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Il pride di Budapest e il suo significato

6 Luglio 2025
pridebudapest


Diversi media italiani hanno parlato del gay pride tenutosi a Budapest il 28 giugno scorso e della sua importanza. In effetti, l’importanza di questo evento non è certo stata il fatto che quest’anno ricorresse il suo trentesimo anniversario, ma dal fatto che si sia svolto sfidando una legge appositamente fatta da Orbán per impedirlo.

Diamo un po’ di contesto: poco prima della data del gay pride, Orbán aveva approvato una legge che lo vietava esplicitamente, con la motivazione di proteggere i bambini (esattamente quella usata dall’alleato Putin in Russia da molto più tempo), ma che introduceva anche pene più severe per i partecipanti a manifestazioni non autorizzate, che potevano essere filmati anche in mancanza di comportamenti aggressivi (a differenza da quanto stabilito in precedenza).

Eppure, la legge anti-pride di Orbán non ha avuto l’effetto sperato, grazie alla sfida presentata dal sindaco di Budapest, il liberale Karácsonyi, recentemente rieletto con una piccolissima differenza di voti rispetto ai suoi avversari. Mentre qualunque manifestazione dichiarata da terzi necessita del permesso della polizia, come in Italia, Karácsonyi ha deciso di organizzare il pride come evento comunale, in quanto tale esente da questo requisito. Ciò è stato fatto nonostante le esplicite minacce del governo e della polizia, che hanno paventato multe salate e anni di galera non solo per gli organizzatori, ma anche per gli eventuali partecipanti (notare che si minacciava di utilizzare anche il famigerato riconoscimento facciale per identificare i manifestanti).

Il risultato è certamente stato un grande smacco simbolico per Orbán: mentre negli anni passati il pride registrava una media di 30.000 presenze, quest’anno ce ne sono state 200.000, con decine di migliaia provenienti dall’estero. È evidente che questa enorme partecipazione non è stata limitata alla comunità LGBTQ+: moltissime persone dall’Ungheria e dall’estero hanno partecipato per principio, per difendere la libertà di espressione e di manifestazione, per dire che sono stanchi del semi-regime di Orbán che dura ormai dal 2010. E per quanto riguarda le minacce della polizia, può darsi che non possano concretizzarsi per una serie di motivi: a parte la difficoltà a identificare e multare 200.000 persone, pare che i software di riconoscimento facciale a disposizione della polizia ungherese siano ancora pionieristici e non facili da usare. Insomma, gli sbirri devono ancora studiare un po’ per poterli usare come si deve, e saremo molto curiosi di seguire i loro progressi.

Nonostante questo enorme smacco simbolico, però, alcune considerazioni si impongono. In primis, è poco probabile che questo evento rappresenti l’inizio della fine di Orbán. Il perverso sistema elettorale ungherese, infatti, fa si che al caudillo magiaro basti una maggioranza relativa dei voti per ottenere i due terzi del parlamento (alle ultime elezioni ha ottenuto poco più del 50% dei voti), ed è assai improbabile che i suoi elettori fidelizzati e indottrinati lo lascino (e in ogni caso, 200.000 persone sono ben poca cosa rispetto ai 3 milioni circa che regolarmente votano Orbán). Anzi, essi sono certamente d’accordo con lui sulla pericolosità del “gender” in quanto corruttore dei minori ecc. (con una mezza battuta, verrebbe da dire che il leader del Paese europeo che produce più pornografia potrebbe avere altre preoccupazioni).

In secundis, la lotta per l’uguaglianza di genere è importante, ma può essere poca cosa o risultare addirittura ipocrita se essa non viene coerentemente accompagnata dalla lotta antirazzista e da quella di classe (questo lungi dai rossobruni, che mettono in contraddizione queste tre lotte, mentre è proprio la loro unione che è necessaria). Purtroppo, nella cosiddetta opposizione ungherese non risulta che nessuno voglia approvare leggi meno vessatorie verso i lavoratori (nuove recenti norme approvate nell’indifferenza generale mettono a rischio l’assistenza sanitaria ai lavoratori precari, per dirne una), in un Paese che ha già sindacati debolissimi o inesistenti, dove le lavoratrici sono costantemente lasciate indifese e intimidite, ecc.

Lo stesso dicasi sulla questione del razzismo: nessuno dei cosiddetti oppositori propone niente di concreto per discriminare di meno gli immigrati (al di là di qualche chiacchiera generica), anzi si chiarisce che il muro costruito al confine della Serbia verrà mantenuto in caso di loro vittoria. Più nello specifico il sindaco Karácsonyi, che si è esposto in prima persona per il gay pride, è d’accordo con il divieto governativo delle manifestazioni in favore della Palestina, considerate un sostegno al terrorismo. Insomma, per il sindaco liberale la libertà di espressione e manifestazione va difesa (giustamente) per la comunità LGBTQ+ ungherese, ma non per un popolo vittima di genocidio (con sostegno attivo del governo Orbán). Contraddizioni e ipocrisie che è bene sottolineare, al di là dei commenti trionfalistici della grande stampa straniera.

Elia Spina

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