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Capitalisti a Milano. Il dito e la luna
21 Luglio 2025
Lo “scandalo” di Milano, al pari a suo tempo dello scandalo Toti, è tutt'altro che un caso giudiziario: è l'ennesima cartina di tornasole dell'amministrazione corrente delle città e delle sue regole del gioco nell'ordinaria democrazia borghese. Il vero scandalo sta nella normalità che rivela.
Negli ultimi dieci anni, a partire da Expo, Milano ha visto investimenti immobiliari per 35 miliardi. Tanti quanti Piemonte e Toscana tra loro sommate. Il 10% delle volumetrie di tutta Italia. Nel 2015 fu il colosso americano Blackstone a dare il via, comprando l'ex Palazzo delle Poste di Piazza Cordusio. Da lì un effetto domino incontenibile. Una valanga di investimenti in sontuosi grattacieli, ristrutturazioni di edifici bancari, progetti per hotel e club privati per clientela di alto bordo, con incassi faraonici per i grandi gruppi immobiliari coinvolti. Solo un fatto giudiziario, e solo Milano? No, occorre guardare la luna, non solo il dito.
Il dito della magistratura borghese ha indicato la commistione di interessi privati e pubblica amministrazione milanese: una Commissione Paesaggio guidata da fiduciari dei gruppi immobiliari e dei loro architetti incaricati (Marinoni, Scandurra); un assessore all'urbanistica che gestiva le pratiche della Commissione Paesaggio (Tancredi), sottratte per questa via al consiglio comunale; un sindaco Sala – già amministratore di una delle maggiori imprese milanesi, già city manager della giunta di centrodestra di Letizia Moratti, poi scelto da Renzi per il centrosinistra milanese nel 2016 – che metteva il timbro e la faccia su (quasi) ogni pratica che l'assessore all'Urbanistica e la Commissione Paesaggio (da lui nominati) gli passavano. Il tutto, a quanto pare, per ciò che riguarda assessore e Commissione, lubrificato dalla donazione di sontuose consulenze (complessivamente milioni di euro) offerte dai gruppi immobiliari beneficiati: la nuova veste delle vecchie mazzette note alle cronache di Tangentopoli, 1992.
Ma sotto la superficie della vicenda giudiziaria stanno i fondamenti strutturali della vicenda. Che vanno ben al di là del caso Milano.
La rendita immobiliare è divenuta dopo la grande crisi del 2008 un investimento di prim'ordine del capitale in ogni parte del mondo, una misura del suo parassitismo. Non è un caso se le stesse fortune di Trump nascono in questo ambiente. Le grandi metropoli sono il luogo prescelto dell'investimento immobiliare. Tutte le grandi amministrazioni metropolitane, indipendentemente dalla loro latitudine e colore politico, si contendono l'una contro l'altra gli investimenti dei grandi gruppi.
Due sono i terreni, tra loro intrecciati, su cui avviene una concorrenza spietata.
Il primo è la velocità delle decisioni: ciò che implica scavallare le formalità dei dibattiti istituzionali, del confronto pubblico, a maggior ragione delle opinioni delle popolazioni. Fare in fretta è la prima necessità. Matteo Renzi, già sindaco di Firenze e sicuro esperto della materia, è esplicito nel sostenere le ragioni della giunta Sala: «Nei processi di trasformazione delle metropoli la velocità è un fattore chiave per attrarre gli investimenti necessari ed essere competitivi con le altre città. Per chi mette i capitali c'è la necessità di avere strumenti rapidi...» (Corriere della Sera, 18 luglio). E se gli interessi di «chi mette i capitali» sono la bussola di riferimento, la questione è chiusa.
Peraltro i sindaci-podestà della Seconda Repubblica, voluti da centrosinistra e centrodestra, sono figure ideali per “velocizzare”, dati i poteri di cui dispongono.
In secondo luogo, gioca un ruolo la corsa al ribasso degli oneri di urbanizzazione: ciò che gli investitori pagano all'amministrazione pubblica in cambio delle licenze di costruzione. La gara tra amministrazioni sta nel ridurre sempre più gli oneri di urbanizzazione, pur di soffiare i capitali ai concorrenti. Una forma di ulteriore riduzione delle tasse sul capitale. Il risultato è massimizzare i profitti per gli immobiliaristi riducendo le capacità di spesa delle amministrazioni in fatto di servizi sociali.
Il “caso” Milano è una sintesi perfetta di queste dinamiche generali.
Il risvolto sociale della faccenda è sotto gli occhi di tutti. A Milano si paga sino a 2000 euro per un affitto. Cinquemila al metro quadro per una casa, e non in centro, ma in periferia. Se trovi lavoro a Milano devi andare a vivere fuori, a volte addirittura fuori regione. Per duecentomila studenti universitari, il 50% fuori sede, sono disponibili novemila alloggi: il nulla. Centinaia di migliaia di milanesi nel tempo sono stati espulsi di fatto dalla propria città, per loro di fatto invivibile. Senza parlare degli effetti ambientali dell'ondata di cemento che ha soffocato la metropoli.
In questo quadro generale, la corruzione è solo la patologia incancellabile della dittatura del profitto. Una società per i ricchi costruita sull'oppressione dei poveri, una società in cui comandano i capitalisti e pagano i salariati, contabilizza vecchie e nuove mazzette come normale voce di bilancio. Nella Seconda Repubblica come nella Prima.
Non a caso il vecchio Engels, già nel secondo '800, indicava nella corruzione una forma organica di vita della democrazia capitalista, assieme ai rapporti fra governo e Borsa (L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato). Da questo punto di vista possiamo dire che nulla è cambiato, se non il volume enormemente accresciuto sia degli affari che delle mazzette.
Quanto alle inchieste giudiziarie, faranno il loro corso come quelle di trent'anni fa, peraltro allora ben più estese di oggi. Ma come allora, la soluzione non è e non sarà la magistratura borghese. Solo un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, che rompa col capitalismo e riorganizzi la società su basi nuove, potrà realizzare una svolta vera. Anche in fatto di etica pubblica.