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Il caso Salis: uno schiaffo per Orbán?

29 Maggio 2024

Una riflessione di un compagno che ha assistito al processo

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Alcune considerazioni meritano di essere fatte dopo l’ultima udienza sul caso Salis, svoltasi a Budapest il 24 maggio. Appare sempre più evidente, infatti, come il caso della maestra milanese si sia allargato a dismisura, sino ad assumere un’importanza molto superiore a quella di un caso singolo.

Prima di fare delle considerazioni generali, però, è bene ribadire la natura del contesto ungherese e alcune cose interessanti successe nell’ultima udienza. Il processo a Ilaria è evidentemente politico, e questo per una serie di motivi legati proprio al contesto specifico. Benché secondo le ultime dichiarazioni del ministro degli esteri ungherese “è inconcepibile che qualcuno difenda una persona venuta a Budapest a picchiare delle persone per strada”, il suo amore per la non-violenza è solo di facciata, dato che funziona a corrente alternata.

È importante ribadire che l’Ungheria è diventata, nel corso degli ultimi quattordici anni (dall’inizio dell’era Orbán) una autocrazia elettorale xenofoba, reazionaria e fascistoide (pur senza essere propriamente fascista). Il termine autocrazia elettorale può sembrare astruso, ma ha un senso preciso e merita una spiegazione. L’Ungheria è un paese in cui formalmente esistono diversi partiti (come in Russia, del resto, dove Putin ha preso recentemente l’87% dei voti). Questa apparente democrazia pluripartitica, però, risulta sempre più formale: Orbán controlla la quasi totalità dei media e detiene i due terzi dell’unica camera dal parlamento da anni. Ciò gli ha permesso di cambiare la costituzione innumerevoli volte e di approvare leggi che di volta in volta rafforzavano il suo dominio, anche rendendo alcune istituzioni che di solito dovrebbero essere ritenute imparziali (come per esempio la magistratura, ma anche le università) sempre più allineate a lui e al suo partito.

Sia chiaro, l’indipendenza della magistratura è un’ideale nobile che in nessun paese viene completamente raggiunto (basti vedere le persecuzioni contro i sindacati di base in Italia, o la assurda sentenza contro Mimmo Lucano). In Ungheria, però, siamo di fronte a una situazione oggettivamente più grave e più chiara: la magistratura ungherese non è indipendente, salvo rare eccezioni (se si trattasse solo di qualche corte faziosa, staremmo freschi).

Se questa è la situazione generale, figuriamoci quanto imparziale possa essere il processo contro una donna straniera definita con grande sproporzione una terrorista di estrema sinistra. Come abbiamo già spiegato sulle nostre pagine, gli estremisti di destra che commettono reati analoghi a quelli dei quali è imputata Ilaria (ma anche più gravi) restano solitamente impuniti. Minacciare un gay di morte? (1). Benissimo. Pestare a sangue un immigrato africano e rompergli i denti? Perché no. Picchiare degli immigrati al confine, o assassinarli nei CPR mascherandone la morte in modo maldestro? Si può fare con la più completa impunità. Pertanto, l’ipocrisia di tutto il sistema politico e giudiziario ungherese nasconde un fatto che Zerocalcare ha ben riassunto nella sua storia In fondo al pozzo: “In uno spazio e in un tempo molto limitati, è successa una cosa: la paura ha cambiato campo” (Internazionale, 12 gennaio 2024, pp. 48-49).

Chiarita questa ipocrisia di fondo, è interessante dare un’occhiata a cosa è successo nell’ultima udienza, che infatti ha riservato non poche sorprese. Tanto per cominciare, è necessario sottolineare perché a Ilaria siano stati finalmente concessi i domiciliari, nonostante tutti i tentativi precedenti andati a vuoto (“è pericolosa, c’è pericolo di fuga, ecc. ecc.”). Qualche giudice ungherese si è finalmente svegliato imparziale? Non sembra proprio. Dopo il rifiuto opposto alla precedente udienza del 28 marzo, gli avvocati di Ilaria avevano presentato un ricorso, anch’esso respinto. Chissà perché, però, un ulteriore ricorso presentato poco dopo è stato però accettato. Le date non lasciano dubbi: il secondo ricorso è stato presentato dopo l’annuncio della candidatura di Ilaria Salis. I giudici ungheresi hanno evidentemente capito il pericolo di questa candidatura: se Ilaria venisse eletta, potrebbero essere costretti a rilasciarla. Per scongiurare questo misfatto, hanno pensato bene di concederle i domiciliari in Ungheria (nonostante le numerose minacce da lei ricevute). Così facendo, sperano probabilmente di presentarsi come più “buoni” e comprensivi: presentando la situazione di Ilaria come meno grave, sperano di farle prendere meno voti (su questo si tornerà in seguito).

Pertanto, Ilaria è arrivata in tribunale senza catene accompagnata dal padre, dove è dovuta entrare a fatica, assediata dai giornalisti. Una volta iniziata l’udienza, il giudice József Sós (col suo solito taglio alla Himmler) ha pensato bene di dire pubblicamente l’indirizzo dove Ilaria sta ai domiciliari (come dichiarato dall’avvocato Eugenio Losco, questo indirizzo è già finito sui forum di tutta l’estrema destra ungherese). Lasciando che gli ingenui credano a un caso, la lista di cose interessanti non finisce qui. Gli avvocati hanno chiesto di rinviare il processo a quando tutti gli atti saranno tradotti in italiano, permettendo così un adeguato diritto di difesa, richiesta che è stata respinta. Sullo sfondo, bisogna aggiungere che l’interprete che affianca a Ilaria lascia molto a desiderare, e anche questo conta.

Bisogna aggiungere che, come ha sottolineato sempre Losco, il processo si svolge in modo inquisitorio, con il giudice (figura teoricamente imparziale), che conosce già gli atti dell’accusa e di fatto svolge parte del ruolo che in altri paesi è riservato alla pubblica accusa. Nell’udienza del 24 maggio sono poi stati fatti vedere dei video che dovrebbero provare la responsabilità di Ilaria. Eppure, tutte le persone nel video hanno il volto coperto, e nessuno dei tre testimoni sentiti (fra cui un aggredito) ha riconosciuto Ilaria.

La testimonianza di uomo aggredito è stata di particolare interesse, dato che si è svolta via video da un’altra aula del tribunale per tutelarne la sicurezza (preoccupazione alquanto selettiva del giudice, come abbiamo visto). Come sappiamo, tutte le persone aggredite hanno riportato ferite lievi guaribili in pochi giorni, ma il teste ha citato una perizia medica risalente a tre mesi dopo il fatto (!) che le renderebbe più gravi, parlando anche di tre costole rotte. Mistero su come queste nuove ferite abbiano fatto la loro comparsa mesi dopo i fatti, e mistero anche sul perché questa perizia si sia volta non a Budapest, dove la persona risiede, ma in un’altra città dell’Ungheria. Inoltre, la corte ha accolto la costituzione a parte civile di questo testimone nonostante i termini di legge fossero scaduti, come sottolineato dagli avvocati. Le due PM non hanno potuto aggiungere molto a quanto mostrato nei video, anche se una di esse ha tenuto a ripetere con smorfie da attrice consumata le circostanze dell’attacco (il fatto che l’aggredito fosse solo contro tanti, ecc.), ed è stata pertanto accusata di demagogia da uno degli avvocati.

Un dettaglio sul quale le PM hanno insistito abbastanza è che gli aggressori si sarebbero allenati a lungo prima di venire a Budapest, concordando anche dei segnali di inizio (“Go, go!”) e fine dell’attacco (“Stop!”), che non doveva durare più di trenta secondi. In alternativa, il segnale di fuga sarebbe stato un battito di mani. Eppure, dei tre testimoni sentiti, nessuno aveva all’epoca dichiarato di aver sentito alcun segnale. Solo una donna ha cambiato la sua versione nel corso dell’udienza. Incalzata dall’avvocato difensore György Magyar, ha detto: “Mi ricordo meglio adesso di un anno fa”. Eppure, guardando al rallenty il video, si vede che è una delle testimoni a battere le mani più volte, come per scacciare gli aggressori (un particolare insignificante? Forse).

Benché il testimone aggredito abbia dichiarato di non conoscere l’imputata, aveva però precedentemente dichiarato: “Sono orgoglioso di essere ungherese, per questo mi vesto con abiti militari”. Il senso di queste parole è apparso più chiaro quando la difesa ha fatto delle domande sullo sport praticato dal testimone, cioè il tiro con l’arco. Benché il teste sia stato vago su questo, pare abbia praticato questo sport anche poco dopo l’aggressione subita, sollevando così qualche dubbio sulla gravità delle lesioni.
Un ulteriore chiarimento è necessario: i membri dell’estrema destra ungherese, oltre alla retorica sull’orgoglio nazionale, praticano spesso in modo organizzato sport del tipo tiro con l’arco, pugilato, arti marziali, sparare al poligono, ecc. (presentati talvolta come attività folcloristiche, nelle quali c’è in realtà molto di inventato). Il punto non è che queste attività siano disdicevoli o illegali in sé: la cosa che dovrebbe far riflettere è l’attenzione sistematica verso il machismo e il culto della forza fisica (che infatti viene solitamente usata in modo offensivo, come abbiamo visto).

Ancora più interessante è un post trovato sui social dove il testimone sfoggia un mitra, precisando nei commenti di ricordarsi di avere utilizzato quest’arma nel 1997 quando era una guardia di frontiera (all’epoca non si chiamavano ancora “cacciatori di frontiera”; gli immigrati erano evidentemente considerati pericolosi ma non ancora animali) [vedi foto in basso].

Il simbolo sulla polo del signore mostra che fa evidentemente parte del Movimento ungherese di autodifesa, una ambigua organizzazione ricostituitasi dopo lo scioglimento della Guardia magiara, considerata paramilitare. Benché l’organizzazione dichiari sul sito alcuni ideali nobili che fanno pensare a delle dame di carità (aiuto ai poveri, ecc.), un suo video ufficiale (2) mostra i suoi membri organizzati in file marziali e vestiti in abiti militari dove predominano il colore nero e simboli nazionalisti. Oltre a dei personaggi in tuta mimetica che imbracciano mitra, possiamo ammirare anche dei fusti a volto coperto che praticano arti marziali.

Lasciando perdere questo sedicente e alquanto preoccupante Movimento di "autodifesa", si possono fare alcune considerazioni conclusive. Il tono stizzito delle dichiarazioni del governo ungherese e i domiciliari concessi obtorto collo fanno pensare una cosa: questo caso si è ormai ingrandito oltre i limiti di un caso individuale. Non che questo caso sia la priorità di Orbán: è certamente più impegnato nella sua propaganda omofoba e xenofoba, nonché a cercare di dimostrare che la guerra in Ucraina è colpa dell’Ue, di Soros e dell’opposizione ungherese (che ci si creda o no, è questo il tono di alcuni manifesti orwelliani che si possono vedere per le strade ungheresi). Sta di fatto che questo caso scottante ha creato dei problemi nell’amicizia fra la Giorgia nazionale e il satrapo magiaro (controvoglia, l’italico governo postfascista ha dovuto far finta di fare qualcosa, a causa dello scandalo nell’opinione pubblica).

Inoltre, pare che la propaganda di regime stia cercando di inserire il caso Salis all’interno di una strategia discorsiva più ampia. Da tempo ormai la propaganda di Orbán cerca di presentare l’Ungheria come un paese assediato da terribili pericoli esterni (gli immigrati, il “gender”, l’Ue, ecc.), e sembra che questi “terroristi di sinistra” facciano parte del novero (si tratta cioè di elementi estranei, tollerati nei propri paesi, che sono venuti a far danno in Ungheria). A prescindere da come evolvano le cose, due cose appaiono chiare. Innanzitutto, la scelta di adottare una moderata strategia di processo politico o processo di rottura ha dato i suoi frutti. Come spiega bene Jacques Vergès nel suo magistrale libro Strategia del processo politico, in questi casi sottoporsi ai soprusi giudiziari non serve: si ottengono semmai risultati ammettendo la natura politica del processo e agendo di conseguenza. In secondo luogo, il caso della maestra milanese potrebbe avere ripercussioni assai più grandi di quelle viste finora, rappresentando una sorta di schiaffo alla protervia di Orbán.



(1) https://www.cittadellaspezia.com/2021/09/01/andrea-giuliano-contro-lungheria-attivista-lgbtqia-spezzino-attende-una-sentenza-europea-341570/

(2) https://magyaronvedelem.hu/?page_id=29

Elia Spina
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