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Sindacati inermi ai piedi del governo. A quando la 'rivolta sociale'?
12 Novembre 2024
Se si valutasse sulla base delle rispettive retoriche, si potrebbe dire che il lungo incontro governo-sindacati sulla Legge di bilancio 2025 sia finito con un uno a zero a favore del governo.
A pochi giorni dal grido di battaglia della rivolta sociale da parte di Maurizio Landini, si può dire che l'incontro di Palazzo Chigi sia stato un trampolino ben poco utile allo scatenamento delle piazze, se mai lo si sia inteso utilizzare in tal senso. Da un lato, CGIL e UIL non possono ovviamente che riconoscere l'inamovibilità e l'impermeabilità del governo, intenzionato a non arretrare davanti a una finanziaria perfettamente in linea con i desiderata dell'imperialismo italiano e della UE (tagli e prudenza di bilancio, con contorno di tasse non dichiarate). Dall'altro, il governo non può che avere gioco facile nel presentarsi come continuatore delle politiche di bilancio degli anni passati. «Abbiamo deciso di confermare e potenziare le principali misure introdotte negli anni precedenti [...] rendendone alcune strutturali, come peraltro veniva richiesto soprattutto dalle organizzazioni sindacali», annuncia Meloni. Il riferimento al taglio al cuneo fiscale reso strutturale è funzionale a dare un colpo anche ai sindacati, che ne hanno fatto per anni uno dei punti centrali della propria propaganda.
Quindi da una parte il governo che non solo rivendica continuità con le manovre precedenti (sottinteso rivolto ai sindacati: "dov'era la vostra rivolta ai tempi di Draghi e Conte?") ma che getta fumo negli occhi presentandosi come il governo che non tocca Ape sociale, Opzione donna e Quota 103; il governo che tassa banche e assicurazioni; il governo dei "sacrifici sì ma per tutti" (Giorgetti). Dall'altra i sindacati che arrivano all'appuntamento con tutte le proprie (poche e malandate) armi a disposizione spuntate. E spuntate non solo davanti alla retorica governativa, ma davanti ai fatti.
I margini sono quelli, gli spazi di modifica sono limitati, recita il ritornello, anche in salsa sovranista-meloniana. «Se si condivide l'impianto bisogna stare dentro quella logica», lamenta Landini al termine dell'incontro. «Quando uno ti dice "sì, sono disponibile al confronto, purché qualsiasi modifica alla legge [finanziaria] stia nell'ambito della legge che abbiamo deciso e dentro i margini economici che abbiamo definito", di che cosa stiamo discutendo? Che cosa ci avete chiamato a fare? Per cambiare che cosa?».
Già. La domanda potrebbe essere proficuamente rivolta allo stesso Landini e alle dirigenze sindacali. Cambiare che cosa? Al di là delle proposte nel vertice con il governo, dall'esito scontato, la piattaforma dell'annunciato sciopero generale del 29 novembre è illustrativa a riguardo. Imporre la questione salariale? La piattaforma non la nomina, confinando la questione ai soli aspetti, pur importanti, dei rinnovi contrattuali e della perdita del potere d'acquisto. Lotta all'inflazione? Landini giustamente critica l'aumento del 6% dell'accordo separato a fronte dell'inflazione al 17%, ma nel corso della stessa dichiarazione (!) loda l'accordo dei tessili appena firmato in cui l'aumento è fra... il 12 e il 13% (arrivando a vantare che «se c'è un aumento dei salari in questo anno è grazie al rinnovo dei contratti che il sindacato ha fatto con i datori di lavoro privati»). Mandare a monte la legge Fornero? CGIL e UIL, che pure riconoscono che si applicherà al 99,9% dei lavoratori, parlano di... «superamento» (rinunciando perfino, incredibilmente, a un minimo accenno ai propositi anti-Fornero del Salvini di qualche anno fa, ora al governo). Imporre misure per la sicurezza sul lavoro, magari con l'introduzione del reato di omicidio sul lavoro? CGIL e UIL si accontentano di chiedere genericamente di «cambiare la legislazione». Blocco dei licenziamenti? Sì, ma non si capisce come e in che prospettiva, visto che la rivendicazione, laddove si parla di non meglio precisati «investimenti per difendere l'occupazione», finisce per essere relegata in un inciso, quasi fosse una questione secondaria o subordinata. Cancellazione delle leggi di precarizzazione del lavoro? Figuriamoci, nella piattaforma per il 29 non c'è neanche un timido accenno al Jobs act o alle ultime misure. Campagna contro l'aumento vertiginoso delle spese militari? Nella piattaforma per il 29 non ce n'è traccia.
La «logica» del governo l'abbiamo capita, ed è la logica della gestione della crisi capitalista in epoca di declino, tensioni e guerre. La «logica» di Landini e Bombardieri, invece, continua a essere nella migliore delle ipotesi quella di un keynesismo fuori contesto e fuori tempo, cioè la speranza che l'aumento della spesa pubblica e una generica politica industriale (in mano a chi? Decisa da chi? In base a cosa? Per produrre cosa?) siano la panacea del disastro in corso.
È con morigerati appelli all'aumento della spesa pubblica che CGIL e UIL intendono combattere la logica del governo (e della UE, come Landini stesso ammette di sfuggita) che pure a parole contestano? È con la solita lista della spesa, sacrosanta ma priva di ogni baricentro, di ogni potere e di ogni leva di mobilitazione, che CGIL e UIL intendono sfidare questa logica?
Che ne è della "rivolta sociale", quando un momento dopo averla tirata fuori dal cassetto, Landini corre in TV a precisare che per lui la "rivolta" significa semplicemente che i lavoratori debbano «utilizzare tutti gli strumenti democratici che uno ha a disposizione per cambiare questa situazione»? Gli strumenti democratici a disposizione dei lavoratori sono ormai ben pochi, ovunque li si voglia andare a cercare, nelle piazze e sui luoghi di lavoro. Il governo a guida post-fascista si sta adoperando per far sì che siano ancora meno. Se «gli strumenti democratici» sono quindi alla base della "rivolta sociale" così come la intende e la immagina Landini, non sarebbe forse il caso di farne uno degli assi centrali della battaglia, invece di dimenticarsi del ddl 1660 all'ultimo punto della piattaforma?
La giornata del 29 novembre potrebbe e dovrebbe essere un momento in cui la rivolta sociale – quella vera e non quella al cloroformio vagheggiata da Landini – passi dalle parole ai fatti.