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Gramsci e la 'bolscevizzazione' del PCd'I: 1924-1926

20 Maggio 2025
bolscevizzazione


Il destino di Gramsci nella storia del movimento operaio è singolare: raramente un dirigente comunista è stato apprezzato da una tanto vasta e contraddittoria area. Dai trotskisti agli stalinisti, passando per alcune correnti socialdemocratiche, tutti, con l'unica comprensibile eccezione delle tendenze che si richiamano alla "Sinistra italiana" (bordighisti), trovano in Gramsci un fondamento per le loro posizioni politiche. D'altro canto, a seconda del periodo preso in esame, Gramsci si presta a differenti interpretazioni, il che dimostra una ambiguità di fondo del suo pensiero, e un'evoluzione contraddittoria, dall'Ordine nuovo ai Quaderni del carcere.

L'ascesa di Gramsci alla testa del Partito Comunista d'Italia (PCd'I) avviene negli anni cruciali che vanno dal 1924 (quinto congresso dell'Internazionale Comunista) al 1926, data del congresso di Lione, quando il processo di estromissione della sinistra bordighista dalla direzione del PCd'I si può considerare concluso. La vittoria del centro di Gramsci-Togliatti non sarebbe stata possibile in maniera così rapida e così completa senza la trasformazione che in quegli anni stava conoscendo l'Internazionale Comunista, da Internazionale di partiti comunisti votati alla rivoluzione socialista a strumento subordinato della diplomazia dello stato sovietico. Il socialismo "in un solo paese" è stata l'ideologia di questa trasformazione, ovvero il programma con il quale una casta burocratica dominata da Stalin assumeva il potere in Urss, e la "bolscevizzazione" dell'Internazionale il suo strumento organizzativo.
 
Questo articolo intende fornire una valutazione storica, sganciata dal mito, e necessariamente sintetica, dell'evoluzione di Gramsci in questi anni cruciali. Qui non è possibile esaminare in dettaglio le differenti interpretazioni che di questo processo hanno dato vari studiosi, preoccupati più di difendere un proprio punto di vista politico che di spiegare lo svolgersi degli avvenimenti, e mi riferisco innanzitutto a Berti e a Togliatti.
Ciò che maggiormente stupisce è l'interpretazione dei vari gruppi che in Italia si richiamano (o si sono richiamati) al trotskismo: in sostanza non si discostano dalla vulgata togliattiana, secondo cui il processo di formazione di un nuovo gruppo dirigente nel PCd'I nel 1923-'26 si spiega con l'allontanamento di Gramsci dall'estremismo bordighista e la riappropriazione del metodo e del programma leninista, che sarebbe in definitiva codificato nelle tesi di Lione.
 

GRAMSCI E LA "BOLSCEVIZZAZIONE" DELL'INTERNAZIONALE
 
Invece è avvenuto l'inverso: Gramsci, dopo un'iniziale adesione alle ragioni della critica di Trotsky alla nascente burocrazia sovietica, si muove gradualmente verso il gruppo dirigente stalinista, convinto che senza il sostegno dell'Internazionale non potrà avere ragione della sinistra bordighista. I punti d'avvio e d'arrivo di questa evoluzione sono la lettera del 9 febbraio 1924 e la lettera dell'ottobre 1926.

La data del distacco di Gramsci da Bordiga può considerarsi il rifiuto di firmare il "Manifesto" bordighista del 1923 (che invece aveva il sostegno di Togliatti e altri), un documento rivolto a una critica dell'intera politica dell'Internazionale Comunista. A Mosca, dove si trovava negli anni 1922-23 per incarico del PCd'I, Gramsci aveva maturato il distacco dall'estremismo di Bordiga grazie soprattutto all'influenza di Trotsky: tracce di questa influenza si ritrovano nella lettera del febbraio 1924, diretta al CC (Comitato Centrale) del PCd'I, nella quale lettera si trova una valutazione di Trotsky del tutto differente da quella dei Quaderni.

Nello spiegare la lotta all'interno del Partito russo, sulle due questioni fondamentali della democrazia interna al Partito e della rivoluzione tedesca, Gramsci sostanzialmente difende le posizioni trotskiste contro la "troika", dando anche del passato (la disputa sull'Ottobre del 1917) e della rivoluzione permanente una valutazione assai simile a quella trotskista (la lettera è pubblicata in Togliatti: La formazione del gruppo dirigente del Partito Comunista Italiano, Editori Riuniti).

Ma il giudizio di Gramsci sulle vicende interne al PC russo cambia subito dopo, e comincia l'allineamento alla maggioranza di Stalin-Zinoviev: quasi certamente questo avviene per i motivi della lotta antibordighista e sotto la pressione del gruppo dirigente sovietico. Nella sua battaglia contro Bordiga, Gramsci ha bisogno del sostegno dell'Internazionale, in quel momento in mano alla troika antitrotskista. Dal canto loro Stalin e Zinoviev hanno bisogno di direzioni nazionali fedeli che li sostengano nella lotta contro Trotsky, mentre Bordiga assume decisamente le difese del fondatore dell’Armata rossa contro il "socialismo in un paese solo" che stava svuotando l'Internazionale del suo contenuto leninista rivoluzionario.
 
Così quando nel partito scoppia la cosiddetta "questione Trotsky" i due dirigenti fondatori del PCd'I si trovano dalle due parti opposte della polemica: Bordiga con il dirigente della rivoluzione d'Ottobre e compagno di Lenin, Gramsci con gli epigoni della troika Stalin-Zinoviev-Bucharin.

Fin dal maggio del 1924, nello Schema di tesi sulla tattica e sulla situazione interna del PCI, la Centrale del PCd'i scrive: «Sulla questione russa riteniamo che è bene che tutte le sezioni diano il loro giudizio (...) dichiariamo di approvare la linea seguita dalla maggioranza del comitato centrale del Partito comunista russo» (pubblicato in «Lo stato operaio», 15 maggio 1924). Concetto ribadito nel novembre del 1924 da Gramsci nell'introduzione a un articolo della «Pravda» (senza firma, ma quasi certamente di Bucharin) che recensiva duramente il testo di Trotsky Le lezioni d'Ottobre e dava il via alla campagna antitrotskista:
 
Nel terzo volume delle sue opere (1917), appena pubblicato, vi è una prefazione di circa 60 pagine. Come altra volta gli epigoni di Marx, sotto la sua bandiera, hanno tentato la revisione del marxismo, così oggi Trotzki, in nome del leninismo, vuol revisionare il bolscevismo (in A. Gramsci: La costruzione del partito comunista, Einaudi 1978, p. 211)
 
Con la campagna per la "bolscevizzazione" il centro stalinista-zinovievista infatti pretende più di una accettazione passiva della lotta contro il "trotskismo": richiede alle varie direzioni una partecipazione attiva, sul loro terreno nazionale, per scardinare il prestigio internazionale di Trotsky. Contrariamente a quello che ritiene Berti (Introduzione all'Archivio Tasca, Annali Feltrinelli 1966) la "bolscevizzazione" non costituì una svolta a sinistra dell'Internazionale, nonostante l'offerta (rifiutata) della vice-presidenza a Bordiga al quinto congresso dell'Ic (che costituiva un modo di giubilarlo), ma il tentativo (riuscito) di rimpiazzare, alla testa delle sezioni nazionali, direzioni fedeli al centro russo. Dietro la maschera della «lotta al trotskismo» si destituirono amministrativamente le direzioni dei principali partiti comunisti europei: francese, tedesco, polacco, ecc., quali che fossero le loro posizioni. E al loro posto vennero nominati dirigenti che brillavano solo per la fedeltà al centro moscovita. Con la bolscevizzazione, in definitiva, si intendeva porre il bavaglio a quelle tendenze critiche della degenerazione burocratica del potere sovietico, e del "socialismo in un paese solo".
 
Come espone Gramsci in un intervento alla Conferenza di Como (1924):
 
Non basta dichiarare di essere disciplinati. Bisogna mettersi sul piano di lavoro indicato dall'Internazionale'. (...) Trotzki, pur partecipando 'disciplinatamente' ai lavori del partito aveva, col suo atteggiamento di opposizione passiva - simile a quello di Bordiga - creato uno stato di malessere in tutto il partito, il quale non poteva non avere sentore di questa situazione. (cfr. in La costruzione del partito comunista, cit., p. 461).
 
All'Esecutivo allargato del 1925, Stalin chiede alla delegazione italiana (Gramsci e Scoccimarro) di prendere parte attivamente sui due temi essenziali: la "bolscevizzazione" e la «lotta al trotskismo». Cosa che Gramsci e Scoccimarro assicurano.
Un resoconto di questa riunione, apparso nell'«Unità» del 4 luglio 1925, paragona il trotskismo al bordighismo, e istituisce un parallelo tra la lotta dell'Ic contro il "trotskismo" e la lotta del partito italiano contro l'"estremismo" di Bordiga.

Ma già nella relazione al CC del 6 febbraio 1925, che precedette la partenza della delegazione italiana per Mosca, Gramsci aveva espresso senza mezzi termini la propria adesione alla campagna antitrotskista:
 
Nella mozione si dovrebbe, inoltre, dire come le concezioni di Trotzki e soprattutto il suo atteggiamento rappresentano un pericolo, in quanto la mancanza di unità nel partito in un paese in cui vi è un solo partito, scinde lo Stato. Ciò produce un movimento controrivoluzionario; la qual cosa non significa, però, che Trotzki sia un controrivoluzionario: ché in questo caso ne dovremmo chiedere l'espulsione". (La costruzione..., cit., p. 473)
 
Questo richiamo all'unità, congiuntamente alla proibizione delle frazioni e all'adesione alla "bolscevizzazione", ha lo scopo di allineare il PCd'I alla direzione staliniana dell'Internazionale, in maniera acritica. Secondo una testimonianza resa da Leonetti a F. Ormea, Gramsci considerava Stalin nel 1925 "il migliore tra i compagni russi" (citato in F. Ormea: Le origini dello stalinismo nel PCI, Feltrinelli, p. 85). E infine, nella lettera dell'ottobre 1926, da vari commentatori di sinistra considerata una "presa di distanza" di Gramsci da Stalin, non si fa che ribadire l'adesione sostanziale alla linea della maggioranza del Pcr, con l'unica raccomandazione di "non stravincere". Che questa sia l'intenzione è Gramsci stesso a testimoniarlo in una successiva lettera a Togliatti:
 
la nostra lettera era tutta una requisitoria contro le opposizioni, fatta non in termini demagogici ma appunto perciò più efficace e più seria. (La costruzione..., cit. p. 137)
 

LA DEFINITIVA SCONFITTA DELLA SINISTRA E IL CONGRESSO DI LIONE

Alla conferenza di Como del 1924 il partito è ancora saldamente in mano alla sinistra. Il congresso di Lione del 1926 invece assiste al definitivo trionfo del centro gramsciano-togliattiano. Questo non è avvenuto per mezzo della persuasione programmatica, ma con strumenti amministrativi, dei quali la disciplina alle decisioni dell'Internazionale stalinizzata non è stato il meno importante.

In preparazione del congresso di Lione il centro stalinista interviene per fornire le direttive organizzative sulla lotta contro la sinistra. In una lettera del 20 agosto del 1925 il presidium dell'Internazionale Comunista scrive tra l'altro:
 
Organizzare i congressi federali in maniera tale che le grandi federazioni che sono con il CC e dove Bordiga ha meno influenza, si pronuncino per prime. Pubblicare anche, ed utilizzare prima dei congressi federali, i voti delle cellule delle grandi fabbriche ove abbiamo la schiacciante maggioranza. (citato in La liquidazione della sinistra del PCd'I, edizioni L'internazionale, p.240)
 
Mentre il centro gramsciano-togliattiano agiva in pratica da frazione, congiuntamente con l'Internazionale stalinizzata, alla sinistra veniva proibita l'organizzazione in frazione (v. lettera del CE (Comitato Esecutivo) a Ottorino Perrone, id, p. 243). Lo stesso Spriano (uno storico non sospettabile di filobordighismo) scrive:
 
La cronaca del dibattito è ricca, all'inizio (...) di misure disciplinari che troncano sul nascere l'organizzazione della corrente bordighiana come frazione. E' la stessa internazionale che, con l'intervento di Humbert-Droz, intima di sciogliere il Comitato d'intesa [la frazione bordighista]… (in Storia del partito comunista italiano, Vol. I, Paolo Spriano, Einaudi 1978, p. 479).
 
Le stesse norme per i congressi federali e regionali e la nomina dei delegati, costituivano una vera e propria truffa ai danni della sinistra. Al punto n. 1 la circolare del CE recitava:
 
Si deve rendere noto a tutti i compagni che per coloro che si trovano nella impossibilità di partecipare alla riunione suindicata [dove si votano i delegati e le tesi, nota] e intendano dare il loro voto alle tesi di estrema sinistra, di comunicarlo per iscritto agli organi responsabili i quali sono tenuti a darne comunicazione al congresso federale. Per tutti coloro che assenti non facessero pervenire alcuna comunicazione, il loro voto si considera dato per le tesi presentate dalla Centrale. (La liquidazione..., p. 247).
 
Si può immaginare cosa questo potesse significare nel 1925, quando la partecipazione ai congressi veniva resa quasi impossibile dalla polizia fascista.

La pressione dell'Internazionale sul partito italiano, la manipolazione dei congressi da parte della centrale e l'attribuzione al centro di tutti i voti non dati per iscritto alla sinistra, spiegano come al congresso di Lione il centro di Gramsci-Togliatti abbia ottenuto oltre il 90 per cento dei delegati, mentre la sinistra bordighista non abbia raggiunto il 10 per cento. Ciò che avvenne in Italia nel 1925-'26 è la fotocopia di quello che era avvenuto nel partito russo nel 1923-'24, quando per sconfiggere la sinistra di Trotsky vennero cambiate le regole di formazione dei delegati al congresso, in modo da assicurare alla frazione Stalin-Zinoviev la maggioranza al XIII congresso, da cui partire per sconfiggere definitivamente l'ala bolscevica rivoluzionaria.

In seguito l'Opposizione di sinistra parlò di questo periodo come del "termidoro" del potere sovietico. Fatti i debiti paragoni, ciò che avvenne nel partito italiano è paragonabile al termidoro sovietico. E così come Zinoviev in definitiva spianò la strada a Stalin (dal quale poi venne sconfitto e infine assassinato), Gramsci spianò la strada alla degenerazione togliattiana del PCd'I.
 

LE TESI DI LIONE
 
Nella Formazione del gruppo dirigente del PCI, Togliatti scrive: «La conquista della maggioranza del partito venne condotta a termine da questo gruppo, di fatto, soltanto al III congresso del partito, che si tenne a Lione nel gennaio 1926» (p. 11).

In effetti il congresso di Lione costituisce il punto d'arrivo del processo che aveva portato il centro di Gramsci e Togliatti a rompere con il leninismo per aderire alla direzione internazionale di Stalin-Zinoviev e il punto di passaggio per la stalinizzazione del PCI. Le tesi (scritte congiuntamente da Gramsci e Togliatti) costituirono la sintesi e la codificazione di questo processo. A Lione venne approvato un corpo di 5 tesi (sulla situazione internazionale; sulla questione nazionale e coloniale; sulla questione agraria; politica: situazione italiana e bolscevizzazione del PCI; sindacale). Le tesi sulla situazione politica sono passate alla storia come le "Tesi di Lione".

La natura contraddittoria di queste Tesi riflette il fatto che il processo non è compiuto, che permangono tracce dell'impostazione leninista-trotskista dei primi quattro congressi dell'Internazionale Comunista. Fermarsi tuttavia a considerare l'adesione delle Tesi alla tattica del fronte unico (benché anche questa non priva di ambiguità, oscillando tra la concezione leninista e una concezione frontepopulista) o alla necessità di parole d'ordine di carattere transitorio è un inutile esercizio scolastico, senza rilevanza pratica: occorre studiare attentamente le implicazioni concrete di tali formulazioni. Il problema in definitiva consiste nel coglierne le novità e le rotture. E le novità sono l'indice della trasformazione del PCI da partito rivoluzionario a partito stalinizzato.
 
Rompendo con la concezione leninista del partito le tesi sanciscono decisamente la proibizione delle frazioni. Scrive Gramsci: «La esistenza e la lotta di frazioni sono infatti inconcepibili con la essenza del partito del proletariato, di cui spezzano la unità aprendo la via alla influenza di altre classi» (La costruzione del partito comunista, cit. p. 506).

Tuttavia, la proibizione di frazioni in effetti valeva solo per la sinistra bordighiana ed è stato uno degli strumenti per le manovre burocratiche del centro di Gramsci-Togliatti.
Uno strumento organizzativo burocratico non è un fine, ma semplicemente un mezzo per una politica riformista o centrista. Così la debolezza maggiore delle Tesi di Lione salta agli occhi quando si traccia la politica che intende seguire il PCI in Italia.
 

UNA POLITICA CENTRISTA
 
Dopo aver dichiarato la necessità di parole d'ordine intermedie, di carattere democratico e transitorio, l'esempio che le Tesi forniscono di queste parole d'ordine si ferma all'agitazione antimonarchica da condurre con lo slogan dell'"assemblea repubblicana sulla base dei comitati operai e contadini". Attorno a questa parola d'ordine ruotava tutta la propaganda e l'agitazione del PCI a partire dall'assassinio Matteotti, formulata per la prima volta in una lettera alle opposizioni aventiniane. Più di una volta Trotsky criticò questa prospettiva. In particolare, scrive Trotsky nel maggio del 1930:
 
L’"Assemblea repubblicana" costituisce innegabilmente un organismo dello stato borghese. Che cosa sono invece i 'Comitati operai e contadini'? E' evidente che in qualche modo sono un equivalente dei Soviet operai e contadini. (...) Come è possibile, in queste condizioni, che un'assemblea repubblicana - organo supremo dello stato borghese - abbia come base degli organismi di Stato proletario? (in Scritti sull'Italia, ed. Controcorrente, p. 184)
 
E, il 25 settembre 1929, aveva scritto alla Frazione bordighista, in un testo che approvava la "Piattaforma della sinistra" al congresso di Lione:

A proposito, non è Ercoli [Togliatti, nota] che tenta di adattare all'Italia l'idea della 'dittatura democratica' del proletariato e dei contadini', sotto forma di un'assemblea costituente appoggiantesi su 'un'assemblea operaia e contadina'? (id. p. 149)

Sarebbe esagerato considerare il congresso di Lione come la fase conclusiva del processo che ha condotto il PCI dal leninismo a togliattismo, ma, nello stesso tempo Lione costituisce la porta della degenerazione riformista del PCI attraverso il breve interregno centrista di Gramsci.

In seguito Gramsci ruppe definitivamente con lo stalinismo negli anni tra il 1927 e il 1930, tanto che, secondo alcune testimonianze, venne espulso dal PCd'I per la sua opposizione alla svolta dell’Internazionale verso la teoria del socialfascismo e alle misure burocratiche che hanno accompagnato questa svolta. I Quaderni del carcere costituiscono ancora oggi uno dei testi più fecondi per comprendere la storia d’Italia e un classico del pensiero politico. Benché non privi di ambiguità e contraddizioni, permangono uno strumento essenziale per l’emancipazione delle classi subalterne.

Gino Candreva

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