Prima pagina
Confederalismo democratico e rivoluzione (II)
Natura e caratteri della "rivoluzione" del Rojava
17 Luglio 2025
Seconda parte
SIRIA, RIVOLUZIONE E GUERRA CIVILE
Torniamo alla Siria. Nel Rojava, il 20 settembre 2003, viene fondato il Partito dell'Unione Democratica (Partiya Yekîtiya Demokrat – PYD), “filiale” siriana del PKK. Già l'anno successivo il PYD avrà un ruolo da protagonista nelle importanti rivolte curde che coinvolgeranno la Siria (rivolte di Qamishli) e presto diventerà il principale partito curdo nella regione. Dovrà fare i conti però, da qui in avanti, con un'altra forza curda di stampo decisamente diverso, quella che si lega al Partito Democratico del Kurdistan (PDK/KDP) iracheno di Masud Barzani. Infatti, a seguito delle guerre del golfo e specialmente dopo l'invasione e la guerra dell'Iraq da parte degli USA nel 2003, quindi a partire proprio dalla disgregazione dell'Iraq, è stata possibile, per mutui interessi, la realizzazione di un'indipendenza de facto per la regione del Kurdistan iracheno, alla cui testa c'è Barzani, asservito all'imperialismo statunitense ed occidentale, partner petrolifero fidato. Barzani ed il PDK rivendicano un Kurdistan unito ed indipendente sul modello iracheno, cioè politicamente conservatore e collaborazionista verso l'imperialismo. In Siria le forze filo Barzani si raccolgono nel Partito Democratico del Kurdistan di Siria (PDK-S).
Tornando all'altro lato, nel 2005 le forze “apoiste” creano invece la loro federazione di organizzazioni chiamata Unione delle Comunità del Kurdistan (KCK) che comprende quindi il PKK in Turchia, il PYD in Siria, il Partito della Soluzione Democratica del Kurdistan (PCDK) in Iraq, il Partito per una Vita Libera in Kurdistan (PJAK) in Iran.
Il 2011 è l'anno della primavera araba: mobilitazioni e rivoluzioni popolari progressiste, in alcuni contesti con il proletariato in prima fila, contro regimi dispotici ed allineati all'imperialismo che, non avendo trovato sul campo una direzione politica conseguentemente marxista rivoluzionaria, sono purtroppo state egemonizzate dopo un certo tempo (variabile nelle situazioni) da movimenti borghesi conservatori e reazionari, provocando la degenerazione del processo e la controrivoluzione.
In Siria la protesta scoppia nella primavera del 2011 e nella seconda metà dell'anno si arriva alla guerra civile. Le milizie dissidenti e ribelli, che in gran parte provengono dall'Esercito Arabo Siriano (EAS/SAA) di Assad, si raccolgono nell'Esercito Siriano Libero (ESL/FSA). Si contano molte esperienze progressive di auto organizzazione e consigli popolari in vari villaggi e città del paese. Intanto dietro le quinte i grandi imperialismi e le potenze regionali si affacciano per cercare di giocare la loro partita.
Anche il Kurdistan siriano, composto da circa 4 milioni di persone, con rilevanti minoranze etniche (arabi, turkmeni, armeni e ceceni) e religiose (oltre ai musulmani ci sono aramei, assiri, caldei, ezidi), è attraversato negli stessi mesi dalle mobilitazioni. Emblematicamente nella giornata di ricorrenza del 12 marzo si coniuga la commemorazione dei martiri curdi alla protesta contro Assad. In questa fase il PYD è già un partito piuttosto consolidato, con una certa base sociale. All'inizio dell'anno (16 gennaio 2011) aveva addirittura costruito, con un proprio ruolo egemone, il Movimento per la Società Democratica (TEV-DEM): una coalizione con altri piccoli partiti per la costruzione del proprio progetto confederale e multietnico. Nell'estate dello stesso anno, alla luce degli sviluppi generali, vengono formate le Unita di Protezione Popolare (YPG - Yekîneyên Parastina Gel) ala militare del PYD (prima di questo momento il partito aveva una struttura militare informale ed esigua). Anche il PDK-S, più esiguo, aveva formato nel 2011 la sua coalizione sotto il nome di Consiglio Nazionale Curdo in Siria (ENKS/KNCS), conosciuto anche come Consiglio Nazionale Curdo (KNC), che inizialmente comprende, tra gli altri, il Yekiti, Azadi e per un periodo anche il PDPKS.
In questo contesto, prima dell'incendio generale, Assad gioca con i curdi la carta della conciliazione e dei buoni rapporti, cercando di dividerli politicamente dalle masse arabe in rivolta, in modo da impedire la loro unità ed indebolire il proprio campo antagonista. Viene promessa a migliaia di curdi la concessione della cittadinanza fino ad allora negata e vengono promesse altre piccole riforme.
È così che la direzione curda capitola, rinunciando ad una vera lotta contro Assad. Questa scelta è condizionata, ma non giustificata, anche da una certa insensibilità verso il tema dell'autodeterminazione curda da parte del movimento dell'opposizione siriana e da parte poi del Consiglio Nazionale Siriano (CNS) formatosi solo nell'ottobre del 2011 come suo rappresentante politico. Nel febbraio del 2012 si completa l'abbandono e la presa di distanza di tutte le forze curde dal CNS, anche quelle che prima l'avevano integrato (non è stato il caso del PYD).
Il PYD, con cecità, ha accusato fin dai primi momenti il CNS e l'ESL di essere legati e dipendenti dalla Turchia, quando, in realtà, se poteva esserci una influenza turca questa ancora non era certo dominante e dirimente (e salvo non farsi problemi ad allearsi con le forze armate statunitensi qualche anno dopo). Soprattutto non ha capito l'importanza del sostegno al movimento di base della rivoluzione siriana, delle frange democratiche e progressiste, dell'analisi e dell'appoggio alle esperienze di democrazia popolare, così vicine anche alla stessa teoria del PYD, sorte nel campo dell'opposizione. Neanche a posteriori. Eludendo tutti questi elementi indispensabili per la stessa causa curda, il PYD si è attestato così su posizioni settarie ed opportuniste. Infatti dal boicottaggio si è passati allo scontro armato verso l'opposizione quando, nell'estate del 2012, è stata siglata un'intesa tra le due principale correnti curde, tra il PYD (e TEV-DEM) ed il KNC. Verso Assad, e verso le forze armate governative, si è mantenuto invece un atteggiamento conciliante evitando qualsiasi scontro armato. Assad infatti, sempre a metà del 2012, con lo scopo di concentrare le proprie forze contro la rivolta che stava dilagando nella parte meridionale del paese e senza mancare di una politica di imbonimento verso i curdi, decide di ritirare completamente le sue truppe dal Rojava, nei fatti lasciando in mano la regione alle forze curde lì presenti.
Dal 19 luglio 2012 si ha quindi la presa da parte delle YPG delle principali città del Rojava: Kobane, Amuda, Afrin. Seguono le altre città e gli altri villaggi. Avviene, per meglio dire, l'insediamento al potere delle forze curde, con una modesta mobilitazione e partecipazione popolare, senza scontri armati, in un vuoto lasciato dal regime. Diversi sostengono che ci sia stato un vero e proprio patto tra il PYD ed Assad per arrivare a questo. Tant'è che una certa presenza dello stato siriano permarrà nello stesso Rojava per diverso tempo in alcuni punti strategici, come installazioni militari, aeroporti, stazioni ferroviarie. Anche diversi dipendenti pubblici hanno continuato a mantenere i loro uffici e a ricevere il loro stipendio da Damasco.
Il Rojava si ritrova autonomo de facto, senza sollevazione, senza rivoluzione. Ma certo non sarebbe potuto accadere questo senza la rivoluzione siriana. In quegli stessi giorni il PYD ed il KNC, in uno stretto rapporto collaborativo, si accordano per formare il Comitato Supremo Curdo (KSC), organismo di governo congiunto, in attesa di future elezioni.
Si vede come il PYD, pur essendo egemone in pressoché tutte le aree del Rojava, ricerca l'alleanza di governo con una forza esplicitamente filo imperialista. Tra l'altro non stupisce che sempre nel 2012 il PYD diventa membro osservatore dell'Internazionale Socialista (quella del Partito Socialista francese, del PSOE spagnolo, del Partito Laburista inglese). Se il PYD fosse stato un partito conseguentemente progressista ed in difesa del popolo curdo, non avrebbe ricercato nessuna alleanza con forze estranee alle masse popolari, avrebbe inseguito e combattuto le forze governative e si sarebbe unito alla lotta armata dell’ESL, portando avanti una lotta di egemonia in questo fronte militare.
L'unione e la pace tra le fazioni curde filo-Ocalan e filo-Barzani si degrada però abbastanza in fretta per questioni di contesa politica del territorio, portando anche a confronti armati. Presto lo stesso Comitato Supremo Curdo finirà interamente sotto il controllo del PYD, anche grazie al ruolo ed il peso delle sue forze armate.
Fin da subito il potere viene amministrato dal PYD in maniera burocratica. Anche perché, come detto, non si è conosciuta una dinamica nella quale le masse siano state protagoniste della lotta e della presa del potere, in un processo di auto emancipazione (si conoscerà un processo di protagonismo ed azione diretta delle masse solo in un contesto successivo).
Il PYD, forte di una teoria e di una lunga esperienza pratica in embrioni di autogestione nei territori turchi controllati dal PKK, comincia ad impartire dall’alto gli indirizzi e le istruzioni per costruire una società che possa esser gestita dal basso, come recita la teoria del confederalismo democratico, ma pur sempre sotto il proprio controllo. Tutto questo incontrando non poche difficoltà che derivano anche dal fatto che la popolazione locale ha ancora poca familiarità con questo tipo di ideologia e metodologia (a differenza appunto di quella del kurdistan turco).
Dall’estate del 2012 il nuovo potere comincia a ridefinire la società con grandi riforme in molteplici campi. Per esempio vengono aperte scuole in lingua curda, viene ridefinito il sistema giudiziario, vengono istituite altre forze di polizia, si cerca di sviluppare un altro modello economico, si intraprende un percorso per un’emancipazione delle donne, si cerca di costruire un modello di partecipazione ed amministrazione politica collettiva dal basso, un autogoverno basato su “consigli” o “comuni” locali (entreremo nel dettaglio di queste riforme successivamente). Sono risultati di enorme importanza considerando il contesto regionale in cui fanno breccia.
Segue un processo di definizione e stabilizzazione dell'amministrazione e del potere del Rojava, concentrati nelle mani del PYD (e del TEV-DEM). Sul finire del 2013 il Comitato Supremo Curdo viene sciolto, mentre il 9 gennaio 2014 viene proclamata l'Amministrazione Autonoma del Rojava (o anche Amministrazione Autonoma Democratica) attraverso l'approvazione della nuova costituzione chiamata Carta del Contratto Sociale. Negli stessi giorni si organizzano anche elezioni locali e cantonali. Non c'è un vero potere centrale ma piuttosto un coordinamento tra le tre entità amministrative regionali che mancano di una continuità territoriale, i tre cantoni autonomi: Afrin, Kobane, Jazira/Cizire (da Ovest ad Est), che assieme si estendono per circa 18.300 km2 con una popolazione stimata in 4,6 milioni. Il KNC, rimasto ai margini, non riconosce l'Amministrazione Autonoma del Rojava, accusando il PYD di metodi antidemocratici ed autoritari.
Nel mentre il conflitto siriano è influenzato sempre più dall'ingerenza delle potenze regionali ed internazionali, in lotta per il controllo imperialista del territorio. L’imperialismo occidentale con in testa USA, Francia e Regno Unito supporta, in realtà fin dai primi momenti, il fronte dei ribelli siriani, con l’intento di pilotarli. Dal lato opposto l'Iran, la Russia e la Cina si schierano in difesa di Assad. I curdi, opportunisticamente ed ingenuamente, cercano di negoziare con tutti questi attori, tutte forze oppressive della classe operaia, per ottenere garanzie per il proprio progetto autonomo.
La Turchia, storica nemica della Siria, spinta dalle proprie ambizioni neo ottomane, non perde tempo per inserirsi nel campo di battaglia in maniera informale, lo fa appoggiando i ribelli siriani e cercando di esacerbare tra questi i contorni islamisti della rivolta. Nel frattempo la Turchia tiene colloqui e negoziati segreti con Ocalan che portano ad un cessate il fuoco tra lo stato turco ed il PKK che durerà dal marzo 2013 al luglio 2015 circa (nel 2013 il PKK manterrà un atteggiamento opportunista non partecipando alle grandi mobilitazioni popolari di Gezi Park in Turchia proprio per non interferire con il processo di pace). Arabia Saudita e Qatar seguono la Turchia in questa direzione, vista la comune matrice sunnita si oppongono al campo sciita capeggiato dall’Iran, alleato della Siria di Assad.
Con le operazioni dei vari longa manus, in questi anni, l’ELS progressivamente si snatura, trovandosi in balia dei settori conservatori e jihadisti (L’ELS conoscerà ancora, anni dopo, altre trasformazioni e ridefinizioni). In conseguenza di ciò anche le strutture popolari democratiche sorte con la rivoluzione sul territorio vengono esautorate e soppresse dalle nuove forze reazionarie che hanno il controllo delle aree ribelli.
Sulla scena della guerra civile, che prosegue la sua parabola di degenerazione, entrano prepotentemente ed in maniera indipendente anche settori islamisti fascisti come al-Nusra e ISIS, entrambi originariamente legati ad al-Qaeda ma divisi poi tra loro per differenti visioni strategiche sul ruolo e sulla gestione del califfato islamico, oltre che da conflitti di potere interno. L'ISIS dal 2013 riesce a controllare ampie aree dell'Iraq e poi della Siria dove instaura un regime totalitario e fondamentalista, combattendo tutte le altre forze in campo. Proprio nel periodo in cui il Rojava si apprestava a proclamare la sua autonomia, i curdi non solo continuano a combattere contro l'ESL, ma devono fronteggiare i primi attacchi provenienti dall'ISIS, che punta ad annettere i tre cantoni.
La continua espansione dell'ISIS, il quale il 29 giugno 2014 proclama la creazione del califfato islamico arrivando anche a controllare importanti zone petrolifere del Kurdistan iracheno, accelera l’impegno diretto dell’imperialismo che vede minacciati i propri interessi. Gli USA decidono di intervenite militarmente in Iraq dall'8 agosto ed in Siria dal 23 settembre, mediante attacchi aerei. In questa fase, dato che anche gli interessi della Russia sono colpiti, Putin sostiene l'intervento contro l'ISIS indirettamente, attraverso l'appoggio alla Siria e all'Iran, suoi partner.
Nello stesso periodo le forze curde dell'YPG, con la sua ala femminile delle Unità di Protezione delle Donne (YPJ - Yekîneyên Parastina Jin) creata nell'aprile del 2013, affrontano militarmente ancora l'ISIS nell'agosto 2014 sul monte Sinjar, salvando dal genocidio 10.000 yazidi, e dal settembre dello stesso anno a Kobane, nel famoso assedio.
Salih Müslim, leader del PYD, non si fa scrupoli ad invocare subito l'intervento militare della NATO in difesa del Rojava. L'alleanza militare si realizza nell'ottobre 2014 con la “coalizione internazionale” diretta dagli Stati Uniti, interessati, questi, a difendere i propri interessi diretti, a rafforzare la propria presenza attraverso rapporti politici fiduciari con partner regionali - visto che un impegno diretto di terra non potevano permetterselo dopo le debacle militari precedenti nella stessa area - e allo stesso tempo interessati a tamponare l'ingerenza di Iran e Russia nell'area.
Anziché denunciare l'ingerenza e l'intervento armato dell'imperialismo che ipocritamente sbandiera valori democratici ma realmente guarda strettamente ai propri interessi geopolitici, la leadership del PYD svende ancora una volta gli interessi del popolo curdo, questa volta alleandosi con l'imperialismo statunitense. Il punto non è condannare i curdi per l'utilizzo delle armi che arrivano dall'imperialismo o per approfittare dei suoi attacchi aerei, cose invece totalmente legittime se fatte per i propri fini progressivi (se i curdi prima combattevano con semplici kalashnikov presi nel mercato nero, durante l'assedio di Kobane vengono invece riforniti con 24 tonnellate di armi leggere e 10 tonnellate di forniture mediche, oltre a ricevere il supporto aereo per bombardamenti). Il fatto è che questa condotta è stata accompagnata non solo da una mancanza di denuncia reale verso gli scopi effettivi e complessivi dell'imperialismo operante, ma addirittura dall'affidamento attivo, da un sostegno ed infine da un'alleanza militare e politica con questo imperialismo. A titolo di esempio eclatante Salih Müslim, co-presidente del PYD, in un'intervista al Washington Kurdish Institute del 2 settembre 2015 dichiara: «Gli Stati Uniti stanno guidando la coalizione. Questo è un passo positivo. Cerchiamo di espandere le nostre relazioni con gli Stati Uniti politicamente e diplomaticamente, e speriamo di riuscirci. (…) L'America è una superpotenza che promuove la democrazia a livello globale e cerca di svilupparla e diffonderla in tutte le parti del mondo, e il popolo americano ha i propri standard e fondamenti per la democrazia. (...) Valori democratici che il popolo americano diffonde in tutto il mondo. Per queste ragioni dobbiamo consolidare le nostre relazioni con il popolo americano e il suo governo. Il popolo curdo, in quanto avanguardia della democrazia, è pronto a questo».
Il PYD effettivamente ora conosce un processo di “barzanizzazione” anche alla luce del tentativo, poi andato a male, degli accordi di Duhok proprio tra il PYD ed il KNC, con lo scopo di formare un'autorità politica congiunta in Siria, nell'ottobre 2014.
Certo l'azione militare della coalizione internazionale accelera la sconfitta dell'ISIS, ma non è questo un valido motivo per abbandonare l'indipendenza e la strada dell'autoemancipazione delle masse siriane ed irachene. L'ISIS andava sconfitto dal versante politico dei popoli oppressi e non dal versante politico dell'imperialismo.
La collaborazione e la fiducia riposta dai curdi verso gli USA, come vedremo anche meglio dopo, non porterà a nessun appoggio diplomatico di quest'ultimi alla causa curda, anche per il volere della Turchia, importante alleata della NATO. In questo scenario il governo turco gioca proprio sporco. Non solo ostacola i curdi chiudendo loro le vie ed impedendo l'arrivo di aiuti durante l'assedio, ma spalleggia direttamente l'ISIS attraverso supporto logistico proprio in funzione anti curda e per legittimare la creazione di una zona cuscinetto, sotto proprio controllo, all'interno della Siria. Non mancano neanche scontri diretti tra forze turche e forze curde.
Il 30 gennaio 2015, dopo una valorosa resistenza durata oltre 4 mesi, il portavoce dell'ISIS ammette la sconfitta a Kobane. Il bilancio conta 1170 caduti dalla parte dei curdi, di cui 866 combattenti (di cui una buona parte anche del PKK, oltre che delle YPG/YPJ) e 304 civili. È la prima sconfitta significativa dell'ISIS e, anche se nel luglio 2015 il califfato conoscerà la sua massima espansione, questa segna un punto di svolta nella conduzione della guerra. In tutto questo le milizie curde sono state determinanti, dimostrando sul campo un autentico eroismo. Va celebrato il loro valoroso sforzo che ha consentito un risultato progressivo per tutta l'umanità, uno sforzo che ha costato numerose perdite, non solo delle YPG ma ancor più delle donne combattenti delle YPJ, avendo avuto un ruolo fondamentale universalmente riconosciuto, raccontato da ogni media.
Anche Al-Nusra combatte militarmente l'ISIS (e le forze di Assad) e nel marzo 2015 costituisce una propria alleanza islamica integralista, Jaish al-Fatah (Esercito della Conquista), a volte in alleanza con l'ELS. Mentre a fine settembre 2015 cominciano i bombardamenti contro l'ISIS anche da parte di Francia e Russia. Quest'ultima però orienta i suoi obiettivi principalmente contro le postazioni dei ribelli, in funzione del sostegno all'alleato Assad, che proprio così si salva da una situazione sull'orlo del precipizio, con un esercito disgregato.
Dopo Kobane l'illusione e l'affidamento dei curdi verso l'imperialismo occidentale cresce sempre più. Nel febbraio del 2015, una delegazione del PYD e delle YPG incontrano addirittura ufficialmente il presidente francese François Hollande all'Eliseo. La stessa alleanza con gli Stati Uniti continua e si consolida, facendo diventare i curdi sempre più subalterni, perdendo quasi ogni margine di autonomia.
Ad ottobre del 2015, anche per esigenze statunitensi, vengono create le Forze Democratiche Siriane (FDS/SDF), milizie a guida YPG che integrano forze arabe ed assire del Rojava, provenienti sia da settori moderati del ELS - il quale segna un’ulteriore smembramento ed un legame sempre maggiore con la Turchia - sia da settori vicini al governo di Assad, o ancora da fazioni che nel corso della guerra hanno cambiato più volte il loro schieramento. Le FDS diventano così le forze ufficiali dell’Amministrazione Autonoma del Rojava ed hanno il supporto diretto (soprattutto per quanto riguarda logistica ed aviazione) della coalizione internazionale a guida USA, che ha la libertà di mantenere ed installare nel Rojava numerose proprie basi militari. Le forze USA contano ora una presenza sul campo di oltre 2.000 soldati e proprio a Manjib viene stabilito il proprio quartiere generale.
Nel dicembre 2015 si mette in piedi anche il corrispettivo politico delle FDS, il Consiglio Democratico Siriano (CDS/SDC), che funge da organismo legislativo: un’alleanza tra il TEV-DEM (guidato dal PYD), altri partiti arabi, assiri ed indipendenti. L'organo esecutivo è invece il Consiglio Esecutivo Federale.
Sono i tempi in cui in Europa si conoscono gli attentati più terribili dell’ISIS, quello del 13 novembre 2015 a Parigi (Bataclan, Stade de France, ristoranti) è tra i più gravi di sempre nel continente.
Il 17 marzo 2016, nelle terre controllate dalle FDS, viene proclamata la Federazione Democratica del Rojava – Siria del Nord, che, dandosi una struttura federale, prende il posto dell’Amministrazione Autonoma del Rojava. Dal 28 dicembre dello stesso anno, con l’emanazione di una nuova costituzione, la denominazione cambia in Federazione Democratica della Siria del Nord (DFNS).
I due blocchi delle forze curde, i sostenitori del confederalismo democratico (filo-ocalan) ed i sostenitori dell’opzione nazionale legata al Kurdistan iracheno (filo-barzani), sono ora sempre più divisi e non arrestano le dure ostilità reciproche. Le proposte di riappacificazione che a volte sono avanzate da personalità terze vengono usate dai due strumentalmente o fatte cadere nel vuoto.
Sul finire del 2017, nella DFNS, si tengono le elezioni. Il 22 settembre quelle locali, il primo dicembre quelle regionali (le tre regioni di Afrin, Eufrate, Jazira, sostituiscono dal luglio di quest'anno rispettivamente i tre cantoni di Afrin, Kobane, Jazira). La partecipazione coinvolge circa 730.000 persone, cioè il 70% degli aventi diritto al voto. La stragrande maggioranza dei candidati, e degli eletti, faceva riferimento alla coalizione del PYD (chiamata ora Lista della Nazione Democratica), mentre i restanti erano in liste differenti ma anch'esse parte dell'area di governo. La forza di opposizione, il KNC, boicotta entrambe le tornate elettorali. Le elezioni statali invece, in programma per il gennaio 2018, sono state rinviate e mai più tenute.
Dopo la leggendaria battaglia di Kobane i curdi del Rojava affrontano altre importanti conflitti, tra cui: l'offensiva di Al-Hasakah (febbraio-marzo 2015), l'offensiva di Al Hasakah (maggio 2015), l'offensiva di Tell Abyad (maggio-luglio 2015), la battaglia di Sarrin (giugno-luglio 2015), la battaglia di Al-Hasakah (giugno-agosto 2015), la campagna di Raqqa (2016-2017). Quest'ultima decisiva per il crollo dello Stato Islamico.
Ma in tutto questo tempo la Turchia ha sempre più osteggiato e combattuto i curdi: appoggiando l'ISIS, promuovendo boicottaggi in ambito militare e diplomatico, ponendo blocchi economici, bombardando e combattendo direttamente le FDS. La Turchia compara il PYD e le YPG/YPJ al PKK, classificato quest'ultimo come terrorista anche da USA ed Unione Europea. I leader del PYD vogliono invece presentare la propria organizzazione politica e militare slegata dal PKK, avvalorando il fatto che ricevono il supporto anche da parte di USA e UE. Questo non basta per evitare l'obiettivo espresso più volte da Erdogan di annientare il PYD. Come non basta alla magistratura italiana per non perseguire i partigiani italiani andati a combattere e dare supporto alle forze curde in Rojava nelle brigate internazionali.
Nell'estate del 2016 la Turchia lancia quindi l'Operazione Scudo dell'Eufrate nel territorio di Afrin, con l'obiettivo di incunearsi ed ostacolare il raggiungimento della continuità territoriale tra questa regione e tutto il resto del Rojava, la parte centro-Est. Nel frattempo, nel 2017, la Turchia imbastisce l'Esercito Nazionale Siriano (ENS/SNA) a partire dai resti del ESL e dalle bande jihadiste rimanenti, facendolo proprio e garantendogli ogni tipo di sostegno.
Sempre nel 2017, il 3 marzo, a fronte delle operazioni turche, la leadership curda ufficializza un accordo militare con il regime di Assad e con le forze militari russe. L'Esercito Arabo Siriano, sostenuto appunto dai russi, entra in alcuni territori controllati dai curdi. Il PYD e le YPG collaborano ora sempre più strettamente anche con il regime di Assad e con l'imperialismo russo, quest'ultimo impegnato in questa fase allo sviluppo dei Colloqui di Astana con Turchia ed Iran (i negoziati sui futuri equilibri della Siria fatti con le potenze regionali, escludendo gli imperialismi occidentali).
L'anno successivo, il 20 gennaio 2018, la Turchia lancia l'operazione Ramo d'Ulivo che, con il proprio esercito e con il suo fedele ENS, ha l'obiettivo di occupare direttamente la città di Afrin ed estromettere le forze delle YPG/FDS (una manovra intrapresa anche come valvola di sfogo di una pesante crisi economica interna che il paese sta conoscendo). Lo fa con il beneplacito della Russia, che vuole incoraggiare proprio la Turchia ad estromettere gli USA dall'area. Il 18 marzo 2018 Afrin è occupata e sotto dominazione turca. Nelle piazze di tutto il mondo si rifà viva la solidarietà internazionale verso Afrin, verso le YPG e verso la popolazione curda.
L'azione turca non impedisce però ai curdi e alle popolazioni del Rojava la continuazione e lo sviluppo del proprio progetto di confederalismo democratico. Il 6 settembre 2018 la Federazione Democratica della Siria del Nord viene rinominata in Amministrazione Autonoma del Nord Est Siria (AANES). La capitale diventa de facto Qamishli, nella regione di Jazira.
Qualche mese dopo muoiono due partigiani italiani che avevano integrato le brigate internazionali delle YPG. Il 9 gennaio 2019 cade Giovanni Francesco Asperti, nome di battaglia Hiwa Bosco. Il 18 marzo 2019, nella battaglia di Deir Ez-Zor, in uno degli ultimi scontri contro le forze dell'ISIS, muore Lorenzo Orsetti, nome di battaglia Tekoser.
L'ISIS è ora sconfitto. Il califfato è completamente caduto e caduti sono anche gli ultimi suoi bastioni isolati, rimangono solo delle cellule sparse nel territorio desertico. La guerra contro il fascismo islamico si può ormai considerare esaurita. Così gli Stati Uniti, dal 6 ottobre 2019, iniziano il ritiro dei propri contingenti dall'area, lasciando i russi padroni della situazione ed abbandonando completamente e cinicamente i curdi alla loro sorte, i quali a questo punto restano con il cerino in mano, figli di nessuno, senza protezione internazionale.
È il via libera per l'attacco e l'occupazione delle zone del Rojava da parte della Turchia. Questa, pochi giorni dopo infatti, lancia l'operazione Fonte di Pace con la scusa di creare una zona cuscinetto sicura lungo il confine, larga 30km. In realtà un'invasione ed un'occupazione senza titolo da parte delle forze turche nelle terre curde, con l'intenzione dichiarata anche di trasferire qui una parte dei 3,5 milioni di rifugiati siriani precedentemente fuggiti in Turchia, volendo trasformare inoltre così la composizione etnica del territorio a proprio vantaggio. Il tutto combattendo frontalmente le FDS. Dal 9 ottobre 2019 quindi l'esercito turco inizia bombardando le città di Tell Abyad (Gire Spi) e Ras al-Ain (Serekaniye) rispettivamente nella regione di Eufrate e di Jazira (nella parte di confine centralo-orientale del Rojava).
Passa qualche giorno ed i curdi annunciano un altro importante accordo con il regime siriano di Assad, sostenuto dalla Russia. Il comandante curdo Mazloum Abdi, responsabile in carica delle FDS, lo giustifica così: «Tra genocidio e compromesso, scegliamo la nostra gente». Un “compromesso” che ora implica lasciare piena agibilità alle forze di un regime reazionario e a quelle di un altro imperialismo. Il leader del PYD, Salih Musulman, confessa addirittura che «volevamo parlare e fare un accordo con la Russia ed il regime prima, ma non l'hanno accettato. Tuttavia, gli attacchi di oggi, gli sviluppi e la gloriosa resistenza hanno costretto tutte le parti a ripensarci». Del resto fin dal 2011 c'è stata una coesistenza pacifica (ed a volte delle collaborazioni) tra le forze curde e le forze del regime siriano. Anche all'interno dello stesso campo curdo filo-Ocalan si manifestano malumori e tensioni per questa scelta, ma le voci discordanti si esprimono semplicemente in un diverso piano riformista. I vertici del PKK avrebbero cioè preferito un percorso che andasse verso un accordo ed una riappacificazione con la Turchia.
Appena dopo aver siglato l'alleanza tra l'AANES e la Siria di Assad, l'esercito di quest'ultimo, anche con le truppe di sostegno russe, prendono quindi il controllo di città strategiche come Kobane e Manbij e delle aree limitrofi, per interporsi all'avanzata turca. In alcune città prima controllate dai curdi, negli edifici pubblici, viene ora fatta sventolare la bandiera siriana. L'accordo ha comunque consentito ai curdi di continuare ad esercitare il potere amministrativo e militare (quest'ultimo in co-gestione) nell'area.
Il 22 ottobre 2019 viene invece siglato a Sochi l'accordo tra Russia e Turchia (quest'ultima ormai sempre più distaccata dagli USA) per la spartizione della Siria. Concretamente si prevede il ritiro delle YPG oltre i 30km dal confine dalla Turchia, cioè da molte città curde, e la fine dell'offensiva turca oltre quella striscia. L'occupazione turca in territorio curdo è anche facilitata dal fatto che i curdi avevano deciso di ritirarsi da quei confini per lasciarli presidiati dalle sole forze statunitensi, ora smobilitate.
Insomma i curdi sono stati prima usati come carne da cannone dagli USA (e dagli imperialismi europei) per combattere l'ISIS e per assicurarsi uno spazio di influenza nella regione, poi subito “traditi” ed abbandonati appena questi interessi sono stati raggiunti o sono stati rimodulati. Successivamente i curdi si sono affidati ad Assad e alla Russia per esser nuovamente “traditi” negli accordi con la Turchia. Non c'era da aspettarsi altro, l'imperialismo guarda unicamente ai propri interessi e non ha posto per questioni democratiche o umanitarie. Nessuna liberazione e nessuna costruzione di una società alternativa possono passare attraverso una speranza, un'alleanza o un compromesso, anche diplomatico, con l'imperialismo e/o le forze reazionarie: che siano gli USA, la Russia, la Cina, l'Unione Europea, la Turchia, la Siria di Assad o le forze jihadiste dell'opposizione siriana. Tutte queste sono forze e campi controrivoluzionari da combattere e non da rafforzare, indirettamente, con il proprio appoggio o con la propria disponibilità a collaborare, come è stato fatto dal PYD che di fatto ha svenduto di continuo le ragioni storiche curde ed ha screditato la propria lotta agli occhi degli altri popoli oppressi del Medio Oriente. Il risultato dell'esperienza del Rojava è sottoposta quindi ora al confinamento, in una condizione di precarietà, dipendenza e minima sussistenza.
Nonostante gli accordi di Sochi la Turchia ha continuato a condurre una guerra a bassa intensità verso i curdi del Rojava, oltre ad attuare altri bombardamenti contro postazioni delle YPG/YPJ sia nel 2022 che nel 2024, operazioni che facevano parte anche della strategia turca per combattere il PKK. La Turchia ha anche rafforzato la presenza nella zona siriana del confine, mentre gli Stati Uniti si sono gradualmente ritirati e totalmente disimpegnati nel dare supporto ai curdi, continuando però a mantenere 900 unità nelle zone petrolifere e strategiche del Rojava.
Nel 2022 si assiste ad un ulteriore smacco subito dai curdi ad opera delle forze imperialiste. Nel quadro della guerra russo-ucraina e della richiesta di adesione alla NATO da parte di Finlandia e Svezia, la Turchia negozia l'ingresso di questi paesi chiedendo in cambio una loro abiura nel sostegno che in qualche modo veniva concesso ai curdi.
Il 13 dicembre 2023, il Consiglio Generale dell'Amministrazione Autonoma della Siria del Nord e dell'Est (AANES) ha adottato un nuovo contratto sociale che dovrebbe favorire l'autoamministrazione decentrata, cambiando il nome dell'entità in Amministrazione Autonoma Democratica della Siria del Nord e dell'Est (DAANES), ente politico che controlla il territorio della "Regione della Siria del Nord e dell'Est", suddiviso in sette cantoni.
IL NUOVO REGIME SIRIANO
Arriviamo alle ultime fasi, ai giorni nostri. Nel dicembre 2024 l’avanzata di Hay'at Tahrir al-Sham contro il regime di Assad trova la ferma opposizione dei curdi, che difendono in modo reazionario il regime siriano suo alleato. Non bisognava certo allearsi politicamente con HTS, anch'essa forza reazionaria, ma sicuramente si sarebbe dovuto contribuire alla caduta del pluridecennale regime sanguinario facendo leva sulle masse popolari e sulle sue aspettative di liberazione.
Ahmad al-Shara è diventato il nuovo presidente ad interim della Siria. Si basa sulle forze del suo esercito e sul sostegno della Turchia attraverso l'esercito dell'ENS. In questa fase aperta di transizione, che dovrà definire l'equilibrio interno ed esterno del nuovo regime, sta cercando anche il benestare degli imperialismi occidentali per assicurare copertura e buone relazioni economiche. Nel frattempo, un secondo dopo la caduta di Assad, i paesi europei bloccano le domande di asilo presentate dai cittadini siriani ed alcuni ipotizzano anche l'espulsione ed il rimpatrio dei profughi.
In Siria la guerra è quindi finita, resta aperto solo un fronte tra i curdi e l'esercito turco lungo il confine, precisamente vicino alla diga di Tishreen. Questi ultimi, non avendo mai interrotto gli attacchi, dopo gli ultimi avvenimenti hanno rincarato la dose. Erdogan minaccia di occupare l'intera area e schiacciare l'esperienza dell'amministrazione autonoma, intima i curdi di deporre le armi, di sciogliere le YPG e di integrarsi al nuovo regime. Cosa che il PYD assurdamente pare proprio intenzionato a fare.
Gioca nello scenario anche un nuovo fattore, perché parallelamente, in Turchia, si apre un canale di colloqui tra Erdogan ed Ocalan che il 27 febbraio 2025 culmina con uno storico annuncio del leader curdo, il quale invita a sciogliere l’organizzazione combattente in Turchia, dopo 46 anni di attività e 40.000 morti: «Convocate il vostro congresso e prendete una decisione: tutti i gruppi devono deporre le armi e il PKK deve sciogliersi». Il comunicato pare una resa incondizionata visto che arriva senza aver conosciuto alcuna conquista in questi ultimi colloqui come in questi 46 anni di attività. È bene ricordare che perfino la corte europea dei diritti dell'uomo ha più volte condannato la Turchia per crimini e violazioni (che comprendono negazioni di diritti basilari, arresti arbitrari, torture, esecuzioni, sfollamenti..) verso i curdi dal 1959 fino ai giorni nostri. Già dall’autunno 2024 le forze di governo turco avevano chiesto ad Ocalan di sciogliere l’organizzazione in cambio di concessioni sul suo isolamento carcerario.
Obbedendo al suo capo, già dal primo marzo il PKK dichiara il cessate il fuoco con la Turchia, poi il 12 maggio, dopo il suo 12° congresso, annuncia lo scioglimento dell’organizzazione: “Il PKK ha compiuto la sua missione storica”. Zagros Hiwa, portavoce del PKK, ha dichiarato inoltre che «finora non c’è stato nessun accordo scritto o verbale tra il PKK e lo Stato turco. (…) Quello che è avvenuto è una dichiarazione unilaterale di buona volontà da parte del PKK». Ankara ha fatto sapere che dopo lo scioglimento del PKK non ci sarà alcuna concessione in termini di autonomia ai curdi a livello costituzionale. Da capire quanto questa mossa di Ocalan sia parte, parallelamente, anche della negoziazione tra il partito fratello del PKK (il PYD) e l'amico di Erdogan (Ahmad al-Shara).
Tra marzo ed aprile 2025 si sono svolti una serie di incontri tra il PYD ed il KNC per discutere l’istituzione di una posizione curda unificata nella nuova Siria, segnando così anche un riavvicinamento all'interno del campo curdo.
Il PYD, abituato a trattare e ad allearsi con tutti e con i peggiori, ancora una volta abbandona ogni forma di autonomia e cerca il dialogo e l'integrazione nella nuova Siria diretta da forze islamiste reazionarie. Vuole strappare qualche diritto democratico, vuole partecipare alla stesura della nuova costituzione, vuole contrattare l'entrata delle FDS nelle nuove forze militari siriane, legittimando questo governo e legittimando questo stato capitalista, patriarcale e oppressivo. Il 10 marzo 2025 sigla un accordo con il nuovo governo di Damasco, il quale, in cambio dell'assimilazione della DAANES nelle strutture istituzionali e militari nazionali (“l’integrazione di tutte le istituzioni civili e militari nel nordest della Siria, compresi i valichi di frontiera, l’aeroporto e i giacimenti di petrolio e gas”), si impegna a portare avanti una politica inclusiva che comprende l’insegnamento e l’uso della lingua curda. Tre giorni dopo però il governo siriano fa conoscere al mondo la sua nuova costituzione provvisoria, lasciando l'amaro in bocca ai curdi. In questa è previsto infatti un forte accentramento di potere nelle mani del presidente, un sistema giudiziario basato sulla legge islamica e non è contemplata nessuna tutela per le minoranze etniche. Del resto, nello stesso mese, il nuovo regime aveva già cominciato a dipanare le illusioni su una possibile politica di inclusività e pacificazione, scatenando una forte repressione verso gli alawiti, fedeli di Assad, causando la morte di migliaia di civili.
Il PYD, pur con le proprie specificità, dimostra di essere una forza totalmente allineata ed integrata al sistema, che non segue nessuna politica di principio, ma solo l'opportunismo per mantenere un certo ruolo ed un certo controllo sul proprio territorio.
Non è un caso che proprio nel febbraio 2025, Ilham Ahmed, co-Presidente del Dipartimento delle Relazioni Estere della DAANES (la ministra degli esteri), ha addirittura dichiarato ai media israeliani che: «La crisi del Medio Oriente richiede che tutti capiscano che senza Israele e il popolo ebraico che giocano un ruolo, una soluzione democratica per la regione non ci sarà. (…) La sicurezza delle aree di confine in Siria richiede che tutti siano coinvolti nella soluzione, e Israele è una delle parti in causa. Il suo ruolo sarà molto importante, quindi avere una discussione con Israele in questo momento è molto importante». Del resto Israele vedrebbe bene un'alleanza con il PYD in funzione anti-turca ed anti-iraniana, come dichiarato recentemente dal Ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa'ar. Tra l'altro, secondo fonti dell'intelligence irachena, parrebbe che nel settembre 2019 proprio da una base militare del FDS nel Rojava siano partiti degli attacchi di droni diretti da Israele contro miliziani filo-iraniani in Iraq.
Elementi, tutti questi, che evidenziano infatti delle nette differenze di postura, su vari temi, tra il movimento di lotta curdo ed il movimento di lotta palestinese, che a volte portano a delle frizioni.
I vari sostenitori del PYD che si dichiarano di sinistra giustamente risaltano i punti progressivi di questa forza, ma senza onestà e senza nessuna critica nascondono tutti i suoi punti deboli, le sue gravi posizioni, alleanze, giravolte, adattamenti.
[Continua]
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