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Due bastonate e una carota per Orbán
11 Giugno 2024
Ci sarà modo di discutere più approfonditamente il risultato complessivo delle elezioni europee, che complessivamente mostrano un’Europa sempre più a destra e dove la classe lavoratrice fa fatica ad affermare i propri diritti. Questo articolo è però concentrato solo sulla situazione ungherese, che può essere così riassunta: il protervo caudillo magiaro, abituato sempre a stravincere e che non accetta la sconfitta, ha rimediato due bastonate e una carota.
La prima bastonata è stata certamente l’elezione di Ilaria Salis, risultato ottenuto dopo un’ondata di indignazione causata dal modo infame, ipocrita e indegno in cui è stata trattata. Questo risultato non fa che confermare ciò che già abbiamo detto in queste pagine.
Con buona pace delle suorine che avrebbero voluto che lei si rassegnasse alla persecuzione giudiziaria (perché no, magari dichiarandosi colpevole per ottenere qualche sconto di pena – 11 anni anzi che 24!?), il suo caso è stato trattato dai suoi sostenitori come un processo politico e di rottura. Il primo risultato di questa intelligente strategia era stato ottenuto già con la sua candidatura, che aveva permesso di farla uscire dal carcere per andare ai domiciliari. I giudici ungheresi infatti – che ormai hanno quasi completamente perso l’indipendenza anche solo formale – avevano così sperato di farle prendere meno voti, presentando la sua situazione come meno grave.
Purtroppo, anche la magistratura-tirapiedi di Orbán ha dovuto incassare una sonora sconfitta: chissà che non serva a far diminuire la loro protervia. Ci siamo espressi altrove sui limiti di una certa “sinistra radicale”; ciononostante, abbiamo sostenuto la campagna per la liberazione di questa compagna, e speriamo che la detta liberazione avvenga presto.
Interessante che il satrapo ungherese abbia sentito il bisogno di parlare del caso Salis in una intervista rilasciata al Giornale pochi giorni prima del voto. Orbán non concedeva una intervista a un giornale italiano da sette anni, e il motivo è semplice. Orbán è talmente potente che già da anni non si degna di concedere interviste a giornalisti non allineati nel proprio paese: figuriamoci se degna di attenzione quelli stranieri! Trattandosi di un giornalista amico, è molto probabile che si siano messi d’accordo prima sulle domande, segno che Orbán teneva a dire la sua anche su questo. Certamente, non si è smentito sfoggiando modi da castellano medievale, dicendo che “gli ungheresi amano le donne italiane”. Forse questa captatio benevolentiae avrà avuto effetto sulla Giorgia nazionale o sulla Santanchè, ma non su altre donne davvero coraggiose come Ilaria Cucchi e Claudia Pinelli (la figlia dell’anarchico assassinato a Miano nel 1969), che invece si sono impegnate in prima fila per la liberazione di Ilaria.
Da manipolatore esperto quale è, Orbán ha anche detto che Ilaria non ha tanto motivo di lamentarsi, dato che è stata trattata nello stesso modo di tutti i detenuti ungheresi. Qui, il Nostro mostra di sapere che talvolta una mezza bugia funziona meglio di una balla intera. Ovviamente le condizioni nelle carceri ungheresi sono opprimenti per tutti (del resto, l’Ungheria è il paese in Europa con la più alta percentuale di carcerati), ma è altrettanto vero che Ilaria è stata sottoposta a mesi di vera e propria tortura, senza neanche la possibilità di lavarsi (prova ne è il fatto che aveva dovuto chiedere del sapone a una sua compagna di cella). Pertanto, con tutto il rispetto per le balle di Orbán, lei non è stata trattata esattamente come tutti gli altri: si è deciso di calcare la mano su di lei a causa del suo essere una donna straniera antifascista (“Antifa? Mussolini!”, così era stata apostrofata subito dopo l’arresto). Orbán ha anche indirettamente confermato ciò che già avevamo denunciato in queste pagine: il crimine di Salis sarebbe quello di aver aggredito dei “cittadini ungheresi” (ovvio, quando degli stranieri vengono picchiati a sangue da neonazisti ungheresi o anche assassinati dalla polizia, la cosa non rappresenta certo un crimine).
Della seconda bastonata ricevuta da Orbán si è invece parlato di meno in Italia, cioè la vittoria dell’opposizione al comune di Budapest. Sarebbe esagerato pensare che questo sia l’inizio della fine per Orbán: il suo regime è ancora saldo. Ciononostante, il fatto che l’opposizione continui a tenere la capitale, che vanta quasi due milioni di abitanti, nonostante lo strangolamento economico attuato dal governo centrale, rappresenta certamente uno smacco non gradito a chi pensa di poter sempre e solo vincere.
L’opposizione del sindaco ecologista Karácsony ha vinto per soli 324 voti di differenza, al termine di una campagna nella quale Orbán ha confermato ancora una volta il proprio machiavellismo. Sapendo che il suo partito è assai meno popolare nella capitale che nella provincia (Budapest rimane una città più cosmopolita e meno reazionaria, anche se non di sinistra), Orbán aveva infatti mandato avanti due candidati: una vera, e uno nascosto da indipendente. Proprio così: quando solo pochi giorni prima del voto i sondaggi davano la candidata di Fidesz molto bassa nei sondaggi, le è stato ordinato di ritirarsi, in modo da concentrare il voto sul falso indipendente (in realtà legato a doppio filo a Orbán). Questo sotterfugio ha in effetti causato un testa a testa, che è stato però vinto dal sindaco ecologista.
È possibile che in questa vittoria conti il fatto che a Budapest vi è un 10 per cento di stranieri, alcuni dei quali con il diritto di voto, ed è presumibile che preferiscano votare chiunque piuttosto che partiti apertamente xenofobi. Pur riconoscendo l’importanza simbolica della sconfitta, nessuna illusione sul sindaco Karácsony. Pur essendo un discreto amministratore e pur avendo preso delle buone misure in senso ecologico (piste ciclabili, trasporti gratis fino ai 14 anni, ecc.), ha espresso comunque prese di posizione molto gravi sulla Palestina, dicendo di essere tranquillamente d’accordo a vietare le manifestazioni pro palestinesi (infatti, queste manifestazioni in Ungheria sono completamente vietate).
La cosa curiosa è che il partito Fidesz aveva condotto una campagna martellante in favore della “pace” (traducendo dalla neolingua orbániana: in favore dell’annessione dell’Ucraina da parte di Putin), accusando il sindaco di Budapest e tutta l’opposizione di essere invece in favore della guerra. L’opposizione andrebbe semmai criticata per il suo sostegno di fatto all’imperialismo occidentale e alla NATO, non certo per la guerra in Ucraina che non è stata scatenata dall’opposizione.
Francamente, Orbán e i suoi tirapiedi che parlando di “pace” – non solo sostenendo di fatto la Russia di Putin, ma anche aumentando le spese militari e facendo una campagna di arruolamento straordinario – è una cosa che avrebbe fatto cascare dalla sedia anche George Orwell: un po’ come Jack lo squartatore che parla di diritti delle donne. Fortunatamente, c’è una parte della società ungherese non così lobotomizzata da credere a questi messaggi orwelliani.
Orbán si può comunque consolare con la carota della discreta maggioranza acquisita alle europee (comunque ben lontana dai due terzi del parlamento di cui gode in patria, quota bulgara ottenuta grazie a una legge elettorale truffa che gli conferisce questa fetta enorme pur essendo votato da meno della metà degli aventi diritto). Orbán rimane potente, ma queste due mazzate dimostrano che non è un sovrano onnipotente.