Interventi

Intervista sul CPR di Macomer al compagno Marco Gabbas

4 Febbraio 2025
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Abbiamo già intervistato il nostro compagno sul suo libro Inferno a Rosarno, che parlava delle rivolte di migranti a Rosarno e a Castel Volturno. Adesso invece, a un anno di distanza dal suicidio di Ousmane Sylla, ci parla del CPR (Centro di Permanenza per i Rimpatri) di Macomer.
Marco è particolarmente attivo sul fronte antirazzista, e scrive per il nostro sito firmandosi Elia Spina. Si è avvicinato al nostro partito diversi anni fa proprio perché lo ritiene più coerente di altri sulla questione dell’antirazzismo.


Ciao Marco. Intanto, perché il CPR di Macomer è diverso dagli altri, e perché è necessario parlarne?

Naturalmente tutti i CPR sono dei luoghi terribili, e chi da sempre si informa su di loro lo sa bene. Però, bisogna dire che quello di Macomer ha delle caratteristiche particolari che lo rendono peggiore, forse il peggiore d’Italia. Iniziamo col contesto: il CPR è stato istituito in un ex carcere di massima sicurezza (ma che non è a norma per essere un carcere), alla periferia di un paese di novemila abitanti. È un paese che sconta i gravi problemi di tutto il centro Sardegna e di molte altre zone del Sud: spopolamento, invecchiamento, disoccupazione cronica. È un paese che ha perso duemila abitanti in vent’anni, la cui economia si basava su una piccola zona industriale ormai in crisi e che non si è più ripresa. In buona sostanza, si è deciso di fare questo CPR in una zona particolarmente isolata, utilizzando la Sardegna come una sorta di colonia penale, nel solco, del resto, di una lunga tradizione. Il CPR è lontano dai centri abitati, ma vi vengono anche deportate persone da altri CPR d’Italia, magari per punizione. Questo le separa da parenti e amici, nonché da eventuali avvocati che potrebbero assistere i detenuti nelle zone in cui vivono abitualmente. Bisogna aggiungere che il CPR è stato fondato da un’amministrazione di sinistra con la scusa di dare qualche posto di lavoro, mentre invece la destra si opponeva. Giustamente, dal loro punto di vista, perché in tutti i CPR avvengono periodicamente rivolte e tentativi di fuga.


Chi sono le persone rinchiuse in questo CPR?

Come in tutti i CPR, sono persone che non hanno il necessario permesso di soggiorno, o perché non l’hanno mai avuto, o perché è scaduto e non sono riuscite a rinnovarlo. Vi sono anche diversi ex detenuti che dovrebbero essere espulsi dopo aver scontato delle condanne in carcere. Il problema è che loro dicono apertamente che il CPR è peggio di un carcere: alcuni di loro preferirebbero essere espulsi immediatamente o tornare in carcere, invece di rimanere buttati lì per anni. Per quanto riguarda la loro età, vi sono diverse cose paradossali. Vi è un ragazzo che è stato arrestato minorenne e al quale è stata falsificata la data di nascita per farlo sembrare di vent’anni più vecchio. Vi sono anche diverse persone sopra i 60 anni, che soffrono di gravi malattie fisiche e mentali che non possono curare adeguatamente. Inoltre, il più incredibile è forse un cittadino americano di colore di oltre 60 anni, che crede di essere Nixon. Infine, da alcune denunce scritte presentate dai detenuti, sembra che almeno alcuni di loro siano particolarmente istruiti. Uno di loro ha infatti paragonato la sua condizione a quella descritta dallo scrittore russo Anton Cechov in suo libro del 1895: in questo libro parlava della prigionia zarista sull’isola di Sachalin, al largo della Siberia.


Quali sono le cose più gravi avvenute nel CPR?

Naturalmente, i detenuti devono subire l’ordinaria amministrazione di tutti gli altri CPR: cioè l’impossibilità di ricevere visite, l’essere imbottiti di psicofarmaci, l’impossibilità o difficoltà a comunicare con l’esterno (anche con gli avvocati), mancanza di biblioteche o spazi per lo sport, divieto di scrivere o di fare le pulizie, l’essere buttati lì per mesi e anni senza conoscere il proprio destino. Ma, secondo quando denunciato dalle associazioni Naga e LasciateCIEntrare, che hanno visitato il CPR assieme a una parlamentare, avviene molto di peggio. Il CPR è gestito da una cooperativa con diversi addetti nordafricani che di fatto hanno svolto la funzione di ascari. Il report di Naga contiene accuse gravissime: pestaggi durati ore, vere e proprie torture nelle quali un carabiniere picchiava un uomo sinché non si stancava ed era sostituito da un collega; una persona aggredita con lo spray al peperoncino; numerose altre vessazioni quotidiane; la complicità degli infermieri, ecc.


Quali sono state sinora le conseguenze di queste inquietanti rivelazioni?

Non mi risulta cha la prefettura, la questura e il comando dei carabinieri locali abbiano commentato queste accuse in nessun modo, nonostante siano le istituzioni chiamate in causa. Ricordiamo che ogni CPR è gestito dalla prefettura locale, che lo appalta però a una cooperativa, secondo me anche per potersene poi lavare le mani. Per quanto riguarda la stampa locale, Claudio Zoccheddu sulla Nuova Sardegna è stato particolarmente coraggioso a definire il CPR un «lager nazista». Notare che si tratta del principale quotidiano dell’isola. Per il resto, se n’è parlato, ma secondo me non a sufficienza. Alcuni articoli hanno taciuto le cose più gravi, concentrandosi sui costi del CPR o su un fantomatico “organo di monitoraggio” con il quale la prefettura dovrebbe monitorare sé stessa.


C’è qualcuno che sul territorio si oppone al CPR?

Sì, in Sardegna è attiva un’Assemblea No CPR che cerca di fare il possibile, pur tra mille difficoltà. Anche le reti anarchiche della Sardegna hanno dimostrato di essere molto attive in questo senso. Per quanto riguarda la provincia di Nuoro, nello specifico lo Spazio antifascista nuorese compie una costante opera di sensibilizzazione. L’ultima azione diretta contro il CPR si è svolta a novembre. Un gruppo di attivisti si è avvicinato alla struttura per fare un saluto con casse e microfoni: sono stati immediatamente circondati da polizia e carabinieri, e hanno ricevuto dei fogli di via. La cosa inquietante è che, a differenza di occasioni precedenti, gli attivisti hanno incontrato solo un silenzio tombale: né fischi né grida di saluto come avveniva le altre volte. Si può solo ipotizzare il motivo: i detenuti avevano ricevuto una dose extra di psicofarmaci o di botte? O erano stati rinchiusi nelle celle sotterranee? Sembra che il questore Polverino abbia preso particolarmente a cuore la repressione di queste iniziative di solidarietà, ma gli attivisti hanno fatto sapere che continueranno imperterriti la propria opera.
Invece, la sezione provinciale dell’ANPI mostra la sua sostanziale assenza in questa questione, del resto coerentemente con certi suoi atteggiamenti passati (insulti contro migranti che chiedevano aiuto). A parte un simbolico presidio, infatti, l’ANPI sta attenta a non criticare direttamente la prefettura, dato che quest’ultima conferisce le medaglie ai partigiani. Questo è un triste esempio di pseudoantifascismo meramente nostalgico, retorico e totalmente avulso dai problemi dell’oggi. Se fossero vivi, cosa direbbero questi partigiani se sapessero di essere “onorati” da una istituzione del genere? Una domanda che secondo me non è meramente retorica.


In generale, che effetti ha avuto il CPR sulla provincia di Nuoro?

Come ho detto, inizialmente l’idea del CPR nacque con la scusa di dare qualche posto di lavoro. Questo purtroppo ha creato un piccolo indotto e un certo consenso nella zona. Bisogna aggiungere che il CPR (che formalmente non è un carcere) ha portato con sé una forte militarizzazione del territorio: tutti questi poliziotti e carabinieri vanno alloggiati, ecc., e questo contribuisce all’indotto. Sembra che questa militarizzazione riguardi anche il capoluogo Nuoro. Il 28 dicembre allo Spazio antifascista nuorese si è svolta una assemblea dal titolo “Nuoro città blindata”. A questa iniziativa hanno partecipato decine di persone di tutte le età: si sono denunciati numerosi episodi di fermi e perquisizioni arbitrarie avvenuti ultimamente nella città, anche denudando le persone coinvolte. È stato presentato un opuscolo di autodifesa legale, e si è sottolineato che gli stranieri sono naturalmente vittime di vessazioni particolari, quindi in futuro si cercherà di agire in questo senso (negli anni passati un giornalista cattolico locale aveva denunciato episodi di corruzione e insulti ai danni dei migranti che chiedevano il permesso di soggiorno, e questa questione è naturalmente legata a quella del CPR).


Quali proposte e rivendicazioni si potrebbero avanzare su Macomer e in generale sul sistema dei CPR, da un versante anticapitalista e marxista?

In generale, Marx è utile per capire la discriminazione sistematica cui sono soggetti i migranti perché ci aiuta a capire la differenza fra struttura e sovrastruttura. Spesso si tende a fare confusione, e a pensare che il razzismo sia racchiuso in pregiudizi culturali o superficiali sugli stranieri (sono tutti delinquenti, terroristi, trattano le donne da inferiori, ecc.). In realtà questi pregiudizi, per quanto diffusi, sono una sovrastruttura. La struttura del razzismo è invece costituita dalla discriminazione istituzionale dei migranti, che permette a sua volta uno sfruttamento capitalistico ancora più feroce che nei confronti dei proletari italiani. Anche l’italiano più povero infatti non può essere espulso dal Paese, non può essere ricattato col permesso di soggiorno, non può essere chiuso in un CPR, ecc. In un certo senso, i CPR possono essere considerati l’ultimo girone infernale di questa struttura razzista, e sarebbe bene sottolineare questo aspetto.
Per quanto riguarda proposte e rivendicazioni precise, naturalmente il problema non è semplice: i CPR esistono dal 1998, e combatterli non è facile, soprattutto quando la maggioranza della gente è indifferente o addirittura d’accordo. Per semplificare, non bisogna lasciare niente di intentato, non ignorare gli obiettivi parziali pur senza perdere di vista quello finale. Obiettivi parziali possono essere parlare il più possibile del tema, aumentare la pressione mediatica e le ispezioni, cercare di fare avere assistenza medica e legale ai reclusi, vitto e vestiario dall’esterno, ecc. Possono sembrare banalità, ma per una persona rinchiusa in una specie di lager queste cose possono fare la differenza fra la vita e la morte. L’obiettivo finale, non c’è dubbio, è che i CPR vadano semplicemente chiusi per sempre. Può sembrare utopistico, ma se guardiamo al passato, le lotte dei prigionieri hanno già ottenuto dei risultati parziali. Rendendo inagibile un CPR, i detenuti possono essere spostati in CPR meno punitivi, in carcere, o anche rilasciati con un decreto di espulsione. Lo so che a una persona in libertà può sembrare incredibile, ma spesso anche una di queste varianti è pur sempre un miglioramento rispetto alla condizione che si soffre.


Perché sei così attivo su questo fronte?

In generale sono attivo sul fronte antirazzista perché faccio parte di una famiglia mista. Ciò vuol dire che siamo stati vessati e angariati per anni proprio come tutti gli altri immigrati. Per quanto riguarda il CPR di Macomer nello specifico, queste rivelazioni mi hanno sconvolto perché io sono nato e cresciuto a poca distanza da Macomer. Evidentemente, la Sardegna non è sempre un luogo ospitale, contrariamente a quanto vorrebbe un diffuso luogo comune. Insomma, per i migranti l’inferno non c’è solo a Rosarno.


Tu sei oggetto di intimidazioni per la tua opera di sensibilizzazione?

Per adesso, nessuna delle istituzioni coinvolte mi ha cercato. Sarà anche che non conto nulla, sono un illustre sconosciuto. Diciamo che in certe zone c’è una mentalità “da clan”, quindi secondo questa mentalità io dovrei fare finta di niente su questioni così gravi se un membro del “clan” è coinvolto. Ma ci si può mettere l’anima in pace: sinché avrò la forza e il modo di esprimermi su queste questioni non starò zitto, l’unica è farmi fuori.

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