbe il controllo della Striscia.

La risposta genocida del sionismo alle azioni di Hamas del 7 ottobre ha scatenato una mobilitazione internazionale a favore della Palestina ben oltre qualsiasi mobilitazione precedente. Il processo si è esteso ben oltre il suo epicentro storico nei settori di sinistra, esplodendo nei principali paesi imperialisti del mondo. È stato massiccio negli Stati Uniti, con accampamenti in varie università e in significativi settori della comunità ebraica che si sono dissociati dal sionismo. Centinaia di migliaia e milioni hanno marciato in Australia e in Europa, nonostante il fatto che i maggiori sindacati e i partiti socialdemocratici nei paesi imperialisti si siano tenuti al margine di questo movimento o abbiano effettivamente continuato a sostenere Israele, e i regimi mediorientali (a eccezione degli houthi) abbiano impedito alla cosiddetta piazza araba di mobilitarsi per forzare il blocco di Gaza, contro i sionisti e gli stati occidentali che sostenevano il genocidio. In numerosi paesi imperialisti diverse organizzazioni palestinesi sono state vietate e migliaia di manifestanti sono stati criminalizzati o addirittura accusati di terrorismo. Ma nonostante tutto ciò, il movimento è cresciuto e lo sciopero generale recente e i blocchi portuali in Italia, in solidarietà con la Global Sumud Flottilla, hanno scosso il mondo e cominciato a servire da esempio.

È un dato di fatto che gli Stati Uniti e Israele, nonostante il complice sostegno dell’intera sovrastruttura capitalista, hanno perso la battaglia contro l’opinione pubblica mondiale. Questo è il risultato più significativo che la causa palestinese ha ottenuto. Israele non era mai stato prima nella storia così isolato a livello internazionale, né così soggetto a condanne e critiche.

Tuttavia, a due anni dal perpetrarsi del genocidio, il popolo palestinese non è in condizioni migliori rispetto a prima del 7 ottobre 2023. Gaza è stata distrutta e militarmente occupata dall’esercito sionista; sono state perse almeno 67.000 vite palestinesi, probabilmente molte di più, comprese quelle di 20.000 bambine e bambini; decine di migliaia sono rimasti feriti e mutilati. La Cisgiordania continua a perdere territorio a favore dei coloni sionisti e la vita a Gerusalemme Est è sempre più difficile.

L’azione di Hamas del 7 ottobre ha raggiunto il suo obiettivo immediato, ossia di interrompere il processo di “normalizzazione” delle relazioni tra Israele e i paesi arabi, note come Accordi di Abramo. Ma l’aspettativa di Hamas che il colpo inferto a Israele esercitasse sufficiente pressione per costringerlo a negoziare un accordo non si è concretizzata. Né si è verificata l’ipotesi che l’Iran avrebbe risposto con forza a una reazione smisurata di Israele. È divenuto chiaro che il regime dei mullah difende solo i propri interessi capitalisti e di casta. Anche i regimi arabi hanno fallito nel sostenere la Palestina, e stanno appoggiando l’accordo in corso, che cerca la resa della resistenza per tornare al percorso della “normalizzazione” delle relazioni con Israele e con l’imperialismo.

La scommessa sbagliata di Hamas ha portato al genocidio, alla distruzione e all’occupazione di Gaza, e ora a un patto pieno di concessioni, che ricorda quello firmato da Arafat a Oslo più di trent'anni fa. Non è un caso che, sotto la pressione delle mobilitazioni, diversi paesi, come Spagna e Regno Unito, abbiano riesumato il sogno dei due stati, che nell'accordo non è nemmeno menzionato come obiettivo.

Nessuno Stato palestinese è possibile fintanto che esisterà, sulle sue terre storiche, uno Stato coloniale, espansionista e genocida. È stato dimostrato che Israele non permetterà mai questo. Al contrario, il suo progetto strategico è la completa pulizia etnica del popolo palestinese e la costruzione di un “Grande Israele”, conquistando sempre più territori.

Per ottenere la pace, e perché essa sia duratura e giusta per il popolo palestinese e per tutti i popoli della regione, dobbiamo prima sconfiggere il mostro sionista e la sua continua espansione coloniale. Finché lo Stato terrorista di Israele, costruito col sangue e col fuoco dagli imperialisti, continuerà a esistere, l’unica “pace eterna” possibile sarà quella pronunciata nelle litanie funebri.

Solo la costruzione di una Palestina unita, libera, laica e socialista, dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo, potrà permettere ai popoli della regione di vivere nuovamente in pace. Ma questa soluzione non verrà dalle mani del capitalismo arabo, né dai mullah iraniani, né attraverso patti con alcuna potenza imperialista. Potrà venire solo dalle masse lavoratrici arabe, qualora guidino una rivoluzione che rovesci i governi capitalistici del Medio Oriente, che sconfigga il mostro sionista e istituisca una federazione di repubbliche socialiste in tutta la regione.

Nel 1948, i nostri predecessori politici della Quarta Internazionale, l’unica organizzazione del movimento operaio mondiale che si oppose alla creazione dello Stato sionista, dichiararono:

«Grazie alla direzione borghese e feudale dei paesi arabi – agenti dell’imperialismo – siamo stati sconfitti in una fase della lotta contro l’imperialismo. Dobbiamo prepararci alla vittoria nella fase successiva, cioè all’unificazione della Palestina e di tutto il Medio Oriente, creando l’unica forza che può raggiungere questi obiettivi: il partito proletario rivoluzionario unificato del Medio Oriente».

Oggi come allora, questa è la strategia su cui scommettono coloro che hanno sottoscritto questa dichiarazione. Pertanto, ci impegniamo a promuovere, aiutare e costruire partiti rivoluzionari nella regione, ricompattando senza alcun settarismo i militanti combattivi che condividono questi obiettivi.

Lega Internazionale Socialista (LIS), Lega per la Quinta Internazionale (L5I)

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