Teoria

Neozapatismo e rivoluzione (III)

Storia dell'EZLN

6 Luglio 2024

Terza parte

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IL PAN AL POTERE, MARCIA DEL COLORE DELLA TERRA E LEGGE INDIGENA

Nel febbraio del 1999 irrompe in Messico la grande lotta ed il grande sciopero studentesco all'Universidad Nacional Autónoma de México (UNAM), contro l'imposizione delle tasse universitarie e per la difesa dell'educazione gratuita e democratica, che durò un anno intero. Gli studenti, centinaia di migliaia, simpatizzavano anche per il movimento zapatista, che fu invitato alle loro assemblee, ma non ci fu alcuna mobilitazione comune, nessuna convergenza nel piano dell'azione, che avrebbe potuto rafforzare il movimento di lotta contro il governo. L'EZLN si è limitato a dichiarazioni di solidarietà.

Nel 2000 L'EZLN resta un'altra volta in silenzio fino alla scadenza elettorale per le presidenziali, dichiarando che non avrebbe appoggiato nessun candidato. Le elezioni (2 luglio 2000) porteranno un risultato storico: per la prima volta viene eletto un presidente non appartenente al PRI. E' infatti Vicente Fox, ex dirigente di Coca Cola, candidato del partito di destra cattolico e imprenditoriale PAN, a rompere dopo 71 anni la successione interrotta di presidenti legati al regime sorto dalla rivoluzione messicana, vincendo le elezioni con il 43%. Il candidato del PRI ottiene invece il 37% e Cárdenas, candidato per la terza volta dal PRD, appena il 17%. In campagna elettorale Fox aveva dichiarato che avrebbe potuto risolvere la questione del Chiapas in 15 minuti (non specificando come). Poco dopo essersi insediato, il primo dicembre del 2000, ordina il ritiro di alcune truppe dalle zone calde del Chiapas, come segno di apertura. I territori neozapatisti erano ormai completamente assediati da parte delle unità militari che nel tempo era quadruplicate (arrivando ad una stima di 60-70.000) e che continuavano la “guerra di bassa intensità”, nonostante in questi 7 anni i ribelli non avessero più praticato alcuna azione armata, forse allora più legittima che mai. Pur confermando l'opposizione dell'EZLN al nuovo governo, Marcos, in un'intervista rilasciata il 31 gennaio 2001, dichiara: “Sono ottimista (…). Penso che avremo un dialogo proficuo con il governo”.

Per pressare il nuovo governo, in questo contesto di novità ed apparente apertura, l'EZLN decide di organizzare una grande marcia sulla capitale, dando prova di forza e uscendo dall'assedio fino allora subíto. La “marcia del colore della terra”, così venne intitolata, parte il 24 febbraio 2001 chiedendo come sempre l'approvazione della proposta di legge indigena, la liberazione dei prigionieri politici zapatisti, la demilitarizzazione di tutte le zone sotto influenza zapatista ed il disarmo dei gruppi paramilitari della regione. Lo stesso giorno Fernando Yáñez Muñoz (il comandante Germán del PFLN ormai ai margini della vita zapatista) viene incaricato dai neozapatisti come figura ponte nel dialogo con i parlamentari e le forze politiche per gli scopi prefissati. E' una delle poche volte che viene chiamato pubblicamente in causa [27] (questa volta forse per concedergli, vista l'amicizia, una sorta di immunità, dato l'ordine di arresto che pende sulla sua persona) ed è curioso come il suo nome non venga preceduto dall'appellativo di comandante, nemmeno da quello di compagno, bensì da quello di “architetto” (la sua professione originaria) e “attivista sociale”.

I manifestanti furono numerosi, oltre alla popolazione nazionale parteciparono moltissimi attivisti da diverse parti del mondo (circa duecentocinquanta gli italiani). Il 28 marzo la marcia arrivò alla capitale, la piazza dello Zócalo fu invasa da una folla immensa, da centinaia di migliaia di persone. Lì Marcos, che usciva per la prima volta dalla zona del conflitto, tenne uno storico comizio. I neozapatisti furono accettati inoltre a parlare al parlamento e, come richiesto, lo stesso giorno l'esercito si ritirò da tutte le posizioni. Si arriva poco dopo, in aprile, all'approvazione da parte del parlamento (con il voto favorevole del PAN, del PRI e del PRD) di una riforma costituzionale in materia indigena con contenuti però distinti dagli accordi di San Andrés e dalla proposta della COCOPA. L'EZLN denuncia il tradimento opponendosi a questa legge, entrata in vigore il 14 agosto 2001, rompe le buone relazioni con il PRD e come ultima spiaggia sviluppa, con un ampio settore intellettuale messicano, una campagna basata sui ricorsi alla magistratura che però non portano al risultato sperato. La solita illusione che la via amministrativa possa sostituire la lotta reale. Sembra quindi l'epilogo dell'intera vicenda, dove il movimento neozapatista ne esce malconcio, umiliato, perdendo in seguito anche un certo supporto da parte della società civile che visse questa sconfitta.

La mobilitazione di quest'anno aveva tutte le potenzialità per imporre una forza progressista rinnovatrice nello scenario politico e sociale messicano, ma non solo. In questo l'EZLN ha avuto una grande responsabilità di fronte anche ai tantissimi giovani attivisti accorsi da tutto il mondo per partecipare a questa mobilitazione con in cuore la speranza di costruire un mondo diverso e migliore. Non ha saputo, anzi non ha voluto porsi all'altezza dei compiti, per unire le varie istanze e dirigerle contro il potere della classe dominante. Assenti furono infatti rivendicazioni più ampie contro il liberismo, per non parlare di rivendicazioni del movimento operaio o rivendicazioni anticapitaliste. Purtroppo da tempo l'EZLN ha scelto la via del riformismo e del compromesso, tramite il dialogo con forze parlamentari della borghesia, oltre a rafforzare il carattere indigenista della propria identità, occupandosi pressoché esclusivamente dei diritti indigeni. In un'intervista a Gabriel García Marquez, pubblicata da Repubblica il 15 marzo 2001 ed intitolata “Addio alle armi”, Marcos dichiara: “In tutti i discorsi che abbiamo fatto durante la marcia abbiamo spiegato alla gente che non possiamo né dirigere, né appoggiare altre lotte. Sappiamo che in Messico ci sono molte ingiustizie, molte ferite, molte proteste ma noi siamo stati onesti. E abbiamo spiegato alla gente che non potevamo occuparci anche di queste. Siamo venuti per la legge degli indios”. Disarmante davvero. Del resto, sempre in marzo, in un'altra intervista, questa volta fatta da Julio Scherer, Marcos afferma chiaramente che non si considera un rivoluzionario bensì un ribelle, rivendicando anche l'errore più orribile di Emiliano Zapata, quando una volta presa la capitale si ritirò nella sua comunità e lasciò il potere alla borghesia.


UN MONDO CHE CAMBIA

Proprio quelli erano gli anni d'oro del movimento internazionale no global, di cui il movimento neozapatista era parte integrante con una posizione eminente anche per il ruolo avuto nella sua genesi. Il Primo Intergalactico del 1996, organizzato dagli zapatisti, se forse non è stato il punto d'origine, è infatti stato sicuramente il punto di svolta ed il ponte per lo sviluppo del movimento antiglobalizzazione, che sarebbe diventato un fenomeno di massa da lì a pochi anni, dando impulso ad una serie di incontri intercontinentali tra attivisti che avrebbero portato alla stagione dei cosiddetti controvertici e dei Social Forum (prima di questo evento c'era solo qualcosa di confuso che si muoveva, come contestazioni e manifestazioni contro alcuni G7 e l'assemblea per l'organizzazione di giornate di azione globale nel gennaio 1996). Nel luglio 1997 infatti si svolse il Secondo Intergalactico a Madrid, mentre nel febbraio 1998, durante il controvertice dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) di Ginevra, fu lanciato il movimento People Global Action (PGA) (azione globale dei popoli, in italiano) che acquisì un'enorme visibilità nel novembre 1999 quando a Seattle il movimento fu in grado di fermare il vertice del WTO. Da lì un vortice di vertici e controvertici internazionali che portarono alle mobilitazioni contro il G8 di Genova nel luglio 2001, l'apice del movimento. Quindi la stagione dei social forum: mondiali (World Social Forum / Forum di Porto Alegre, dal gennaio 2001) ed europei (Forum Sociale Europeo, dal 2002 - dopo il Genova Social Forum del dicembre 2000) [28]. In Italia nel 1998 era nato anche il movimento delle cosiddette tute bianche (in opposizione alle tute blu degli operai) che dal 2001 diventeranno i “disobbedienti”: Rifondazione Comunista ci si butterà a capofitto, appoggiando e partecipando a quel movimento (la giovanile per un periodo cambierà proprio il suo nome in “Giovani Comunisti – Disobbedienti”) che è in prima fila nell'appoggiare il neozapatismo.

A livello internazionale era un rinascere del movimento di protesta, totalmente nuovo dalle forme e dalle ancore ideologiche del passato perché rimasto orfano di una direzione. La sinistra tradizionale internazionale non fu capace di comprendere la sconfitta dell'Unione Sovietica ed anziché confermare il fallimento dello stalinismo e del post-stalinismo operò il superamento della prospettiva comunista. Il World Social Forum era sostenuto dalle correnti di sinistra latinoamericane che avevano visto l'affermazione al potere di Hugo Chavez in Venezuela nel 1998, di Lula in Brasile nel 2002 e di molti altri leader negli anni successivi, che però esprimevano un bonapartismo ed un nazionalismo piccolo borghese. Da un altro lato invece nuovi e vecchi teorici, anch'essi confusi ed incapaci di dare spiegazioni basate sul materialismo storico, si affacciarono sulla scena per inventare e lanciare le formulazioni politiche più fantasiose, e dannose, sulla scia di pensatori revisionisti (strutturalisti e post-strutturalisti) del passato (Althusser, Foucault, Guattari, Deleuze...). Grande impatto ebbero infatti le opere “No logo” (2000) di Naomi Klein, “Impero” (2000) e “Moltitudine” (2004) di Toni Negri e di Michael Hardt (testi nei quali si cancellano concetti come imperialismo, classe, rivoluzione).

La lotta si concentrava quindi contro le grandi istituzioni economiche e del potere: il WTO, il Fondo Monetario Internazionale, La Banca Mondiale, il G8, il Forum Economico Mondiale di Davos, il trattato di Maastricht, le multinazionali. Una lotta contro la globalizzazione in generale. ONG e reti di centri sociali erano gli attori più rilevanti per la propulsione del movimento. Anche internet rivestì un ruolo centrale: nel 1999 nasceva la rete Indymedia.
Un movimento dei movimenti dove si fa strada l'altermondismo, il cooperativismo, l'ambientalismo, l'antagonismo fine a sé stesso, il democraticismo, il localismo.. (e chiaramente il neozapatismo); dove il caratteristico slogan è “pensare globalmente, agire localmente”; dove si esprimono nuove forme di lotta centrate sull'estetica ed in cui l'azione del boicottaggio nel consumo di determinati prodotti riveste un ruolo importante; dove si esprimono nuove forme di organizzazione (o meglio dire disorganizzazione). Tutto questo senza una centralità di classe e senza un vero programma strategico di riorganizzazione della società nel suo insieme, tornando così a pratiche pre-marxiste, che se in lotta contro la globalizzazione, scadono in un nazionalismo ed in una regressione.


EZLN, MOVIMENTO NO GLOBAL E LINGUAGGIO

Il movimento zapatista si ritrova allineato quindi ai nuovi movimenti sociali che vanno esprimendo richieste istituzionali-democratiche all'interno del sistema esistente, basando l'asse di riferimento nella figura del cittadino. Viceversa il movimento no-global, come detto, porta nel cuore il neozapatismo e ancor di più porta al cielo l'immagine del nuovo mito di cui aveva bisogno: il subcomandante Marcos, che con la sua postura “artistica” ed “estetica”, nei suoi comunicati e nelle sue comparse, trova casa, in maniera naturale, in quell'ambiente. Il personaggio di Marcos, nella parte del leader carismatico con eccellenti doti comunicative (non a caso era professore di comunicazione), riveste un ruolo centrale nella proiezione esterna (ed interna) del movimento neozapatista. Fin dai primi mesi del 1994 il movimento, proprio per i suoi caratteri “innovativi”, fu definito da diversi pensatori, a ragione, come “il primo movimento guerrigliero postmoderno”. Celebrato dall'intellighenzia piccolo borghese di sinistra per non prospettare la presa del potere (non aspettavano altro), venne esaltato poi dagli stessi ancora per il nuovo linguaggio che fa uso.

Il linguaggio dell'EZLN / di Marcos è poetico, colorato, mitico, visionario, per alcuni forse gradevole alla lettura, ma politicamente confuso, contraddittorio, disarmante. Un linguaggio che finisce tra l'altro per romanticizzare la condizione indigena (legata alla natura, alla terra, all'essere selvaggia e magica) e che sembra esser diretto più ad una classe media acculturata piuttosto che alla crescita politica delle classi proletarie e degli altri settori indigeni del Messico e del mondo. Non è un caso che non esiste alcun programma politico organico dell'organizzazione, ma occorre cercare di capire qualcosa nella giungla di dichiarazioni e comunicati, molto ripetitivi e più o meno astratti. Il ricorrente uso di metafore, associato alla retorica religiosa ed ai riferimenti tradizionali ancestrali tramandati oralmente è controproducente, non aiutando la chiarezza politica.
Di fatto, anche per le rivendicazioni politiche generali che vengono portate avanti (fin dall'inizio), Marcos potrebbe benissimo esser scambiato per un prete con la pipa e l'intero movimento neozapatista per un movimento umanista-cristiano (stesso discorso tra l'altro anche per i movimenti della “sinistra” post-moderna).
I pensatori della “sinistra” post-moderna (revisionisti ed antimarxisti) si innamorano di questo linguaggio ed arrivano a farne un'apologia, che a volte rasenta il ridicolo, anche per dare corpo alle proprie teorie nelle quali si sostiene che il potere è basato sull'informazione e che quindi le lotte politiche (dove i lavoratori “immateriali” cancellano la concezione di proletariato) sono legate al linguaggio, alla comunicazione, all'immagine: “Se la comunicazione è diventata la fabbrica della produzione (…) allora il controllo sul senso linguistico e il significato delle reti della comunicazione diventano un tema sempre più centrale nelle lotte politiche” [29]. Per questi, conseguentemente, la lotta neozapatista si trasforma in “guerriglia semiologica” e si afferma che “il movimento neozapatista ha un carattere eminentemente comunicativo: le loro lotte disobbedienti offrono al resto della società nuovi codici simbolici che sovvertono la logica di coloro che la dominano” [30]. Certo sarebbe bello avere questa scorciatoia e disimpegnarsi così dalla faticosa e cruenta lotta di classe, ma queste teorie restano astrazioni e allucinazioni di noiosi accademici che non possono fare a meno di dir la loro.

Marcos non arriva a questi livelli, a rivendicare fino in fondo tutto questo impianto teorico così degenerato, ma si presta e dà sponda ad alcune di queste narrazioni ed alcune di queste teorie. Sicuramente lui è una di quelle figure che negli anni ha contribuito anche in prima persona a modellare questa nuova ideologia post-moderna sposata dai movimenti sociali e dalla sinistra riformista internazionale. Il suo testo “La quarta guerra mondiale è cominciata” rappresenta uno scritto fondamentale in cui vengono espressi alcuni dei concetti centrali che tracciano le direttrici per la definizione dell'armamentario di questo nuovo orientamento politico globale. In questo scritto del 1997 il socialismo viene identificato con lo stalinismo, quindi compromesso nell'offrire un'alternativa all'attuale modello economico e sociale (di fatto tutto il pensiero post-moderno ha contribuito a distruggere la coscienza di classe ed il pensiero socialista autentico). La quarta guerra mondiale sarebbe quella fatta tra i grandi centri finanziari (la terza sarebbe quella della guerra fredda), dove la finanza rappresenta il “re supremo del capitale”, dove “il figlio (il neoliberismo) divora il padre (il capitalismo nazionale)” e dove l'era della rivoluzione industriale lascia spazio a quella dalla rivoluzione informatica. Ci si lamenta che il globalismo distrugge le nazioni ed il mercato nazionale, “distruggendo le basi materiali della sovranità nazionale”. Da qui c'è una “ridefinizione degli stati nazionali”, i quali sono “obbligati a dissolversi nelle megalopoli” trasformandosi in “megaimpresa neoliberista”. Al lato delle megalopoli c'è la megapolitica: “Dal punto di vista della megapolitica le politiche nazionali sono cose fatte da nani che devono piegarsi ai diktakt del gigante finanziario. E così sarà, finché i nani non si ribelleranno”. Insomma, si difende il capitalismo contro il neoliberismo, si difendono le nazioni (dipendenti) contro il “globalismo” (“gli zapatisti pensano che sia necessaria la difesa dello stato nazionale di fronte alla globalizzazione”), prospettando una lotta piccoloborghese nazionalista che, in mancanza di analisi di classe e di concezioni marxiste come quella dell'imperialismo e dell'internazionalismo, sfocia nel sovranismo e nel restaurazionismo reazionario.

In un altro importante testo di Marcos, “Il mondo: sette pensieri nel maggio 2003”, si aggiungono altri elementi. Avvicinandosi a considerazioni di stampo complottista, il “nuovo ordine mondiale”, già accennato nel testo del 1997, si combina a quello che: “chiamiamo 'società del Potere' il collettivo di direzione che ha sottratto alla classe politica la facoltà di prendere decisioni fondamentali. Si tratta di un gruppo che non detiene solo il potere economico e non solo in una nazione. (…) La 'società del potere' si caratterizza per condividere obiettivi e metodi comuni”. Quello che viene prospettato, in risposta, è “un mondo che contenga molte resistenze. Non un'internazionale della resistenza, ma una bandiera policroma, una melodia con molti toni”, cioè un certo disimpegno, l'evasione dal problema reale. Questi testi, oltre ad offrire buoni livelli di confusione e contraddittorietà, tra favole e metafore pesanti da digerire per chi fa militanza politica rivoluzionaria, rilanciano l'odiosa contrapposizione tra azione pratica e teoria, quando addirittura non predilige l'una, la pratica, sull'altra, la teoria.


L'AUTONOMIA NEOZAPATISTA

Con l'entrata in vigore (agosto 2001) della riforma costituzionale inerente la questione indigena, il fine amaro di un lungo percorso di lotta neozapatista, il governo rilancia l'offensiva verso l'EZLN attraverso la diffamazione, accusando il movimento di essere intransigente e di non voler il dialogo, e attraverso aggressioni militari contro le comunità ribelli. Marcos e L'EZLN restano per lo più silenziosi fino all'agosto 2003, salvo un interessamento, degno di nota, verso la questione basca in cui si tenta di interloquire con l'ETA e le istituzioni spagnole, con contorni ingerenti, e salvo registrare la nascita di Radio Insurgente il 14 febbraio 2002 e la nascita della rivista neozapatista Rebeldía il 17 novembre dello stesso anno.

Il silenzio viene interrotto da una svolta organizzativa-strategica dell'EZLN. Alla luce della sconfitta nella lotta per la legge indigena, si inaugura una nuova fase che passa dalla lotta alla resistenza, lavorando all'implementazione e allo sviluppo dell'autonomia indigena nei propri territori. Il 9 agosto 2003 viene annunciata la morte degli Aguascalientes che vengono sostituiti con i Caracoles, i quali, rimanendo negli stessi posti, continuano a rappresentare lo spazio per aiutare l'incontro politico e culturale con i settori della società civile (si cambia il nome).
I neozapatisti riorganizzano però la propria struttura organizzativa comunitaria rivedendo anche il rapporto tra l'aspetto politico e quello militare. La comunità locale è la struttura base dell'organizzazione: è composta da circa 300 famiglie e delibera, solitamente per consenso, in assemblee popolari in cui possono esprimersi i maggiori di 12 anni. Nelle comunità esistono inoltre alcuni organi amministrativi per il funzionamento quotidiano. Varie comunità aderenti allo zapatismo, o parti di esse (membri che aderiscono al neozapatismo in una comunità che non aderisce interamente), formano un Municipio Autonomo Ribelle Zapatista (MAREZ), che attraverso un proprio Consiglio Autonomo, formato da rappresentanti delle comunità, amministrano temi come giustizia, salute, educazione, alimentazione, abitazioni, terra, lavoro, commercio, informazione, cultura e transito locale. Vari MAREZ (da 4 a 7) sono rappresentati dalla Junta de Buen Gobierno (JBG) che ha sede nel Caracol (5 Caracoles per 27 MAREZ, per una popolazione totale di circa 360.000 persone). Le JBG, che sono formate da rappresentatati dei MAREZ a rotazione e revocabili in qualsiasi momento, hanno compiti di risolvere i problemi tra una giunta ed un'altra e per aiutarsi reciprocamente, coordinando e livellando le risorse da distribuire che vengono anche dall'esterno. Le JBG sono la massima autorità politica, vigilate però dal CCRI-CG dell'EZLN, che come struttura militare non ricopre alcun incarico o partecipazione nei governi locali. Considerando il contesto indigeno-contadino è da salutare positivamente quindi la capacità organizzativa dei neozapatisti, la loro forma di “auto-governo” declinata in forma più o meno democratica, che risulta superiore alla democrazia e all'organizzazione dello stato borghese.
Dice bene Marcos: “Vogliamo farla finita con l'idea secondo cui governare è una faccenda da specialisti. (…) Non bisogna essere laureati per sapere cosa serve alla nostra gente” [31]. Quella zapatista però è una democrazia che presenta forti limiti. Le decisioni vengono prese attraverso l'antidemocratico metodo del “consenso”, che non consente opposizioni. Inoltre anche le critiche (interne o esterne) non sono ben accette, come hanno avuto modo di dire diversi testimoni, oltre allo stesso Marcos: “queste, qui, non si considerano buone qualità” [32]. Si nasconde un sistema autoritario e giustizialista sommario che porta all'esclusione e all'espulsione, con giustificazioni assurde, di membri non compiacenti o caduti in disgrazia per futili motivi, come è il caso di sinceri collaboratori stranieri o emblematicamente della Maggiore Ana Maria (colei che guidò la presa di San Cristóbal nel 1994) [33] [34]. Si sa poco anche riguardo il CCRI-CG (probabilmente evoluto nella forma dal 1994), come e da chi è composto, il suo ruolo, le sue dinamiche interne.

Il governo messicano, e questo fin dal principio, non gode di alcun riconoscimento nei territori neozapatisti. Ogni suo aiuto o progetto di sviluppo viene rifiutato, ritenuto non sufficiente, inadatto e meschino. Già nella Seconda Dichiarazione della Selva Lacandona si scriveva che: “Anche se aumenterà il nostro dolore e la nostra pena (…) non accetteremo niente. Resisteremo. Non riceveremo niente dal governo. Resisteremo fino a che comandi, che comandi obbedendo”. Al governo nazionale gli zapatisti contrappongono la propria autonomia, che si fonda su tre assi: salute, istruzione e produzione. Si sente spesso dire che la produzione, il lavoro, è di tipo collettivo, ma questo è tale solo in parte nel senso che i neozapatisti si organizzano in cooperative e svolgono attività collettiva, sia per il sostentamento dell'organizzazione sia per sostenere i contadini mandati a rappresentare la comunità negli organi elettivi, ma sullo sfondo di un sistema privato-misto, dove accanto alla proprietà comune della terra le cooperative possono essere private (non dipendenti dall'organizzazione) e dove tutti hanno la libertà di lavorare e vendere per proprio conto. L'economia neozapatista, di sussistenza, è prevalentemente di tipo agricolo, in cui viene coltivato mais, fagioli, caffè, banane, zucchero; vengono allevati bovini, suini, polli; si produce anche abbigliamento (tradizionale). Per le attività economiche le JBG possono fornire prestiti a basso interesse.

Per quanto riguarda il campo sanitario si è arrivati a costruire un sistema gratuito con diversi ambulatori, cliniche ed ospedali, oltre a diverse centinaia di persone “promotrici di salute” (anche se resta diffusa la pratica della medicina tradizionale ed omeopatica). Nel campo dell'educazione si contano proprie scuole primarie e secondarie con circa mille persone “promotrici dell'educazione”. Tutto questo insieme ha reso possibile il miglioramento delle condizioni di vita dei membri delle comunità zapatiste ed ha permesso spesso di ottenere standard migliori rispetto a quelli presenti nelle comunità “assistite” dal governo. Elementi che però non frenano del tutto un certo processo di emigrazione (soprattutto verso Cancún, Città del Messico o Stati Uniti d'America).

Sebbene i neozapatisti siano orgogliosi della loro “autonomia”, molto in realtà dipende dagli aiuti esterni, che arrivano principalmente dalle ONG [35]. E' chiaro che un sistema economico agricolo isolato/autonomo ed arretrato come il loro non può competere con i livelli di “benessere” offerti da un sistema basato sulla produzione industriale, ma, ritrovandosi accerchiato/inserito in un sistema capitalista di mercato, nemmeno può garantire livelli dignitosi di sopravvivenza perché, se non fosse per l'opera di assistenzialismo che lo tiene a galla (per esempio, anche solo banalmente, ricevendo la vaccinazione contro il Covid-19), si troverebbe, in condizioni normali, “fuori mercato” e quindi cadaverico. Per questo, la “autonomia” neozapatista, non può esser idealizzata come un'isola felice, e non si può considerare come un'alternativa al capitalismo, rappresentando tuttalpiù un sistema “etico” non autosufficiente votato alla “resistenza”. La lotta per contrastare il capitalismo dovrebbe trovare invece sbocco nel suo superamento (attraverso l'obiettivo del socialismo internazionale e di un'economia socializzata pianificata), non finire regrediti a suoi stadi precedenti e sottosviluppati.


SESTA DICHIARAZIONE

Ribadendo che per tornare al dialogo era necessaria prima l'approvazione della legge basata sugli accordi di San Andrés, l'EZLN resta concentrato nello sviluppo della sua “autonomia” (e autogoverno), non facendosi mancare l'autocritica su alcuni aspetti (eccessiva influenza della struttura militare sulla vita delle JBG e lento avanzamento sull'emancipazione delle donne), ma restando piuttosto silenzioso verso l'esterno, conoscendo un certo allontanamento dalla società civile. Nel giugno del 2005, in vista delle elezioni presidenziali in programma l'anno successivo, torna però alla cronaca criticando tutti i partiti politici ed i loro leader, incluso l'ex “alleato” Cárdenas ed il nuovo candidato del PRD Andrés Manuel López Obrador (detto AMLO) che viene dichiarato il continuatore di Carlos Salinas. Viene sancita così la rottura verso tutti i partiti che permarrà fino all'oggi. Interessante notare anche come Marcos caratterizza qui i governi di Lula, Tabaré e Kirchner (“amministrazioni neoliberista con la mano sinistra”), Chávez (“nazionalismo popolare”) e Castro (“governo socialista”) [36].

Poco dopo, nello stesso mese, e dopo un'ampia consultazione della base neozapatista, esce la Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, chiamata anche semplicemente la Sexta. L'ultima, quella che cambia la fisionomia dell'EZLN e lo consegna così fino al periodo attuale. E' il punto di arrivo del nuovo riassetto dell'EZLN (cominciato a metà del 2001): dopo aver “consolidato” la propria “autonomia” cerca ora di rilanciarsi e lo fa sulla base di quello che può esser definito un manifesto dell'organizzazione.
Il documento, infatti, oltre a ripercorrere fin dal 1994 le varie tappe della lotta dell'organizzazione, dà anche una lettura politica sull'attuale contesto nazionale ed internazionale, offrendo una critica al sistema economico capitalista (ora nella sua fase di “globalizzazione neoliberista”). Viene infine proposto un percorso di unità, per unire “tutti quelli che resistono”. Un percorso che a partire dalla “gente semplice e umile” e dalle organizzazioni di sinistra possa trovare un accordo per “resistere contro la globalizzazione neoliberale”, per “un programma nazionale di lotta, però un programma che sia chiaramente di sinistra ossia anticapitalista ossia antineoliberista, ossia per la giustizia, la democrazia e la libertà per il popolo messicano”, una lotta infine per una nuova Costituzione. Per questo si lancia una campagna nazionale per aderire alla dichiarazione, una carovana da compiere per tutto il Messico per “scambiare esperienze, storie, idee, sogni”, un cammino che si basa nell' “ascoltare e domandare, parlare ed ascoltare, camminare domandando”, mantra che l'EZLN porta avanti fin dalla sua nascita. Non manca inoltre l'impegno internazionale dei neozapatisti per creare un “un mondo grande che possa contenere tutti i mondi”, cercando di costruire più relazioni e appoggio reciproco con persone e organizzazioni ”che resistono e lottano contro il neoliberismo e l'umanità”.

La Sexta rappresenta per certi aspetti uno spostamento a sinistra: l'ancoraggio dei propri riferimenti nella sinistra, il tentativo di superare la sinistra istituzionale (compromessa), la ricerca di un programma comune tra chi lotta (tra questi, gli operai sono nominati per primi), il riferimento all'anticapitalismo. Un netto passo avanti rispetto alle dichiarazioni precedenti ed al suo discorso generale.. ma permane nell'intero impianto l'interclassismo, il riformismo ed il nazionalismo piccolo borghese. Cioè un presunto anticapitalismo senza lotta di classe, antitetico ed innocuo, come del resto molti movimenti di massa hanno assunto da riferimento negli ultimi anni.
Si nota come l'EZLN registri negli anni continui cambi di strategia, battendo empiricamente differenti sentieri alla ricerca di possibili (illusorie) scorciatoie (surrogati del marxismo) per la propria lotta e quella di tutti gli oppressi. Questi continui cambi sarebbero discreditanti per una qualsiasi organizzazione politica, ma evidentemente non nella famiglia della sinistra riformista internazionale, che ha bisogno sempre di nuove illusioni e nuovi miti. Citando un compagno internazionalista: “Stalin, Mao, Ho Chi Minh, Castro, Guevara, Sandinisti, Zapatisti... Chi non riesce ad approdare e saldamente ancorarsi al materialismo storico, se lascia Dio, Cristo la Madonna e i Santi, deve pur darsi un salvatore della anima sua raminga e vuota.” [37]

Nella VI Dichiarazione si afferma anche che l'EZLN: “mantiene il suo impegno di cessate il fuoco offensivo e non farà alcun attacco contro forze governative né movimenti militari offensivi” (quindi a quanto pare includendo anche il cessate il fuoco difensivo), bensì intende “insistere nella via politica”. Nella sua intera storia l'organizzazione ha usato le armi solo nei primi giorni del 1994, abbandonandole nei fatti già il 12 gennaio di quell'anno. Successivamente il tema dell'armamento è stato utilizzato dai neozapatisti come elemento deterrente e di ricatto verso il governo, dichiarando di esser sempre pronti a riprendere le armi se la loro lotta pacifica non avesse trovato sbocco. In realtà questa postura non è stata credibile, perché altrimenti l'opzione armata sarebbe dovuta riapparire (dignitosamente) in diverse occasioni (per esempio al tempo dell'inganno del governo con gli accordi di San Andrés, o quando ci fu il tradimento finale di tutte le forze parlamentari nel 2000). Non esiste un momento preciso in cui L'EZLN dichiara ufficialmente l'abbandono delle armi, ma da qui in avanti non si farà più nessun riferimento a quella alternativa, neppure in chiave deterrente (anche se Marcos a volte si farà ancora vedere con un fucile in spalla, non solo per questioni estetiche, ma probabilmente anche per autodifesa).


Prima parte

Seconda parte

Quarta parte



Note:

[27] L'altra volta che viene nominato Fernando Yáñez Muñoz nella vita dell'EZLN, nei suoi comunicati, è quando, l'anno dopo, si parla della nascita della rivista zapatista Rebeldía.
[28] Mentre questi appuntamenti sopravvivono in qualche modo, quelli dei controvertici invece si sgonfiano abbastanza in fretta, complice la batosta ricevuta dai fatti di Genova e la svolta nell'agenda politica internazionale impressa dagli attentati dell'11 settembre 2001. Il movimento si concentrerà quindi più sul tema dell'opposizione della guerra, alla luce anche dell'inizio della seconda guerra del golfo nel 2003.
[29] cit. Impero – Antonio Negri, Michael Hardt (2000)
[30] cit. La metafora disobbediente. Le retoriche postmoderne dell'EZLN – Maria Amalia Barchiesi (2012)
[31] cit. Punto e a capo. Presente, passato e futuro del movimento zapatiata – Subcomandante Marcos intervistato da Laura Castellanos (2008)
[32] cit. Eternamente straniero. Un medico napoletano nella selva Lacandona – Cippi Martinelli (2018)
[33] vedi Eternamente straniero. Un medico napoletano nella selva Lacandona – Cippi Martinelli (2018)
[34] Frank, membro indigeno fondatore dell'EZLN, abbandona l'EZLN nel 1997 per divergenze interne
[35] Anche l'Inter FC ha inviato aiuti agli zapatisti ed è stato vicino ad organizzare una partita amichevole, mantenendo per un bel periodo relazioni amichevoli
[36] vedi La (imposible) ¿Geometría? del Poder en México (19 giugno 2005)
[37] cit. Mauro jr Stefanini (Battaglia Comunista)

Elder Rambaldi

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