Interventi

L’Intelligenza Artificiale dei borghesi e della loro Stampa

5 Maggio 2024
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«Una parte della borghesia desidera di portar rimedio agli inconvenienti sociali, per garantire l’esistenza della società borghese. Rientrano in questa categoria economisti, filantropi, umanitari, miglioratori della situazione delle classi lavoratrici, organizzatori di beneficenze, protettori degli animali, fondatori di società di temperanza e tutta una variopinta genia di oscuri riformatori». (Il Manifesto del Partito Comunista)


È in questa categoria di alti papaveri che rientra sicuramente, anche se in maniera più subdola e meno candida, Riccardo Luna, benemerito di Oxfam, una delle tante ONG che registrano puntualmente la povertà proletaria prodotta ad hoc dai borghesi, per poi proporre, come soluzione, di chiedere ai borghesi stessi di porvi rimedio. ONG del genere, sono in realtà succursali del WWF per la salvaguardia delle volpi antropomorfe!

Esperto di tecnologia, una luminaria del genere non poteva sfuggire agli ingranaggi di Renzi che lo propose come speciale abat-jour del suo Governo, col nome di Digital Champion, persona incaricata dell’altissima e profonda missione di “rendere ogni europeo digitale”. Un lavoro così nobile, altamente qualificato e necessario, per un bisogno che tutti gli europei sentono tanto impellente nel profondo del cuore, non poteva che innalzarlo di anno in anno verso l’empireo, fino a promuoverlo definitivamente come nume tutelare dello sfruttamento digitale nell’era dell’Intelligenza Artificiale. Ed è in questa veste, di paladino della prossima rivoluzione tecnologica, che La Stampa di Torino l’ha chiamato a commentare lo sfruttamento a festa del Primo Maggio conclusa.

La borghesia senza lavoro salariato non può trarre un solo atomo di profitto. Ecco perché ogni tanto ha l’incubo della “fine del lavoro”. Non è preoccupata per noi, ma per sé stessa. Fine del lavoro, significa infatti anche “fine del profitto”. L’ultimo salariato della Terra produrrà un profitto tendente ad infinito, il sogno più ambito dai brividi sordidi della borghesia. Una vertigine che crollerà di colpo a zero, trasformandosi nell’incubo opposto, col suo licenziamento e sostituzione robotica. Ecco perché la sua massima felicità per noi, consiste nel garantirci lo sgobbo eterno. È un modo per allontanare la minaccia che la tormenta nel sonno, di un profitto azzerato dall’impossibilità di fermare il progresso tecnologico: «la borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione» (Marx & Engels, opera già citata). Ne segue che sognare lo sgobbo, diventa nei suoi neuroni bacati appaltati alle serve giornalistiche, l’unico sogno possibile anche per noi che ne faremmo volentieri a meno.

Perché gli algoritmi non uccidono il lavoro: così commenta, rassicurante e felice, Riccardo Luna il 3 Maggio, contro la fosca teoria di Keynes di una “disoccupazione tecnologica”. Urca che meraviglia! Proletari brindate anche voi col vino più rancido e velenoso della borghesia: sgobbo e timbratura del cartellino sono salvi. L’intelligenza artificiale dei borghesi non vi ruberà il lavoro, purché continui ad essere precario, sottopagato e soprattutto dipendente dai padroni.

Sentitelo: «sono cent’anni che i robot dovrebbero rubarci il lavoro e non è successo». In effetti, se dobbiamo aspettare che l’intera classe salariata diventi disoccupata per dare ragione alla “disoccupazione tecnologica” di Keynes, aspetteremo in eterno. Nell’attesa, mentre i tre quarti dei proletari del mondo fanno da “esercito industriale di riserva” per abbassare il salario dell’unico quarto impegnato al lavoro, per dare torto a John Maynard, dovremmo dare ragione alle generiche assolutizzazioni di Riccardo Luna che, per valutare l’impatto delle tecnologie, omette tra le altre cose l’aiuto regolare che particolari insignificanti come guerre, stermini e “tosature” cicliche di proletari danno alle statistiche borghesi per ridimensionare i dati.

Riccardo Luna va indietro di un secolo per dimostrare che non si stava meglio quando si stava peggio: «sfido qualcuno a pensare che un secolo fa le condizioni dei lavoratori fossero davvero migliori di adesso». 100 anni fa esatti moriva Lenin, 7 anni dopo la prima rivoluzione proletaria della Storia che riequilibrò su scala mondiale i rapporti di forza tra Capitale & Forza-Lavoro. Le 8 ore di lavoro, per esempio, rivendicate ogni primo maggio dal 1886 in memoria dei martiri di Chicago, vennero conquistate in molti paesi sull’onda della vittoria proletaria in Russia.

È difficile pensare a tutta una serie di progressi ottenuti dalla classe operaia su scala mondiale, senza nominare la Rivoluzione Russa che stava alle spalle a proteggerli. Allora forse la classe operaia, nel suo complesso internazionale, non stava meglio dal punto di vista economico. Ma un parallelo che non tenga conto del potenziale tecnologico a disposizione, non ha molto senso, perché manca appunto del senso delle proporzioni. Se oggi forse si sta meglio, si sta meglio come 100 anni fa probabilmente stavano meglio degli operai delle corporazioni del ’700 e questi, a loro volta, stavano meglio dei servi della gleba e giù giù fino agli schiavi romani che stavano sempre meglio dei prigionieri uccisi. Simili paralleli fanno più confusione che chiarezza e dimostrano solo che i sacerdoti dell’ovvio insegnano banalità in tutte le epoche. Inoltre, il punto di vista economico non è l’unico aspetto da guardare e nemmeno il più importante. Chi guarda solo a quello, non va molto più in là di chi osserva la nostra classe dal versante della “pura esistenza animale”, la stessa da cui da sempre la osserva l’economia politica borghese, perché è un’economia per somme bestie capitalistiche.

Allora la classe operaia stava sicuramente meglio nell’unica cosa che conta su scala storica: la sua coscienza. 100 anni fa la coscienza di classe era 100 volte più sviluppata di oggi. Era così forte che generò su scala mondiale una direzione rivoluzionaria in grado di contrastare riformisti e cialtroni borghesi. Fu questa coscienza, combinata con la lotta, a produrre l’avanzamento della classe operaia. La tecnologia di per sé non c’entra nulla, né ieri né oggi né domani. Se l’operaio stava peggio, è perché non si era conquistato migliori condizioni lottando. Analogamente, se oggi sta peggio, non migliorerà senza conquistare per sé, come classe, lo sfruttamento della nuova tecnologia.

Per Riccardo Luna tutto questo non esiste, come fosse scomparso. E in effetti è scomparso, temporaneamente, con il crollo dell’URSS, poco più di trent’anni fa. Ecco perché va indietro di 100 anni. Perché se invece di andare indietro più o meno all’inizio del nostro progresso, fosse partito dal suo brusco arresto nel 1989-91, avrebbe finito subito di scarabocchiare due inutili colonne di un giornale ancora più inutile e dannoso. Sfidiamo infatti Riccardo Luna a negare che negli ultimi 30 anni la condizione dei salariati non sia andata paurosamente indietro, specie nei paesi più industrializzati, cioè nei paesi imperialistici come il nostro. Perché per valutare le nostre condizioni, dovremmo prendere come punto di riferimento il primo devastante dopoguerra, ormai così lontano, anziché il progresso degli anni ’70? Mistero Lunare...

30 e più anni sono un lasso di tempo più che sufficiente per dare ragione alla “disoccupazione tecnologica” di Lord Keynes, e non poteva essere diversamente, non si capisce infatti perché tra una vera cima borghese e un suo insignificante sassolino di pianura, dovremmo prestare più ascolto ai trafiletti da dilettante del secondo. Al massimo dobbiamo precisare ai keinesiani di oggi, che la disoccupazione non è veramente tecnologica, la disoccupazione infatti è sempre “da Capitale”. È il capitale che sfrutta la tecnologia per il suo profitto a renderla ostile ai proletari, trasformando i suoi progressi in disoccupazione per noi. È una cosa relativa al suo modo di produzione, non è un problema assoluto. La tecnologia non produce alcuna opportunità, come vaneggia il Luna, produce un raddoppio o più di ricchezza da spartire. Solo la lotta tra borghesi e proletari può far pendere la bilancia del suo progresso oggettivo dalla nostra parte. Deve vincere il proletario per dare l’opportunità alla tecnologia di essere progressista.

Tutto sommato, questo viene riconosciuto anche da uno come lui, solo che non se ne accorge perché in fondo non sa neanche da che parte è girato. Infatti, dopo le sue generiche osservazioni, non può che constatare, tra zig e zag e bizantinismi vari, che il lavoro, seppur non scomparso «si è però impoverito, questo sì, e di questo dovremmo occuparci, di capire perché e mettere in campo dei correttivi».

Lasciamole in pace a elucubrare, queste povere stelle cadenti del firmamento borghese, prima che venga loro il mal di testa! Devono interrogarsi, giornalisti e borghesi, sulle cause del nostro impoverimento, manco fosse un problema di fisica quantistica. Sembra infatti che la forza-lavoro si sia impoverita da sola o in base a chissà quale errore di valutazione degli statisti borghesi, non sotto l’impatto incrociato di controriforme padronali, appoggiate o accettate da sinistra e sindacati subalterni, che l’hanno precarizzata, sottoinquadrata e sottopagata, in breve che l’hanno ipersfruttata, il tutto per intascare un profitto crescente anche dal lato tecnologico, grazie all’aumento produttivo generato dal suo progresso. Mentre venivano date le più ampie garanzie al Capitale, in forma di sgravi fiscali e condoni per le sue marachelle, la classe salariata veniva jobactizzata e minata in ogni suo diritto, compreso quello di sciopero. Ecco perché si è impoverita, non è poi difficile da capire. Il lavoro si è impoverito in maniera inversamente proporzionale all’arricchimento del capitale e del suo profitto. Il più grande dei somari potrebbe risolvere il problema o quantomeno invertirne la rotta con una semplice mossa: alzare i salari e diminuire i profitti.

Da servo della borghesia, Riccardo Luna non può proporre questa soluzione semplice e banale. Per la borghesia, il rialzo dei salari è possibile solo in forma di detassazione della forza-lavoro, cioè come ulteriore accorciamento della spesa generale sostenuta dal capitale per la sua compravendita. Guai a parlare di alzare i salari in un articolo sull’impoverimento dei salariati, è come parlare di dare delle foglie di eucalipto in un articolo del National Geographic sui koala affamati. Bisogna essere proprio sciocchi come la logica per farlo. Meglio essere ingarbugliati e contorti. E siccome il Luna sciocco non è, perché ha un’intelligenza fuori del comune, un’intelligenza davvero artificiale, innata e pirotecnica, ecco che ricomincia la solfa con l’atto II dell’eterno teatro dell’assurdo borghese: «a rileggerle oggi, certe profezie, più che della fine del lavoro sembrano però parlare della fine di certi lavori (puntualmente sostituiti da altri mestieri...)» (grassetto mio). E ancora: «la penultima rivoluzione è stata quella digitale […] Qui la svolta con il passato è stata netta. Alcuni mestieri sono scomparsi ma altri ne sono nati». È la famosa “distruzione creatrice” di schumpeteriana memoria. Borghesi e loro servi raggiungono il nirvana di fronte a queste espressioni cerchiobottiste e democristiane. Da Captain Ned Ludd fino all’ultima Gkn occupata, gli operai devono essere stati proprio dei pazzi scriteriati e fuori di senno per “insorgere” contro chiusure e licenziamenti, quando per un posto di lavoro distrutto, hanno sempre avuto accanto a sé la puntuale offerta di un comodo posto di lavoro creato apposta per loro!

Sono perle di marca austriaca che non supererebbero comunque la terza elementare, perché in terza elementare si impara che esistono anche le proporzioni, quelle regolarmente ignorate dai pensatori borghesi. Se stessimo a simili trovate, dovremmo di nuovo brindare e questa volta direttamente alla nostra faccia, all’unica felicità possibile pensata per noi dal capitale e dai loro servi più stucchevoli: la felicità del salariato rincoglionito, quello in estasi perché nella migliore delle ipotesi pensata per lui dai Schumpeter sintetizzati e volgarizzati in Riccardo Luna, grazie a un’innovazione tecnologica così intelligente e avveniristica, riesce a produrre il doppio o il triplo della ricchezza sociale mantenendo intatta la sua unità salariale e pure le stesse ore di lavoro anziché dimezzarle. Un operaio del genere, felice come una pasqua per aver prodotto, dal lunedì al venerdì, 10 volte la ricchezza che produceva suo padre, ricavandone in cambio lo stesso identico salario o addirittura la sua metà come un precario qualunque, merita un premio: essere benedetto e varato la domenica successiva come ideale e perfetto scemo del capitalistico villaggio globale. E in effetti è così che lo sogna l’algoritmo borghese che gira nella testa dei Riccardo Luna.

È grazie a queste incessanti e rivoluzionarie innovazioni tecnologiche che il salariato è potuto passare, in mezzo a svariati incidenti di percorso come bombe atomiche, invasioni e calamità varie del Capitale, da disoccupato agricolo a operaio di fabbrica, e da disoccupato industriale a dipendente precario degli interminabili servizi della borghesia, ritrovandosi in strada, nell’era dell’Intelligenza Artificiale e dei viaggi progettati su Marte, con una bicicletta sotto le chiappe per consegnare una schifezza di hamburger di uno dei tanti Mc Donald delle signore Contesse dei signori Musk, cioè dei mariti e delle mogli dell’intera e putrescente famiglia dei capitalisti eternamente all’ingrasso. Il tutto senza che cessasse di fiorire e moltiplicarsi per due, per tre o per mille, in campagna come in fabbrica come nei supermercati, l’enorme montagna di merda che la borghesia fa produrre agli schiavi salariati per la gloria bulimica del suo portafogli.

Come può il normale salariato, si domanderà Luna, non essere raggiante, di fronte a tutta l’immondizia che ha prodotto, se di tutta questa meraviglia crescente e alta oggi 100 volte l’Everest, ha potuto conservare due oboli di salario senza manco ridurre di un’ora l’orario di lavoro, anzi aumentandolo in larghezza, spostando la pensione sempre più in là con gli anni? Il salariato si ricordi per la sua ulteriore commozione, la ciliegina sulla torta di tanta ridicola ilarità forzata dell’intellighenzia borghese: quella che nei suoi teorici più fumosi ha anche il coraggio di affermare che più aumenta la produzione di carabattole che infestano il pianeta, più saremmo ormai entrati nell’era del capitalismo immateriale, il padre cretino dell’Intelligenza Artificiale.

Naturalmente, mentre passava da contadino ad operaio, con la società borghese ed industriale ancora tutta da costruire ed innalzare, il salariato scampato alla disoccupazione o all’emigrazione forzata, cioè all’unica puntuale creazione di una tecnologia borghese che non è puntuale per niente con la sua distruzione di mestieri, poteva almeno consolarsi di essere comunque nel solco di un progresso necessario, come è necessario produrre vestiti, cibo o automobili. Oggi la distruzione sedicente creatrice si è mangiata anche quella magra consolazione, per cui il salariato, oltre ad essere per metà precario o del tutto tagliato fuori dal normale libero scambio col Capitale, dovrebbe gioire per il fatto che tra call center, prodotti pubblicitari, televendite di linee telefoniche eccetera, abbiamo più di un terzo dei regolari occupati, impegnati dalla mattina alla sera a produrre cose che in un sistema razionale non servirebbero assolutamente a niente. Uno spreco di forze e di risorse che non ha eguali nella storia e che non potrà che aumentare se non si metterà la parola fine alla follia del capitalismo.

I margini di espansione del capitalismo sono ormai sempre più ridotti per i raggiunti limiti storici del suo sistema. Lo confermano persino le burocrazie sindacali che, nei pochi momenti di risveglio dal letargo congenito, non possono far altro che avanzare timide proposte di riduzione di orario a parità di salario, come unico reale modo per fronteggiare l’innovazione tecnologica senza lasciare stecchiti i loro iscritti. Altro che sfidare l’algoritmo, cioè gettare l’ennesima spugna ai piedi dell’Intelligenza Artificiale! E lo conferma lo stesso Luna, nell’unica parte scientifica anche se girata al contrario del suo articolo. Infatti, quale sarà davvero l’impatto dell’Intelligenza Artificiale? Sarà l’ulteriore dequalificazione dei lavoratori scampati alla dequalificazione del progresso tecnologico precedente. Nel cervello ribaltato dei Luna, tale dequalificazione prende il nome di «riscatto della classe media» (sic!), il che non basta a nascondere quello che effettivamente produrrà: «l’intelligenza artificiale generativa […] rendendo facilissimo generare testi, immagini e video, invece di accelerare l’automazione e la sostituzione degli esseri umani con i software, potrebbe aumentare le competenze di gran parte dei lavoratori e quindi rimetterli al centro della scena con stipendi più alti. Certe mansioni, che oggi sono riservate ai più bravi, potrebbero essere estese a tutti o quasi, perché tutti o quasi, usando bene gli strumenti dell’intelligenza artificiale, possono diventare più bravi. E più pagati».

Naturalmente, non possiamo negare in senso assoluto che la “distruzione creatrice” porterà ad un aumento di filmaker, di “scrittori”, eccetera, e quindi di tutto un nuovo ramo dell’economia capitalistica, ma solo l’intelligenza artificiale dei borghesi può credere che possa esistere un mercato intero che richieda in massa l’eccezione, cioè che un ramo nuovo possa sostenere tutta la vecchia pianta morente. Un mestiere eccezionale potrà essere fatto in massa solo al prezzo di dequalificarlo esasperando la concorrenza. Se quindi, come sostiene Luna, web e social hanno fatto retrocedere tanti salariati al livello della “gig economy”, tipo fattorini o autisti di Uber (si noti come per questo pretenzioso saccente, cresciuto alla scuola ignorante del pressappochismo antiscientifico e universitario borghese, la “classe media” non si identifichi con la piccola borghesia, ma evidentemente coi proletari precedenti la precarizzazione da rivoluzione informatica), ora l’Intelligenza Artificiale, per una eccezione che promette di salvare, manterrà l’impegno di ridurre il 90% dei colletti bianchi a concorrenti spietati dei migliaia di fattorini o degli autisti di Uber già in guerra tra loro per due euro a viaggio. In attesa che Tesla, l’8 agosto, con il lancio dell’auto a guida autonoma, cominci a distruggere anche i posti da fattorini precari, dando l’avvio al nuovo declassamento generale.

Il declassamento generale non procederà tanto spedito, ma sarà tanto più rapido, quanto più i potenziali declassati, sceglieranno la via tracciata e suggerita subdolamente da Luna, quella di scannarsi individualmente l’uno contro l’altro nella speranza, per lo più vana, di essere l’eccezione “meritevole” di godersi i “vantaggi” prodotti dall’avvento della dequalificazione da Intelligenza Artificiale, anziché di unirsi collettivamente per sfruttare i veri progressi sociali che una simile innovazione tecnologica porta oggettivamente.

Infatti, a dispetto degli entusiasmi da serva di Riccardo Luna, il proletariato non ha bisogno di alcuna “distruzione creatrice”. E l’unica Intelligenza Artificiale che può fargli battere il cuore, è proprio quella “vera e reale” che spazzerà via quanto più lavoro sociale possibile. E del resto un’innovazione tecnologica che prometta lavoro anziché toglierlo di mezzo, è un’innovazione per un mondo di cretini, quello a immagine e somiglianza dei borghesi che lo pensano. Ci manca solo che l’innovazione tecnologica serva per aumentare lo sgobbo anziché a ridurlo. Un’innovazione del genere, è un’innovazione che non funziona. Le uniche innovazioni sopravvissute nei duecento anni e più di capitalismo, sono quelle che hanno risparmiato lavoro sociale, aumentando produttività generale e ricchezza a disposizione, cioè che hanno ridotto o in termini assoluti o in quelli relativi, vale a dire in proporzione, il tempo di lavoro necessario a produrre “beni e cose comode”, ossia quella che Adam Smith chiamava impropriamente ricchezza delle nazioni, ma che era ed è, quasi tutta in blocco, la ricchezza della sola borghesia prodotta dal proletariato.

Non serve quindi frapporsi all’Intelligenza Artificiale, né sognare che produca tanti posti di lavoro quanti ne distruggerà, vale a dire sognare che non serva a un beato tubo. Serve rivendicare che tutto il suo vantaggio sociale, sia ridistribuito tra i lavoratori. Nessuno di loro infatti, perderà il lavoro, se per ogni percentuale di occupazione distrutta, verrà simmetricamente ridotto l’orario a parità di salario. Eccola l’unica distruzione creatrice che può produrre l’Intelligenza Artificiale: la distruzione di una decina di ore di lavoro in meno, con la creazione di un giorno alla settimana in più di tempo libero. Il tutto senza perdita salariale e di conseguenza con una cospicua perdita di profitto. Si chiama ripartizione della ricchezza prodotta (che ovviamente si moltiplicherà con l’Intelligenza Artificiale): lavorare meno per lavorare (il meno possibile) tutti.

Solo il capitale può frapporsi a un simile benessere generale, perché vuole tutto il vantaggio dell’Intelligenza Artificiale per sé. Per questo serve una piattaforma unificante di lotta contro le sue pretese. È la piattaforma del Partito Comunista dei Lavoratori, la piattaforma dell’avanguardia marxista, l’unica in grado di difendere il proletariato nel verso giusto.

Col socialismo l’Intelligenza Artificiale sarà sfruttata ancor meglio, per accelerare ancora di più i tempi della liberazione umana dalla pestilenza del lavoro. Solo i borghesi decaduti saranno tristi, perché non avranno nessuno da sfruttare e soprattutto perché, senza più fabbriche né intelligenza né vera né finta in mano, dovranno, per la prima volta nella loro vita, lavorare. Ecco perché blaterano, coi loro replicanti a servizio, di “distruzione creatrice”. Perché sanno fin troppo bene che non sarà così, ma anche fosse, sanno ancora meglio che finché saranno a loro a comandare, il lavoro eventualmente “creato”, non sarà comunque fatto da loro che se ne guardano bene. Ecco perché sono così felici al pensiero del lavoro creato dall’Intelligenza Artificiale: perché sarà al prezzo più basso possibile e sarà comunque vero, se fatto sempre e solo da altri.





Postilla gramsciana finale

L’animale borghese, nei fatti o nello spirito e in tutte le sue forme, dal capitalista ai suoi innumerevoli servi, economisti, giornalisti, politologi eccetera, vede sempre l’economia (che per lui è sempre l’economia capitalistica, perché da Robinson Crusoe all’uomo delle caverne non vede altro che libero scambio, proprietà privata e immaginari “patti sociali” per frenare la “naturale” bellicosità umana) come il frutto dell’interrelazione degli individui, ognuno preso a sé stante come una monade solitaria esistente indipendentemente dalle altre. È grazie a questa visione rasoterra, non più lunga di una spanna, da irrecuperabile talpa accecata, che Riccardo Luna può ripetere convinto la buona novella del vangelo secondo Musk, in base al quale con l’avvento dell’auto a guida autonoma, non resterà che comprarsela e «farle fare il robotaxi» mentre si sta comodamente «sdraiati sul divano di casa», a godersi l’incasso che porterà nel garage alla fine della giornata.

Anche ammesso che tutta l’umanità avesse la possibilità di un simile e costosissimo acquisto, il profitto da capitalista autonomo che sfrutta solo il suo robotaxi automatizzato, resterebbe sempre zero e non farebbe entrare nessuno nel paradiso di Musk, o solo qualche sporadica e temporanea eccezione, nell’attesa di essere sbattuta di nuovo fuori nel giro di poco. In effetti l’incasso da robotaxi, solo apparentemente viene dai suoi giri solitari in cerca di clienti. E l’apparenza inganna l’autonomo giornalista proprio perché immagina tutti come monadi solitarie senza nessun vero rapporto sociale con le altre, se non il freddo pagamento in contanti (elettronici). E tuttavia, monadi solitarie non sono nè il giornalista nè il capitalista sul sofà, perché il profitto da robotaxi può esistere solo all’interno di un rapporto sociale chiamato capitalismo. E nel capitalismo, l’unico profitto che circola e che uno può incassare, è quello che circola sotto forma di merce che ha incorporato una quantità di lavoro umano sociale. Il lavoro sociale produce profitto come lavoro umano sociale medio. Un capitale per esempio di 100 mila dollari, quello necessario per comprare il robotaxi, esprime poniamo il potenziale medio di profitto estratto da 10 operai salariati. Per arrivare a quella media, oltre all’autonomo col robotaxi, da qualche parte deve esserci qualcuno che immette nella circolazione un capitale merce analogo ma frutto del lavoro di 20 operai. Un capitale merce poco competitivo che alla fine del ciclo incasserà un saggio di profitto nettamente al di sotto della media. Il robotaxi senza operai salariati sotto comando, incasserà tutto il profitto che chi sta sopra la media perderà. Non è insomma lui ad aver prodotto profitto, ma i capitalisti meno concorrenziali di lui che se lo son visti sottrarre dal suo vantaggio tecnologico.

Il caso appena descritto è in linea generale ben analizzato da Gramsci nel quaderno Americanismo e Fordismo. Gramsci criticava la teoria degli alti salari di Ford che pagava i suoi operai circa il doppio di quello che prendevano in altre fabbriche. Non era la benevolenza di Ford a raddoppiare la paga, e nemmeno la consapevolezza che con un’iperproduzione solo un alto salario ha la possibilità di ricomprarla. L’idea che il capitale debba dare alti salari per smaltire la sua iperproduzione, è una delle massime ingenuità che si siano mai sentite in materia di analisi capitalistica. Ford, spiegava Gramsci, pagava il doppio i suoi operai perché aveva un vantaggio di monopolio, il famoso modo fordista di produzione ereditato e perfezionato dai macelli. Il vantaggio di monopolio consentiva migliori condizioni. Ma cosa sarebbe successo, si domandava Antonio nostro, quando il vantaggio di monopolio si fosse generalizzato? Sarebbe successo quello che abbiamo man mano visto con lo sviluppo del fordismo in toyotismo eccetera eccetera. La generalizzazione del monopolio, facendo sparire il vantaggio economico, livella i salari verso il basso, deprezzando il loro costo medio.

Il movimento al ribasso del prezzo delle merci, compresa la merce base che è la forza-lavoro, è inverso al movimento dei capitali, che si livellano invece verso l’alto, cioè verso gli investimenti più redditizi. Ma anche questo aspetto ha il suo tallone d’Achille. Il vantaggio economico di un capitale che ha automatizzato tutto, accelererebbe come non mai il processo di automazione generale. Infatti, i capitali medi, senza mettersi in pari in fretta al livello di Elon Musk e della sua Tesla automatizzata, finirebbero per fallire. L’automazione totale su scala globale, rappresenta il punto zero del profitto ed è in contraddizione assoluta col modo di produzione capitalistico che, infatti, non la può perseguire davvero fino in fondo. Ma anche una semiautomazione che si avvicini al modello di Tesla, complica le speranze di chi sogna di stare sul sofà, a non “sofare” un bel niente mentre un robotaxi fa il lavoro per lui in un mondo sempre capitalistico. Infatti, mentre l’automazione generale si avvicina al modello di Tesla, precipiterebbe anche la caduta tendenziale del saggio di profitto medio del sistema capitalistico, cioè il rapporto percentuale tra l’intero profitto incassato e la quantità necessaria di capitale investito per ricavarlo. In breve, per non appesantire il lettore con troppi dati tecnici, nel giro di poco il capitalista autonomo col robotaxi automatizzato, sarebbe costretto a prenderne due e poi tre e cosi via, solo per aver alla fine della giornata a malapena i soldi per la minestra. Perché un’automazione così spinta deprezzerebbe tutto alla velocità della luce, anche il costo delle corse di un taxi. Ma soprattutto solo una compagnia internazionale di robotaxi, sarebbe in grado di avere un numero sufficiente di mezzi (che sarebbe cospicuo, probabilmente oltre le centinaia di migliaia) per intascare il profitto minimo in grado di farla restare sul mercato. È quella compagnia multinazionale non è altro che la Tesla alla quale, nel giro di un paio di ronfate sul sofà, l’autonomo sarebbe costretto a rivendere il robotaxi col quale non ricaverebbe abbastanza. Finiti i sogni sul sofà, l’autonomo tornerebbe a vegetare nei gangli sempre più stretti di una gig economy pure lei in fase di asfissia grazia all’accelerazione dell’automazione.

Del resto se fosse possibile godersi il lavoro del robotaxi, non avremmo bisogno di aspettare l’8 agosto della Tesla. La versione ridotta del sogno di Musk è già presente in tutte le metropoli e si chiama monopattino. Non è completamente automatizzato perché non ne ha bisogno, ma non richiede altro che un “gettone” elettronico per funzionare. Come mai i geni della borghesia non ci suggeriscono di comprarne uno e metterlo a disposizione di Roma per i turisti, lasciandoci in casa a controllare su paypal il gruzzolo che farà per noi? Non solo perché due o tre milioni di persone, non hanno bisogno di 60 milioni di monopattini che si facciano concorrenza, ma anche e soprattutto perché evidentemente solo una compagnia con una batteria di monopattini può sostenere i costi di manutenzione e i prezzi di un’assicurazione contro i furti, senza i quali il nostro monopattino si mangerebbe in due giorni i due spicci di guadagno appena fatto. Come il monopattino capitalistico non ha liberato nessuno, infestando solo le città di pericolosi idioti che sfrecciano sui marciapiedi, così non libererà nessuno il robotaxi automatizzato a tutto vantaggio del capitale. Solo Tesla si libererà degli ultimi tassisti riempiendo i suoi robotaxi di soldi e incatenando tutti alla precarietà.

Eh già, il problema di fondo è che i sognatori delle monadi individuali, ignorano che l’individuo da solo non esiste, esiste solo nella società, con buona pace della Signora Thatcher. E nella società del libero scambio capitalistico, lo scambio base, senza il quale la società non può esistere, è lo scambio tra il capitale e la forza-lavoro, cioè tra due classi contrapposte, borghesia e proletariato, ossia ancora tra due gruppi di cui il primo ha in mano i mezzi di produzione e l’altro non ha in mano niente fluttuando libero sul mercato della forza-lavoro. Una società di soli autonomi capitalisti che si scambiano tra loro merci e servizi, ognuno col suo robotaxi o qualche altra privatissima “entrata” automatizzata non può esistere con l’attuale modo di produzione. Deve sempre esserci una classe numerosa di proletari che non hanno altro che sé stessi da vendere sul mercato. Non solo, l’automatizzazione di Musk, è una grande accelerazione del profitto e il profitto accelera solo producendo, al polo opposto, una accelerazione simmetrica del processo di proletarizzazione. La tendenza di fondo della società capitalistica, è un processo, non lineare, di restrizione della classe borghese e di un aumento in massa di proletari. L’inverso non può esistere. Ne segue che il «vale la pena di provarci» come pensa Riccardo Luna non ha alcun senso. Non perché si debba respingere l’Intelligenza Artificiale, ma perché nessuna Intelligenza Artificiale darà al capitalismo alcuna opportunità per non essere capitalismo, cioè per far diventare tutti capitalisti. Resteremo in realtà in massa proletari e peggio ancora sottoproletari. Speriamo l’Intelligenza Artificiale dia almeno l’opportunità a Riccardo Luna, di studiare. Sarebbe già qualcosa...

Lorenzo Mortara
falce matrello artificviale

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