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Confederalismo democratico e rivoluzione (III)
Natura e caratteri della "rivoluzione" del Rojava
19 Agosto 2025
Terza e ultima parte
PRINCIPI DEL CONFEDERALISMO DEMOCRATICO NEL ROJAVA
La teoria del confederalismo democratico di Ocalan può finalmente implementarsi nel Rojava dal 2012 grazie al controllo dei curdi del PYD sull'area. Fin dall'inizio si ribadisce che non si intende creare un nuovo stato curdo indipendente, bensì lo sviluppo di forme di autonomia all'interno dello stato siriano, contemporaneamente all'aspirazione della sua trasformazione “democratica” e federale. Questa coesistenza pacifica con il nemico, ma nemico neanche tanto quindi, viene ammessa e giustificata dal fatto che lo stato centrale lascia l'agibilità alle politiche dell'autoamministrazione. Non c'è e non è prevista quindi nessuna rottura (tanto meno rivoluzionaria), si tratta bensì di un patto di coesistenza o per lo meno di non interferenza con il regime reazionario (prima di Assad e poi di Ahmad al-Shara), in mediazione con le classi dominanti al potere.
L'organizzazione costruita nel Rojava viene descritta dagli stessi protagonisti come un sistema confederale e decentralizzato senza stato (!) basato sui principi dell'autonomia, dell'autodifesa, dell'autorganizzazione, della democrazia diretta, dell'ecologia, del femminismo, del multiculturalismo e di un'economia cooperativa. Il tutto in una visione di "terza via” tra capitalismo e socialismo. Importanti valori sociali come uguaglianza, giustizia, libertà, pluralismo, con particolare attenzione alla tutela delle minoranze culturali e religiose, sono implementati nella stessa costituzione (“contratto sociale”) di marcata impronta democratico-progressista (tra le altre cose vengono previsti servizi sanitari pubblici gratuiti, istruzione gratuita a tutti i livelli, diritto di asilo umanitario e politico – per lo meno sulla carta).
Al netto di un'autorappresentazione che andremo man mano ad analizzare nel dettaglio, l'insieme di questo quadro rappresenta sicuramente una struttura avanzata, ancor di più alla luce del contesto regionale, e per questo un'esperienza da difendere contro attacchi conservatori e reazionari.
Il motore per la costruzione della nuova società del Rojava, in allineamento al pensiero teorico di Ocalan, viene posto nella rivoluzione della coscienza e della mentalità individuale, nella quale l'educazione e l'istruzione, di tipo ideologico, hanno un ruolo centrale. Ci si basa quindi su uno sforzo individualistico e volontaristico, dove, in un retaggio di tipo maoista/anarchico/piccolo-borghese, trova spazio anche l'aspetto centrale dell'autocritica collettiva (e dell'organizzazione) ed individuale.
Autocritica che a volte assume tratti paranoici e assurdi (racconti riportano esperienze di guerriglieri del YPG che hanno dovuto fare autocritica per avere instaurato rapporti di amicizia preferenziali rispetto ad altri compagni in armi). Autocritica per altro ammessa soltanto dall'interno, dalla comunità fedele.
Quando la critica proviene dall'esterno è invece dichiarata arrogante e subito attaccata. Fuori dal campo individuale c'è invece Ocalan, che pervade il collettivo. Figura indiscussa di guida suprema. Nel vivere quotidiano della società vengono continuamente citati suoi passaggi e viene venerata la sua immagine, in un culto personale che ricorda quasi il registro nord coreano.
È chiaro che l'esperienza della costruzione della società del Rojava trova molti elementi e riferimenti in comune all'esperienza delle comunità neozapatiste messicane, di fondo c'è uno spiccato parallelismo [per un approfondimento del tema del neozapatismo e dell'EZLN rinviamo al testo Neozapatismo e rivoluzione dello stesso autore] che trova le sue radici nel movimento No global a cavallo del terzo millennio, nella sua ideologia postmoderna che, oltre a romanticizzare l'indigenismo, accantona e nega il marxismo.
SISTEMA POLITICO E DEMOCRAZIA
L'architettura politica del potere comincia a strutturarsi già nel primo anno della rivoluzione siriana, durante l'estate del 2011, quando su iniziativa del PYD e della sua coalizione TEV-DEM, attraverso centinaia di delegati locali, viene formato un sistema che prevede diversi livelli politici amministrativi piramidali. La struttura è poi cambiata più volte nel corso del tempo, parallelamente alle modifiche della sua costituzione, dando anche maggiore o minore grado di autonomia agli enti costitutivi del sistema confederale dell'Amministrazione, cioè ai cantoni. Come si è già visto si è passati infatti dall'Amministrazione Autonoma del Rojava del 2014, alla Federazione Democratica della Siria del Nord del 2016, alla Amministrazione Autonoma del Nord Est Siria del 2018, alla Amministrazione Autonoma Democratica della Siria del Nord e dell'Est (DAANES) del 2023. Durante questi anni i cantoni sono passati da tre a sette. La capitale di fatto dell'Amministrazione è stata prima Qamishli poi Ayn Issa. A livello internazionale diplomatico la DAANES continua a non essere riconosciuta da alcun altro stato nazionale.
Il livello base, il supposto cuore del sistema dell'autogoverno, è invece rappresentato dalla “comune” e dalla sua assemblea. Vi partecipano tutte le persone di una piccola area abitata, che può comprendere un intero villaggio oppure dei singoli quadranti di una città, cioè dai 30 ai 400 nuclei famigliari. L'assemblea viene riunita di solito ogni 2-4 settimane. Il suo consiglio si riunisce circa ogni settimana ed i suoi membri possono essere revocati in qualsiasi momento. Sono costituite anche delle commissioni (in genere su servizi, sanità, educazione, economia, autodifesa, riconciliazione e giustizia..). Il potere decisionale verte su affari correnti locali, un potere piuttosto limitato.
Oltre la comune, stando all'ultima costituzione del 2023, seguono altri livelli, in ordine: il quartiere, la cittadina, la città, il cantone. Ognuno di questi livelli è dotato di un proprio consiglio (con membri stipendiati), composto per il 60% da eletti mediante elezioni generali ed un 40% da eletti dalle istituzioni civili e sociali (legate al PYD), oltre ad un proprio consiglio esecutivo (eletto dal consiglio). In tutta l'architettura la “democrazia consensuale” è un elemento fondamentale. A livello apicale c'è poi il “Consiglio democratico dei popoli della Siria settentrionale ed orientale”, organo che coordina i sette cantoni (Jazira, Deir ez-Zor, Raqqa, Eufrate, Manbij, Afrin/Shehba, Tabqa) e anch'esso dotato di un consiglio esecutivo e di un ufficio del consiglio. In tutti questi anni però, pur prevedendole, non sono mai state indette elezioni generali (ufficialmente per ragioni di guerra) per eleggere gli organismi legislativi ed esecutivi centrali, composti invece da membri dei partiti alleati del PYD che hanno approvato la costituzione (TEV-DEM/LND).
Sempre, ad ogni livello, per ogni organismo, sono previsti due co-presidenti eletti: un uomo e una donna. È previsto anche un meccanismo di rappresentanza, sulla base di quote proporzionali, per le minoranze etniche e religiose. Il sistema politico delineato dalla costituzione infatti, oltre a prevedere la parità dei sessi, si professa multietnico e laico, ricerca l'inclusività delle minoranze, garantisce libertà culturale (viene permesso di studiare anche le varie lingue etniche). Anche se ci sono state e ci sono delle forti criticità. Ha fatto scalpore per esempio, nei primi anni dell'esperienza dell'amministrazione autonoma, la dichiarazione del leader del PYD, Salih Müslim, che ha dichiarato che «verrà il giorno che quegli arabi che sono stati portati nei territori curdi dovranno esserne espulsi» (Kurdish News Weekly Briefing, 3, del 29 novembre 2013), pur trattandosi di persone per la maggior parte nate in quei luoghi. Probabilmente un triste inciampo, un incidente di percorso. L'aspetto religioso inoltre non viene per nulla messo in discussione dall'ideologia del confederalismo democratico. Non c'è alcuno sforzo di smascherare quello che è l'oppio dei popoli. Se si dice che la DAANES è laica, dall'altra parte l'articolo 10 della sua costituzione prevede un giuramento “su Dio onnipotente”.
I cittadini sono coinvolti nella partecipazione politica, con ruoli decisionali e gestionali, nell'assemblea di base della comune e poi in altri organismi di potere, con un evidente livello di coinvolgimento superiore rispetto ad una qualsiasi altra “democrazia”, ma questo fatto non è però sinonimo di un potere che si struttura dal basso verso l'alto, come viene propagandato. Come scrive Alex de Jong invece «è un caso sconcertante di un movimento che apparentemente ha adottato una visione di 'democrazia dal basso all'alto' con istruzioni dall'alto».
Il PYD infatti, anche attraverso le altre sue diramazioni politiche e civili, ha avuto ed ha un ruolo centrale e fondamentale nella strutturazione del potere, nella costruzione dell'architettura amministrativa e nel mantenimento del controllo politico attuale. Certo vengono lasciati ampi spazi di agibilità popolare a livello periferico, dove vengono però trattate questioni amministrative secondarie o ininfluenti. Da considerare inoltre che il metodo del consenso è un metodo antidemocratico che esclude la dissidenza e la lotta politica. Vengono invece “blindate” dal partito cariche nei ruoli e nei settori chiave attraverso nomine o selezioni dirette. Infatti, nei livelli superiori di rappresentanza, diversi seggi sono assegnati esclusivamente alle organizzazioni politiche del sistema o ad organizzazioni civili ad esso collegate. Il PYD opera una costante supervisione, proprio dall'alto verso il basso, riuscendo così a mantenere nelle proprie mani il potere reale, senza tanti contrappesi dal basso, come del resto accadeva ed accade nei vari regimi burocratici stalinisti mascherati da “democrazia popolare”.
Pare proprio non ci sia spazio per vere opposizioni, che invece sono represse. Per esempio sono state colpite in vari modi le formazioni dello Yekiti e del KNC, arrestati singoli dirigenti politici o personalità, censurate o chiuse radio e televisioni. Le elezioni popolari inoltre, quando avvenute, sono avvenute sporadicamente.
Nella stessa costituzione non c'è alcun distinguo di classe, nessun riconoscimento delle classi, che chiaramente anche in Rojava, in qualche modo, esistono. Ci sono solo i cittadini, tutti uguali e con uguali diritti, ed il popolo, considerato nella sua interezza, cui il sistema si preoccupa della loro coesione e coesistenza pacifica. Non a caso “cittadini” e “popolo” sono categorie propriamente interclassiste. Nessuna sovversione gerarchica, nessun potere delle classi subalterne. Il cosiddetto autogoverno è un concetto falsato, oltre che caratterizzato da una metodologia interclassista.
STATO E FORZE ARMATE
Spesso viene propagandato dai protagonisti, o dai sostenitori, della DAANES che il proprio sistema è un sistema dove non esiste lo stato, un modello di non-stato. Vediamo perché questa è un'affermazione assurda. Tutto deriva dalla vulgata di Ocalan per cui lo stato, in quanto tale, è nazionale, centralista, antidemocratico, patriarcale. È cioè il male (e tra l'altro sovrapposto al concetto di potere). Se allora si dichiara che la propria creazione, la DAANES è un'istituzione fondata su un modello democratico, confederale, femminista, conseguentemente quell'istituzione sarà priva dello stato, per definizione (magari anche per ammaliare qualche anarchico o post-anarchico ingenuo).
Poco importa poi se affermazioni e citazioni di Ocalan ammettano anche l'esatto contrario, cioè la possibilità di stabilire il proprio modello politico e sociale dentro i confini dello stato nazionale. Infatti in Confederalismo democratico Ocalan scrive: «Che si tratti di stato nazione, repubblica o democrazia – il confederalismo democratico è aperto a compromessi per quanto riguarda le tradizioni statuali o governative. Consente una coesistenza alla pari. Nel 2014, in un altro libro, poi: «La nazione democratica è il miglior sistema per tutti i popoli della Siria». Altre citazioni già riportate precedentemente in questo testo confermano questa traccia. Per questo la leadership del PYD ha coesistito in alleanza con lo stato siriano di Assad e vuole ora integrarsi allo stato siriano di Ahmad al-Shara.
C'è quindi innanzitutto un mix di incomprensioni, tra quello che dovrebbe essere il rapporto della società del confederalismo democratico con lo stato (negato ma infine accettato) ed un vero significato della definizione di stato. Già, perché lo stato non è altro che l'insieme della macchina di dominio e di repressione violenta (apparati politico-burocratici e forze armate) in mano alla classe sociale dominante per dominare sulle classi subalterne, per mantenere la gerarchia e lo status quo, per difendere un certo tipo di proprietà. Lo stato non è cosa neutra ma ha sempre un carattere di classe.
Esiste quindi questo stato nel Rojava? Al di là del ruolo della democrazia di base operante nelle comuni, l'insieme configura un apparato politico decisionale centralizzato, tra l'altro con tratti autoritari, controllato dal PYD che gioca un ruolo bonapartista. Esiste un esercito, pressoché monopolizzato dalle forze che rispondono proprio al PYD: le YPG/YPJ. Viene stimato che le spese per la difesa coprono più della metà dell'intero bilancio. Esistono le forze di polizia. Esiste un sistema carcerario. Esiste un sistema di repressione (al di là di cosa colpisca).
Occorre ammetterlo quindi: la DAANES è uno stato, uno stato forte. Nulla di cui stupisci. L'estinzione dello stato infatti potrà realizzarsi solo attraverso l'estinzione delle classi sociali, con la scomparsa di interessi sociali differenti e contrapposti. Chiaramente dopo una fase di esistenza di uno stato proletario e socialista che preparerà la sua dissoluzione.
L'esercito della DAANES è costituito dalle Forze Democratiche Siriane, un'alleanza (formata nel 2015) il cui cuore e baricentro è rappresentato dalle YPG (Yekîneyên Parastina Gel - Unità di Protezione del Popolo)/YPJ (Yekîneyên Parastina Jin - Unità di Protezione delle Donne), bracci armati del PYD. La sua struttura è composta da un sistema misto tra un modello democratico ed uno gerarchico/centralizzato. A livello territoriale e di base gli incarichi e le qualifiche sono decisi mediante processo decisionale collettivo dei combattenti secondo i principi dell'autogestione, mentre per gli incarichi superiori e le figure chiave sono previste nomine dirette dalla struttura militare e politica (PYD). Anche se l'arruolamento è volontario la disciplina è militare e molto rigida (che ricalca quella dei militari del PKK). Le relazioni sentimentali e sessuali tra commilitoni sono vietate e punite.
È vietato poi per esempio anche l'uso del telefonino e mantenere contatti con la propria famiglia di origine, specialmente durante i periodi di guerra. L'età media è molto giovane, attorno ai 18-20 anni. Si calcola che durante la guerra all'ISIS la speranza di vita media al fronte era di due anni.
A fine 2016/inizio 2017, nel pieno della guerra all'ISIS, vennero fondate anche le cosiddette brigate internazionali delle YPG/YPJ: le YPG/YPJ International, con una propria accademia per accogliere e formare i combattenti, uomini e donne, che arrivavano da tutto il mondo in numero sempre maggiore. Se prima i volontari stranieri erano integrati individualmente e direttamente nelle unità regolari delle YPG/YPJ, dal momento della creazione delle brigate internazionali operavano in unità dedicate, composte interamente (o quasi) da stranieri (da non confondere con il Battaglione Internazionale per la Libertà - IFB - milizia autonoma fondata nel 2015 e composta da altre correnti e formazioni politiche internazionali, principalmente comuniste turche, a sostegno delle YPG/YPJ durante la guerra all'ISIS). Contestualmente fu costituita anche la “comune internazionalista”, progetto politico civile, parallelo a quello militare, per tutti i volontari stranieri.
Questo tipo di esercito presenta sicuramente elementi democratici (pur con la costante supervisione del PYD) ma di certo è altra cosa sia rispetto alla prestigiosa esperienza delle milizie anarchiche della guerra civile spagnola (democratiche e molto libertarie) a cui spesso si rimanda l'esempio, sia all'esperienza dell'armata rossa del periodo rivoluzionario e al modello di milizia operaia soviettista, basate sul carattere di composizione proletario, sul suo armamento generale, sulla sua democrazia di base.
Ci sono poi altre forze dell'ordine della DAANES. Ci sono le Forze di Autodifesa (Hêzên Xwe Parastinê – HXP): una specie di branca decentrata dell'esercito (sempre militare) con leva obbligatoria e con competenza territoriale di difesa e supporto. Ci sono le Forze di Sicurezza Interna, chiamate semplicemente Asayish, che sono forze centralizzate di polizia civile per la sicurezza interna (un polizia professionale con elementi di volontariato). Infine ci sono le Forze di Difesa Civile (Hêzên Parastina Civakî – HPC) che sono una forza di polizia volontaria (magari a turnazione e composta anche da anziani) legata alla comunità locale attraverso il consiglio della comune o del quartiere e alle sue commissioni di autodifesa, impiegata in contesti locali, indipendente dalle altre forze dell'ordine ma spesso operanti in collaborazione. Ci sono anche la sezioni femminili di ogni forza dell'ordine, come Asayisha Jin e HPC-Jin.
SISTEMA GIUDIZIARIO
Il sistema giudiziario della società del confederalismo democratico presenta elementi decentrati e popolari, che però non sono né sinonimi di garanzia né di giustizia di classe.
I “Comitati di riconciliazione” rappresentano le basi di questo sistema. Sono istituiti su vari livelli amministrativi, a partire dalla comune fino al cantone, e sono legati ad essi. La struttura politico-amministrativa, come scritto nella costituzione, elegge o nomina per consenso i suoi componenti tra persone volontarie “socialmente accettate”. A livello di comune assomigliano molto ad un tribunale popolare, dove vengono affrontate le controversie comuni e casi penali minori. Si ricerca un compromesso tra le parti, spesso coinvolgendo la comunità.
Per le donne ci sono comitati separati, come la “Casa delle Donne”, che trattano di questioni specifiche che le riguardano, ad esempio violenza domestica, famiglia, matrimonio, ecc. in coordinamento con altre istituzioni femminili.
Le pene sono viste in chiave educativa, il ricorso al carcere viene scoraggiato ed infatti il numero degli incarcerati è decisamente minore rispetto ai tempi del dominio di Assad. Si ricorre piuttosto ad altre misure che prevedono per esempio il confino, il foglio di via o programmi di istruzione e rieducativi. La pena di morte è stata abolita.
Esiste poi ancora la questione dei prigionieri dell'ISIS e delle loro famiglie. I primi rinchiusi in vere e proprie carceri, le seconde in dei grandi campi profughi. Sono emerse grandi criticità nella gestione di questi aspetti. La stessa DAANES ha più volte chiesto supporto internazionale per la gestione ed il rimpatrio dei combattenti stranieri, ma senza risposta (visto anche che la DAANES non ha alcun riconoscimento internazionale).
Alcune ONG per la difesa dei diritti umani, come Amensty Internatinal o Human Rights Watch, hanno gravemente denunciato, in varie occasioni, vari aspetti del sistema giudiziario e del sistema carcerario della DAANES. Nei centri riservati agli ex combattenti ISIS e ai loro famigliari (in tutto 11.500 uomini, 14.500 donne e 30.000 bambini, suddivisi in almeno 27 strutture di detenzione e due campi profughi) la maggior parte delle persone è detenuta arbitrariamente ed a tempo indeterminato. Sono registrati sistematicamente (da un rapporto di Amnesty dell'aprile 2024) metodi di tortura (percosse, maltrattamenti, frustate, scosse elettriche, violenze sessuali) che portano anche alla morte, violazioni dei diritti umani (tra cui donne separate illegalmente dai loro figli), sovraffollamenti, condizioni di detenzione critiche, problemi di sicurezza, mancanza di diritti ed assistenza legale per i detenuti, mancanza di un giusto processo.
Nel 2015 Amnesty International aveva anche denunciato l'Amministrazione Autonoma dello sfollamento di migliaia di civili e della distruzione di interi villaggi come rappresaglia per le simpatie o i legami dei residenti con membri dell'ISIS o di altri gruppi armati, andando contro al diritto umanitario internazionale e prefigurando crimini di guerra. Le stesse ONG hanno anche puntato il dito contro casi di arresti arbitrari di oppositori, privati di processi indipendenti e imparziali.
Insomma, l'intero sistema svela una giustizia che appare “popolare”, senza tanta formazione, sommaria, autoritaria e senza molte garanzie. Se questi caratteri potrebbero essere momentaneamente accettati in una fase acuta di lotta di classe, per reprimere gli elementi controrivoluzionari di una società, non può valere lo stesso discorso per l'ordinarietà e soprattutto per una situazione in cui la classe al potere non è quella proletaria.
CLASSI SOCIALI ED ECONOMIA
L'aspetto economico e sociale della società del confederalismo democratico è spesso trattato superficialmente nella propaganda e nei vari report generici che circolano, senza molti approfondimenti fattuali, ma è di estrema importanza per capire il carattere della DAANES. Recuperare informazioni e costruire il quadro generale non è semplice, anche se un recente lavoro di Azize Aslan, intitolato Economia anticapitalista en Rojava (del 2022) offre dati e descrizioni interessanti, anche se un poco influenzati dall'adesione ideologica al confederalismo democratico.
Storicamente i curdi hanno sofferto condizioni economiche sfavorevoli rispetto alla popolazione araba e turca, soprattutto a causa delle politiche etnico-oppressive dei vari regimi dell'area. Il Rojava è sempre stata una regione prevalentemente agricola, piuttosto fiorente nel quadro dell'intera Siria, caratterizzata dalla monocoltura di cereali (grano, orzo e cotone) e dall'allevamento di ovini. La diga di Tabqa sul fiume Eufrate, la più grande ed importante della Siria, fornisce la gran parte di energia alla regione. Inoltre il territorio del Rojava è costellato da importanti pozzi petroliferi (la grande maggioranza delle risorse petrolifere della Siria), molto appetibili alle forze in campo.
L'attuale amministrazione curda eredita la struttura economica e sociale costruita (e poi aggiornata) in Siria fin dal regime baathista di Hafiz al-Assad, dove, pur senza l'abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione (limitata e controllata), centrale fu l’economia statalista con la proprietà pubblica in diversi settori economici. Le terre agricole furono investite di una importante riforma agraria che eliminò in parte i latifondisti e concesse in prestito la terra (proprietà dello stato) ai contadini. Dall'anno 2000, con Bashar al-Assad, si cambiò registro e vennero introdotte invece importanti liberalizzazioni in molti settori.
Da questo contesto la borghesia della regione, che si sviluppa e si mantiene in connessione con l'apparato burocratico statale baathista, non si configurò con gli stessi forti caratteri della borghesia dei paesi capitalisti avanzati. Specialmente nel Rojava, dove la borghesia (grande e media) è molto debole e poco sviluppata, quasi inesistente. Specularmente, a causa dell'arretratezza economica, nel paese non sorse un'importante classe operaia con proprie organizzazioni, pur essendo presente in alcuni centri come Aleppo.
Nel Rojava la classe operaia è ancor oggi molto limitata, confinata per lo più nelle raffinerie e nel cementificio presente. A tutto questo si deve aggiungere che con l'inizio della guerra civile buona parte della borghesia ha lasciato il paese con le proprie poche grandi aziende. Le aziende private oggi nella regione non posseggono più di 15-20 salariati. In questa società prevalentemente rurale i grandi proprietari terrieri posseggono circa il 20% del territorio, al loro lato ci sono poi contadini di tutti i redditi. Poi ancora piccoli commercianti, impiegati dello stato (della DAANES o della Siria), artigiani, impiegati dei servizi, padroni e padronicini... Anche se le differenziazioni sociali sono poco accentuate questo non significa che nella DAANES non esistano le classi sociali con i rispettivi ruoli, con i propri diversi interessi, con una propria ideologia. La DAANES è una società di classe, con dominanti e dominati.
Dalla costituzione si legge che la DAANES persegue la costruzione di un sistema economico basato su «l'economia comunitaria, che stabilisce l'autosufficienza e lo sviluppo sostenibile ed equilibrato. (…) Un'economia ecologica, partecipativa e comunitaria. Si oppone a tutti i tipi di monopolio e lavora per sviluppare il principio e il concetto di condivisione: energia, terra e acqua». Inoltre «la proprietà privata è protetta» e «sono consentiti gli investimenti privati non monopolistici».
La capacità di finanziamento dell'Amministrazione del confederalismo democratico deriva soprattutto dall'esportazione di petrolio (e di altre risorse naturali), rappresentando il capitolo più importante del suo bilancio. Diverse fonti giornalistiche informano che fino non troppo tempo fa la gestione ed i proventi dei pozzi e delle raffinerie che si trovano nella zona di Rmelan (la zona più ricca di petrolio della DAANES) sono stati cogestiti con il regime siriano, e con tribù locali, attraverso accordi di spartizione non ufficiali.
Il regime di Assad otteneva il 65% dei proventi, l'amministrazione autonoma il 20%, mentre il restante andava a forze arabe che ne garantivano la sicurezza. Come contropartita il regime siriano pagava i salari a diversi dipendenti pubblici nel Rojava, dimostrando di non essersi mai trovato del tutto escluso dalla gestione di certi affari, mantenendo elementi di co-presenza nell'area.
Certo c’è una contraddizione evidente tra l’affermazione di perseguire la costruzione di un sistema fortemente ecologico (orgogliosamente propagandato e scritto nella costituzione a più riprese) e basarsi poi pienamente, nell’economia, sullo sfruttamento del petrolio e dei suoi pozzi.
Le altre fonti di finanziamento della DAANES sono rappresentate, in ordine di importanza, dall'esportazione di prodotti agricoli, dalle tasse doganali, dalla fornitura di servizi, dalle rimesse dall'Iraq e dalla Turchia e da donazioni locali (nel 2015 il bilancio veniva stimato in circa 5,8 milioni di dollari, distribuito per il 50% alle forze armate, il 18% al cantone di Jazira, l'8,5% al cantone di Kobane, l'8,5% al cantone di Afrin, il 15% per il comitato interno). Non manca neanche una parte di assistenzialismo che proviene da varie ONG e dai loro progetti destinati ai servizi nella regione (ad esempio per l’acquisto di ambulanze). Le tasse interne, pagate dai cittadini, sono assenti o esigue.
Nel commercio estero pesa di sicuro l'embargo imposto dai paesi vicini che limita fortemente l'export, il quale è superato da un import concentrato su beni di consumo, portando così la bilancia commerciale in negativo.
La DAANES dichiara di perseguire in campo economico una comunanza dei beni (nelle ristrettezze dell'economia regionale), che certo si configura come qualcosa di stampo progressivo, ma lontano dal senso socialista del termine. Viene promossa una certa redistribuzione economica. Il mercato ha un sistema di controllo/limitazione dei prezzi dei beni di prima necessità, gestito da comitati locali. Inoltre nel lavoro salariato viene perseguita una certa uniformità di reddito (in media meno di 100 dollari al mese), con leggere differenziazioni.
Nel campo agricolo, dove si cerca di uscire dalla monocoltura per arrivare ad un sistema che preveda l'autosufficienza alimentare, sono state redistribuite ai contadini ed alle cooperative agricole una parte delle terre che precedentemente erano di proprietà pubblica statale o che erano state abbandonate, per promuovere il piccolo capitale ed in prospettiva lo sviluppo di una borghesia terriera. Non è però intervenuta alcuna riforma agraria organica che intaccasse le altre grandi proprietà terriere private, alcune ancora esistenti. Un funzionario del settore, ancora nel 2018 fu chiaro: “Nostro obiettivo non è confiscare la terra di nessuno”.
La struttura economica della DAANES si fonda quindi sulle piccole imprese private. Ci sono poi le cooperative, punta di diamante della propaganda del confederalismo democratico in ambito economico, che in realtà sono altre piccole imprese private gestite in maniera differente. Queste cooperative rivestono in realtà un peso marginale all’interno dell’intero sistema economico perché devono fronteggiare limiti come quello della temporaneità (specialmente in campo agricolo), della scarsità di mezzi, di risorse e tutti i caratteri impliciti di un’economia arretrata. I cittadini impegnati nelle cooperative non sono poi così tanti. Sono poche le persone che possono vivere del solo lavoro nelle cooperative, per cui, in queste circostanze, c’è un ampio ricorso a secondi lavori per garantire alla famiglia un livello minimo di entrate. L’importanza ed il risalto che viene dato alle cooperative è più di carattere ideologico.
Esistono cooperative in molteplici settori dell'economia, che comprendono l'agricoltura, l'edilizia, il tessile, la piccola produzione, i servizi. I beni prodotti, nei diversi campi, possono essere messi sul mercato o venduti direttamente all'amministrazione, mediante l'instaurazione di partnership, in competizione con le altre imprese private. Esistono anche cooperative e programmi finanziari dedicati interamente alle donne (cooperative di donne sono diffuse soprattutto a Cizire mentre a Kobane, per esempio, esiste una cooperativa che unisce circa cento donne nella produzione e nella vendita di vestiti).
Le cooperative riescono a reggersi grazie ai programmi economici dei cantoni che le promuovono e le finanziano anche attraverso la fornitura gratuita o agevolata di attrezzature e risorse. Questo appoggio però ultimamente si sta riducendo perché l’amministrazione comprende che molti sforzi restano vani, non può/vuole mantenere più a galla con i sussidi le cooperative antieconomiche.
Le cooperative, seppur seguendo il principio della partecipazione su base volontaria, sono strettamente legate alle comuni presenti sul territorio. “Una cooperativa in ogni comune” è lo slogan che si cerca di perseguire. La gestione di entrambe si intreccia, ponendo così gli organismi di base sotto l'influenza di queste piccole e medie imprese.
Oltre la propaganda si vede come queste sono sorrette anche da piccoli azionisti, possidenti, che anticipano il capitale per poi riscuotere gli interessi. Come scrive l’autrice del libro sopra citato «esiste una grande quantità di soci che ottengono unicamente ingressi dalla cooperativa, senza essere interessati nella produzione o nella gestione di questa». In questi casi i lavoratori vengono contrattati successivamente. Dato questo fenomeno dilagante (“nella maggioranza delle nostre cooperative” secondo un funzionario locale) l’amministrazione dei cantoni è intervenuta per porre un freno, chiudendo alcune cooperative.
Paradossalmente, o forse neanche, l'amministrazione della DAANES, mentre spinge con tutte le sue forze per lo sviluppo delle cooperative, biasima allo stesso tempo i cittadini che non vogliono abbandonare la loro condizione di lavoratore salariato per trasformarsi in socio di queste mini imprese collettive. Come è giusto che sia, il lavoratore rivendica e difende un salario fisso e dignitoso, non pensa di avventurarsi nella vita del piccolo imprenditore che lavora nella cooperativa, rischiando di trovarsi tra le mani meno tutele. Questo comportamento viene proprio stigmatizzato dal PYD, che a volte lamenta proprio un “boicottaggio” da parte della popolazione.
Nell’intero campo economico inoltre si cerca di attirare anche grandi investitori stranieri. In passato Ahmet Yusuf, ministro dell'economia del Cantone di Afrin, ha proprio dichiarato che: «Gli investitori facoltosi sono i benvenuti a contribuire, investendo capitali negli sforzi di vari cittadini per vivere della terra (…) dal momento che l'impresa privata fa ancora parte dell'economia». Come già detto la proprietà privata è infatti esplicitamente protetta nella costituzione della DAANES, anche se i dirigenti del PYD cercano di spiegare che i privati non possono appropriarsi della “proprietà sociale” e che questi giocano un ruolo al servizio della società nel suo complesso, collaborando al bene comune (ma del resto, se ci basiamo sui principi scritti, anche l'articolo 42 della costituzione italiana afferma che “L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”).
La cosa assurda è che la stessa ideologia del confederalismo democratico diffonde la convinzione per cui si possano fare dei negoziati con i capitalisti e con i grandi proprietari attraverso un’opera di convincimento e di persuasione, basata su principi morali. Ed un domani, quando la società avrà una struttura morale-politica consolidata ed autosufficiente, chi possiederà proprietà e ricchezza rinuncerà ad essa in maniera naturale. La lotta di classe, al contrario, è un fenomeno da evitare. Le differenze sociali infatti sono da risolvere nella solidarietà e non nel conflitto. Nella società del confederalismo democratico non si trova traccia nemmeno dei sindacati dei lavoratori, non esistono e non sono previsti (esistono invece altre strutture simili a corporazioni di stato).
Insomma, nella DAANES non c'è stata alcuna trasformazione dei rapporti di produzione, delle relazioni di sfruttamento, nessuna pianificazione centrale, nessuna collettivizzazione in mano all'intera società. La base economica è rimasta inalterata rispetto all'epoca del dominio di Assad. Certo ci sono elementi “democratici”, comunitari, solidali dentro un quadro di un capitalismo rurale arretrato, ma non tale da giustificare l'esaltazione di questo sistema da parte della propaganda. Del resto il PYD e Ocalan, al di là di qualche frase ad effetto sul male del capitalismo, sono chiari nel respingere l'economia socialista, anche per l'assimilazione che viene (assurdamente) fatta con lo stalinismo.
È bene sottolineare che le cooperative non sono elementi anticapitalisti in sé. Se inserite in un'economia di mercato, con una produzione che segue logiche capitaliste di profitto, come sono quelle del Rojava, allora diventano semplicemente imprese private, pur gestite democraticamente, dove le responsabilità ed il peso del lavoro vengono scaricati su tutti i componenti, trasformati in imprenditori piccolo-borghesi e soggetti all'autosfruttamento. Ancor meno anticapitaiste sono le cooperative, come quelle della DAANES, in cui i soci possono essere anche dei soli azionisti.
Rosa Luxemburg, nel suo Riforma sociale o rivoluzione? chiariva: «Le cooperative di produzione non possono giocare il ruolo di una riforma sociale generale, per il fatto che la loro realizzazione generale presuppone anzitutto la soppressione del mercato mondiale e la dissoluzione dell'attuale economia mondiale in piccoli gruppi locali di produzione e di scambio; quindi essenzialmente un ritorno, dall'economia del grande capitalismo, a quella mercantile medioevale».
Altro discorso ed altro significato se le cooperative fossero statali, con dipendenti pubblici salariati, ma questa è una sfida troppo coraggiosa per l'amministrazione del confederalismo democratico, proiettato su un progetto politico ed economico di altro stampo, proprio quello di un’economia comunale, un’economia autonoma ed autosufficiente. L’idea è di creare una o più isole felici, di tipo rurale, magari sostenute dalla presenza dei pozzi petroliferi.
Se questo modello poteva rappresentare un'alternativa progressiva in un'epoca storica feudalistica e precapitalista, ora invece, in un sistema economico globale ed avanzato, nell’epoca imperialista come fase suprema del capitalismo, è destinato ad essere “fuori mercato”, volto quindi alla totale regressione. Esplicitamente si propone di ritornare all’artigianato, contro l’industria. Infine all’individualismo piccolo-borghese dentro una comunità, contro il collettivismo in una società.
Come è evidente, non c’è alcun interesse nella difesa delle condizioni della classe lavoratrice. Viene anzi proprio criticato a livello teorico il ruolo del lavoratore salariato. Dai lavori dell’Accademia delle Scienze Sociali Abdullah Ocalan (nel 2012) si legge: ”Dato che l'economia demcoratico-comunitaria si basa nel lavoro cosciente, produttivo, creativo e sociale, non c'è posto per il lavoro e l'operaio”. Una postura antioperaia, tipica del postmodernismo piccolo-borghese.
EMANCIPAZIONE FEMMINILE E JINEOLOJI
“La nostra è una rivoluzione di donne” sottolinea Ocalan. Nella DAANES la questione dell'emancipazione femminile riveste infatti un ruolo centrale, sia per quanto riguarda le sue basi teoriche sia per l'impegno pratico quotidiano. I successi in questo campo hanno rappresentato e rappresentano ancor'oggi un punto di riferimento ed un esempio anche per un vasto settore femminista e di avanguardia di tutto il modno, che non ha remore nel dichiarare che nel Rojava è stata compiuta una “rivoluzione femminista”.
Tutto parte però da un uomo: Ocalan. Come in tutti i partiti che si rifanno al marxismo, anche il PKK inizialmente cerca di organizzare le donne al suo interno, con propri spazi autonomi, e già dal 1987 il partito turco fondò l'Unione delle Donne Patriottiche del Kurdistan (Yekitiya Jinen Welaparezen Kurdistan – YJWK), poco dopo invece vengono formate unità militari di sole donne che infine portarono alla creazione di un vero e proprio esercito femminile.
Il vero salto avvenne però con la revisione ideologica generale, alla fine degli anni '90, quando la “contraddizione principale” del movimento, prima identificata nella questione nazionale, fu cambiata ponendo al centro la questione delle donne. Vengono rimossi il socialismo, il proletariato, la lotta di classe ed il Kurdistan unito. Prendono il loro posto la liberazione della donna, la lotta femminista e la società del confederalismo democratico.
Nasce quindi la jineoloji, termine coniato proprio da Ocalan, che significa “scienza/studio delle donne”. Un teoria nella quale si ritrovano le influenze del pensiero di Emma Goldman, Immanuel Wallerstein, V. Gordon Childe, Fernand Braudel, Friedrich Nietzsche, Michel Foucault, la Scuola di Francoforte e dei neozapatisti.
Sebbene la pratica femminista nel Rojava inizia fin dalla rivoluzione siriana è solo dal 2014, da quando cioè viene fatta conoscere la coraggiosa lotta delle guerrigliere curde contro l'ISIS, che guadagna una notorietà internazionale. Da lì sono state organizzate, proprio a partire dal 2014, diverse conferenze internazionali di jineoloji e creati dei comitati per il supporto e l'elaborazione teorica in diversi paesi occidentali. Nel 2016 viene fondato anche il Kongra Star (continuazione del Yekîtiya Star, nato nel 2005), una confederazione di organizzazioni femminili impegnate nella lotta su molteplici settori ed attività quotidiane.
La jineoloji prevede l'assioma dell'iniziale esistenza di una pacifica società matriarcale nell'antica Mesopotamia dell'epoca neolitica (cioè nell'attuale territorio curdo) dove, secondo Ocalan, “la donna era una divinità creatrice”. La degenerazione sarebbe avvenuta poi con il passaggio al patriarcato, allo stato e al capitalismo, identificati tutti come elementi maschili. Il patriarcato è “la base ed il grembo principale della società gerarchica e delle classi”, l'emancipazione di genere assicurerebbe quindi l'emancipazione della società. Come parallelamente presuppone la teoria dell'uomo nuovo, l'obiettivo è allora quello di ritornare alla società ideale delle origini ripristinando il posto centrale delle donne nella società, facendo riemergere le loro antiche qualità ed i loro antichi valori, puri ed innati, attraverso uno sforzo individualistico indirizzato nel cambio della mentalità nelle persone.
In questo sistema teorico ai differenti sessi sono assegnati differenti caratteristiche umane, derivanti proprio dalla loro diversità biologica. Così il maschio è per sua natura egoista, ha la propensione per lo sfruttamento, l'ingiustizia, la guerra, il dominio. Per questo l'uomo ha il compito di “uccidere la propria mascolinità”. La donna, al contrario, proprio per la sua dote di mettere al mondo nuova vita, è equiparata alla natura, è equilibrata, costruttiva, empatica, ha intelligenza emotiva, è propensa alla comunità, alla pace, alla libertà, alla democrazia. Le donne quindi devono riscoprire e reinventare il femminile.
Il legame istintivo che si vuole instaurare tra donna, maternità e natura ha implicazioni anche nel ruolo della famiglia, che se da un lato viene giustamente criticata per certi aspetti patriarcali, oppressivi e romantici, dall'altro viene considerata il punto di partenza per la nascita della nuova società curda, centrale nella creazione delle nuove soggettività. Alla donna così resta fortemente attribuito il ruolo di madre, creatrice, educatrice, trasmettitrice dell'antica tradizione curda. Formare la nuova persona educandola, rompere da qui il patriarcato. In questo modo le donne, soggetto di avanguardia, sono caricate di una grande responsabilità su tutti i fronti, anche in quello di battaglia, esponendole anche a potenziali colpe se le cose vanno come non dovrebbero andare.
La jineoloji critica e si pone in contrasto anche verso la scienza positivista, definita occidentalo-centrica ed androcentrica. Rifugge dai metodi quantitativi, preferisce invece concentrarsi sulle singole esperienze. Integra in un unico sistema storia, filosofia, religione, mitologia, mondo naturale (viene data molta importanza all'erboristeria).
La jineoloji (come tutto il pensiero di Ocalan) è decisamente essenzialista, idealista, misticista. Vengono compiute castronerie teoriche pericolose, che vanno proprio contro un percorso di emancipazione delle donne. Non comprende l'evoluzione materialista della storia, l'importanza fondamentale del fattore socioeconomico che determina la sovrastruttura. L'oppressione delle donna comincia infatti quando nella storia compare la suddivisione del lavoro e la conseguente formazione di una società divisa in classi. Qui si ha la nascita del patriarcato, con la formazione della famiglia monogamica: cellula base dell'accumulazione, della riproduzione e della trasmissione del capitale.
La contraddizione principale non è quindi tra uomo e donna, come afferma la Jineoloji, ma tra capitale e proletario/a. La doppia oppressione della donna sarà liberata innanzitutto attraverso l'abbattimento del sistema capitalista che perpetua la suddivisione della società in classi, la suddivisione del lavoro in base al genere, il mantenimento del patriarcato e della sua famiglia nucleare. L'abbattimento del patriarcato, che non è un sistema indipendente o un modo di produzione separato ma una sovrastruttura che viene ereditata e trasformata dai modi di produzione storicamente determinati, non avviene automaticamente con l'abbattimento del capitalismo, che comunque rappresenta una condizione sine qua non (non è possibile una trasformazione ideologica senza una trasformazione della struttura socio economica), ma necessita di un'ulteriore lotta parallela. L'alleanza della donna quindi dev'essere con l'uomo della propria classe e non con la donna borghese.
Mancando di un'impostazione marxista di classe, il confederalismo democratico non offre nessuna prospettiva veramente alternativa alla donna proletaria, nessun programma all'altezza per una vera emancipazione economica, per socializzare il lavoro domestico, per socializzare la cura e l'educazione della prole, per distruggere la famiglia.
Pur con queste premesse ideologiche malsane, nella società del confederalismo democratico sono stati fatti molti passi in avanti significativi per quanto riguarda la condizione della donna, soprattutto se si pensa al contesto storico e geografico dell'area che presenta una rigida separazione tra il mondo delle donne e quello degli uomini. Qui la donna generalmente non ha l'accesso all'istruzione, si sposa molto giovane (anche come seconda o terza moglie) attraverso matrimoni combinati, ha il compito di figliare molta prole, viene segregata in casa per svolgere le faccende domestiche, non le è permesso avere altro tipo di relazioni con uomini, subisce violenze domestiche, se lavora è sottopagata, non gode di diritti e non ha accesso a sicurezze sociali.
Il potere dei cantoni invece ha istituito la parità formale tra uomo e donna, quindi la parità di diritti e la parità di salario. È stato introdotto un sistema di quote di rappresentanza per le donne (quote rosa) in ogni organismo istituzionale (ed in ogni organismo politico legato al PYD), oltre alla clausola della doppia presidenza di genere, con un co-presidente uomo ed una co-presidente donna. È stato abolito il matrimonio con minori, il matrimonio combinato, la poligamia, il delitto d'onore, mentre è stato legalizzato l'aborto. In ogni villaggio sono state create le “case delle donne” per aiutare le donne vittime di violenze, istituendo al contempo una legislazione ad hoc per difenderle nei processi giudiziari. Sono stati creati, in numerosi ambiti, altri spazi autonomi, come, in campo economico, cooperative composte integralmente da donne.
Tutti questi sforzi hanno permesso alle donne importanti risultati sia nella partecipazione politica, anche attraverso l'auto organizzazione con conseguente presa di autocoscienza, sia alla partecipazione al mondo del lavoro, dotandole di una certa autonomia economica.
Nonostante questo, la vecchia società ed i vecchi costumi sono difficili da eradicare. Permane nella società del confederalismo democratico ancora un certo conservatorismo, che si differenzia anche dalla provenienza sociale delle differenti famiglie. Report di giornalisti che hanno soggiornato nel territorio del Rojava in questi anni descrivono una realtà in cui c'è ancora una marcata suddivisione dei lavori (non si vedono donne lavorare nei negozi, nei mercati, nelle stazioni di servizio, nei caffè o nei ristoranti, mentre il lavoro domestico è ancora principalmente di competenza delle donne) e dei ruoli nella società (non si vedono donne guidare le auto e difficilmente accettano di essere intervistate, a differenza degli uomini), oltre a raccontare un certo permanere dell'influenza religiosa (donne che difendono la legge della Sharia e la contrarietà all'aborto).
Il movimento fa emergere con orgoglio il ruolo assunto dalle donne nelle forze armate e nei loro combattimenti in prima linea contro l’ISIS. Le Unità di Protezione delle Donne (YPJ) è un esercito composto esclusivamente da donne volontarie, che rispecchiano la composizione etnica del territorio (principalmente curda ma non solo). Sotto il loro impulso, nella DAANES, si sono formate poi anche altre formazioni combattenti di sole donne di altre etnie, come le Unità delle Donne Êzîdxan (YJÊ) di etnia yazida. Le donne del Rojava sono state attive in armi sin dall’inizio della rivoluzione siriana (dal 2011), prima in forma mista dentro le YPG (e dentro alle precursore YXG) e poi in forma separata ed autonoma proprio nelle YPJ, fondate il 4 aprile 2013. Le YPJ, come le YPG, sono sotto il controllo ed il comando del PYD e dal 2015 sono parte delle Forze Democratiche Siriane (SDF).
Le combattenti curde hanno acquisito grande notorietà dal 2014 grazie al proprio ruolo fondamentale nei combattimenti durante l’assedio di Kobane e nella sconfitta dell’ISIS nella regione, svolgendo anche una funzione fondamentale per il cambio di mentalità in un’area dominata dal tradizionalismo di stampo islamico. Diverse donne decidono di arruolarsi nelle YPJ per scappare da situazioni di pesante sfruttamento o violenza domestica, trovandovi un luogo per una certa emancipazione. Qui ricevono una formazione militare e teorica, studiando Ocalan e la jineoloji. I media occidentali hanno spesso rimbalzato narrazioni che raccontavano e descrivevano le combattenti curde sotto una lente romantica ed esotica, cosa per nulla confacente alla volontà del movimento.
Si stima che le donne costituiscano circa il 40% delle milizie del Rojava, una percentuale certamente importante, tra le più alte al mondo. 24.000 membri nel 2017, circa 5.000 negli ultimi anni dopo la sconfitta dell’ISIS. Bisogna comunque evitare di leggere il livello di emancipazione delle donne secondo il loro grado di partecipazione numerica nelle milizie. Allo stesso modo esistono eserciti imperialisti con un alto tasso di donne (per esempio quello Israeliano).
Un tema importante del quale si nota l'assenza invece, sia nel campo della nuova legislazione come nella vasta produzione teorica della società del confederalismo democratico, è quello della sessualità. Si trovano invece in questa cornice “vecchie” analisi di Ocalan e pratiche in corso conservatrici e poco libertarie (che però la propaganda in occidente evita di approfondire).
Per i combattenti del YPG/YPJ (come del PKK) vige non solo un celibato forzato, l'astensione da ogni rapporto romantico, ma sono proibiti e severamente vietati anche gli stessi semplici rapporti sessuali (anche se vecchi leader del PKK che nel tempo hanno lasciato l'organizzazione confermano che questa regola non era valida per Ocalan, che invece vantava di possedere un harem). Pratica che stride con le passate esperienze libertarie, anche nei fronti di guerra, sperimentate dal proletariato rivoluzionario nelle fasi insurrezionali o di resistenza.
Secondo la linea del partito, l'attenzione verso la sessualità e verso l'attività sessuale è vista come una distrazione di orientamento e di energie dannosa a scapito dell'obiettivo della costruzione collettiva della nuova società. Una minaccia alla lotta generale. I corpi dei guerriglieri sono così rigorosamente controllati, ma gli stessi concetti si ripercuotono tra i civili.
La società del confederalismo democratico infatti non presta alcuna considerazione alla sfera della sessualità, dell'intimità, del desiderio, nessuna attenzione alla loro scoperta e alla loro esperienza, come del resto verso le varie relazioni amorose ed affettive. Anzi, sessualità e sessismo vengono confusi ed interscambiati, cosicché si arriva a pensare che l’attenzione alla sessualità nella società odierna è un effetto collaterale del capitalismo.
Secondo Ocalan la “rivoluzione sessuale” non ha portato la libertà per le donne e non potrà portarla fino a quando ci sarà il patriarcato che alimenta tutt'ora una diffusa violenza di genere e violenza sessuale. Questo pensiero ha portato a ritenere che sotto il patriarcato ogni relazione sessuale sia destinata ad essere oppressiva, il rimedio passa quindi per l'astinenza. La resistenza al desiderio sessuale è considerato un valore da perseguire.
Data questa lettura generale sulla sessualità, si può comprendere come le questioni LGBTQI siano escluse da ogni discussione nella DAANES. Non c'è qui ancora alcun riconoscimento di diritti legato alla comunità LGBTQI. Anzi, a volte queste questioni sono liquidate come non importanti nel contesto rivoluzionario (come per Amina Omar, la ministra per gli affari delle donne) o addirittura come “aberrazioni” (secondo altre personalità). Verso la comunità LGBTQI, pur trovando diversi approcci e sensibilità, nella società si riscontrano soprattutto resistenze e a volte discriminazioni.
Del resto, anche se negli ultimi anni Ocalan non ha affrontato questi temi, nel passato ha affermato che la comunità LGBT non è naturale. Dato l'attaccamento all'antica società mesopotamica “naturale” molti vedono le identità sessuali come un portato negativo della società capitalista.
CONCLUSIONI
La piccola borghesia, come insegna Marx, non è una classe vera e propria, è una classe intermedia, senza un proprio progetto storico. In definitiva può seguire solo uno dei due poli: o la classe lavoratrice (socialismo), o la borghesia (capitalismo). Il PYD, forza piccolo-borghese progressista che eccezionalmente si è trovata al potere (dopo il vuoto lasciato da Assad) non poteva che percorrere la strada verso la costruzione di uno stato capitalista borghese. L’indirizzo e le scelte del partito curdo sono determinate essenzialmente dal proprio programma, dalla propria natura, dall'epoca storica, dai rapporti tra le classi a livello internazionale, dall'assenza pressoché totale di un proletariato locale.
La DAANES si può dire in definitiva un regime bonapartista piccolo-borghese, che fa uso di una politica socialdemocratica e di conciliazione di classe. Uno stato capitalista (o protocapitalista) che risponde fondamentalmente alla piccola e media borghesia curda (principalmente agricola) con aspirazioni borghesi, attraverso il suo forte partito di riferimento: il PYD (la grande maggioranza dei quadri del PYD infatti sono avvocati, insegnanti, medici, ingegneri formatosi in Siria ed in Turchia).
Nessuna “società rivoluzionaria”, nessun “socialismo libertario”, nessun “comunismo”. Lontanissimo e totalmente errato ogni paragone con la Comune di Parigi o con una democrazia genuinamente sovietica (fondandosi queste sul potere effettivo dei proletari in quanto classe sociale, con delegati revocabili in qualsiasi momento, ad ogni livello, e con un tetto agli stipendi corrispondente a quello di un operaio specializzato).
È vero che nel passato ci sono state direzioni piccolo-borghesi del movimento rivoluzionario che hanno sfondato nell’instaurazione di uno stato operaio deformato, ma in tutt’altro contesto ed in condizioni eccezionali (es. Yugoslavia, Cina, Cuba). Come anche nel passato si sono conosciuti regimi intermedi tra la dittatura borghese e lo stato proletario, soprattutto nei paesi arretrati e dipendenti sotto l’influenza del portato della rivoluzione d’ottobre e dell’Unione Sovietica (vedi il processo di decolonizzazione a partire dalla seconda metà del secolo scorso). Regimi intermedi piccolo-borghesi radicali verso cui, pur difendendo le conquiste realizzate, si deve in ogni caso mantenere l'opposizione politica e la prospettiva strategica del rovesciamento rivoluzionario e l'instaurazione della dittatura del proletariato.
Niente di tutto questo quindi. Il regime della DAANES, pur essendo alieno al marxismo e ad una politica di classe, rappresenta comunque, per certi aspetti, un’esperienza avanzata. Sia se comparata ad altri regimi “democratici”, sia, ancor di più, se pensata nel contesto geopolitico mediorientale. Porta con sé molte finalità progressive e principi molto avanzati. Elementi da difendere contro gli attacchi reazionari, ma non da esaltare e idolatrare come spesso viene fatto. Anzi, si tratta infine pur sempre di un regime ed una costituzione da abbattere e superare in prospettiva di un sistema di potere socialista.
I sostenitori del confederalismo democratico portano avanti invece una difesa cieca e fedele verso la DAANES, appoggiandosi da un lato all'esperienza della battaglia contro il fascismo isalmico (ISIS) per montare la solita retorica antifascista democratica e dall'altro lato utilizzando nella propaganda una terminologia radicale e rivoluzionaria, tipica del postmodernismo antimarxista, che non corrisponde per nulla alla realtà. Del resto non è un caso che questa “rivoluzione”, come viene chiamata, non ha infastidito per nulla l'allora alleato statunitense.
Occorre invece sbendarsi ed uscire dalla romanticizzazione della narrazione che viene fatta sulla DAANES, sul confederalismo democratico, su Ocalan. Avanzare le critiche necessarie. Certo i testi di Ocalan sono confusi su molti aspetti, pieni di giochi di parole e si prestano così a molte interpretazioni, a quelle che fanno più comodo. Sarebbe molto più facile, ed utile, tornare invece a Marx, Engels, Lenin, Zetkin, Kollontay, Trotsky.
Difendere allora le conquiste democratiche e progressiste ottenute fin'ora, sostenere pienamente il popolo curdo nella sua continua lotta di autodeterminazione ed emancipazione, contro ogni ingerenza dei paesi coloniali mediorientali ed occidentali. Ma sconfessare la sua direzione politica piccolo-borghese, conciliatrice e capitolatrice per andare fino in fondo e per costruire una vera alternativa.
Un'alternativa che passa per una direzione marxista rivoluzionaria, quindi un partito marxista rivoluzionario, che si basi nell'alleanza strategica tra i contadini ed il proletariato dell'intera area (sotto la direzione della classe operaia, unico soggetto realmente rivoluzionario).
Un partito che sappia fare fronte unico con le forze più progressive e che, se anche possa non rivendicare uno stato curdo unito ed indipendente, abbia il fine di abbattere per via rivoluzionaria gli stati oppressivi nazionali e coloniali per permettere così la totale emancipazione della moltitudine dei popoli presenti nell'area. Per una rivoluzione che vada oltre i propri confini, una rivoluzione mediorientale ed una rivoluzione internazionale, unica strada percorribile per arrivare alla liberazione del popolo curdo.
Un partito che sia dotato di un programma di classe e di transizione, che a partire da semplici esigenze democratiche porti alla messa in discussione dei pilastri del modello economico, dello stato e dei rapporti di potere esistenti (incluse le inconsistenti isole felici).
Un partito che rivendichi: una lotta contro l'oppressione nazionale e le dittature, combattendo il nuovo regime di Ahmed al-Sharaa e lanciando la parola d’ordine di un'assemblea costituente, dove comitati auto organizzati di operai e contadini possano esercitare la propria influenza; organismi politici e di lotta partecipativi pienamente rappresentativi e democratici, senza intromissioni burocratiche; la piena libertà di stampa ed informazione; l'abolizione delle leggi repressive; l'estromissione del potere e dell'influenza della religione, per una società laica; la conquista di nuovi diritti civili, per la piena autodeterminazione delle donne e delle soggettività di genere oppresse, per una piena emancipazione sessuale; una lotta contro l'oppressione imperialista, rompendo ogni accordo con le potenze regionali ed occidentali, chiedendo il ritiro di tutte le truppe straniere (turche, USA, europee, russe) e riprendendo possesso delle loro basi militari; l'armamento dei curdi e l'autodifesa armata per le organizzazioni contadine ed operaie; una riforma agraria radicale che distribuisca le terre a chi le lavora, espropriando senza indennizzo i latifondisti e creando cooperative socializzate; la nazionalizzazione, senza indennizzo e sotto controllo operaio, dei settori chiave dell'economia, incluse le banche; la redistribuzione del lavoro attraverso la diminuzione dell'orario di lavoro a parità di salario (lavorare tutti lavorare meno); il riconoscimento di diritti e forme di autonomia al popolo curdo e le minoranze etniche, per la loro autodeterminazione.
Un partito necessariamente ancorato ad un'Internazionale, che si ponga il compito di instaurare un'economia socializzata e pianificata, di instaurare un governo operaio e contadino retto secondo la democrazia operaia, di realizzare quindi una Federazione socialista del Medio Oriente, l'unica che può garantire i diritti democratici ai curdi e alle masse oppresse della regione, che può garantire il diritto di autodeterminazione per tutti i suoi popoli. Il socialismo, la società nuova liberata dallo sfruttamento.
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