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Le masse hanno rovesciato il governo in Madagascar
19 Ottobre 2025
Nelle ultime settimane, l’esasperazione crescente dovuta dalle continue interruzioni nell’erogazione di energia elettrica e acqua ha raggiunto il suo culmine, innescando in Madagascar un moto di rivolta popolare che ha presto travalicato le sue cause immediate, sfociando in un’esplosione di rabbia contro un regime borghese corrotto e incapace di garantire i servizi essenziali. La letale repressione ordinata dal presidente Andry Rajoelina non ha fatto altro che alimentare la furia delle masse, che non si è placata neppure dopo le dimissioni del governo e la sostituzione del primo ministro.
La rivolta, trainata in larga misura da settori giovanili, ha raccolto adesioni anche nel movimento operaio, che ha aderito all'appello allo sciopero generale (anche se significativa è stata l’adesione di settori specializzati e non operai, come medici, tecnici e insegnanti; interessante la partecipazione allo sciopero della polizia penitenziaria, che si è rifiutata di prendere in custodia i dimostranti tratti in arresto). Ma dai primi di ottobre, tuttavia, è entrato in gioco un altro importante fattore: l'esercito. Sempre più militari hanno optato per l'ammutinamento e sono passati dalla parte dei manifestanti – una dinamica che non sorprende eccessivamente, considerando che buona parte dei soldati è di estrazione proletaria.
Il presidente Rajoelina, a capo di un partito riformista, era salito alla ribalta nel 2009 grazie all'abbattimento del governo di Marc Ravalomanana, individuo dalla nomea persino più infame. Nonostante abbia dichiarato di non essere intenzionato ad abbandonare il potere (accusando i recenti eventi di essere un golpe), è fuggito dal Paese (a bordo di un aereo militare francese, riportano alcune fonti, e non stupirebbe in quanto possiede la cittadinanza anche di questo Stato; non a caso, Macron ha affermato che non può immediatamente confermare se il suo governo l’abbia aiutato a fuggire, ma che, a suo dire, andrebbe preservato l'ordine costituzionale sull’isola). Rajoelina, di fatto, è stato rimosso dal suo incarico dall'Assemblea Nazionale e dai militari.
Paradossalmente, tra gli obiettivi dichiarati della sua campagna presidenziale figuravano il miglioramento dell'accesso all'elettricità, l'autosufficienza agricola e la sicurezza. In passato, è stato glorificato a livello internazionale per aver sollecitato i Paesi più sviluppati a occuparsi del cambiamento climatico. Tuttavia, nel corso degli anni, la deriva sempre più autoritaria e la miseria implacabile hanno costituito la fucina di un malcontento sempre più diffuso (la rivolta di queste settimane non è certo sorta a caso e le sue basi hanno richiesto del tempo per svilupparsi). Già nel 2021, infatti, il regime si era attrezzato contro le possibili tendenze insurrezionali, acquistando lo spyware Predator, utilizzato per sorvegliare gli oppositori politici con il pretesto della lotta alla "corruzione".
E ora? In questo momento il potere è indubitabilmente nelle mani dei militari. La presidenza è stata assunta dal colonnello Michael Randrianirina, proveniente dall'unità CAPSAT, la formazione militare da decenni politicamente più influente e composta prevalentemente da ufficiali impiegati in ruoli amministrativi e tecnici. Questo passaggio è molto pericoloso: certamente buona parte dei soldati proviene da famiglie della classe operaia, ma c’è il rischio concreto che, se l'attuale situazione resta nelle mani degli ufficiali, divenga un semplice ricambio di élite borghesi. Probabile, a tal proposito, che certi settori delle forze armate siano passati dalla parte dei manifestanti solo per salvaguardare i propri privilegi, intuendo l’imminente crollo del governo.
La mancanza di una direzione rivoluzionaria cosciente e organizzata mette a repentaglio persino gli obiettivi minimi della rivolta. Non parliamo poi del suo sviluppo in senso radicale e dell'acquisizione del potere politico da parte delle masse, che rischiano di trovarsi esautorate dal processo in corso e dalle logiche di potere conservatrici. Tutto questo, ancora una volta, ci fa capire come senza l'abbattimento del sistema capitalista si incappi in un copione ripetitivo: i privilegiati che ieri sostenevano il governo spodestato potrebbero oggi passare con armi e bagagli dalla parte del nuovo assetto, per influenzarlo (esiti simili sono avvenuti nello stesso Madagascar nel 2009 e l’attuale presidente è stato eletto sull’onda di quelle proteste). Secondo alcune testimonianze rintracciabili in rete, cariatidi borghesi - che fino ieri se ne stavano ben rintanate - stanno già tenendo comizi nel tentativo di appropriarsi della protesta e di cavalcare un movimento nato soprattutto in ambienti giovanili. È però necessario prestare cautela nel promuovere una narrazione esclusivamente generazionale di questa mobilitazione, poiché rischia di oscurarne le sue radici di classe.
Ma al di là degli splendidi risultati, resta il problema di fondo: l’organizzazione di classe. Un movimento di opposizione rivoluzionario dotato di una coscienza proletaria latita nel Paese o comunque è molto debole. E ciò a scapito di una dignitosa storia di lotte anticolonialiste e del passato "socialista" del Madagascar (tra il 1975 e il 1992 è stato un Paese dalla connotazione stalinista, che nel corso degli anni ha abbandonato sempre più le posizioni antimperialiste e anticolonialiste per riavvicinarsi ai colonialisti francesi, reintroducendo progressivamente anche il “libero mercato”). Passato, purtroppo, in gran parte dissipato dalle organizzazioni che avrebbero dovuto raccoglierne il vessillo purpureo e custodirne l’eredità.
A peggiorare la crisi dei servizi idrici ed elettrici non è stata soltanto la corruzione istituzionale dilagante, ma anche la dipendenza dall’imperialismo internazionale, in particolare francese (che tanti lutti e tragedie ha causato a questo popolo durante la dominazione coloniale), ma anche statunitense e cinese. Il Madagascar è ricco di risorse naturali, minerarie e agricole, ma a scapito di ciò è stretto nella morsa di un debito estero assillante, dalla carenza di servizi di prima necessità e da un tasso di povertà altissimo.
Questi problemi non possono essere risolti da un semplice rimpiattino della leadership borghese, ma da una rivoluzione autentica della classe lavoratrice, che assuma il potere in modo conseguente. Altrimenti, il ciclo delle illusioni riformiste, della subordinazione agli interessi imperialisti e dell’oppressione resterà invariato fino alla prossima insurrezione.