Prima pagina
Il marxismo rivoluzionario e la guerra tra le nazioni
1 Giugno 2025
MARX ED ENGELS SULLA QUESTIONE DELLA VIOLENZA
A più riprese varie correnti del marxismo hanno cercato di attribuire al pensiero di Marx ed Engels la propensione al superamento non violento del capitalismo. In particolare la direzione maggioritaria della socialdemocrazia, egemone sul movimento operaio internazionale, tra la fine dell’‘800 il primo decennio del ‘900, propagò questa interpretazione del pensiero marxiano perché utile alla sua ideologia riformista, adattata al sistema politico democratico-parlamentare borghese. In questo modo voleva escludere la possibilità di un rivolgimento politico e sociale violento da parte del proletariato.
In larga misura la convinzione che si potesse oltrepassare il sistema capitalistico tramite la via pacifica delle elezioni parlamentari, dopo aver conquistato il suffragio universale, non teneva conto della resistenza che avrebbero opposto le classi possidenti e la possibilità che esse conservavano di utilizzare i poteri dello Stato borghese per arrestare il movimento democratico riformista.
È evidente che tale posizione da parte ella socialdemocrazia non era innocente né onesta, ma rispondeva alle esigenze di promozione sociale della sua burocrazia, inclusa quella sindacale, e dei suoi gruppi parlamentari, ben lieti di accomodarsi, l’una e gli altri, sugli scranni offerti loro dal sistema politico borghese.
Quale era invece la posizione di Marx ed Engels riguardo alla violenza?
L'abolizione della proprietà sarà possibile in via pacifica?
Sarebbe desiderabile che ciò potesse avvenire, e i comunisti sarebbero certo gli ultimi a opporvisi. I comunisti sanno troppo bene che tutte le cospirazioni non sono soltanto inutili ma, anzi, addirittura dannose. Sanno troppo bene che le rivoluzioni non si fanno deliberatamente e a capriccio, ma che sono state, sempre e ovunque, conseguenza necessaria di circostanze assolutamente indipendenti dalla volontà e dalla direzione di singoli partiti e di classi intere. Ma vedono anche che lo sviluppo del proletariato viene represso con la violenza in quasi tutti i paesi civili e che a questa maniera gli avversari dei comunisti lavorano a tutta forza per una rivoluzione. Se a questo modo il proletariato oppresso finirà per essere sospinto a una rivoluzione, noi comunisti difenderemo la causa dei proletari con l'azione come adesso la sosteniamo con la parola. (Principi del Comunismo – 1846- K.Marx)
«La violenza è la levatrice di ogni vecchia società, gravida di una società nuova. È essa stessa una potenza economica» (Ibid. p. 210).
«…donde la violenza è determinata dall'ordine economico che le fornisce i mezzi per allestire e mantenere i suoi strumenti» (Il ruolo della violenza nella storia. F.Engels)
«Ecco qui appalesarsi come la «violenza politica immediata» (…) invece soggiaccia affatto all'ordine economico» (Il ruolo della violenza nella storia. F.Engels).
«Ma Dühring non sa che la violenza abbia nella società ancora un'altra funzione (quella rivoluzionaria), che essa sia «la levatrice della vecchia società gravida di una nuova» [Capitale I, 24, 6], che essa sia lo strumento con cui si compie il movimento della società, spezzando forme politiche irrigidite e sterili» (Il ruolo della violenza nella storia. F.Engels)
La violenza per Marx ed Engels è un fattore storico. Le rivoluzioni sono violente e scoppiano quando l’involucro della vecchia società non riesce più a contenere le spinte sociali dovute allo sviluppo delle forze produttive e ai nuovi rapporti di produzione che esse comportano.
I comunisti non vogliono la violenza, ma se scoppia la rivoluzione, cioè la rivoluzione violenta, la sostengono non solo con le parole ma anche con l’azione (violenta) e, aggiungeremmo noi, si battono per conquistarne la direzione.
È quello che dimostrarono proprio Marx ed Engels con la loro partecipazione in armi alla rivoluzione democratica tedesca tra il 1848 e il 1849 e il loro impegno nella denuncia del colonialismo inglese in Irlanda e in India e con la difesa della Polonia contro la Russia zarista, perché come disse proprio Engels: «Una nazione non può diventare libera e allo stesso tempo continuare ad opprimere altre nazioni».
In conclusione, se la violenza nasce dal conflitto di classe, compresa la sua proiezione a livello internazionale con la divisione tra nazioni ricche e nazioni povere, solo l’abolizione delle classi e dello sfruttamento degli esseri umani da parte di altri esseri umani potrà porvi fine.
LA GUERRA TRA LE NAZIONI
Abbiamo visto che il marxismo è lontano dal pacifismo. Questo in nome del rifiuto della guerra si riduce sempre a raccomandare l’accordo tra oppressi ed oppressori, in definitiva sempre nell’interesse dei secondi e con l’ovvia prosecuzione dell’oppressione dei primi.
Pertanto, il marxismo nella sua tendenza più coerente, si è dovuto misurare con il problema della guerra.
Le tipologie di guerra tra nazioni (la guerra civile esula dall’economia di questa relazione) sono molteplici ma possiamo affermare con buona sicurezza che due tipologie siano le più importanti e gravide di conseguenze:
- la guerra tra uno paese imperialista ed un paese subordinato
- la guerra tra due o più paesi imperialisti
Esulano da questa disanima le guerre tra potenze regionali e paesi più deboli, laddove i marxisti rivoluzionari si schierano dalla parte dei più deboli, e le guerre tipiche del periodo della guerra fredda consistenti nell’aggressione da parte di paesi imperialisti occidentali di stati operai per quanto degenerati/deformati. In questo caso è ovvio che i marxisti rivoluzionari si siano schierati a difesa di questi ultimi anche se retti da regimi staliniani persecutori dei trotskisti e della migliore generazione rivoluzionaria.
Come ben argomenta lo stesso Trotsky nel testo In difesa del Marxismo, quello che viene difeso è il carattere sociale di questi paesi e non il loro regime politico, questo, infatti, è retto da una burocrazia in definitiva restaurazionista, che perciò deve essere rovesciata per via rivoluzionaria dalla classe operaia. Lo scopo è salvaguardare il carattere di stati operai di questi paesi e la proprietà statalizzata.
DALLE GUERRE COLONIALI ALLE GUERRE IMPERIALISTE
Possiamo individuare un cambio, prolungatosi in numerosi decenni tra l’800 e la prima metà del ‘900, nella natura delle guerre di predazione da parte delle grandi potenze dell’epoca. Queste da potenze coloniali si sono trasformate principalmente in potenze imperialiste.
Il trapasso è stato dovuto al definitivo declinare dei residui delle vecchie società feudali e delle monarchie assolute o costituzionali, che tendevano a costruire grandi imperi coloniali in cui lo sfruttamento dei paesi colonizzati era governato dal paese colonizzatore con il controllo amministrativo e militare in modo diretto.
Nel tempo questa annessione diretta di vastissimi territori in Africa ed in Asia è diventata sempre più onerosa anche a causa di sempre più numerose ribellioni anticoloniali e dell’instabilità politica.
Il passaggio dalla guerra di conquista e insediamento coloniale tra cui annoveriamo anche quelle dell’Italia fascista e della Germania nazista fino alla II guerra mondiale, è stato in ogni caso molto graduale tanto che il carattere coloniale e imperialista delle guerre si è reciprocamente confuso anche nella caratterizzazione dello stesso evento bellico.
Progressivamente alcuni di questi paesi colonizzatori, anche in forza delle ricchezze rapinate con il colonialismo, sono diventate grandi potenze capitaliste e successivamente, con il sorgere dei grandi monopoli e della grande finanza, paesi imperialisti.
I paesi imperialisti in luogo della costruzione di un impero tramite l’annessione di interi paesi e territori (anche se possono non disdegnare vere e proprie conquiste territoriali più o meno temporanee) tendono invece a stabilire rapporti di sfruttamento con paesi strangolati dallo scambio economico ineguale e a renderli così subalterni al proprio predominio economico e militare.
Pertanto, questi paesi vengono necessariamente condizionati dalla potenza imperialista dominante anche per quanto riguarda le forme di governo e più in generale a livello politico. I paesi imperialisti tendono dunque a formare aree di influenza nelle quali dettare le linee di politica economica fondamentali e da cui escludere le altre potenze imperialiste.
In questo modo i paesi imperialisti si vengono a trovare nella condizione di doversi aprire nuove aree di influenza o di difendere le proprie. Questa dinamica fa parte della spartizione del mondo che caratterizza il carattere imperialista dei paesi capitalisti più potenti.
Gli esempi di guerre condotte dai paesi imperialisti nei confronti di paesi economicamente dipendenti sono numerosi: le due guerre dell’oppio tra Gran Bretagna e Cina del 1856 e del 1860, la guerra sino-giapponese del 1937 e dopo la fine della Guerra fredda, la guerra delle Malvine (o delle Falkland) tra Gran Bretagna e Argentina, l’invasione di Panama da parte degli USA nel 1989, le due Guerre del Golfo tra coalizioni degli imperialismi occidentali guidate dagli USA e l’Iraq (1990- 1991 la prima e 2003 -2011 la seconda), la guerra della Nato contro la Serbia del 1999, l’invasione dell’Afghanistan da parte degli USA a cominciare dal 2001 fino al 2021. Infine, oggi abbiamo la guerra tra l’imperialismo russo e l’Ucraina.
Come si devono posizionare i marxisti rivoluzionari di fronte a queste guerre?
A questo proposito sono preziose le parole di Trotsky intorno alla guerra sino-giapponese del 1937:
«Nella mia dichiarazione alla stampa borghese, ho detto che il dovere di tutte le organizzazioni operaie della Cina era di partecipare attivamente e in prima linea all'attuale guerra contro il Giappone, senza abbandonare, per un solo momento, il proprio programma e la propria attività indipendente». (Bollettino interno, Comitato organizzativo per la Convenzione del Partito Socialista (New York), n. 1, ottobre 1937.)
«…Non mettiamo e non abbiamo mai messo tutte le guerre sullo stesso piano. Marx ed Engels sostennero la lotta rivoluzionaria degli irlandesi contro la Gran Bretagna, dei polacchi contro lo zar, anche se in queste due guerre nazionaliste i leader erano, per la maggior parte, membri della borghesia e persino a volte dell'aristocrazia feudale... in ogni caso, reazionari cattolici».
«Lenin scrisse centinaia di pagine dimostrando la necessità primaria di distinguere tra nazioni imperialiste e nazioni coloniali e semicoloniali che comprendono la grande maggioranza dell'umanità. Parlare di "disfattismo rivoluzionario" in generale, senza distinguere tra paesi sfruttatori e sfruttati, significa fare una miserabile caricatura del bolscevismo e mettere quella caricatura al servizio degli imperialisti».
«In Estremo Oriente abbiamo un esempio classico. La Cina è un paese semicoloniale che il Giappone sta trasformando, sotto i nostri occhi, in un paese coloniale. La lotta del Giappone è imperialista e reazionaria. La lotta della Cina è emancipatrice e progressista».
«Chiang Kai-shek è il carnefice degli operai e dei contadini cinesi. Ma oggi è costretto, suo malgrado, a lottare contro il Giappone per il resto dell'indipendenza della Cina. Domani potrebbe tradire di nuovo. È possibile. È probabile. È persino inevitabile. Ma oggi sta lottando. Solo i codardi, i mascalzoni o i completi imbecilli possono rifiutarsi di partecipare a quella lotta».
«Il patriottismo giapponese è la maschera orribile di una rapina mondiale. Il patriottismo cinese è legittimo e progressista. Mettere i due sullo stesso piano e parlare di "patriottismo sociale" può essere fatto solo da coloro che non hanno letto nulla di Lenin, che non hanno capito nulla dell'atteggiamento dei bolscevichi durante la guerra imperialista e che non possono che compromettere e prostituire gli insegnamenti del marxismo».
«Ma il Giappone e la Cina non sono sullo stesso piano storico. La vittoria del Giappone significherà la schiavitù della Cina, la fine del suo sviluppo economico e sociale e il terribile rafforzamento dell'imperialismo giapponese. La vittoria della Cina significherà, al contrario, la rivoluzione sociale in Giappone e il libero sviluppo, vale a dire senza ostacoli da oppressione esterna, della lotta di classe in Cina».
In definitiva il sostegno al paese economicamente dipendente o anche a sviluppo capitalistico intermedio, ma non imperialista, nei confronti dell’aggressione da parte di un paese imperialista ha sempre un carattere progressivo per i marxisti rivoluzionari anche se il governo di questi paesi subalterni, e la direzione della loro lotta è nelle mani di una forza reazionaria.
Dunque, non è di primaria importanza la natura politica delle forze in lotta. Laddove i marxisti rivoluzionari possano intervenire devono raccordarsi anche militarmente con la resistenza di questi paesi senza mai perdere la propria indipendenza politica e anzi diffidando sempre delle forze politiche che dirigono la lotta.
«In passato, soprattutto nel 1925-27, il generale (Chiang Kai-shek) era già dipendente dalle organizzazioni della classe operaia nella sua lotta militare contro i generali cinesi del Nord, agenti dell'imperialismo straniero. Alla fine, schiacciò le organizzazioni della classe operaia con la forza armata nel 1927-28. Dobbiamo imparare le lezioni da questa esperienza che è risultata dalle politiche fatali del Comintern, nel partecipare alla legittima e progressiva guerra nazionale contro l'invasione giapponese, le organizzazioni della classe operaia devono preservare la loro completa indipendenza politica dal governo di Chiang Kai-shek» ( Socialist Appeal,Vol. 1 No. 10, 16 October 1937, p. 4.).
Questo è il solo metodo per accumulare le forze per rovesciare quelle direzioni politiche: partecipazione alla lotta contro l’aggressione imperialista, conservazione dell’indipendenza politica delle organizzazioni del movimento operaio a cominciare dalla sua direzione rivoluzionaria, preparazione del rovesciamento delle forze reazionarie alla guida del paese aggredito.
Sia detto di passata che la Cina per resistere al Giappone prese le armi sia dall’Unione Sovietica che temeva di essere attaccata dai nipponici in Siberia, che dalla Germania nazista in funzione anticomunista. Ciò ovviamente prima dell’adesione del Giappone alle forze dell’Asse. Invece gli alleati dopo essere stati formalmente neutrali fornirono aiuti dopo la proclamazione della guerra contro il Giappone nel 1941 nell’ambito della guerra mondiale contro le potenze dell’Asse.
Quanto al pacifismo Trotsky ne ha anche per esso: «Un pacifista che ha lo stesso atteggiamento verso la Cina che verso il Giappone in questo terribile conflitto è come uno che identificherebbe una serrata con uno sciopero. Il movimento della classe operaia è contro la serrata degli sfruttatori e per lo sciopero degli sfruttati. Allo stesso tempo, gli scioperi sono spesso guidati da traditori che sono capaci di tradire il movimento della classe operaia durante lo sciopero. Questa non è una ragione per cui i lavoratori debbano rifiutarsi di partecipare allo sciopero, ma è una ragione per mobilitare le masse lavoratrici contro le defezioni e il tradimento della dirigenza» (Socialist Appeal, Vol. 1 No. 10, 16 October 1937, p. 4).
Da quanto detto deduciamo che la guerra per la propria autodeterminazione di un paese subordinato contro un imperialismo oppressore è una guerra giusta.
Cosi Zinovev “Le guerre "giuste" in generale possono ancora aver luogo nell'epoca imperialista?
«Sì, ma solo in due casi. Il primo caso sarebbe la guerra di un proletariato che ha trionfato in un paese e che difende il socialismo contro altri stati che rappresentano il regime capitalista. Il secondo – una guerra della Cina (Zinovev si riferisce alla prima guerra sino-giapponese del 1894, nda), dell'India o di paesi simili che sono oppressi dall'imperialismo di altre terre e stanno lottando per la loro indipendenza contro queste potenze imperialiste» (The War and the Crisis in Socialism – 1916)
La posizione del Partito Comunista dei Lavoratori sulla guerra tra Russia e Ucraina ha rispettato i criteri definiti da Trotsky per la guerra sino-giapponese del 1937.
La guerra in Ucraina è dovuta all’aggressione di un paese imperialista, la Russia, contro un paese economicamente dipendente com’è l’Ucraina.
Quest’ultima ha il diritto a difendersi con le armi. Ha diritto ad armarsi procurandosi le armi ovunque possa, compresi i paesi imperialisti occidentali. Resistendo all’invasione e ribadendo il proprio diritto ad autodeterminarsi conduce una lotta progressiva contro la forza reazionaria rappresentata dalla Russia di Putin. La sconfitta di quest’ultima potrebbe aprire un varco al rivolgimento politico e sociale in quel paese con una enorme valenza per i popoli di tutto il mondo e la lotta di classe internazionale, mentre la sua vittoria rafforzerebbe la reazione e l’imperialismo non solo in Russia.
Per questo sosteniamo la resistenza ucraina senza alcuna fiducia nella sua direzione nazionalista borghese di cui denunciamo la politica antioperaia e l’alleanza con paesi imperialisti della Nato interessati alla spoliazione del paese.
Denunciamo invece, a sinistra, le posizioni che in nome del contrasto dell’imperialismo “occidentale” appoggiano più o meno direttamente la Russia imperialista. Denunciamo il pacifismo che, con la politica della diplomazia affidata comunque alle agenzie dei paesi imperialisti, finisce inevitabilmente per mettere sullo stesso piano oppressi ed oppressori e in nome del cessate il fuoco apre la strada alla resa degli ucraini. Infine, denunciamo quelle posizioni ultrasinistre che si attestano sul disfattismo bilaterale finendo per estraniarsi dalla resistenza armata del popolo ucraino in nome di un’inverosimile insorgenza della classe lavoratrice ucraina e russa allo stesso tempo senza prima la sconfitta delle armate di Putin.
LA GUERRA TRA POTENZE IMPERIALISTE
«Se vogliamo la pace dei popoli, dobbiamo preparare la guerra, la lotta di classe, condurla ed alimentarla sempre più sul piano internazionale». (Karl Liebknecht, 1912 Congresso di Chemnitz)
«Il nemico principale di ogni popolo è nel proprio paese!».
«Il nemico principale del popolo tedesco è in Germania: l'imperialismo tedesco, il partito della guerra tedesco, la diplomazia segreta tedesca. Questo nemico in patria deve essere combattuto dal popolo tedesco in una lotta politica, cooperando con il proletariato di altri paesi la cui lotta è contro i propri imperialisti» (Karl Liebknecht, Discorsi e saggi scelti, Berlino 1952).
La guerra tra due o più potenze imperialiste è una guerra per la spartizione del mondo, per stabilire con la forza i confini delle proprie aree di influenza economica, politica e commerciale, le aree destinate alla propria predazione. È una guerra alimentata dalla speculazione come quella dell’industria delle armi e quella legata alle forniture delle forze armate, nonché dall’azzardo delle scommesse finanziarie e borsistiche.
Le forze economiche, i capitalisti, che possono trarre un vantaggio dallo scoppio del conflitto tendono a costruire un vero e proprio partito o a collaborare con un partito funzionale all’eccitazione nazionalista delle masse. Il sistema mass-mediatico propagandistico nasconde la verità dietro una coltre di motivazioni menzognere che sovrasta la voce di chi si oppone. Nei casi più gravi si instaura un regime interno di repressione degli oppositori alla guerra.
Da una guerra tra potenze imperialiste la classe del proletariato di ogni paese non ha nulla da guadagnare e tutto da perdere.
Le parole di Karl Liebknecht menzionate più sopra introducono due concetti fondamentali della propaganda rivoluzionaria in caso di guerra tra potenze imperialiste.
Il primo è che per conquistarsi una prospettiva di pace, la pace per i popoli, e non quella dei capitalisti, bisogna alimentare la lotta di classe a livello internazionale con ogni mezzo necessario perché ciò può condurre al rovesciamento dei governi dei paesi imperialisti e alla cancellazione dei loro propositi bellici.
La pace che si stabilirebbe in questo modo sarebbe una pace giusta basata sull’affratellamento del proletariato internazionale e, attraverso di esso, dei popoli, mentre un eventuale pace tra imperialisti non sarebbe altro che un accordo raggiunto per continuare lo sfruttamento e la spoliazione dei paesi economicamente dipendenti, della classe lavoratrice e delle masse popolari ad ogni latitudine.
Il secondo concetto è che il proletariato di ogni paese non può vedere un nemico nella classe lavoratrice dell’altro. Quando la guerra coinvolge paesi imperialisti i proletari non possono difenderne nessuno. Devono rifuggire da ogni falso sentimento patriottico instillato in loro dalla propaganda capitalista. Al contrario il loro nemico principale è il partito della guerra del proprio paese, la diplomazia segreta dell’imperialismo, contro il quali devono sviluppare al massimo grado la lotta politica cooperando a livello internazionale con il proletariato degli altri paesi, a loro volta in lotta contro il proprio imperialismo.
Negli scritti del 1914, allo scoppio della I guerra mondiale, Lenin scrive così a proposito degli obbiettivi che devono perseguire i socialdemocratici: «Dal punto di vista della classe operaia e delle masse lavoratrici di tutti i popoli della Russia, la sconfitta della monarchia zarista e del suo esercito, che opprimono la Polonia, l’Ucraina e molti altri popoli della Russia, e fomentano l’odio tra i popoli, per accrescere l'oppressione grande-russa sulle altre nazionalità e consolidare l'atteggiamento reazionario e barbaro del governo della monarchia zarista, sarebbe di gran lunga il male minore».
«In primo luogo, una propaganda generale, che coinvolga anche l'esercito e il teatro delle ostilità per la rivoluzione socialista e la necessità di usare le armi, non contro i loro fratelli, gli schiavi salariati di altri paesi, ma contro i governi e i partiti reazionari e borghesi di tutti i paesi...».
L’esperienza della I guerra mondiale ha dimostrato che le potenze imperialiste belligeranti conducono una propaganda patriottica al proprio interno tesa a dimostrare la superiorità civile della propria parte contro quella nemica. Allora dalla parte dell’Intesa si esaltava la lotta contro il militarismo tedesco, dalla parte di Germania e Austria la difesa della patria e la sconfitta dell’oscurantismo zarista. Oggi La propaganda di Putin nella guerra contro l’Ucraina ha preteso di giustificarla con la riunione di questo paese al mondo russo a cui appartiene per destino e alla necessita di “denazificare” quel paese. La propaganda delle potenze imperialiste occidentali si è di volta in volta appellata alla superiorità dei valori occidentali, alla necessità di ristabilire l’ordine internazionale (lo scambio “ordinato” di merci e capitali) minacciato da forze perturbatrici, alla lotta al terrorismo internazionale e alla sempre verde esportazione della democrazia.
Così Lenin sempre nel 1914:
«Nessuno dei due gruppi belligeranti è inferiore in nulla all'altro per le rapine, la ferocia e l'infinita crudeltà della guerra. Ma per ingannare il proletariato e distogliere la sua attenzione dall'unica guerra effettivamente liberatrice, vale a dire dalla guerra civile contro la borghesia del "proprio" paese e dei paesi "stranieri", per questo alto scopo la borghesia di ogni paese tenta di esaltare, con frasi menzognere sul patriottismo, il significato della "propria" guerra nazionale e vuol far credere che si sforza di vincere il nemico, non per spogliarlo e occuparne il territorio, ma per "liberare" tutti gli altri popoli, eccettuato il proprio».
Per questo continua Lenin: «Nella situazione attuale non si può stabilire, dal punto di vista del proletariato internazionale, la disfatta di quale dei due gruppi di nazioni belligeranti sarebbe di minor danno per il socialismo. Ma per noi socialdemocratici russi non vi può essere dubbio che, dal punto di vista della classe operaia e delle masse lavoratrici di tutti i popoli della Russia, il minor male sarebbe la sconfitta della monarchia zarista, del più barbaro e reazionario dei governi, del governo che opprime il maggior numero di nazioni e la massa più grande della popolazione in Europa e in Asia».
Riecheggiano qui le parole di K. Liebknecht sull’evidenza che per la classe operaia dei paesi imperialisti il primo nemico è in casa propria.
L’obbiettivo allora è chiaro: «La trasformazione dell'attuale guerra imperialista in guerra civile è la sola giusta parola d'ordine proletaria additata dall'esperienza della Comune formulata dalla risoluzione di Basilea (1912) e sgorgante da tutte le condizioni della guerra imperialista tra paesi borghesi altamente sviluppati».
In definitiva nella guerra tra due o più nazioni imperialiste la tattica dei marxisti rivoluzionari è quella del disfattismo bilaterale (per cui la vittoria di nessuno dei due belligeranti ha un carattere progressivo), e la strategia quella di trasformare la guerra in una guerra civile rivoluzionaria contro l’imperialismo del proprio paese, cercando l’affratellamento con il proletariato delle altre nazioni in guerra e l’invito a fare altrettanto con i propri stati imperialisti.
Ritornando ai nostri giorni se in Ucraina intervenissero le truppe Nato, quella guerra muterebbe di segno e da guerra di difesa di una nazione subordinata aggredita da un paese imperialista, diventerebbe una guerra tra potenze imperialiste. Di conseguenza anche la nostra posizione cambierebbe diventando quella del disfattismo bilaterale e della trasformazione della guerra in una guerra civile rivoluzionaria in tutti i paesi belligeranti.
LA II GUERRA MONDIALE
La II guerra mondiale presenta analogie e differenze con la prima. È necessario indagarle entrambe per mettere alla prova il metodo con cui il marxismo rivoluzionario affronta la questione delle guerre imperialiste.
Anche la II guerra mondiale ha la natura di una guerra tra potenze imperialiste.
Trotsky parte dall’assunto che l’obbiettivo fondamentale è la lotta contro l’imperialismo:
«La conclusione è che è impossibile combattere contro il fascismo senza combattere l'imperialismo. I paesi coloniali e semicoloniali devono combattere prima di tutto contro quel paese imperialista che li opprime direttamente, indipendentemente dal fatto che porti la maschera del fascismo o della democrazia» (Socialist Appeal, Vol. II No. 48, 5 November 1938).
Quindi prosegue con la denuncia della natura della II guerra mondiale.
«Una guerra moderna tra le grandi potenze significa non un conflitto tra la democrazia e fascismo, bensì una lotta tra due imperialismi per una nuova spartizione del mondo».
«Per comprendere correttamente la natura degli eventi futuri, dobbiamo prima di tutto respingere la falsa e completamente errata teoria secondo cui la guerra imminente sarà una guerra tra fascismo e "democrazia". Niente è più falso e sciocco di questa idea» (Socialist Appeal, Vol. II No. 48, 5 November 1938).
Come interpretano i marxisti rivoluzionari la difesa della democrazia?
Per i marxisti rivoluzionari la difesa della democrazia ha questo significato: «La “lotta per la democrazia” in tempo di guerra significherà soprattutto lotta per la salvaguardia della stampa operaia e delle organizzazioni operaie contro lo scatenarsi della censura e delle autorità militari. Sulla base di questi compiti, l’avanguardia rivoluzionaria ricercherà il fronte unico con altre organizzazioni operaie – contro il proprio governo “democratico” –, ma in nessun caso l’unità con il proprio governo contro il paese nemico». (La Quarta Internazionale e la guerra – 1934)
La natura della guerra è imperialista, pertanto si deve applicare la tattica del disfattismo bilaterale e trasformarla in una guerra civile rivoluzionaria.
Trotsky è convinto che la guerra provocherà una nuova rivoluzione capace di imporre la pace e risolvere il problema della guerra civile in Spagna (lo scritto è del 1938). Questa previsione purtroppo si rivelerà per lo più errata anche se nell’immediato dopoguerra si avranno la rivoluzione Jugoslava e quella cinese, seppur deformate, e si svilupperà un possente movimento anticoloniale in Asia ed in Africa.
Quando scrive Trotsky, nel 1938, la guerra mondiale appare inevitabile e d’altra parte era stata già ampiamente prevista dalla Quarta Internazionale. La lotta contro questa guerra si identifica con quella contro l’imperialismo che ne sta preparando le condizioni. La lotta antimperialista è la chiave della liberazione compresa la liberazione dal fascismo.
«Quei "leader" della classe operaia che vogliono incatenare il proletariato al carro da guerra dell'imperialismo, coperti dalla maschera della "democrazia", ​​sono ora i peggiori nemici e i diretti traditori dei lavoratori. Dobbiamo insegnare ai lavoratori a odiare e disprezzare gli agenti dell'imperialismo, poiché avvelenano la coscienza dei lavoratori; dobbiamo spiegare ai lavoratori che il fascismo è solo una delle forme dell'imperialismo, che dobbiamo combattere non contro i sintomi esterni della malattia, ma contro le sue cause organiche, cioè contro il capitalismo» (Socialist Appeal, Vol. II No. 48, 5 November 1938).
Ciò in cui la II guerra mondiale differisce dalla prima è l’esistenza del primo stato operaio, seppur degenerato, della storia, l’Unione Sovietica. Questo stato operaio è governato da una sanguinaria casta burocratica, che ha perseguitato i marxisti rivoluzionari, i migliori quadri del partito bolscevico, ormai distrutto, e la migliore generazione rivoluzionaria. Nel movimento trotskista si apre un dibattito se, dato il carattere burocratizzato e totalitario del regime russo, non si debba rinunciare alla difesa dell’URSS.
Trotsky, contro questa posizione, ribadisce la necessità per i marxisti rivoluzionari, della difesa dell’Unione Sovietica in quanto stato operaio per quanto degenerato. Si devono infatti difendere il carattere statale e non capitalista della proprietà dei mezzi di produzione, e l’economia pianificata, anche se di quest’ultima lo stalinismo ha fatto un utilizzo distorto ed aberrante (la collettivizzazione forzata).
«La difesa dell’Unione Sovietica dai colpi dei nemici capitalisti, indipendentemente dalle circostanze e dalle cause immediate del conflitto, è un dovere elementare e imperativo di ogni organizzazione operaia onesta» (La Quarta Internazionale e la guerra – 1934).
«Nel piccolo periodico francese Que Faire, è stato recentemente affermato che, nella misura in cui i “trotskisti” sono disfattisti nei confronti di Francia e Inghilterra, sono quindi disfattisti anche nei confronti dell’URSS. In altre parole: se vuoi difendere l’URSS devi smettere di essere disfattista nei confronti dei suoi alleati imperialisti. Que Faire ha calcolato che le “democrazie” sarebbero state alleate dell’URSS. Cosa diranno ora questi saggi non lo sappiamo. Ma questo non ha molta importanza, perché il loro stesso metodo è marcio. Rinunciare al disfattismo nei confronti di quel campo imperialista a cui l’URSS aderisce oggi o potrebbe aderire domani significa spingere i lavoratori del campo nemico dalla parte del loro governo; significa rinunciare al disfattismo in generale. La rinuncia al disfattismo nelle condizioni della guerra imperialista, che equivale al rifiuto della rivoluzione socialista — rifiuto della rivoluzione in nome della “difesa dell’URSS” — condannerebbe l’URSS alla decomposizione e alla rovina finale» (scritto del 1939 raccolto in In Defense of Marxism)
«Noi non siamo un partito di governo; noi siamo il partito dell'opposizione inconciliabile, non solo nei paesi capitalisti ma anche nell'URSS. I nostri compiti, tra cui la "difesa dell'URSS", li realizziamo non attraverso il mezzo dei governi borghesi e nemmeno attraverso il governo dell'URSS, ma esclusivamente attraverso l'educazione delle masse attraverso l'agitazione, spiegando ai lavoratori cosa devono difendere e cosa devono rovesciare».
«La difesa dell'URSS coincide per noi con la preparazione della rivoluzione mondiale».
«L’appoggio incondizionato dell’URSS contro gli eserciti imperialisti deve procedere di pari passo con la critica marxista rivoluzionaria della guerra e della politica diplomatica del governo sovietico e con la formazione, all’interno dell’URSS, di un autentico partito rivoluzionario di bolscevico-leninista» (La Quarta Internazionale e la guerra – 1934).
Riassumendo: la II guerra mondiale ha un carattere imperialista per cui i marxisti rivoluzionari adottano la tattica del disfattismo rivoluzionario. La lotta contro il proprio imperialismo deve condurre alla guerra civile rivoluzionaria e all’affratellamento con il proletariato degli altri paesi imperialisti dei paesi coloniali trascinati nel conflitto. Solo la lotta per il socialismo garantisce la possibilità di difendere le conquiste democratiche delle organizzazioni operaie e di sconfiggere il fascismo. La difesa dell’URSS dall’attacco delle potenze imperialiste, data la sua natura sociale, è doverosa nonostante il carattere controrivoluzionario della burocrazia al potere. Questa difesa incondizionata non deve ostacolare, ma al contrario permettere la formazione all’interno dell’URSS di un autentico partito rivoluzionario bolscevico-leninista.
In conclusione, scopo di questo lavoro è stato quello di mettere in luce l’approccio metodologico del marxismo rivoluzionario al tema della violenza e della guerra. Come detto in premessa questo testo non ha la pretesa di esaurire l’analisi di ogni tipo di evento bellico, ma spero sia utile a dare spunti di riflessioni e basi metodologiche utili per districarsi tra le contraddizioni della situazione attuale, quando, ad esempio, come Pcl abbiamo dovuto difendere controcorrente la posizione di difesa dell’Ucraina. Questo metodo di analisi sarà per noi prezioso nell’analizzare gli eventi bellici futuri e sapere da che parte schierarsi al di là delle oscillazioni delle organizzazioni della sinistra e della propaganda mediatica a cui le lavoratrici e i lavoratori e le classi popolari saranno sottoposti nei paesi che si avvicineranno al conflitto armato.