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Germania. La Linke e la Palestina

22 Luglio 2025
linkepalestina


Quasi nessun tema è attualmente così polarizzante all'interno del partito della Linke come la questione della solidarietà con la Palestina, la posizione della Linke su Israele e, in questo contesto, il tema dell'antisemitismo. In realtà, questi temi di conflitto rimandano a un tema ancor più profondo: la posizione del partito sull'antimperialismo.

Per i partiti che svolgono un ruolo parlamentare in Paesi come la Germania, la questione dell'antimperialismo – a prescindere da quanta enfasi pongano essi sulle loro “politiche di riforma” – determina se questi sono veramente partiti di opposizione o se sono pilastri del sistema di governo. Partiti come i Verdi (e, più di un secolo fa, la SPD) dimostrano quanto rapidamente si possa passare dall'opporsi al sistema e dal “marciare attraverso le istituzioni” al diventare portavoce del riarmo della NATO e propagandisti totali delle politiche imperialiste. Nelle loro posizioni sul Medio Oriente, entrambi i partiti gareggiano con la CDU/CSU per dimostrare chi riesce a difendere più coerentemente la solidarietà incondizionata con Israele, che è stata dichiarata una questione di interesse nazionale.


IL PROGRAMMA DI ERFURT DELLA LINKE

Nel capitolo “Imperialismo e guerra” del suo programma approvato a Erfurt nel 2011, la Linke attribuisce chiaramente il potere economico e militare ai centri imperialisti, e i conflitti bellici agli obiettivi geopolitici delle grandi potenze in competizione. Denuncia inoltre il carattere aggressivo della NATO e degli altri organi dell'imperialismo. Tra le altre cose, il programma contiene lo scioglimento della NATO e il ritiro della Repubblica Federale Tedesca da queste “alleanze di sicurezza”. Il fatto che tali posizioni siano state sempre più scosse all'interno della Linke dopo la guerra in Ucraina e dopo la “svolta epocale” ["Zeitenwende", termine usato da Olaf Scholz nel 2022 per annunciare il riarmo e il ritorno a una politica di potenza, NdT] può essere constatato in ogni talk show in cui intervengano politici della Linke, sulla questione delle sanzioni contro la Russia, o negli smottamenti che si verificano nelle votazioni sul debito per il riarmo. L'antimperialismo della Linke è sempre stato un antimperialismo vuoto, poiché non offre alcuna prospettiva se non quella di alimentare le illusioni pacifiste nella “politica di pace” borghese, nel “diritto internazionale” e nella sua applicazione da parte delle Nazioni Unite. Una prospettiva di lotta di classe internazionale e di distruzione delle agenzie imperialiste è naturalmente assente, come ci si può aspettare da un partito riformista.


LA SOLUZIONE DEI DUE STATI COME PROGRAMMA

Tuttavia, la questione palestinese è una leva importante per scardinare le posizioni antimperialiste che ancora ostacolano la partecipazione al governo a livello federale (nazionale). Ciò è emerso con particolare chiarezza in un dettagliato discorso tenuto nel 2008 da Gregor Gysi [tra i principali leader della Linke, e capogruppo parlamentare] in occasione del sessantesimo anniversario dello Stato di Israele, che è ora disponibile come articolo La posizione della Linke sullo Stato di Israele sul sito del partito (1).

In esso Gysi spiega nei particolari perché non considera l'antimperialismo adatto a determinare la posizione della Linke su Israele, e perché rifiuta l'antisionismo come progetto politico, anche se, d'altra parte, non trova il sionismo «particolarmente attraente». Gysi riduce l'antimperialismo alla «solidarietà con i movimenti di liberazione nazionale».

Gysi ritiene che la storia di questi movimenti sia finita, e che le loro “propaggini”, come Hamas o Hezbollah, non conservino nulla del vecchio contenuto progressista di questi movimenti di liberazione. Gysi riconosce il contesto storico di un progetto di colonizzazione sotto la protezione dell'imperialismo (prima britannico, poi statunitense) e la funzione di Israele per gli interessi di potenza mondiale degli Stati Uniti in quella regione. Per Gysi, tuttavia, questo aspetto è secondario, poiché garantire l'esistenza di Israele sarebbe stato impossibile senza la funzione protettiva degli Stati Uniti. Il nocciolo della questione rimane quindi la questione del «diritto di esistere» e della «ragion di Stato della Germania», entrambi analizzati nel saggio. In definitiva, sostiene Gysi, la prospettiva reazionaria e colonialista del sionismo (che, come egli ammette, fu anche violento nei nuovi territori colonizzati) prevalse sulla posizione più progressista dell'antisionismo ebraico a fronte della forza omicida dell'antisemitismo europeo: solo attraverso uno Stato nazionale ebraico separato si sarebbe potuta garantire l'esistenza della vita ebraica. Questa è anche la ragione del rifiuto, da parte di Gysi e della Linke, della soluzione di un unico Stato in Palestina: «Chiunque volesse un solo Stato democratico per ebrei e palestinesi accetterebbe che i palestinesi ne costituiscano la maggioranza, che occupino tutto e che la persecuzione, l'oppressione e i pogrom contro gli ebrei, com'è stato per migliaia di anni, ricomincino e non possano essere evitati».

Secondo questa logica, per cui solo uno Stato a maggioranza ebraica garantirebbe la sopravvivenza degli ebrei nella regione – con il presupposto che l'antisemitismo prevarrebbe “naturalmente” tra la popolazione palestinese, come avviene in Europa – il «diritto all'esistenza» è definito come un diritto esclusivamente ebraico, che subordina la popolazione araba nello Stato di Israele. Ciò potrebbe essere risolto “senza apartheid” solo attraverso la soluzione dei due Stati etnicamente separati. Nel dibattito sul programma che avvenne ad Erfurt nel 2011, le accese discussioni sull'antisemitismo vennero risolte incorporando nel programma la logica di Gysi: da allora in avanti, la Linke si è impegnata nel suo programma a difendere il “diritto all'esistenza” di Israele e la soluzione dei due Stati. Naturalmente, la mancata attuazione della soluzione dei due Stati significa anche che le critiche all'apartheid e alla soppressione dei diritti dei palestinesi sono ammesse dal programma, così come tutte le possibili “iniziative di pace” per l'ormai sempre più illusoria soluzione dei due Stati. Tuttavia, la prospettiva di uno Stato multietnico, democratico e unitario per ebrei, arabi, drusi e tutte le altre popolazioni della regione della Palestina viene respinta fin dall'inizio in considerazione della presunta necessità di uno Stato ebraico. In questo modo, il programma è un ostacolo anche alla prospettiva socialista di superamento delle barriere nazionali ed etniche attraverso una politica di classe proletaria internazionalista in Palestina e nel mondo arabo. Il programma della Linke, inoltre, rifiuta la possibilità stessa di distruggere il blocco sionista reazionario in Israele, e allo stesso tempo esclude qualsiasi discussione su una costituzione democratica per uno Stato palestinese che garantisca anche i diritti di tutte le comunità nazionali e religiose, compresi i diritti della minoranza ebraica.


SÌ A ISRAELE, SÌ ALLA "PROTEZIONE" DI ISRAELE...

Attraverso questo punto fondamentale del riconoscimento senza riserve di uno Stato puramente ebraico (entro qualsivoglia confine) viene più o meno riconosciuta anche la natura assoluta della “funzione protettiva” di questo Stato. Sebbene Gysi riconosca l'interesse degli Stati Uniti (e anche della Repubblica Federale Tedesca del dopoguerra) come un elemento che è possibile mettere in discussione, ritiene che in questo caso si debba sfruttare la motivazione “sbagliata” (l'interesse degli USA e della Repubblica Federale Tedesca) per raggiungere il fine giusto (l'esistenza di uno Stato ebraico). Dunque anche se il concetto di “ragione di Stato” è criticabile, ciò che è importante è il buon fine, così come lo intendeva Theodor Adorno, cioè fare tutto il possibile per impedire che Auschwitz si ripeta.
A questo proposito, quindi, Gysi ritiene che l'ultimo dei tre pilastri della politica estera tedesca che la Linke dovrebbe sfidare nel caso della partecipazione a un governo di coalizione (o nell'appoggiarne uno) – cioè la NATO, l'integrazione europea e l'esistenza di Israele come ragion di Stato per la Germania – sia in raltà quello più accettabile. Qualsiasi critica alle politiche di apartheid, agli eccessi razzisti, alle azioni militari, ecc. è necessaria e ammissibile, ma solamente all'interno del riconoscimento di questo diritto di esistenza.


..."SOLIDARIETÀ", MA SOLAMENTE IN QUESTO CONTESTO

Le dichiarazioni e le attività della leadership della Linke, ma in definitiva tutti i documenti riguardanti l'attuale guerra di Gaza, rientrano in questo quadro. Nella risoluzione su Gaza adottata all'ultimo congresso, “Stop all'espulsione e la carestia a Gaza. Applicare il diritto internazionale!”, i crimini del governo israeliano e delle sue forze armate a Gaza sono chiaramente denunciati, e si fa appello alla protesta:

«Come persone di sinistra, partecipiamo alle manifestazioni di solidarietà per la Palestina e ci impegnamo a informare sulla guerra e sulla situazione in Palestina e Israele. La nostra solidarietà va a chi in Israele, in Palestina e in tutto il mondo lotta per la fine immediata della guerra e dell'occupazione, a quanti si oppongono al governo di estrema destra di Netanyahu, a Hamas e a chi ne trae profitto nel mondo» (2).

La risoluzione chiede che venga eseguito il mandato di arresto emesso dalla Corte Penale Internazionale nei confronti di Netanyahu qualora questi si recasse in Germania in visita di Stato, e che vengano interrotte le forniture di armi a Israele. Allo stesso tempo, viene “chiarito” che è respinta la collaborazione con qualunque forza che minaccia o anche solo mette in discussione il diritto di Israele ad esistere. Come è noto, subito dopo il congresso, la dirigente Ulrike Eifler, che in un post aveva accennato alla soluzione di un solo Stato, è stata immediatamente rimproverata pubblicamente (anche dalla “sinistra” Ines Schwerdtner).

Allo stesso modo, una delle principali preoccupazioni interne al partito per la manifestazione di solidarietà con Gaza del 19 luglio è stata il rifiuto di far partecipare quelle organizzazioni che mettono in discussione il diritto di Israele ad esistere, o che alla manifestazione potessero presentarsi anche dei “fascisti islamici”. La solidarietà con Gaza è valida solamente nella misura in cui le persone colpite dal genocidio accettano gli ordini della Linke. L'obiettivo non è quello di creare la massima unità possibile nella lotta contro il genocidio e la vendita di armi tedesche, ma quello di evitare di essere etichettati come “antisemiti” dai media filosionisti tedeschi.


POTENZIALITÀ E OBIETTIVI

Nel complesso, comunque, la campagna elettorale delle ultime elezioni politiche e l'afflusso di nuovi membri, in particolare migranti, hanno cambiato il clima all'interno del partito. Nuovi sviluppi potrebbero esserci, in particolare sulla questione israelo-palestinese. Il cambiamento nella definizione del concetto di antisemitismo utilizzata dalla Linke – che ora almeno non accusa più i sostenitori della soluzione monostatale di antisemitismo – è certamente un segno che il consenso esistente dal 2008 sulla questione dello Stato unico, e quindi sull'interpretazione specifica del diritto all'esistenza di Israele come garanzia di uno Stato puramente ebraico, può essere trovare nuovamente spazio di discussione.

Tuttavia, fintantoché la protezione imperialista di Israele, pesantemente armato, continua ad essere considerata come una necessità, e la resistenza antimperialista nella regione non viene apertamente sostenuta (nonostante tutte le doverose critiche alle politiche sbagliate dei leader di questa resistenza), la «solidarietà con Gaza» rimane pura parola al vento. L'incapacità della leadership del partito a spingersi oltre è dimostrata non da ultimo dal fatto che non vi è alcuna richiesta allo Stato imperialista tedesco di revocare il bando che riguarda tutte le organizzazioni palestinesi.

Inoltre, l'attuale politica di guerra dello Stato israeliano, legittimata come “esercizio del diritto all'autodifesa”, non garantisce a lungo termine la vita degli ebrei nella regione. Impedisce qualsiasi accordo pacifico con le nazionalità maggioritarie della regione, rende Israele sempre più odiato e dipendente da politiche puramente militari e repressive (sia internamente che esternamente), e quindi anche dipendente dal continuo sostegno degli USA in particolare. Questa prospettiva di repressione e aggressione non è una “follia” dell'attuale governo di estrema destra in Israele, ma una conseguenza necessaria della prospettiva di garantire a tutti i costi uno Stato ebraico puro, razzista e colonialista. Ciò ha da tempo mandato all'aria tutte le utopie della soluzione dei due Stati. Il governo Netanyahu sta invece perseguendo una soluzione a uno Stato che porta la politica genocida di pulizia etnica e di espulsione alle sue estreme conclusioni. Ciò deve essere combattuto con tutta la forza possibile. La sinistra interna della Linke ha il compito di combattere per un vero cambiamento di rotta del proprio partito. Per farlo, tuttavia, deve rompere con tutte le illusioni reazionarie della soluzione dei due Stati e con qualsiasi compromesso con la ragion di Stato tedesca, e schierarsi a favore di uno Stato democratico e socialista in Palestina, in cui tutti i palestinesi espulsi possano tornare e in cui tutti possano vivere come uguali, indipendentemente dalla nazionalità e dalla religione.



(1) https://www.die-linke.de/start/nachrichten/detail/die-haltung-der-deutschen-linken-zum-staat-israel/

(2) https://www.die-linke.de/partei/parteidemokratie/parteitag/chemnitzer-parteitag/beschluesse-und-resolutionen/detail/vertreibung-und-hungersnot-in-gaza-stoppen-voelkerrecht-verwirklichen/

Markus Lehner

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