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Ucraina. Gli Amici della pace e l'alleato europeo
Della “pace” secondo Orbán e della sua stomachevole ipocrisia
12 Ottobre 2024
Già più volte su queste pagine abbiamo parlato del semi-regime dell’ungherese Orbán e della sua ipocrita posizione per la “pace” in Ucraina. Un interessante recente avvenimento costituisce un’occasione per ribadire perché, pronunciata dalla bocca sua e dei suoi scagnozzi, la parola “pace” deve avere obbligatoriamente le virgolette (aggiungendo anche qualche dettaglio per capire meglio il contesto).
La Cina ha recentemente fondato un gruppo di “Amici della pace” per tentare di porre fine al conflitto ucraino. Di questa bella iniziativa fanno parte Algeria, Bolivia, Brasile, Colombia, Egitto, Indonesia, Kazakistan, Kenya, Messico, Sud Africa, Turchia e Zambia. Sarebbe bello fare un discorso separato per ognuno di questi Paesi e parlare di quanto poco coerente sia la loro partecipazione, ma concentriamoci sull’unico partecipante europeo, l’Ungheria.
La cosa non deve stupire: l’Ungheria di Orbán è ormai da tempo diventata l’agente dell’asse russo-cinese all’interno dell’Unione Europea e della NATO. Si noti bene che Orbán non parla nemmeno di uscire né dall’una né dall’altra. Pur insultando l’UE ogni singolo giorno con accuse ipocrite o fantasiose, rimane uno dei Paesi che più beneficiano dei fondi europei. Pur criticando il ruolo della NATO in Ucraina, vi rimane dentro e anzi alza le spese militari (ma c’è dell’altro, come vedremo).
È pure vero che questi Amici della pace hanno un piano meno ambizioso di quanto sembri: non si parla in realtà «della fine della guerra, ma solo di un tentativo di ridurre le tensioni e congelare il conflitto» (1).
Per capire quale tipo di congelamento Orbán possa desiderare, è bene fare un passo indietro e analizzare come la sua posizione è cambiata dall’inizio della guerra, passando da essere ambigua e pilatesca a essere quasi esplicitamente favorevole a un’annessione di parte dell’Ucraina da parte della Russia (con altri obiettivi addizionali).
Lo scoppio del conflitto due anni fa aveva probabilmente colto Orbán in imbarazzo. È quasi sicuro che Putin non avesse avvisato l’amico ungherese delle sue intenzioni, e si trattava di una aggressione difficile da giustificare anche per una faccia di bronzo come Orbán. Senza contare che in Ucraina vive una piccola minoranza ungherese: una ragione di più per condannare l’aggressione dell’imperialismo russo, si potrebbe pensare.
Eppure, come tante altre volte, Orbán è stato maestro a manipolare apparenti svantaggi a suo favore, e a cambiare abilmente la sua posizione, radicalizzandola sempre di più.
All’inizio la sua posizione è stata ambigua e pilatesca, condannando formalmente l’aggressione ma cercando di spiegarla in qualche modo. Eppure, in bocca a lui i due possibili argomenti sembrano uno più sballato dell’altro.
La Russia si sente minacciata dall’espansione a oriente della NATO? Peccato che anche l’Ungheria abbia fatto parte di quella espansione! Non dovrebbe allora l’Ungheria cercare di superare la NATO? Poi, la responsabilità che anche la minoranza ungherese sia potenzialmente a rischio a causa dell’invasione di Putin viene rovesciata sull’Ucraina: gli ungheresi che vivono in Ucraina non possono essere chiamati alle armi come tutti gli altri? Inoltre, si esagerano ad arte le discriminazioni da essi subite in Ucraina (applicando un modello ben testato da Putin, secondo il quale in Ucraina sarebbe “vietato parlare russo” – una idiozia dalle dimensioni colossali in un paese bilingue di fatto).
Secondo questa strategia iniziale, tutto sommato se Putin è cattivo, sono cattivi anche gli ucraini, e questo ragionamento sembrava sufficiente per lavarsi le mani e la coscienza (in modo in verità assai dubbio, negando cioè che ci sia un aggressore imperialista e un aggredito semicoloniale che si difende).
La campagna di Orbán contro le sanzioni alla Russia ha compreso manifesti su cui compariva una bomba con la scritta “Sanzioni”: sembra che le sanzioni siano più pericolose e condannabili dei bombardamenti russi che hanno ucciso anche civili.
Ma la strategia di Orbán è purtroppo peggiorata. È possibile capirlo ascoltando le dichiarazioni di La Nostra Patria (A mi hazánk), un piccolo partito paranazista a destra di Orbán (per la verità, si tratta di una scissione del partito Jobbik favorita da Orbán stesso per indebolirlo). È già successo che La Nostra Patria anticipasse dei passi poi fatti da Orbán. Insomma, fanno gli “estremisti” quando il ruolo gli viene poi rubato dal giocatore principale. Nello specifico, da qualche tempo a questa parte La Nostra Patria parla apertamente di annessione della zona dei bassi Carpazi, proprio la zona dell’Ucraina dove risiede la minoranza ungherese. La proposta sarebbe incredibile, ma purtroppo lo diviene di meno essendo l’Ucraina già assediata da est. Bisogna aggiungere che questa minoranza – fra cui ci sono persone con un’idea molto edulcorata e fantasiosa della Russia – viene usata in modo retorico e come pretesto per una possibile annessione. Nel concreto, non sembra che questi “parenti poveri” interessino molto agli ungheresi: gli ungheresi che dall’Ucraina si sono trasferiti entro i confini magiari non sono particolarmente benvoluti: quando lo sciovinismo inizia, non si sa mai dove finisce.
Una ventina di anni fa, poi, un referendum che avrebbe permesso loro di acquisire facilmente la cittadinanza fu bocciato dagli elettori. Insomma: meglio se i parenti poveri se ne stanno a casa loro. Si aggiunga un ulteriore paradosso: dato che questa zona è una delle meno colpite dell’Ucraina, la guerra ha anche rappresentato un’opportunità. A causa dell’alto numero di profughi interni, i prezzi degli affitti sono molto aumentati, facendo la fortuna dei proprietari di immobili.
Queste inquietanti mire revansciste sono accompagnate da una crescente militarizzazione della società ungherese. Da tempo è iniziata una campagna di arruolamento straordinaria (“per proteggere la pace e la sicurezza dell’Ungheria”), si vedono inviti a diventare riservisti territoriali, patetiche mostre dal contenuto militarista e patriottardo vengono organizzate, compare uno sceneggiato televisivo che glorifica l’esercito nazionale. Sullo sfondo, non dimentichiamoci che nel 2022 l’Ungheria è stato il Paese NATO che ha speso la percentuale più alta del Pil in attrezzature militari: insomma, Orbán figlio dei fiori!
Naturalmente, rimane la speranza che queste inquietanti mire rimangano delle smargiassate revansciste, ma non c’è da stare troppo sicuri, visti i trascorsi. È anche possibile che Orbán non pensi a una vera e propria annessione militare dei bassi Carpazi, per lo meno non subito. Da politico scaltro qual è, è possibile che segua un piano più ambiguo. Intanto, il conflitto deve essere congelato e la “pace” ottenuta (si intende, lasciando a Putin tutti i territori occupati; se l’Ucraina accetterà mai una simile tregua armata è un altro discorso). Una volta assicurato il bottino orientale dell’alleato Putin, Orbán potrebbe cercare di ottenere il proprio per vie traverse.
Anche con una simile tregua armata, probabilmente l’Ucraina continuerebbe a temere ulteriori attacchi, continuando una spirale di riarmo e di ulteriori richieste di aiuto agli alleati occidentali, alla NATO, ecc.
Il ruolo dell’Ungheria potrebbe puntare sul suo far parte della NATO e sulla minoranza presente in Ucraina. Orbán potrebbe offrirsi di “aiutare” l’Ucraina a controllare parte del proprio territorio con truppe ungheresi, ovviamente la zona abitata dalla suddetta minoranza. Intanto, potrebbe trattarsi di un piede messo in Ucraina in attesa di soluzioni più appetibili, come una specie di protettorato, o peggio. Per ora, si tratta di rischi e non di sviluppi certi. Ahinoi, quel che sembra è che ci sia un piano neanche tanto celato per smembrare l’Ucraina da più parti.
(1) Cina, prima riunione per gli “Amici della Pace”, presente l’Ungheria – https://contropiano.org/news/internazionale-news/2024/10/01/cina-prima-riunione-per-gli-amici-della-pace-presente-lungheria-0176103