Prima pagina
Confederalismo democratico e rivoluzione (I)
Natura e caratteri della "rivoluzione" del Rojava
26 Giugno 2025
Prima parte
“Siate fiori sulle montagne della libertà anziché rose nel giardino dell'obbedienza”
(motto che circola nel movimento curdo)
INTRODUZIONE
Agli inizi di dicembre 2024 il regime di Bashar al-Assad è caduto. Sgretolato come un castello di sabbia quando le forze del Hay'at Tahrir al-Sham (HTS - Organizzazione per la liberazione del Levante) hanno cominciato ad avanzare puntando Damasco. È stato il risultato di un lungo processo di crisi apertosi con la primavera araba del 2011 e che ha visto intrecciarsi rivoluzione, reazione e guerre. La situazione geopolitica internazionale ed i suoi mutamenti nel corso del tempo hanno giocato un ruolo chiave nella risoluzione dello scontro tra le differenti parti contendenti su differenti livelli.
La partita però non è ancora del tutto finita. Non solo perché devono venire alla luce ancora gli equilibri e le definizioni più stringenti del nuovo regime reazionario guidato da Ahmad al-Shara (al-Jolani), ma restano aperte allo stesso tempo varie e diverse prospettive di più ampio respiro che possono coinvolgere le masse.
Non verrà trattato qui nella sua completezza la parabola della Siria e le sfide che l'aspettano, l'obiettivo invece è di concentrarsi su quello che è stato per molti a sinistra, a livello internazionale, un esempio appassionante di costruzione di una società alternativa nel Kurdistan siriano, cioè nel Rojava, dato anche il legame storico che lega da molti decenni gli attivisti anticapitalisti di tutto il mondo alla causa dell'emancipazione curda.
Soprattutto a partire dal 2014 la lotta eroica dei curdi nella resistenza di Kobane e nella successiva offensiva contro l'ISIS ha provocato grande commozione, mostrando le donne combattenti in prima fila e l'avanzata della loro emancipazione, nel contesto della costruzione dell'autogoverno, del cosiddetto confederalismo democratico. Una speranza di luce in un Medio Oriente oscuro che oltre ad aver attirato attenzione, creato dibattito e prodotto molto materiale teorico, ha anche portato migliaia di partigiani internazionalisti da tutto il mondo, molti anche dall'Italia, ad arruolarsi nelle forze armate create dai curdi ed a combattere, ed a cadere, per quell'ideale di società. Fino all'invasione turca di quelle zone, fino agli accordi di “spartizione” tra le grandi potenze. Da lì in poi il tema del Rojava ha conosciuto una progressiva marginalizzazione, fino a scomparire quasi del tutto, anche a sinistra. Eclissato dai nuovi scenari internazionali (vedi Covid-19, guerra russo-ucraina...) e dallo stesso “impantanamento” di questo esperimento sociale.
Ora l'attenzione sulla zona e su quel progetto pare un poco riemergere, effetto delle nuove sfide che stanno affrontando i curdi nel nuovo quadro siriano, dove si affaccia anche Erdogan. Oltre all’effetto dalla svolta di Ocalan.
Visto che nel passato e tuttora si attribuiscono spesso all'esperienza del Rojava definizioni ed aggettivi maestosi e risonanti (ed impegnativi), come “rivoluzione”, “società rivoluzionaria”, “vero comunismo”, “socialismo libertario”, “anarchia”, “società senza stato né padroni”, ecc., e visto che ci si imbatte spesso in una romanticizzazione ed in un atteggiamento acritico verso questa esperienza (come del resto è avvenuto con il fenomeno del neozapatismo), si pensa sia l'occasione ora per capire quanto di vero ci sia di tutto questo, cercando di delineare un'analisi marxista e trarre un bilancio che possa rispondere a domande fondamentali: in Rojava, quale rivoluzione c'è stata? Quale liberazione femminile? Quale tipo di ideologia guida il movimento? Quale tipo di società si è costruita? Questa può rappresentare un modello valido? Come rilanciare la lotta curda?
KURDISTAN, OCALAN E PKK
Iniziamo dal contesto e dal passato. La spartizione dell'impero ottomano da parte delle potenze imperialiste vincitrici della prima guerra mondiale segue principi di interessi strategici economici geopolitici, con zone di influenza, e non certo principi di autodeterminazione dei popoli. Così, attraverso l'accordo Sykes-Picot (1916) ed il trattato di Losanna (1923), il popolo curdo si ritrova diviso su quattro stati, con quattro regioni: Turchia (Bakur, 190.000km2, 12 milioni di abitanti), Siria (Rojava, 15.000km2, 2 milioni di abitanti), Iraq (Bashur, 65.000km2, 7 milioni di abitanti), Iran (Rojhilat, 125.000km2, 8 milioni di abitanti).
In ognuno di questi quadri il popolo curdo è colonizzato e sottomesso, privato di diritti civili elementari. In Siria fin dal regime baathista di Hafiz al-Assad (padre di Bashar al-Assad) ai curdi non viene concessa la cittadinanza, vengono compiute nei loro confronti deportazioni, con conseguente sottrazione di terre e proprietà, per attuare operazioni di assimilazione e ricomposizione etnica anche attraverso insediamenti di coloni arabi (progetto della “cintura araba”). Anche successivamente verso i curdi si perpetuano politiche di spogliazione culturale, vietando proprie scuole, vietando l'uso della propria lingua, vietando l'organizzazione di propri partiti. Emarginata e repressa dallo stato la popolazione curda resta così negli anni la più povera della regione, pur avendo a disposizione nel territorio importanti risorse (petrolio e materie prime). Per lungo tempo la divisione e la repressione di questo popolo non hanno aiutato l'emersione di una propria forza di liberazione.
Anche le organizzazioni politiche della sinistra di quegli stati che integrano i curdi, comprese quelle che si richiamavano al comunismo, non si sono occupate più di tanto della loro emancipazione, perché piegate alla lettura stalinista secondo cui l'autodeterminazione dei popoli è subordinata alla rivoluzione sociale. Sarà invece Abdullah Ocalan colui che sorgerà come leader della lotta di liberazione del popolo curdo a partire dagli inizi degli anni '80, perseguendo con il PKK il fine della creazione di un Kurdistan libero ed indipendente.
Ocalan nacque nel Kurdistan turco nel 1948 da una famiglia di contadini poveri e nella sua gioventù ebbe modo di fare esperienze di militanza nell’estrema sinistra turca “nazionalista” ed insensibile verso la questione curda. Il 27 novembre 1978, a trent’anni, assieme ad una ventina di delegati (compagni, “hevalen in curdo), fonda il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) per combattere il colonialismo turco. Un partito che si richiama al “marxismo-leninismo”, termine usato per riferirsi alla tradizione stalinista. Molto presto Ocalan ed il PKK si avvicineranno più propriamente al maoismo.
A seguito dell'ulteriore torsione reazionaria autoritaria avvenuta con il colpo di stato del 1980 che colpì sia tutte le forze democratiche turche sia ancora i curdi (si imprigionava chi parlava, scriveva o cantava in curdo, e si conobbe la condanna a morte di 89 membri del PKK) la maggior parte del PKK decide di ritirarsi in Siria ed in Libano. Ocalan era riuscito ad espatriare lì poco prima. Nell'agosto del 1982, nel suo II congresso, il partito sceglie di tornare in Turchia e sceglie l’opzione della lotta armata, ma sarà due anni dopo, dal 15 agosto 1984, che farà partire l'aspro conflitto con metodi di terrorismo verso gli apparati dello stato turco e verso civili, conflitto configurato come “guerra di liberazione nazionale” per un “Kurdistan indipendente e unito”.
Nel frattempo in Libano ed in Siria, grazie ad Ocalan, il resto dell'organizzazione che lì è rimasta coltiva rapporti con altre organizzazioni guerrigliere del medio oriente. Soprattutto con il Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina (FDLP), di stampo maoista, che, nella valle del Beqa (parte del Libano controllato dalla Siria), presterà un valido addestramento al PKK, dopo che il presidente Hafiz al-Assad decise di appoggiare indirettamente il PKK in funzione anti-turca, sul finire degli anni ’80.
Il maoismo effettivamente (apparentemente) “calzava” bene al PKK. Calzava alla struttura del partito, composto per la quasi totalità da contadini, dagli strati più poveri ed emarginati, e calzava alle condizioni sociali del territorio dove operava, che incorporavano inoltre un atteggiamento diffuso di diffidenza verso i settori urbani, considerati più agiati e più assimilati al potere turco. Il PKK infatti aderiva strettamente all'ideologia maoista ufficiale quando considerava la classe contadina come principale soggetto rivoluzionario (anziché il proletariato - nella visione leninista); quando vedeva nella “guerra popolare prolungata”, cioè nella guerriglia diretta dai contadini, la propria principale strategia (anziché nell'insurrezione rivoluzionaria degli operai - nella visione leninista); quando nella “lotta di liberazione e nella lotta al socialismo” proponeva una rivoluzione a tappe, con una prima fase di rivoluzione democratica nazionale, prioritaria alla lotta di classe, in cui, in un “fronte popolare”, anche settori della borghesia vengono considerati propri alleati e possono portare ad una “democrazia popolare” (anziché prevedere una rivoluzione in continuità o permanente dalla liberazione nazionale fino al socialismo senza l'alleanza con forze estranee al proletariato, per una dittatura del proletariato in alleanza con i contadini - nella visione leninista).
Ma il PKK presentava anche delle proprie peculiarità sul piano ideologico. Una su tutte la concezione dell' “uomo nuovo” teorizzata proprio da Ocalan. Il leader del PKK infatti assegnava una particolare personalità, delle particolari doti e virtù, specificatamente e naturalmente all'uomo curdo delle antiche comunità neolitiche. Caratteri successivamente sopiti per colpa del “feudalesimo” e dell'espansione del potere statale turco. Questo esempio di uomo puro ed incorrotto concentrava nel presente l'ambizione di trasformazione personale di ogni militante del movimento attraverso lo sforzo individuale e morale, attraverso la critica e l'autocritica.
Anche su aspetti secondari. Il periodico del partito “Serxwebûn” scrive: "L'uomo nuovo non beve, non cade nel vizio del gioco, non pensa mai al proprio piacere o comfort personale e non c'è nulla di femminile nel suo modo di essere". La costruzione dell' “uomo nuovo” (nel proprio essere e nella società) diventa quindi la nuova via al socialismo. Un approccio soggettivista e volontarista in cui le condizioni sociali per la trasformazione dell'uomo e della società sono poste in secondo piano, una concezione certamente lontana dal materialismo marxista che marca pesantemente a cascata la linea e l'attività del PKK in tutta la sua storia (rivedremo poi questo approccio applicato in altri campi).
Il PKK avanzava inoltre il concetto di “vendetta rivoluzionaria”. L'attività armata che portava avanti, che per alcuni periodi veniva sostenuta attraverso l’imposizione della coscrizione sugli abitanti curdi, ebbe implicazioni ancora più cruente negli anni '90, lasciando sul campo decine di migliaia di morti su entrambi i fronti, oltre a migliaia di vittime civili.
I primi cambi ideologici sorgono parallelamente alla fase della caduta del blocco sovietico ed al cambio degli equilibri di potere a livello internazionale. Da allora la rivendicazione del “Kurdistan indipendente e unito” viene sempre più accantonata per lasciare posto a quella del “Kurdistan autonomo”, e successivamente a quella del “Kurdistan libero”. Stesso accantonamento progressivo vive la terminologia classica del marxismo che lascia spazio ad una più “umanista” ed interclassista.
Se nel IV Congresso del PKK del 1990 non si presentano grandi svolte, una nuova riflessione viene aperta con il V Congresso del 1993. Allontanandosi dalla rivendicazione della creazione di uno stato curdo si considera l'accettazione del potere turco per un nuovo processo di pace e coesistenza, di conseguenza viene decisa la proclamazione unilaterale da parte del PKK di una tregua il 17 marzo dello stesso anno. La tregua fu però infruttuosa e durò poco più di tre mesi. Lo stesso congresso investe poi Ocalan di un nuovo accresciuto potere, conferendogli lo status di Önderlik (trad. leadership carismatica), guida, quindi, non solo politica ma perfino spirituale. Da un lato si tratta di una formalizzazione di una situazione esistente, dall'altro si attua ancor più una concentrazione di potere all'interno dell'organizzazione, oltre a sostenere una venerazione che proviene delle masse curde.
Ocalan fin dall'inizio, infatti, era riuscito ad emergere come capo assoluto eliminando ogni opposizione interna, facendo uso di metodi stalinisti che prevedevano minacce, accuse infondate, processi farsa, purghe, torture ed esecuzioni. Non vennero risparmiati nemmeno personalità di spicco del movimento. Si creò così un regime interno autoritario dove la messa in discussione o la semplice critica al leader non è ammessa, anzi punita. Se si conoscono degli sbagli o avvengono importanti rovesci militari, come alcuni occorsi a metà degli anni '90, la responsabilità non è del vertice e delle sue direttive, ma si punta il dito verso i comandanti in campo e la loro azione pratica. L'autocritica della base, tipica del maoismo, diventa il mezzo per la redenzione e per superare le difficoltà. Il leader, Ocalan, non viene chiamato in causa, rimane l'unico capo indiscusso ed infallibile (e pressoché unico teorico del movimento). Si arriva ad un vero culto della personalità nei suoi confronti.
Il V Congresso del PKK del 1995 registra sulla carta certi cambiamenti teorici. Come contraccolpo alla caduta del “comunismo ufficiale”, il quale ora viene definito come “la fase inferiore e più brutale del socialismo”, viene consacrata e posta al centro la teoria dell' “uomo nuovo”: alternativa al modello sovietico che parla non più agli operai ed ai contadini ma a tutte le classi. La creazione di questa nuova personalità diventa socialismo in sé, che il PKK sta già costruendo.
Nel dicembre del 1995 viene proclamato un secondo cessate il fuoco unilaterale da parte del PKK, che dura fino alla ripresa del conflitto da parte dello stato turco, 8 mesi dopo. Il PKK, nonostante questo, dichiarava di essere sempre aperto a negoziati di pace.
Nel frattempo cambiano gli equilibri anche tra Turchia e Siria. Nel 1998 quest'ultima, sotto le minacce di guerra della prima, decide di togliere la copertura alle forze del PKK che lì operavano ed espellerle dal proprio paese, assieme al suo leader (che risiedeva ormai in quelle terre dal 1980). Dall'ottobre di quell'anno Ocalan comincia quindi l'esilio cercando asilo politico in Russia, Italia, Grecia e Kenya. Viene infine catturato a Nairobi da agenti turchi il 15 febbraio 1999 e portato nel carcere di massima sicurezza dell'isola turca di Imrali, dove tuttora sconta la pena dell'ergastolo. Il PKK invece riesce in qualche modo a mantenere clandestinamente una presenza in Siria.
Già durante la sua fuga Ocalan, prima della sua cattura, avanzò significativi compromessi sconfessando gli assi storici del PKK, dicendosi disposto ad abbandonare le armi ed a legittimare una repubblica “democratica” turca se questa avesse riconosciuto dentro i suoi confini una qualche forma di autonomia ai territori curdi, con annessi diritti fondamentali per il suo popolo.
Se Ocalan (e di conseguenza il PKK) stava percorrendo da qualche anno una traiettoria che andava sempre più a destra e verso l’abbandono del marxismo, è proprio con il suo arresto che si produce in questo una grande accelerazione, marcando una netta revisione e recisione con la propria storia passata. Attraverso sue dichiarazioni dal carcere ed emblematicamente attraverso il suo memoriale di difesa per il tribunale europeo (“Dichiarazione sulla soluzione democratica delle questione curda”) del 1999 avviene proprio un salto di qualità (che alcuni lo collegano al tentativo di redimersi ed evitare la pena di morte).
La scelta della lotta armata del passato viene in qualche modo rinnegata, viene espresso rammarico per i soldati turchi caduti, le armi e la violenza ora vengono concepite solo a scopo di “autodifesa”, come garanzia negli sforzi democratici. Lo stato turco viene riconosciuto come legittimo, ma occorre puntare ad un modello di stato “democratico” come quelli europei, viene fatto proprio l'esempio della Svizzera confederale (!). Viene abbandonata la visione del Kurdistan come colonia mentre la rivendicazione del Kurdistan unito ed indipendente è definitivamente sepolta e superata. Si chiedono al suo posto forme di autonomia e diritti democratici per il popolo curdo dentro il quadro dello stato turco (che si sintetizzano nel riconoscimento della lingua curda e nella rappresentanza curda nel parlamento turco). Ci si appella direttamente alla borghesia, per una soluzione di compromesso. Il proletariato e la classe contadina sono liquidati, assieme alla lotta di classe. Al loro posto subentra progressivamente la figura centrale della donna, nuovo soggetto “rivoluzionario” di trasformazione, per una “modernità democratica”.
Come segno di buona volontà Ocalan, che da ora viene popolarmente soprannominato anche Apo, nel settembre 1999 ordina alle sue forze militari di ritirarsi dalle terre del Kurdistan turco, stabilendosi nelle montagne del Kurdistan iracheno. Questa scelta provocherà perdite importanti per il movimento visto che lo stato turco non cessa lo scontro. Pochi mesi dopo, nel febbraio del 2000, venne dichiarata la fine formale della guerra, il PKK avrebbe percorso metodi pacifici per raggiungere i suoi obiettivi. Fu il terzo cessate il fuoco unilaterale.
Questi cambiamenti, che aprono le porte al progetto più generale del confederalismo democratico, furono sanciti con il VI e VII Congresso dell'organizzazione (1999 e 2000), l'ultimo di questi decreterà anche l'abbandono della falce e martello come simbolo del partito. Anche se non verrà mai riconosciuto dai suoi componenti il PKK si configura quindi da ora come un'organizzazione riformista armata che, accettando la democrazia borghese ed il capitalismo, persegue un progetto socialdemocratico, sotto l'influenza di un leader disposto ad ogni compromesso, a rivendicazioni minime, pur di raggiungere la fine delle ostilità (e la propria liberazione).
La svolta diretta dall'alto è stata così profonda e repentina che provocò sensibili malesseri all'interno dell'organizzazione. Scaturirono critiche, consistenti diserzioni e scissioni. Quest'ultime però non trovarono nessuna fortuna. L'influenza ed il potere del leader maximo del PKK era tale da consentirgli di continuare a dettare la linea generale del partito anche se rinchiuso in carcere.
Il periodo successivo è caratterizzato da tensioni ed assestamenti dentro e fuori l'organizzazione. Dopo una lotta interna di potere, che rifletteva differenti visioni sull'utilizzo delle armi e della violenza, l'ala riformista e conciliatrice fu espulsa dal partito dopo esser stata sconfitta, mentre la nuova direzione “conservatrice” sancisce nel 2003 la fine della tregua armata e l'ufficializzazione del confederalismo democratico come propria ideologia. Passando per altre scissioni e per alcuni cambi di nome dell'organizzazione (Congresso per la Libertà e la Democrazia del Kurdistan – KADEK; Congresso del Popolo del Kurdistan – KONGRA-GEL) si ritorna nel 2005 al nome originale di PKK.
LA TEORIA DEL CONFEDERALISMO DEMOCRATICO
Il processo delle trasformazioni e revisioni teoriche del movimento hanno il punto di arrivo proprio nel confederalismo democratico teorizzato da Ocalan, il nuovo modello di società ideale. Secondo questa visione lo stato è in quanto tale nazionale, centralista, antidemocratico e patriarcale. Si sovrappone al concetto di potere (in quanto tale) ed è l'origine di tutti i mali, di ogni oppressione. A questo punto, con mille contraddizioni, l'obiettivo diventa eliminare lo stato/il potere mediante una lotta per costruire una società alternativa ecologista, femminista, decentrata, confederale e democratica, dove le decisioni possano esser prese attraverso l'autogoverno, con il consenso di tutti. L'alternativa allo stato è infine identificata nella democrazia (ancora concepita in quanto tale).
Nella democrazia non ci sarebbero ingiustizie, repressione, sfruttamento. Non si tratta quindi di prendere il potere e cambiarlo, ma si tratta alla fine di negare e rifiutare piuttosto un certo tipo di stato, quello considerato oppressivo. Lo stato infatti, alla fine dei conti, viene difeso. Nel 2008, in “Guerra e Pace” Ocalan scrive: “Alla società turca offro una soluzione semplice. Chiediamo una nazione democratica. Non siamo contrari né allo stato unitario, né alla repubblica. Accettiamo la repubblica, la sua struttura unitaria ed il laicismo, ma crediamo che debba essere ridefinita come uno stato democratico che rispetti i popoli, le culture ed i diritti”.
Un altro comunicato dei vertici dell'organizzazione nel 2010 afferma: “Il modello di autogoverno democratico è la soluzione più ragionevole, perché corrisponde alla storia e alle circostanze politiche in cui si trova la Turchia. (…) Il modello non prevede l'abolizione dello Stato, né un cambiamento dei confini”.
Per Ocalan ci sono infatti altri modelli di organizzazione democratica esistenti che sono auspicabili, come il caso dell'Europa (!). Negli “Scritti dal carcere” del 2011 scrive: “L’Europa, il luogo di nascita [della democrazia], conoscendo le guerre del XX secolo, si è generalmente lasciata alle spalle il nazionalismo e ha istituito un sistema politico in linea con gli standard democratici. Questo sistema democratico ha già mostrato i suoi vantaggi rispetto ad altri sistemi – compreso il socialismo reale – ed è ora l’unico sistema accettabile al mondo”. Insomma, si afferma di essere contro lo stato ed il potere ma alla fine il cambiamento è inteso semplicemente come una democratizzazione dello stato autoritario, l'implementazione di principi giuridici, un modello socialdemocratico da raggiungere per una via graduale e riformista, rispettando infine le basi borghesi, capitaliste ed imperialiste dello stato stesso.
In una costruzione teoria localistico-centrica, dove è assente una visione globale, questo progetto generale viene saldato ancora una volta alla storia passata del Kurdistan, alla sua antica società idealizzata, da cui si deve riprendere i valori umani integri, l'uguaglianza tra i membri della società ed il ruolo centrale della donna. La nuova forma di società democratica verso la quale ci si incammina è vista come stadio superiore e successivo al socialismo. Sempre dagli stessi testi di Ocalan si può leggere: “L’attuale processo politico, tuttavia, rende chiaro che le visioni del mondo della sinistra e della destra devono subire una trasformazione ed evoluzione fondamentali, al termine dei quali si uniranno in quello che chiamo un sistema di civiltà democratica. Questo approccio ha già iniziato a mostrare le sue qualità nel risoluzione dei conflitti, costruzione di istituzioni internazionali e ricostruzione dell'ordine internazionale secondo i principi democratici.”
Ocalan afferma di voler superare il capitalismo, ma nei suoi scritti ci sono evidenti contraddizioni quando si afferma che il capitalismo non deve essere rifiutato a titolo definitivo, quando lo stato capitalista non dev'essere distrutto, ma bensì dovrebbe morire lentamente. Tra l'altro Ocalan non dedica nessun vero approfondimento all'ambito economico. Nessuna rivendicazione di esproprio, nessuna messa in discussione della proprietà privata dei mezzi di produzione. Dopo tutto questo non ci stupisce. In questa visione anche il socialismo infatti dev'essere superato, in una cosiddetta terza via che sembra legarsi alle idee utopiste agrarie dei populisti del XIX secolo, legata all'umanesimo, a qualcosa di morale, senza basi e senza speranze reali.
Il confederalismo democratico fa parte ormai di quello che è diventato l'apoismo, cioè l'ideologia di Apo, Ocalan. Spesso considerato nel movimento curdo al pari e successore di Marx, Lenin e Stalin. In realtà, per quanto riguarda il confederalismo democratico, Ocalan viene influenzato molto dai concetti già espressi da Murray Bookchin (definito dallo stesso Ocalan suo maestro), oltre che dalle letture di Friedrich Nietzsche, Fernand Braudel, Immanuel Wallerstein, Maria Mies, Michel Foucault. Bookchin è colui che ha dato sviluppo alla teoria del “municipalismo libertario”, del “comunalismo”, cioè la partecipazione con forme di democrazia diretta alla gestione municipale dello stato borghese. Tra l'altro teorizzando che al posto della classe proletaria, che si ritiene ormai minoritaria, occorre prendere un altro concetto di riferimento, cioè quello della “vicinanza”. Sostenendo che il capitalismo può far fronte alle sue crisi. Innalzando a valore supremo la democrazia capitalista.
Infatti nel confederalismo democratico c'è tutta l'influenza del postmodernismo e del movimento No global di quegli anni. Ne esce infatti un'ideologia pregna di idealismo e formalismo democratico borghese, tipica di ambienti accademici, con certi strascichi del maoismo (come vedremo meglio poi), che nulla ha a che fare con il marxismo e che anzi si pone in antitesi a questo. Resta un mistero capire come questa ideologia possa trovare l'entusiasmo di chi si professa comunista o anarchico.
Ocalan infatti getta totalmente e definitivamente l'armamentario marxista. Rifiuta la visione materialista della storia. Stato e democrazia diventano categorie astratte e universali assumendo significati deviati. Lo stato non è più l'apparato di dominio e di repressione in mano alla classe dominante, “violenza concentrata e organizzata della società”, ma anzi viene rimosso il carattere di classe, quindi la dicotomia tra stato borghese e stato proletario, tra democrazia borghese e democrazia proletaria. Il tema delle classi sociali e della lotta di classe è marginalizzato, se non rimosso. Non ci può essere lotta di classe in Kurdistan perché si afferma che la società curda non presenta quasi differenziazioni di classe, mentre a livello globale la società divisa in classi è mantenuta in piedi artificialmente solo dallo “stato”, visto che l'avanzamento della tecnica ha fatto scomparire i presupposti della lotta di classe (insomma, un complotto!). La lotta di classe infine diventa cosa da evitare poiché il dominio di una classe su un'altra porta al rischio di dittature. Al suo posto dev'essere portata avanti semplicemente una lotta ideologica/politica, interclassista.
L'antagonismo non è più tra capitalista e proletario, tra padrone e lavoratore, ma tra patriota e collaborazionista. Anzi ci si concentra ora sulla figura “rivoluzionaria” della donna, sulle identità etniche e sulle libertà democratiche. Nessuna analisi del capitale, nessun riconoscimento delle moltitudini forze imperialiste e delle loro colonie. Quando vengono impiegati termini e categorie marxiste lo si fa in maniera totalmente distorta e vaga, sembra proprio che Ocalan non abbia mai avuto una conoscenza precisa della teoria marxista, tra l'altro assimilando totalmente il socialismo all'esperienza stalinista. Con queste lenti di lettura anche la rivoluzione d'Ottobre e la Comune di Parigi sono allora esperienze oppressive da condannare.
Con questi presupposti teorici, quale architettura sociale si è riusciti ad implementare in Rojava?
[Continua]