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L'insurrezione neozapatista trent'anni dopo
6 Luglio 2024
Il primo gennaio 1994, nello stato messicano del Chiapas, un evento inaspettato e prorompente ha fatto la storia del movimento di lotta di tutti gli oppressi, aprendo la strada a nuovi percorsi, nuovi riferimenti, nuove concezioni nella sinistra internazionale ed andando a rivestire un ruolo chiave nel percorso di sviluppo del movimento no global.
Lì, nella periferia globale, tra i monti e le foreste, si è prodotta una sollevazione armata dei popoli indigeni locali, organizzati sotto la sigla dell'allora pressoché sconosciuto EZLN: l'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.
Dopo decenni di oppressione e violenza da parte dei capitalisti e da parte dello stato, migliaia di contadini del Chiapas guidati dall'EZLN (nel 1994 si contano circa 5.000-10.000 attivisti, di cui 2.000 combattenti, nella quasi totalità indigeni) decidono in quel giorno, lo stesso dell'entrata in vigore del trattato economico NAFTA, che coinvolgeva il Messico, di sollevarsi in armi occupando diversi centri della regione: San Cristóbal de las Casas, Ocosingo, Altamirano, Las Margaritas, Chanal; poi occupazioni anche a Oxchuc, Huixtán, Abasolo, Simojovel, San Andrés Larráinzar. Nelle periferie, inoltre, i contadini zapatisti prendono possesso di centinaia di proprietà terriere dei latifondisti, risolvendo così, a loro modo, il problema della distribuzione e della redistribuzione delle terre. Ad Ocosingo avviene una battaglia particolarmente violenta con l'esercito, che porta a una cinquantina di morti tra i combattenti ribelli, mentre negli altri centri le azioni dei guerriglieri sono contenute rapidamente: a fronte dell'arrivo dell'artiglieria dell'esercito c'è una ritirata delle forze zapatiste piuttosto rapida, già dal mattino del giorno seguente.
Le condizioni che soffrivano gli indigeni del Chiapas erano le peggiori: estrema povertà, esclusione sociale, forme di razzismo, discriminazione e violenza da parte della popolazione meticcia/ladina e da parte dello stato. La stessa regione, nella quale la classe operaia è sempre stata assai ridotta, è tra le più economicamente arretrate del Messico (già di suo periferia capitalista), il quale dagli anni '80 ha intrapreso la strada di spiccate politiche liberistiche e di austerità. Il tutto in un sistema politico “monopartito”, autoritario, clientelare e corporativo che vedeva il Partido Revolucionario Istitucional (PRI) al potere interrottamente dal dopoguerra ed allontanatosi progressivamente, a fasi ondulatorie, dalle conquiste rivoluzionarie di inizio secolo.
La storia della costruzione dell'EZLN è una storia affascinante. Questo nasce nel 1983 come il braccio armato delle Fuerzas de Liberación Nacional (FLN) le quali si definiscono una formazione socialista e marxista-leninista (stalinista, filocubana). L'EZLN resta sotto il suo ombrello, rivendicandone tutti i suoi assi politici, fino ai primi giorni del 1994, quando avviene la rottura definitiva tra il comandante German (capo delle FLN) ed il subcomandante Marcos (al capo dell'EZLN dal 1988). Se fu Marcos a spingere per la decisione della sollevazione armata, convincendo la direzione delle FLN allora attestata su un processo insurrezionale a lungo termine, lo stesso Marcos opera una recisione con le radici marxiste e inizia un processo di revisione e trasformazione disordinata dell'organizzazione quando comprende la mal parata dell'insurrezione zapatista, cioè quando non sopraggiunse la sperata sollevazione nazionale popolare e quando si vide che le forze zapatiste non avevano la forza di marciare armate sulla capitale. Comincia lì quindi un percorso di trasformazione che porta l'EZLN a cambiare pelle, anche rileggendo e riscrivendo (ponendo accenti differenti) la propria storia in senso indigenista.
Marcos (Rafael Sebastián Guillén Vicente), ripreso e fotografato sempre con la sua pipa, riuscirà a trasformarsi presto in un personaggio e in un mito, distinguendosi per il suo stile letterario, metaforico, autoironico, costruendo il suo personaggio “antieroe”, oltre a diventare uno stratega della comunicazione. In lui si concentrerà un grande potere, anche se L'EZLN si basa su un ideale di democrazia comunitaria: il “mandar obedeciendo” (comandare obbedendo), che contempla molteplici varianti.
Il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno (CCRI) è composto da rappresentanti delle comunità e configura una democrazia rappresentativa all'interno dell'EZLN. Per il resto si fa riferimento alla pratica del consenso e all'assemblearismo, pratiche tutt'altro che democratiche, visto che in queste si esclude la dissidenza, l'astensione ed il vero confronto politico, oltre a poter celare abusi di potere, estromissione di minoranze, forme di violenza sociale o addirittura fisica.
Dopo l'insurrezione, il governo avrebbe potuto optare per la strada dell'annichilimento dei rivoltosi, ma il presidente Salinas sceglie già dall'inizio di evitare lo scontro diretto e di alimentare la spirale di violenza, lavorando alla costituzione di un tavolo di trattative. Il 12 gennaio il governo annuncia il cessate il fuoco unilaterale. L'EZLN, a sua volta, ordina la cessazione dei combattimenti, rientrando nelle loro comunità (e non facendo mai più ricorso alle armi nella lotta politica).
Le rivendicazioni e la linea politica dell'EZLN, pur nebulose e controverse, si articolano lungo le loro Dichiarazioni della Selva Lacandona. Nella Prima, emanata proprio il giorno dell'insurrezione, basandosi sulla Costituzione e sottolineando la fedeltà alla Patria e alla bandiera tricolore, si rivendica: un governo libero e democratico, il riconoscimento dell'identità culturale indigena con diritti politici e sociali, ed infine principi generici come lavoro, terra, casa, cibo, salute, educazione, indipendenza, libertà, democrazia, giustizia e pace. Nessun riferimento ad analisi di classe, nessuna messa in discussione del capitalismo, né la formulazione di un progetto politico e sociale con basi veramente alternative, per non parlare del socialismo e della dittatura del proletariato. Inoltre viene negata dall'EZLN sia l'aspirazione a trasformarsi in forza di avanguardia del movimento di opposizione nazionale sia l'aspirazione a governare.
Già da qui si può definire il carattere politico essenziale dell'EZLN che, al di là di una vaga e confusa vocazione anticapitalista, ricade nella definizione di riformismo armato. Nella Seconda Dichiarazione (giugno 1994), nella Terza (gennaio 1995), nella Quarta (gennaio 1996) e nella Quinta (luglio 1998) la linea politica diventa sempre più disarmante, scadendo nel qualunquismo: la linea di demarcazione arriva ad attestarsi tra le persone oneste (i buoni) e quelle disoneste (i cattivi).
I primi dialoghi di pace, iniziati il 21 febbraio 1994, non portano a niente. Le trattative riprendono nel settembre 1995, e dopo molti alti e bassi si arriva al 16 febbraio 1996 con un primo, apparente, risultato: vengono firmati gli “accordi di San Andrés”, che prevedono l'inserimento nella Costituzione messicana del riconoscimento delle popolazioni indigene, con diritti e forme di autonomia in modo che si possa tener conto di usi, costumi e tradizioni delle comunità indigene in campo di giustizia, democrazia, governo. Ma questi accordi infine non vengono mai ratificati dal governo, che anzi continuava ad aumentare la pressione militare e la repressione nella zona sotto l'influenza dei neozapatisti. Solo nel 2000 la situazione si sblocca, ma da un versate avverso alle volontà dell'EZLN: il nuovo governo Fox (del Partido Acción Nacional, PAN), che rompe il dominio del PRI, approva una legge indigena che non tiene conto né delle trattative né delle rivendicazioni dei neozapatisti, chiudendo così l'intero capitolo. All'EZLN non resta che cambiare strategia.
Durante lo stesso periodo, l'attività dell'EZLN fu molto proficua sia nelle relazioni interne che in quelle internazionali. Nell'agosto 1996 è significativa la realizzazione del “Primo incontro intercontinentale per l'umanità e contro il neoliberismo”, chiamato anche “Primo Intergalattico” (qualcosa di simile al Forum di San Paolo, ma che sembra avere uno stampo prouhdoniano e premarxista). Questo può esser considerato uno dei primissimi appuntamenti internazionali da cui si svilupperà il movimento internazionale no global. Il movimento zapatista si ritroverà allineato infatti ai nuovi movimenti sociali che vanno esprimendo richieste istituzionali-democratiche all'interno del sistema esistente, basando l'asse di riferimento nella figura del cittadino.
Dal canto suo il movimento no global porta nel cuore il neozapatismo, e ancor di più porta al cielo l'immagine del nuovo mito di cui aveva bisogno: il subcomandante Marcos.
I pensatori della sinistra postmoderna, revisionisti ed antimarxisti, si innamorano del suo linguaggio ed arrivano a farne un'apologia, che a volte rasenta il ridicolo, anche per dare corpo alle proprie teorie nelle quali si sostiene che il potere è basato sull'informazione e che quindi le lotte politiche (dove i lavoratori “immateriali” cancellano la concezione di proletariato) sono legate al linguaggio, alla comunicazione, all'immagine.
Marcos è una di quelle figure che negli anni ha contribuito anche in prima persona a modellare questa nuova ideologia postmoderna sposata dai movimenti sociali e dalla sinistra riformista internazionale (vedi in particolare i testi “La quarta guerra mondiale è cominciata” e “Il mondo: sette pensieri nel maggio 2003”).
Con l'entrata in vigore della riforma costituzionale inerente la questione indigena (agosto 2001), il fine amaro di un lungo percorso di lotta neozapatista, si ha una svolta organizzativa-strategica dell'EZLN. Dalla lotta si passa alla resistenza. Si passa al lavoro per l'implementazione e lo sviluppo dell'autonomia e dell'autogoverno nei propri territori. Dice bene Marcos: «Vogliamo farla finita con l'idea secondo cui governare è una faccenda da specialisti. (…) Non bisogna essere laureati per sapere cosa serve alla nostra gente».
Quella zapatista però è una democrazia che presenta forti limiti. Le decisioni vengono prese attraverso l'antidemocratico “metodo del consenso”; inoltre le critiche (interne o esterne) non sono ben accette, come hanno avuto modo di dire diversi testimoni, oltre allo stesso Marcos.
Il governo messicano, e questo fin dal principio, non gode di alcun riconoscimento nei territori neozapatisti. Ogni suo aiuto o progetto di sviluppo viene rifiutato, ritenuto non sufficiente, inadatto e meschino. Al governo nazionale gli zapatisti contrappongono la propria autonomia, che si fonda su tre assi: salute, istruzione e produzione.
Sebbene i neozapatisti siano orgogliosi della loro “autonomia”, molto in realtà dipende dagli aiuti esterni, che arrivano principalmente dalle ONG. È chiaro che un sistema economico agricolo isolato, autonomo ed arretrato come il loro non può competere con i livelli di “benessere” offerti da un sistema basato sulla produzione industriale, ma, ritrovandosi accerchiato/inserito in un sistema capitalista di mercato, nemmeno può garantire livelli dignitosi di sopravvivenza, perché se non fosse per l'opera di assistenzialismo che lo tiene a galla (per esempio, anche solo banalmente, ricevendo la vaccinazione contro il Covid-19), si troverebbe, in condizioni normali, “fuori mercato” e quindi cadaverico. Per questo, l'autonomia neozapatista non può esser certo idealizzata come un'isola felice, e non si può considerare come un'alternativa al capitalismo, rappresentando tutt'al più un sistema “etico” non autosufficiente votato alla “resistenza”.
Nel giugno 2005 esce la Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona; l'ultima, quella che cambia la fisionomia dell'EZLN e lo consegna così fino al periodo attuale. È il punto di arrivo del nuovo riassetto dell'EZLN: dopo aver consolidato la propria “autonomia”, cerca ora di rilanciarsi, e lo fa sulla base di quello che può esser definito un manifesto dell'organizzazione.
La Sesta rappresenta per certi aspetti uno spostamento a sinistra: l'ancoraggio dei propri riferimenti nella sinistra, il tentativo di superare la sinistra istituzionale, compromessa, la ricerca di un programma comune tra chi lotta (tra questi, gli operai sono nominati per primi), il riferimento all'anticapitalismo. Un netto passo avanti rispetto alle dichiarazioni precedenti e al suo discorso generale... ma permane nell'intero impianto l'interclassismo, il riformismo ed il nazionalismo piccolo-borghese. Cioè un presunto anticapitalismo senza lotta di classe, antitetico ed innocuo, come del resto quello che molti movimenti di massa hanno assunto a riferimento negli ultimi anni.
Per attuare la Sesta Dichiarazione, il primo gennaio 2006, viene lanciata la cosiddetta “Otra Campaña”, una carovana che, con alla testa il subcomandante Marcos che per l'occasione cambia nome e diventa “Delegato Zero”, rincorre tutto il Messico incontrando e riunendosi con persone, organizzazioni politiche extraparlamentari, organizzazioni sociali, ONG, collettivi, gruppi indigeni, artisti, ecc.. Molti di questi sottoscriveranno la Dichiarazione, ma la Otra Campaña non porta né ad un nuovo programma di unità degli sfruttati né ad un salto qualitativo della lotta contro il sistema capitalistico. Resta bensì uno strumento egemonizzato dall'EZLN, che non offre in realtà alcun vero confronto al di fuori del proprio campo, tra l'altro chiudendo gli spazi alle critiche.
Una volta esaurita la spinta iniziale, si nota come il movimento neozapatista decresce man mano di influenza, carente di prospettive reali e concentrato come sempre nella sua autocostruzione, nella propria vita interna, fatta di “autonomia” e autogoverno, fatta di quella resistenza che cura le lotte localiste e coltiva in pace la propria “isola felice”, eludendo l'impegno nella generalizzazione della lotta di tutti gli sfruttati.
Nel periodo successivo l'EZLN soffre e lamenta un disinteresse, un isolamento, conseguenza sia dell'uscita di scena dalla politica nazionale (il conflitto sulla questione indigena è ormai chiuso da anni) sia per la rottura con un settore della intelleghenzia di sinistra che non condivide la loro critica verso Obrador. Al di là di questo, mentre la repressione da parte di militari e paramilitari verso le comunità zapatiste non conosce sosta, l'EZLN continuerà a realizzare incontri ed iniziative.
Nel 2014, il 25 maggio, di sorpresa il subcomandante Marcos annuncia la morte del suo personaggio, per crearne uno nuovo. D'ora in poi prenderà le vesti del subcomandante Galeano, in onore di un compagno neozapatista assassinato giorni prima da un gruppo paramilitare. È soprattutto un'operazione che scaturisce dalla considerazione che, per il bene del movimento, occorre disfarsi di un peso, di quell'immagine da leader maximo, intoccabile ed onnipresente, trasformata in culto, che si era configurata fin dall'inizio (anche ad opera dello stesso Marcos).
Marcos sembra in buona fede quando, in molte occasioni, assicura di voler cercare di contrastare e smontare questo carattere personalista del movimento, che di fatto ha accompagnato e trainato l'EZLN. Lo fa, nei fatti, cercando di raccontarsi come antieroe, lo fa attraverso le varie autocritiche sul ruolo sovradimensionato che ha avuto, lo fa cercando di lasciare sempre più spazio decisionale alle comunità, ed infine lo fa cambiando nome. A questo punto fa un passo indietro anche come portavoce, ora affiancato/sostituito da Moisés, passato dal grado di maggiore a quello di subcomandante. Del resto, in questa fase l'EZLN non ha più bisogno di Marcos.
Nel 2018, in vista delle elezioni presidenziali di quell'anno, l'EZLN ed il Congreso Nacional Indígena (CNI) provano a presentare la candidatura di María de Jesús Patricio, detta Marichuy, indigena e portavoce dello stesso CNI. La campagna elettorale che viene sviluppata riprende i temi della Sesta Dichiarazione, presentando positivamente la candidatura come indipendente (di stampo contadino), alla sinistra degli altri partiti (compresa MORENA, che ricandida Obrador), e come una candidatura anticapitalista e antipatriarcale, ma interclassista e senza alcuna messa in discussione della struttura e delle basi del capitalismo. L'ideale che viene veicolato è quello di cambiare utopicamente il sistema senza prendere il potere, di creare un «nuovo potere dal basso» in modo che «il popolo comandi ed il governo obbedisca». Alla fine non si è potuto conoscere più nel dettaglio il programma politico elettorale dell'EZLN-CNI perché sul milione di firme necessarie per la candidatura ne sono state raccolte “solo” 300.000.
Il 1 luglio 2018 le elezioni saranno vinte da Obrador, primo presidente messicano di centrosinistra dopo la fine del regime priista. I neozapatisti, stabilmente orientati sulle lotte localiste, concentreranno quindi il loro impegno contro alcuni dei megaprogetti voluti dal presidente, in particolare il Tren Maya ed il Corridoio Interoceanico, che passano per il loro territorio.
Nel 2019 l'EZLN annuncia la creazione di undici nuovi caracol [centri politico-amministrativi], ora 16 in totale, e diversi nuovi Municipi Autonomi. Nello stesso comunicato cercano di rilanciare gli incontri della Sesta Dichiarazione per la formazione di una “Rete Internazionale di Resistenza e Ribellione” e un “Incontro di Donne che lottano”, ma se i neozapatisti sembrano si siano potuti sviluppare sul piano interno, esternamente continuano a restare piuttosto marginali nella sinistra e nella società. È lontana la loro celebrità degli anni 2000, ora molti giovani messicani ignorano perfino la loro esistenza.
Nel 2021, attraverso la “Declaración por la vida”, in cui si parla dell'«impegno di lottare dappertutto e sempre contro questo sistema per distruggerlo completamente» e di come «non è possibile riformare questo sistema, educarlo, attenuarlo, limarlo, domesticarlo, umanizzarlo» (sempre senza alcun riferimento alle basi classiste), l'EZLN lancia un tour intercontinentale per realizzare incontri e scambi di idee, pensando che «guardare, ascoltare e conoscere il diverso forse ci aiuterà». La “Gira zapatista”, con 177 delegati, arriverà anche in Europa.
A fine 2023, in ottobre e novembre, vengono annunciati altri grandi cambiamenti attraverso una serie di comunicati. Il sistema di governo dei neozapatisti subisce una revisione, abbandonando la concezione piramidale. Inoltre viene annunciata inoltre la morte del subcomandante Galeano, ora ritornato alla figura di Marcos (67 anni nel 2024), retrocesso però al grado di capitano.
La lotta dell'EZLN è stata una lotta eroica che, nonostante la sconfitta sulla legge indigena, ha permesso di dare dignità a centinaia di migliaia di indigeni messicani, e non solo. Ha migliorato le loro condizioni di vita nelle comunità. Attraverso l'autoorganizzazione ha sviluppato un sistema politico e sociale alternativo a quello dominante, dimostrando che la borghesia è inutile e dando speranza a milioni di oppressi in tutto il mondo. Ha inoltre contribuito a migliorare la condizione delle donne indigene, trasmettendo un certo femminismo. Per tutto questo merita rispetto, e va dato loro l'appoggio nello scontro con la reazione. Ma questo non lo esime dalla critica. L'EZLN ha una responsabilità nell'aver disperso un potenziale veramente rivoluzionario, e data la natura dell'organizzazione, non può esser riposta fiducia nella sua direzione politica.
L'EZLN è stato sconfitto ed è in difficoltà per lo stesso motivo per cui gli zapatisti di Emiliano Zapata sono stati sconfitti: non si è capita la centralità del proletariato, la necessità di un'alleanza con questo e con i contadini poveri su scala nazionale e internazionale. Anche nel campo militare.
Il proletariato, per propria natura, è l'unica classe sociale che può trasformarsi in soggetto rivoluzionario e porsi alla testa di un processo di trasformazione che parta dalle basi della società, perché è l'unico soggetto che, essendo costretto a vendere la propria forza-lavoro, non ha in sé il germe del profitto e non difende né la proprietà privata né lo stato (che non gli appartengono), contrariamente invece ai contadini e alla piccola borghesia. Il proletariato industriale inoltre ha in mano le leve dell'economia, dell'organizzazione, della lotta e della futura democrazia. È quanto si legge del processo materialista dialettico della storia. All'EZLN manca proprio il proletariato, sia per il suo programma di lotta sia per lo sviluppo della sua organizzazione sociale.
Anche solo per risolvere la questione indigena, come ogni altra questione democratica, occorre andare alla radice del problema, alla radice di quell'oppressione, cioè nella struttura economica-politico-sociale del capitalismo. Non c'è spazio per isole felici, occorre mettere in discussione questo sistema, le sue fondamenta rette dalla proprietà privata dei mezzi di produzione. Distruggere il capitalismo attraverso una rivoluzione socialista. Nessuna alternativa pacifica o riformista può rimpiazzare questa strategia, perché il capitalismo è irriformabile e violento. Occorre lottare per un potere proletario, in alleanza con i contadini poveri. Solo un governo proletario e contadino, retto secondo la democrazia operaia, può garantire i diritti democratici alle popolazioni indigene.
Occorre riprendere la teoria della rivoluzione permanente che, oltre a riconoscere il carattere internazionale della lotta di classe, afferma che solo il proletariato rivoluzionario può adempiere ai compiti democratici e, in continuità, costruire la società nuova liberata dallo sfruttamento.