Prima pagina
Il governo dei manganelli alla prova della Palestina
Si allarga il divario tra le politiche filosioniste e il sentimento pubblico
26 Febbraio 2024
Le cariche poliziesche a Pisa e Firenze contro manifestazioni studentesche pro Palestina hanno scosso ampi settori di opinione pubblica. L'immagine diretta della violenza repressiva ha suscitato una reazione diffusa di sdegno. Il Presidente della Repubblica, che il giorno stesso delle cariche poliziesche aveva censurato come «inaccettabile violenza»... il manichino di stoffa bruciato di Giorgia Meloni, ha cercato di riequilibrare la propria immagine con ventiquattro ore di ritardo parlando del ricorso al manganello come fallimento dello Stato.
La verità è che il governo a guida postfascista ha inaugurato una stagione nuova nel rapporto con la piazza. Un rapporto selettivo, naturalmente, a seconda della base sociale coinvolta. Le manifestazioni dei trattori hanno potuto bloccare ripetutamente le strade con relativa facilità, trattandosi della base sociale del governo, seppur contesa tra Fratelli d'Italia e la Lega. Lì la polizia non si è mossa. Quando la base sociale è diversa, diverso è l'intervento dello Stato. Che si tratti dei rave party, degli ambientalisti, dei picchetti operai, degli studenti, lì scatta ripetutamente il riflesso d'ordine degli apparati di sicurezza.
Non c'è bisogno sempre di una direttiva esplicita di Piantedosi, che forse in qualche caso avrebbe persino desiderato di evitare grane. Si tratta del comportamento indotto oggettivamente dal nuovo quadro politico. Il poliziotto si sente incoraggiato dalla presenza al governo, finalmente, degli “amici della polizia”. Da qui un senso di copertura e legittimazione che libera la facilità del manganello, cui si aggiunge la corsa di Lega e Fratelli d'Italia ad intestarsi, in reciproca concorrenza, il plauso della polizia. «Chi tocca un poliziotto o un carabiniere è un delinquente» afferma Salvini dopo i pestaggi per fare da controcanto a Mattarella. È la politica legge e ordine come marchio identificativo della destra.
E tuttavia nei fatti di Pisa e Firenze non c'è solo questo. C'è anche il riflesso indiretto della pressione sionista e del clima generale cui questa concorre.
L'ambasciata israeliana, come peraltro in altri paesi, sta moltiplicando le pressioni istituzionali per delegittimare le manifestazioni pro Palestina. Siamo (ancora) molto lontani dal livello di Germania e Francia, dove la stessa libertà di manifestazione viene abolita o chiamata in causa. Lo dimostrano le mille manifestazioni pro Palestina che si sono svolte liberamente in questi mesi. E tuttavia cresce una campagna intimidatoria, a partire da scuole e università, tesa a rappresentare ogni espressione di antisionismo come sospetto antisemitismo da censurare ed eventualmente reprimere. Basta vedere cosa è accaduto sul palco di Sanremo con la censura a Ghali, e davanti alle sedi della Rai, con pestaggi polizieschi esibiti e rivendicati. Lo stesso intervento del ministro Valditara contro le occupazioni studentesche ha tratto spunto, guarda caso, da occupazioni intitolate (anche) alla solidarietà verso la Palestina. Così a Pisa si è detto che il manganello era necessario per difendere la sinagoga dai facinorosi «amici di Hamas» (Donzelli). Una specifica circolare del ministero degli Interni, dopo il 7 ottobre segnalava peraltro alle forze di polizia il rischio di obiettivi sensibili da tutelare.
Gli ambienti della borghesia liberale mostrano disappunto verso questa politica repressiva. La loro principale preoccupazione è che possa incendiare gli animi e radicalizzare i giovani. È una preoccupazione dal loro punto di vista assolutamente fondata. E tuttavia si tratta degli stessi ambienti borghesi che sostengono con entusiasmo la politica estera filosionista del governo Meloni, che ospitano sulle proprie pagine apologie incantate di Israele (vedi Corriere della Sera e Repubblica), che appoggiano la missione navale imperialista a guida italiana sul Mar Rosso, che invocano pubblicamente la massima unità nazionale tricolore attorno a questa politica contro ogni possibile defezione. In altri termini, l'opposizione borghese liberale al governo Meloni, e al suo manganello, è la stessa che gli assicura una preziosa cintura di sicurezza. Il cosiddetto Piano Mattei, le nuove ambizioni dell'imperialismo italiano in terra d'Africa, i programmi di riarmo accelerato dell'Italia per mettersi al passo delle nuove sfide mondiali conoscono proprio in quegli ambienti la massima celebrazione. Basti vedere l'orientamento strategico della rivista Limes di Lucio Caracciolo. Il governo e i suoi metodi repressivi si avvantaggiano di questo sostegno.
E tuttavia il fronte borghese ha un problema che si chiama proprio Palestina. Cresce infatti ogni giorno il divario tra l'isteria filosionista della borghesia italiana e il senso comune dell'opinione pubblica, in particolare tra i giovani. L'orrore quotidiano delle politiche genocide nella terra di Gaza, le crudeltà dell'occupazione sionista in Cisgiordania, suscitano un naturale senso di identificazione nella causa palestinese nella maggioranza della società. Le manganellate e le censure contro le manifestazioni pro Palestina contribuiscono a rafforzarlo.
Il movimento operaio deve entrare finalmente sulla scena per prendere la testa di questo sentimento giovanile. Dare a questo sentimento una coscienza politica e una prospettiva programmatica – antisionista, antiimperialista, anticapitalista – è il compito dei marxisti rivoluzionari.