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Il negoziato fra imperialismi si riversa sui salariati

Significato e ricadute dell'accordo sui dazi fra USA e UE. Per un'alleanza internazionale dei salariati contro tutti gli imperialismi. Solo una rivoluzione socialista può dare all'Europa una prospettiva storica nuova

31 Luglio 2025
negoziato


L'imperialismo USA scarica il proprio declino sugli imperialismi concorrenti, a partire dagli imperialismi “alleati”. L'accordo sui dazi fra Trump e von der Leyen rientra in questo quadro generale.

Il rilancio del protezionismo su larga scala da parte della nuova amministrazione americana mira a obiettivi combinati: incassare nuove risorse con cui detassare i capitalisti USA; e soprattutto riportare negli USA l'industria manifatturiera che aveva battuto altri lidi negli anni d'oro della globalizzazione.
Si tratta di un piano di rilancio delle basi materiali dell'imperialismo americano a fronte dell'ascesa della concorrenza imperialistica della Cina. “Fare di nuovo grande l'America” trova nel protezionismo il proprio credo.

La politica protezionista USA si muove a raggiera sull'intero globo, secondo una logica negoziale spregiudicata. Spazia non solo in America attraverso Canada e Messico – nel nome dell'antico motto ”l'America agli americani” – ma persino in Asia, dove non risparmia neppure gli alleati tradizionali degli USA, come il Giappone e la Corea del Sud, nonostante l'interesse strategico USA al contenimento della Cina (ciò che pone qualche interrogativo, tuttora irrisolto, sul codice di priorità delle scelte trumpiane).

È certo tuttavia che sul tavolo da gioco planetario l'Unione degli imperialismi europei ha subito, se così si può dire, un trattamento particolare da parte di Trump. Simile a quello riservato all'imperialismo giapponese. Più oneroso di quello offerto al vecchio imperialismo britannico.

L'accordo è ancora oggetto di interpretazioni fluttuanti, ma la sua natura appare evidente a occhio nudo: un accordo clamorosamente squilibrato a vantaggio dei capitalisti USA e del governo americano. Il dazio di riferimento del 15% riguarderà il 70% delle merci europee esportate negli USA (che ammontano complessivamente a 531 miliardi di euro); e si somma al “dazio informale” della svalutazione del dollaro del 15%.
Parallelamente la UE si impegna nei tre anni rimanenti dell'amministrazione Trump a comprare prodotti energetici USA per 750 miliardi di dollari (essenzialmente gas e petrolio), ad investire negli USA 600 miliardi di dollari delle imprese europee, ad accrescere i rifornimenti militari presso l'industria bellica americana, i cui titoli azionari non a caso sono esplosi in Borsa.
L'unica contropartita per la UE è la (temporanea) rinuncia degli USA ad elevare i dazi al 30%.

Larga parte del commentario borghese europeo è sconsolato: “per evitare la guerra abbiamo accettato la resa”. In particolare la postura remissiva esibita durante il negoziato dalla Presidente della Commissione Europea è spesso oggetto di critica o di scherno. Comprensibile. Ma al di là della superficie scenica, occorre andare alla sostanza di quanto è avvenuto.


LA CRISI DELL'UNIONE EUROPEA

La debolezza contrattuale dell'Unione Europea è il riflesso della sua base materiale. Esiste un imperialismo americano, un imperialismo cinese, un imperialismo russo. Non esiste un imperialismo europeo. Esiste un'unione di stati imperialisti nazionali, di diversa taglia, da tempo penalizzati nella competizione globale, separati da interessi tra loro divergenti e conflittuali. Imperialismi nazionali che si contendono gli investimenti esteri attraverso la corsa al ribasso della tassazione sui profitti; che dispongono di sistemi energetici differenziati; che si disputano il mercato dell'acciaio, dell'industria farmaceutica, dell'industria bellica continentale; che si spartiscono in una lotta al coltello i fondi europei all'agricoltura e all'industria; che si contendono le aree di influenza in Europa, nei Balcani, in Nord Africa, in Medio Oriente, così come le proiezioni di mercato in Cina, India e America Latina.

Il crollo del muro di Berlino, poi la grande crisi del 2008, infine la concorrenza combinata e agguerrita delle altre potenze imperialiste (USA e Cina in primis) hanno indotto gli imperialismi nazionali europei prima a creare e poi a preservare la propria unione. Ma mai come oggi i diversi interessi degli Stati nazionali appaiono conflittuali.
Il contenzioso tra Germania e Francia sul primato in Europa, il conflitto latente tra Francia e Italia in Nord Africa, la concorrenza fra Italia e Germania nei Balcani, le infinite controversie sulle politiche di bilancio (sia nazionale che comunitario) ne sono un riflesso. La cosiddetta “costruzione federale” della UE non ha superato la soglia della moneta comune (2000), ed è di fatto bloccata da più di vent'anni. Il ricorso eccezionale all'indebitamento comune in risposta alla pandemia (2020) non ha avuto seguito. Lo stesso piano di riarmo recentemente varato risponde prevalentemente, non a caso, alle capacità di bilancio dei diversi Stati nazionali, e per questo approfondisce la loro divaricazione (a partire da quella franco-tedesca).


NEGOZIATO EUROPEO, INTERESSI NAZIONALI

Il negoziato commerciale tra UE e USA, e il suo esito, non potevano essere estranei a questo quadro d'insieme. Da un punto di vista formale, era ed è l'Unione Europea, attraverso la sua Commissione, la titolare del negoziato commerciale. Ma dietro il paravento di un negoziato continentale si agitano le diverse pressioni nazionali.
Berlino ha cercato principalmente di salvaguardare la propria industria automobilistica. Roma ha provato a tutelare la propria industria agroalimentare e farmaceutica. Parigi si sente minacciata da un accordo che la penalizza nei comparti chiave della propria industria bellica ed energetica, e protesta (“l'ora buia della sottomissione”).
Von der Leyen ha trattato per tutti e per nessuno. Così ora tutte le diverse filiere nazionali e/o di settore lamentano lo scarto tra i risultati e le attese. Tra il risultato e il proprio “mandato”, per lo più nazionale.

Peraltro, un negoziato commerciale non è mai solo commerciale, tanto più nel contesto attuale. Pesano i rapporti di forza complessivi sul piano della potenza imperialista. L'imperialismo USA in questi mesi ha messo sul piatto della bilancia il proprio primato indiscusso sul piano militare (NATO), la forza del proprio comparto energetico, il peso dei grandi monopoli tech. Gli impegni europei ad acquistare armi, gas, petrolio USA, e ad investire massicciamente negli Stati Uniti, sono il sottoprodotto della pressione materiale dell'imperialismo americano, e oggi soprattutto della svolta nazionalista della sua nuova direzione politica.

Certo colpisce un “impegno” europeo a spendere 750 miliardi in gas e petrolio USA quando l'intero export USA in petrolio e gas ammonta a 141 miliardi, come stupisce l'impegno a investire negli USA 600 miliardi delle imprese europee quando si tratta di investimenti privati, difficilmente prevedibili e quantificabili.
È possibile che la cifra comprenda in realtà l'impegno a comprare i titoli di Stato americani, oggi in evidente difficoltà anche perché minacciati da un parziale disinvestimento cinese. Ma al di là di incognite e contraddizioni, resta il dato di fondo: l'unione degli imperialismi europei si è piegata alle pressioni dell'imperialismo USA.


PER L'INDIPENDENZA DI CLASSE DEI SALARIATI EUROPEI

Ora tutte le borghesie del continente battono cassa chiedendo “compensazioni”. In altri termini, una nuova montagna di miliardi da girare ai capitalisti europei per indennizzarli dai dazi americani. Gli stessi capitalisti che magari, in risposta ai dazi, stanno valutando se trasferire negli USA le loro produzioni.
Da un lato le organizzazioni padronali chiedono soldi ai propri governi, presentando il conto del danno subito (22,6 miliardi, secondo la sola Confindustria italiana), e invocando deroghe alla normativa europea in fatto di aiuti di stato. Dall'altro, battono cassa direttamente presso l'Unione Europea, chiedendo la sospensiva del Patto di stabilità e persino un nuovo ricorso al debito continentale (cui la Germania continua a opporsi).

In ogni caso si sventola la bandiera dell'interesse comune fra padroni e lavoratori. Sia esso il ritrovato interesse nazionale contro l'Europa matrigna, secondo lo spartito sovranista, sia esso l'interesse europeo contro la protervia americana di Trump. secondo la narrativa liberal-europeista.

Questa operazione truffaldina va respinta. Non debbono essere i salariati a pagare il conto della concorrenza tra i capitalisti, i loro Stati, le loro unioni.
Contro le delocalizzazioni annunciate va rivendicata la nazionalizzazione senza indennizzo, e sotto il controllo dei lavoratori, delle aziende interessate. Contro nuove operazioni a debito va rivendicata la tassazione straordinaria e progressiva dei grandi profitti e patrimoni, assieme alla cancellazione del debito pubblico verso le banche. Contro nuovi tagli alle spese sociali (magari per finanziare le spese in armamenti, siano essi europei o americani) va rivendicato un vasto piano di investimenti pubblici nella sanità, nell'istruzione, nei servizi sociali, nel risanamento ambientale e riconversione energetica – oggi rinnegata persino formalmente con l'impegno assunto verso gas e petrolio USA – a spese dei capitalisti. Contro ogni pretesa di interesse comune tra le classi, va rivendicata e perseguita l'alleanza internazionale tra i salariati europei, e tra questi ultimi e i proletari americani, che sono e saranno colpiti dal mix micidiale di inflazione e tagli sociali.


PER UNA FEDERAZIONE SOCIALISTA EUROPEA

Al tempo stesso, quanto avvenuto richiama una riflessione più generale sulla prospettiva strategica dell'Europa e sul suo ruolo nel mondo.

Oggi il declino storico degli Stati Uniti viene messo a carico dell'Europa, sempre più vaso di coccio nella morsa delle grandi potenze planetarie.

I circoli borghesi liberali che invocano l'urgenza di una unità europea su basi federali, nel nome di una replica dell'antica federazione americana, ignorano le contraddizioni nazionali insuperabili tra i diversi stati imperialisti del vecchio continente: la loro unione non solo è stata edificata contro i lavoratori europei, ma rappresenta un progetto arenato e fallito.

Gli ambienti sovranisti che invocano la dissoluzione dell'Unione Europea e/o l'alleanza dei paesi europei con l'imperialismo russo e cinese, chiedono di fatto una nuova subordinazione dell'Europa, diversamente declinata, verso nuove potenze imperialiste emergenti. Nulla che corrisponda agli interessi dei salariati europei.

Solo una rivoluzione socialista può unificare l'Europa su basi progressive. Solo un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, in ogni paese, e su scala continentale, può dare all'Europa una prospettiva storica nuova.
Per una federazione socialista europea! Per gli Stati uniti socialisti d'Europa! È questa la parola d'ordine della Lega Internazionale Socialista, di cui il PCL è sezione italiana.

Partito Comunista dei Lavoratori

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