Prima pagina
Trump e Putin in Alaska. Si stringe il cappio attorno al collo dell'Ucraina
17 Agosto 2025
Scriveremo più ampiamente nei prossimi giorni sugli sviluppi delle relazioni mondiali. Non tutto è già chiaro e definito circa l'esito dell'incontro fra Trump e Putin. Ma è possibile un primo giudizio di fondo: il vertice USA-Russia in Alaska ha seguito lo spartito dei più classici negoziati tra potenze imperialiste sulla pelle e sui diritti di altri paesi e di altri popoli. “Chi non è parte dell'incontro è parte del menù” dice il vecchio adagio della diplomazia imperialista. Così è stato. L'Ucraina non era presente in Alaska perché l'oggetto dell'incontro era ed è la sua spartizione. Quanto agli imperialismi europei, non erano presenti per la volontà congiunta di Putin e di Trump di cucinare in proprio l'accordo da sottoporre loro. L'indirizzo della nuova amministrazione americana è infatti quello di ridisegnare gli equilibri mondiali sulla base della propria relazione diretta con le altre due grandi potenze, Russia e Cina, tagliando fuori gli imperialismi alleati.
È un fatto. La stessa amministrazione americana che tributa i massimi onori al criminale Netanyahu ha riservato al criminale Putin la medesima accoglienza. La stessa amministrazione americana che copre il disegno della Grande Israele sulla pelle dei palestinesi avalla la ricostruzione putiniana di un proprio spazio imperiale in Ucraina. Le potenze imperialiste vecchie e nuove si riconoscono l'una con l'altra nello specchio del proprio comune cinismo.
L'intero cerimoniale dell'incontro in Alaska è stato un tappeto rosso per Putin. Ma ancor più i termini sostanziali dell'accordo annunciato, in base a tutte le anticipazioni disponibili.
Innanzitutto l'imperialismo USA “concede” all'imperialismo russo di continuare a bombardare l'Ucraina e a procedere nel suo tentativo di sfondamento al fronte. Le famose richieste di cessate il fuoco, i ripetuti ultimatum, prima di cinquanta giorni, poi addirittura di otto, pena lo sfracello di sanzioni dirette o indirette «senza precedenti» contro la Russia, si sono rivelati per quello che erano: un bluff propagandistico, una recita ipocrita e ridicola che serviva solamente a prendere tempo, e dare tempo, per cucinare una prospettiva opposta.
Certo, non tutte le contraddizioni sono svanite. Trump ha bisogno che Putin gli consenta di salvare la faccia, anche agli occhi dell'elettorato americano. E non è detto che Putin gli conceda tutto lo spazio di manovra richiesto ed atteso. Ma l'incontro in Alaska sposta in ogni caso il quadro del confronto. La vecchia condizione del cessate il fuoco è rimossa. Dire che “ora si tratta direttamente la pace invece di limitarsi al cessate il fuoco” significa semplicemente abbellire con parole ipocrite la concreta continuità della guerra. E la continuità della guerra d'invasione è (anche) la più potente arma negoziale della Russia contro l'Ucraina.
In secondo luogo, l'imperialismo USA avalla la rivendicazione russa non solo dei territori già conquistati militarmente e annessi dopo l'invasione del febbraio 2022, ma anche della parte del Donbass non conquistato, inclusa la città di Kramatorsk: il cuore di ciò che resta della grande produzione industriale dell'Ucraina e delle sue riserve minerarie.
In altri termini, l'Ucraina invasa dovrebbe non solo rinunciare ai territori occupati dall'imperialismo invasore ma anche concedergli il bottino che questi non è ancora riuscito a strapparle dopo tre anni, nonostante l'enorme superiorità militare delle proprie forze.
Una soluzione umiliante. Che oltretutto sposterebbe ulteriormente i rapporti di forza in Ucraina a vantaggio della Russia, la quale un domani potrebbe riprendere la marcia verso Kiev da una posizione strategica ben più avanzata. Perché oggi la linea del fronte a difesa di Kramatorsk è il cuore della difesa ucraina. Abbandonare quella linea è ben più che concedere a Putin altri 100 chilometri di terra: è porre un'ipoteca sullo Stato ucraino.
Inutile aggiungere che ogni diritto di autodeterminazione del Donbass sarebbe escluso per definizione dalla sua completa annessione alla Russia e da un accordo internazionale che la sancisca.
Quanto alle ipotesi di compensazioni offerte all'Ucraina sotto forma di “garanzie” a futura memoria non valgono più di un pezzo di carta, peraltro neppure scontato. Putin (forse) scriverebbe che si impegna a non riprendere la guerra. Come si era solennemente impegnato a non invadere l'Ucraina sino a tre giorni prima dell'invasione del 2022. Come si era impegnato del 1996 a cessare la guerra in Cecenia, salvo riprenderla nel 1999 con la completa distruzione di Grozny.
Un regime fondato tanto più oggi sull'economia di guerra e sulla propria proiezione neoimperiale intende sicuramente incassare i vantaggi di un accordo con Trump e dei relativi riconoscimenti, ma non per questo dismetterà le proprie ambizioni. E anzi la grande vittoria politica e di immagine che Putin riscuote oggi in patria semmai le rafforza. Quanto alle “garanzie” di protezione dell'Ucraina offerte da Trump, hanno la stessa credibilità del personaggio e delle sue passate promesse. Una difesa dell'Ucraina affidata all'imperialismo USA vale la difesa di un pollaio affidata alla volpe, o meglio a un complice patentato della volpe.
La verità è che Trump vuole venir via dall'Ucraina, sia per risparmiare risorse con cui detassare i capitalisti USA sia per concentrare maggiori forze ed energie sui mari del Pacifico nel confronto strategico con l'imperialismo cinese. Cedere il passo a Putin in Ucraina significa questo. Se poi significasse anche ottenere... il Nobel per la pace, tanto meglio per l'insaziabile vanità dell'uomo.
Quanto a noi, in ogni caso, non chiameremo “pace” un'annessione, quale che sarà il posizionamento in merito del governo Zelensky. A dispetto dell'esaltazione della «pace sporca» da parte della rivista Limes o di un qualsiasi Travaglio.
L'incontro in Alaska ha spaziato peraltro ben al di là dell'Ucraina. Ha riguardato gli equilibri globali in fatto di armamenti nucleari, la gestione delle grandi ricchezze dell'Artico, le relazioni di potenza in Medio Oriente. Trump concede all'imperialismo russo il ruolo di grande potenza negoziale su scala mondiale: il semaforo verde in Ucraina è solo un segno di questa più ampia apertura. Putin in cambio assicura all'imperialismo americano un proprio ruolo “responsabile” in Medio Oriente, ciò che significa garantire il disarmo nucleare iraniano e la non belligeranza russa sul genocidio sionista in Palestina.
Quanto agli imperialismi europei – costretti ai margini del grande gioco della spartizione mondiale – sperano un domani di poter ritornare in partita, grazie ai propri piani di riarmo. Intanto prenotano un posto a tavola nel business della ricostruzione dell'Ucraina e continuano, al di là delle chiacchiere, a sostenere militarmente lo Stato sionista, riconoscendo al più lo “Stato palestinese” mentre collaborano di fatto allo sterminio dei palestinesi.
Di certo né il popolo palestinese né il popolo ucraino hanno qualcosa da attendersi dalle potenze imperialiste, vecchie e nuove, e dai loro cinici mercanteggiamenti. Solo una rivoluzione socialista internazionale, solo una grande alleanza tra la classe operaia e i popoli oppressi può liberare il mondo dai briganti che lo controllano.