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La stabilizzazione relativa del governo Meloni

13 Febbraio 2025

Risoluzione discussa e approvata dal Comitato Centrale del 25 e 26 gennaio

meloni


Il quadro politico italiano si presenta relativamente stabile. Il più stabile tra i paesi imperialisti dell'Unione Europea.

Sul piano elettorale, i risultati delle competizioni regionali (Liguria, Emilia, Umbria) e tutti i sondaggi su scala nazionale misurano, nel loro insieme, la sostanziale stabilità dei rapporti di forza tra i blocchi elettorali della destra e del centrosinistra, con un effetto di polarizzazione interna ai due schieramenti a vantaggio rispettivamente di Fratelli d'Italia e PD, ma senza travasi significativi tra i due poli.

Sul piano politico, il consolidamento di Fratelli d'Italia alla guida del governo rafforza, ad oggi, la sua tenuta. Le contraddizioni interne alla maggioranza di governo, sospinte soprattutto dal netto indebolimento politico della Lega, e in particolare di Salvini, sono in via di netta acutizzazione in vista delle prossime elezioni regionali (questione Veneto), chiamando in causa le relazioni tra Lega ed FdI e gli equilibri interni alla Lega. Tuttavia, ad oggi non sembrano preludere a una crisi, in assenza di possibili soluzioni alternative a livello parlamentare per ciascuno dei soggetti di maggioranza.
Il centrosinistra, a sua volta, continua a registrare contraddizioni interne irrisolte in fatto di equilibri, assetti, direzione. La polarizzazione del voto a vantaggio del PD di Schlein dentro il bacino elettorale del centrosinistra non solo non sana queste contraddizioni ma le approfondisce, sia sul versante del M5S, raggruppato attorno a Conte ma minacciato da un rischio di declino; sia sul versante del cosiddetto centro, incessante laboratorio di alchimie politiche disparate e concorrenziali. Il governo Meloni trae obiettivo vantaggio dal profilo irrisolto del centrosinistra.

La borghesia italiana, a sua volta, consolida la propria apertura di credito al governo Meloni. Non solo per la sua tenuta elettorale, e per l'assenza di una alternativa credibile di centrosinistra, ma anche per un concorso aggiuntivo di diversi fattori: l'ottenuta “legittimazione” del governo italiano in sede UE con il rispetto riconosciuto del Patto di stabilità; l'ingresso di fatto di Fratelli d'Italia nella nuova maggioranza europea a sostegno di Von der Leyen, con il relativo ampliamento dello spazio negoziale italiano; la convergenza del padronato col governo Meloni su partite strategiche per Confindustria, come la revisione delle politiche industriali europee in fatto di transizione ecologica, l'apertura al nucleare, l'accordo Mercosur a vantaggio delle esportazioni tricolori in America Latina, i piani di espansione dell'area di influenza italiana in Medio Oriente, in Nord Africa e nell'area subsahariana (il cosiddetto Piano Mattei).

Più in generale, l'emergenza internazionale su Ucraina e Medio Oriente, il cambio dell'amministrazione USA, la profonda crisi politica interna in Germania e Francia, concorrono a rafforzare il peso specifico del governo Meloni nella stessa UE, e con esso il sostegno borghese al governo. Nella medesima direzione agiscono alcune misure chiave dell'esecutivo sul versante della politica interna: l'ulteriore espansione del lavoro interinale, la liberalizzazione degli appalti, la riforma degli istituti tecnici professionali, su diretta pressione di Confindustria, la politica di “legge e ordine” in chiave antioperaia (ddl 1660) con diretta incidenza su alcuni settori delicati (logistica) dello scontro di classe.
Dal canto suo, la Presidenza della Repubblica collabora con il governo Meloni, incoraggia la sua politica di accreditamento in Europa, lavora a sminare ogni rischio di possibile conflitto istituzionale attraverso una politica di supervisione preventiva e di accompagnamento critico.


I FATTORI DI COMPLICAZIONE

La stabilizzazione politica relativa del governo Meloni deve tuttavia confrontarsi con nuovi problemi e complicazioni.

Sul piano internazionale, l'affermazione di Donald Trump ai vertici dell'imperialismo USA presenta diverse incognite. Meloni punta a una relazione negoziale privilegiata, e ostentata, con la nuova amministrazione americana e la sua equipe (Musk), tanto più a fronte della crisi politica dell'imperialismo francese e tedesco. Ma un innalzamento dei dazi americani sulle esportazioni, la pressione USA per moltiplicare il contributo degli imperialismi europei alle spese militari della NATO, un possibile conflitto politico e diplomatico tra imperialismo USA e Unione Europea (vedi il caso Groenlandia), possono porre il governo italiano di fronte a difficoltà inedite.
Meloni oggi si candida sicuramente, con forza relativamente accresciuta, a canale privilegiato di relazione tra l'ambiente trumpiano e l'Unione Europea. Ma un ruolo negoziale è per sua definizione esposto a molte variabili imprevedibili, incluso un eventuale rifiuto trumpiano di negoziare con l'UE in quanto tale a vantaggio di relazioni bilaterali con i singoli paesi e in funzione di una disarticolazione della UE.

Sul piano economico-sociale le cose si complicano. La combinazione dei vincoli del nuovo Patto di stabilità, della recessione tedesca, del calo prolungato della produzione industriale, del disimpegno della BCE nell'acquisto dei titoli di stato, dell'esaurimento annunciato nel 2026 dei fondi del PNRR, della crescita delle spese militari obbligata dalla crisi mondiale, restringe nel suo insieme lo spazio di manovra dell'esecutivo.
La stessa legge di stabilità per il 2025 riflette questa difficoltà. Il governo ha cercato di tenere insieme il proprio blocco elettorale e sociale di riferimento: l'operazione (truffa) sul cuneo fiscale per i dipendenti, il concordato fiscale preventivo per le partite IVA, la riduzione dell'IRES per le imprese reclamato da Confindustria. Ma ha dovuto tagliare i fondi per l'automotive, non ha trovato le risorse attese per la riduzione IRPEF sui redditi medi, è stato costretto a comprimere drasticamente la stessa riduzione dell'IRES premiale, mentre i 17 miliardi di tagli a ministeri ed enti locali impongono una nuova stretta sociale sui servizi.
Parallelamente, il peggioramento della legge Fornero, l'incremento delle imposte indirette in tema di bollette, il dissesto profondo della sanità pubblica, lo sfascio del trasporto ferroviario, sbugiardano le promesse populiste delle campagne elettorali delle destre. L'aumento irrisorio di un euro e ottanta centesimi delle pensioni minime fotografa in forma plastica la difficoltà strutturale del governo nel rispondere a settori importanti del proprio blocco di consenso.

Sul terreno delle riforme istituzionali il governo fatica a risolvere la propria impasse. I due progetti centrali di autonomia differenziata e premierato segnano entrambi il passo.
Il disegno dell'autonomia differenziata, vitale per Salvini nella sua relazione coi potentati leghisti del Nord, è stato minato alla radice dalla Consulta, e si confronta col nodo scoperto della definizione dei Lep (Livelli essenziali delle prestazioni). Un nodo irrisolvibile nel quadro delle attuali compatibilità di bilancio, tanto più a fronte della promessa di “nessun onere aggiuntivo per lo Stato” che la proposta Calderoli dichiara.
Il progetto reazionario del premierato, di impronta bonapartista, si scontra con l'assenza di una legge elettorale conforme che possa passare al vaglio della Consulta, contraria a un premio di maggioranza illimitato che la proposta di premierato ad oggi adombra.
Peraltro, le due riforme dell'autonomia differenziata e del premierato si tengono insieme dentro la logica di scambio tra Lega e Fratelli d'Italia. La paralisi dell'una blocca il procedere dell'altra. È un problema serio per gli equilibri di maggioranza, tanto più se combinato con la crisi della Lega e del salvinismo.

Il governo risponde alle proprie difficoltà di manovra sul piano sociale ed istituzionale col rilancio del proprio arsenale reazionario. Propagandistico ma non solo. Le misure forcaiole e panpenaliste del ddl 1660, l'operazione Albania sull'immigrazione, l'esaltazione della “famiglia tradizionale” contro la cosiddetta ideologia gender, la gestione disciplinare dell'ordine pubblico nelle scuole da parte del ministro Valditara e la sua promozione di una nuova “educazione civica” patriottica e a tutela della proprietà privata, la campagna di esaltazione delle forze armate della “Nazione” da parte della stessa Presidenza del Consiglio, mirano a nutrire nel loro insieme l'immaginario della base elettorale della destra. Mentre l'aperta concorrenza tra la Lega e Fratelli d'Italia nell’accaparrarsi il sostegno dei corpi repressivi dello Stato offre loro un più ampio margine di azione e copertura. Le annunciate misure di scudo giudiziario per gli agenti di Polizia e Carabinieri, per di più a ridosso dell'assassinio di Ramy a Milano, misurano portata e gravità della determinazione reazionaria del governo.

La crisi perdurante del movimento operaio, per responsabilità delle sue direzioni, concorre in misura decisiva alla tenuta dell'attuale quadro politico.
La direzione della CGIL ha indurito i toni della propria politica antigovernativa, contro la persistente marginalizzazione del proprio ruolo negoziale, anche in risposta allo smarcamento filogovernativo della CISL. Il referendum nella funzione pubblica contro l’accordo bidone firmato dalla CISL è una difesa del proprio spazio d'apparato. Ma l'evocazione verbale della “rivolta sociale” convive con una linea di fondo sostanzialmente immutata: scioperi generali una tantum come semplici azioni dimostrative, collaborazione di classe nelle vertenze aziendali (ex Ilva, Piaggio), rifiuto di ogni unificazione del fronte di lotta, al di là dei confini contrattuali di categoria. Questa linea si rivela incapace di aprirsi un varco.
Il governo, forte della propria relativa stabilità, può permettersi di continuare a evitare ogni reale apertura negoziale alla CGIL. La nuova direzione Confindustriale, sotto la pressione della crisi recessiva tedesca, chiude lo spazio di reali concessioni salariali (vedi metalmeccanici), nel mentre chiede il sostegno sindacale alla linea confindustriale (italiana ed europea) di revisione della transizione all'elettrico.

La crisi profonda della propria linea sindacale viene sublimata dal protagonismo politico referendario, che mira anche alla valorizzazione del peso politico della burocrazia CGIL nel rapporto con le opposizioni parlamentari di centrosinistra, quale possibile federatore esterno della coalizione. Tuttavia, una campagna referendaria, pur progressiva, svincolata da un'azione reale nella lotta di classe, rischia di indebolire l'impatto delle sue stesse ragioni.

Dal versante del sindacalismo di base si conferma l'incapacità di una alternativa di direzione generale del movimento operaio. Proseguono le dinamiche di frammentazione interna (dalla CUB ai Cobas). Si conferma una biforcazione più netta di orientamento: tra la totale autocentratura settaria di USB (confermata dallo sciopero generale separato del 13 dicembre) e una maggiore disponibilità formale di altri settori (CUB, SiCobas, SGB) a convergenze unitarie con la CGIL (29 novembre), ma senza alcuna razionalizzazione della politica di fronte unico e di una proposta di azione generale alternativa.

Non si configurano al momento lotte operaie dal basso, a livello aziendale o di categoria, capaci di fare da volano di svolta e di ricomposizione generale. Tuttavia, lo sciopero generale del 29 novembre, al di là dell'impostazione della CGIL, ha rivelato qualche sintomo positivo, sia in termini di adesioni allo sciopero sia in termini di partecipazione ai cortei. Così, su un piano diverso e su una scala molto ridotta, persino l'azione di sciopero di USB del 13 dicembre, nonostante il suo profilo autocentrato, sembra aver registrato nel settore trasporti adesioni superiori che in passato. È possibile che, nonostante il vuoto di direzione e/o la natura delle direzioni, inizi a emergere un'insofferenza di settori di classe e una volontà di risposta a padronato e governo. Sono sintomi ancora molto parziali, da monitorare con attenzione.

Sul piano politico non siamo in presenza di un'opposizione democratica al governo Meloni, paragonabile a quella che si sviluppò contro Berlusconi (“popolo viola”) o contro Salvini (movimento delle sardine). Le mobilitazioni pro Palestina mantengono il proprio spazio e la propria continuità in risposta alla barbarie sionista, ma l'assenza di una iniziativa di classe e di massa su questo terreno da parte del movimento operaio limita, ad oggi, la loro dinamica di allargamento. In questo quadro ha assunto una rilevanza importante l'opposizione al ddl 1660 e al suo contenuto reazionario, sia sul versante più propriamente classista (Rete Liberi di lottare) sia sul versante democratico generale (manifestazione nazionale del 14 dicembre), con una positiva convergenza unitaria di forze diverse sul piano sia sindacale che politico.

Nel campo della sinistra politica permane la rimozione dell'esigenza stessa di una ricomposizione indipendente della rappresentanza politica della classe lavoratrice. Due sono i principali elementi di osservazione. Da un lato, il consolidamento elettorale e di immagine di Alleanza Verdi Sinistra quale sinistra del centrosinistra, sulla scia del successo riportato alle elezioni europee di giugno: un consolidamento che sembra reggere al fenomeno Schlein e al suo effetto di polarizzazione. Dall'altro lato, precipita la crisi di Rifondazione Comunista lungo una linea di frattura interna al suo gruppo dirigente tra due opzioni diversamente subalterne: quella, composita, che fa capo all'attuale segretario Maurizio Acerbo, e quella diretta dall'ex ministro Paolo Ferrero. La prima chiaramente orientata alla ricomposizione col centrosinistra, la seconda orientata al blocco con Potere al Popolo, e non a caso esplicitamente favorevole ai BRICS sulla base di una visione campista. La rotta di collisione congressuale tra le due componenti, dopo quasi tre anni di feroce scontro interno per il controllo del partito, può risolversi in una scissione verticale del PRC.


LA NOSTRA LINEA DI PROPOSTA E DI INTERVENTO

La nostra linea di massa, sul terreno propagandistico, resta incentrata sulla proposta vertenza generale, e sulla relativa piattaforma di riferimento. La rivendicazione di un aumento salariale di almeno 400 euro netti resta centrale, assieme alla rivendicazione della riduzione generale dell'orario di lavoro (32 ore pagate 40), della patrimoniale straordinaria del 10% sul 10% più ricco, e della nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio delle aziende in crisi.
La crisi che si annuncia nell'industria automobilistica, nella componentistica, nella siderurgia, sottolinea una volta di più l'esigenza di una svolta radicale e di massa nell'azione del movimento operaio e sindacale, e insieme la necessità del fronte unico, contro ogni settarismo autocentrato.

La corsa generale agli armamenti, e con essa l'incremento della spesa militare del governo italiano, misura l'attualità della battaglia antimperialista. Sia sul piano internazionale, contro tutti gli imperialismi, vecchi e nuovi, e a difesa dei popoli da questi colpiti (ucraino, palestinese, curdo), sulla base della linea da tempo definita; sia anche sul terreno nazionale, in aperta contrapposizione all'imperialismo italiano, e al suo rilancio nazionalistico patriottico da parte della destra con la connivenza o copertura del centrosinistra. Si tratta per noi di un terreno di caratterizzazione e demarcazione politica rispetto alle sinistre riformiste e/o centriste e alla loro tradizione politica e culturale, nelle sue diverse varianti e combinazioni (europeismo imperialista, campismo filorusso, sovranismo “democratico”, pacifismo piccolo-borghese...).

Il corso reazionario del governo all'insegna della politica “legge e ordine” sottolinea l'importanza della lotta contro la repressione. La gestione muscolare dell'ordine pubblico contro le manifestazioni studentesche pro Palestina, l'omicidio di Ramy a Milano, con tanto di documentazione video, la sfacciata protezione della polizia da parte del governo, hanno suscitato indignazione in importanti settori della giovane generazione, del mondo del lavoro, dell'opinione pubblica democratica. Tanto più in questo quadro confermiamo il nostro impegno unitario nella Rete Liberi di lottare contro il ddl 1660. Al tempo stesso poniamo al suo interno, e nel più largo ambito di avanguardia, due ordini di riflessione tra loro collegati: l'esigenza di una politica di fronte unico sul terreno del contrasto alla repressione, fuori da ogni logica minoritaria; il necessario raccordo tra la lotta contro la repressione e una ripresa più generale dell'azione di massa del movimento operaio, capace di ribaltare i rapporti di forza tra le classi, e dunque di minare la reazione.

Ribadiamo il nostro sostegno ai referendum democratici annunciati per la primavera (contro il Jobs act, la logica criminale dei subappalti, l'autonomia differenziata, e per l'allargamento dei diritti di cittadinanza). Partecipiamo nelle forme possibili ai comitati unitari promotori della campagna. Al tempo stesso, sviluppiamo su ognuno di questi temi la nostra proposta programmatica classista e anticapitalista, ponendo l'esigenza di un raccordo tra la campagna referendaria e il necessario rilancio dell'azione di lotta del movimento operaio: in alternativa alla linea della burocrazia sindacale, ad ogni forma di cretinismo istituzionale, ad ogni subordinazione alla logica di alternanza del centrosinistra liberaldemocratico.
La nostra rivendicazione di una legge elettorale interamente proporzionale, ad ogni livello istituzionale, combina la battaglia contro la destra con la contestazione del centrosinistra: delle sue responsabilità decisive nella costruzione della Seconda repubblica, della subordinazione delle sinistre “radicali” al suo disegno e consolidamento.

Il nostro intervento sulla sinistra politica muove dalla proposta propagandistica del partito indipendente del mondo dal lavoro sulla base di un programma anticapitalistico. In questo quadro è necessario intervenire, nelle forme possibili, su versanti diversi. Sul versante di Sinistra Italiana, è opportuno mostrare attenzione all'ambiente giovanile di riferimento lavorando sulla contraddizione tra la domanda di rappresentanza a sinistra del PD e la linea generale di subordinazione al PD del gruppo dirigente di SI. Parallelamente è necessario seguire la precipitazione della crisi di Rifondazione Comunista, criticando entrambe le posizioni congressuali a confronto, e ponendo l'esigenza di un bilancio di fondo della parabola di quel partito. Sulla base delle conclusioni del congresso del PRC, e delle loro conseguenze, interverremo con una lettera aperta rivolta ai suoi militanti ed iscritti.


25 gennaio 2025

Partito Comunista dei Lavoratori

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