Prima pagina

Cosa ricorda la Repubblica?

9 Febbraio 2024
leggericordo2004


In occasione del Giorno del Ricordo, pubblichiamo la relazione dello storico Sandi Volk al convegno "Foibe: la verità. Contro il revisionismo storico" del 9 febbraio 2008. L'intervento affronta la questione a partire dalla legge che introdusse il Giorno del Ricordo, varata nel marzo di esattamente vent'anni fa, durante il secondo governo Berlusconi.



La Legge 30 marzo 2004 n° 92, con la quale il parlamento ha dichiarato il 10 febbraio Giornata del Ricordo «al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale», prevede anche che «al coniuge superstite, ai figli, ai nipoti e, in loro mancanza, ai congiunti fino al sesto grado di coloro che, dall'8 settembre 1943 al 10 febbraio 1947 in Istria, in Dalmazia o nelle province dell'attuale confine orientale, sono stati soppressi e infoibati, nonché ai soggetti di cui al comma 2, è concessa, a domanda, un diploma e una medaglietta con la scritta "La Repubblica italiana ricorda"».

Tutto chiaro e semplice, fin qui. Ma in materia di foibe le cose non sono mai chiare e semplici, e ciò è quanto possiamo ravvisare leggendo con attenzione il testo della legge stessa. La legge infatti afferma che «agli infoibati sono assimilati, a tutti gli effetti, gli scomparsi e quanti, nello stesso periodo e nelle stesse zone, sono stati soppressi mediante annegamento, fucilazione, massacro, attentato, in qualsiasi modo perpetrati. Il riconoscimento può essere concesso anche ai congiunti dei cittadini italiani che persero la vita dopo il 10 febbraio 1947, ed entro l'anno 1950, qualora la morte sia sopravvenuta in conseguenza di torture, deportazione e prigionia, escludendo quelli che sono morti in combattimento».

Lasciando da parte annegamento, fucilazioni e massacri, va rilevato che l’attentato era una tipica modalità operativa delle formazioni partigiane, rivolta contro singoli, gruppi o strutture naziste, fasciste e collaborazioniste. Si tratta, quindi, di una attività militare vera e propria, equivalente al combattimento – l’agguato teso dai partigiani a una colonna nemica, per esempio, può essere considerato anche come un attentato. È chiara la contraddizione con la succitata clausola di esclusione per i morti in combattimento.

Poche righe più avanti, il testo della legge pare però sciogliere tale contraddizione specificando che saranno esclusi dal riconoscimento coloro che sono stati «soppressi e infoibati», annegati, massacrati, fucilati o vittime di attentato mentre «facevano volontariamente parte di formazioni non a servizio dell'Italia».

In questo caso la formulazione della legge lascia senza risposta alcune domande fondamentali. Non dice, difatti, al servizio di quale Italia dovevano essere le formazioni in questione: di quella passata nel campo alleato – e che quindi combattevano CONTRO i tedeschi – o della Repubblica Sociale Italiana di Mussolini, che stava invece CON i tedeschi?

In secondo luogo, chi conosce minimamente la storia dei territori in questione, sa che dopo l’8 settembre ’43 in tutte le formazioni naziste, fasciste e collaborazioniste (e d’altra parte anche in quelle partigiane) si entrava SOLO ed ESCLUSIVAMENTE su base volontaria. I nazisti, infatti, quei territori li avevano staccati dalla RSI costituendo la Zona d’Operazioni Litorale Adriatico, governata dalle leggi imposte da un Supremo Commissario nazista nominato da Hitler. Tale Commissario aveva tra l’altro proibito alla autorità della RSI di effettuare il richiamo obbligatorio di giovani di leva nelle sue formazioni armate, decretando invece la scelta, al momento del richiamo da parte della autorità tedesche, tra l’arruolamento come lavoratori nell’Organizzazione Todt oppure l’entrata – volontaria – in una qualsiasi delle formazioni tedesche o al servizio dei nazisti.

Quindi è chiaro che tutti gli appartenenti alle SS italiane, alla Milizia difesa territoriale (l’equivalente della Guardia Nazionale Repubblicana nella RSI), alle formazioni dei domobranci sloveni o ad altre formazioni collaborazioniste erano VOLONTARI. Ed erano al servizio dei tedeschi, non della RSI e tanto meno dell’Italia che combatteva dalla parte di Gran Bretagna, Stati Uniti e Unione Sovietica. Gli unici che non erano tutti volontari erano gli appartenenti alla Polizia e alla Guardia di Finanza, ma anche loro erano al servizio dei tedeschi e non certamente dell’Italia che combatteva i nazisti e i fascisti. Si trattava poi della stessa polizia che fino al 25 luglio ’43 era stata al servizio di Mussolini.

Ma gli espedienti tesi a salvare le apparenze non sono finiti qua. I legislatori, ancora più furbescamente, sanciscono infatti l’esclusione dal riconoscimento per i parenti delle vittime «per le quali sia accertato, con sentenza, il compimento di delitti efferati contro la persona».

Ora, come si può credere che qualcuno sia stato annegato, massacrato, soppresso in attentato (riguardo alle fucilazioni la questione è evidentemente un po’ diversa) dopo sentenza? E poi: quali sentenze vengono ritenute valide? Anche quelle dei tribunali partigiani? O quelle dei tribunali militari dell’Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo? O solo quelle della magistratura italiana – che nei territori in questione durante la guerra era sottomessa alle autorità tedesche e che certamente non ha mai non solo condannato, ma nemmeno processato qualche appartenente alle formazioni naziste o collaborazioniste per «delitti efferati contro la persona»?. E quali genere di delitti rientrano tra quelli considerati efferati? La cosa ricorda molto il giochetto già visto all’epoca dell’amnistia Togliatti, quando, proprio in virtù di una clausola del genere e alla sua interpretazione di comodo da parte della magistratura, poterono sfuggire alle pene inflitte in precedenza (in alcuni casi quella di morte) anche alcuni noti sadici torturatori.

Certo, le considerazioni finora fatte potrebbero sembrare null’altro che supposizioni dettate da preconcetti. Il fatto è che però tali supposizioni sono state confermate e addirittura superate da quanto accaduto con la effettiva applicazione della legge, ovvero con la distribuzione dei riconoscimenti in occasione della Giornata del Ricordo. La prima assegnazione di medaglie ricordo con relativi diplomi avviene il 10 febbraio 2006; ne segue una seconda in data analoga nel 2007 e poi nel 2008.

In seguito a tale riconoscimento ufficiale da parte dello stato ci si sarebbe potuti aspettare un’accoglienza piena di orgoglio da parte dei parenti dei deceduti, e che perciò i nomi dei morti sarebbero stati resi pubblici con tanto di liste ufficiali (cosa che tra l’altro sarebbe servita a dimostrare la veridicità delle affermazioni di chi sostiene che i cosiddetti infoibati siano stati decine di migliaia, quando non milioni, come sostenuto dall’allora ministro Gasparri). E invece no. Non solo è difficilissimo riuscire a rintracciare i nomi dei premiati, ma a Udine coloro che hanno ricevuto il riconoscimento nel 2007 hanno chiesto – e ottenuto – che i nominativi dei congiunti deceduti non fossero resi noti! Quasi che, più che esserne fieri, ne provassero vergogna!

Siamo comunque riusciti a trovare i nominativi dei deceduti i cui parenti hanno ricevuto il riconoscimento nel 2006, di una parte soltanto di quelli del 2007 e di uno solo di quelli del 2008. Abbiamo quindi voluto fare una breve ricerca cercando di capire chi fossero: oltre a quanto riportato nelle motivazioni per la concessione dei riconoscimenti (presenti solo per il 2006 ma non per il 2007), siamo andati a vedere cosa di questi morti si dicesse in vari elenchi di caduti, prodotti da persone e ambienti che di tutto possono essere accusati, tranne che di essere dei filoslavi, dei filotitini o dei comunisti. Abbiamo infatti riportato i dati rintracciabili nel volume di Luigi Papo de Montona Albo d’oro. La Venezia Giulia e la Dalmazia nell’ultimo conflitto mondiale (Unione degli Istriani, Trieste, 1989), nell’Albo caduti e dispersi della Repubblica Sociale Italiana, edito nel 2003 dalla Fondazione della RSI – Istituto storico Onlus (1) a cura di Arturo Conti, e l’Elenco dei caduti e dispersi della RSI dell’agosto 2007 (2) (l’elenco viene aggiornato ogni due mesi).

Abbiamo raccolto complessivamente 118 nominativi di persone i cui parenti hanno ricevuto il riconoscimento. 21 hanno avuto il riconoscimento nel 2006, 91 nel 2007 e 1 nel 2008, mentre 5 hanno ricevuto il riconoscimento sia nel 2006 che nel 2007. Per uno di questi il riconoscimento è stato concesso addirittura tre volte: una nel 2006 e due nel 2007, da due prefetture distinte (Lecco e Cagliari). Si potrebbe pensare che più parenti abbiano presentato domanda ottenendo tutti il riconoscimento, ma invece esso è stato consegnato sempre alla medesima persona!

Negli elenchi da noi consultati non siamo riusciti a trovare alcun dato su 3 persone della nostra lista. Quanto agli altri, 63 erano nativi di Trieste, Gorizia, Istria, Fiume o Dalmazia, mentre ben 55 provenivano da altre provincie italiane (oppure non abbiamo dati sul loro luogo di nascita), in particolare da quelle del meridione. I civili risultano essere 55, mentre 63 appartengono a formazioni militari, di polizia o della Guardia di Finanza.

Tra i militari, gli appartenenti alla Guardia di Finanza sono 11, 2 sono i carabinieri, 9 i poliziotti, 2 gli appartenenti alla Polizia economica (istituita dai nazisti con compiti tributari ma utilizzata anche in funzione antipartigiana), 1 appartenente all'aviazione, 4 all'esercito e 3 alla marina della RSI, 1 Guardia civica (formazione collaborazionista costituita dal podestà di nomina nazista di Trieste), 3 sono le Camicie nere, 1 Brigatista nero (nonché ex squadrista), 6 vengono qualificati come appartenenti alla GNR, 20 alla Milizia difesa territoriale (la principale formazione collaborazionista italiana, equivalente alla GNR nel territorio della RSI).

Uno di costoro viene però qualificato nelle motivazioni per la concessione della medaglia e del diploma come falegname, mentre in realtà non solo faceva parte di una delle formazioni armate fasciste, ma aveva un curriculum fascista di prim'ordine: era stato prima squadrista, poi milite della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN, la forza armata in cui vennero inquadrati gli squadristi dopo l'ascesa al potere di Mussolini) e dopo l'8 settembre '43 membro del Partito Fascista Repubblicano (la riedizione del Partito Nazionale Fascista del periodo precedente).

Possiamo constatare quindi che tra i militari, gli appartenenti alle formazioni più prettamente fasciste sono la gran maggioranza.

Tra i 55 qualificati come civili, ben 22 sono ex appartenenti alla Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale o al Partito Nazionale Fascista, appartenenti al Partito Fascista Repubblicano o comunque persone che ricoprirono incarichi per conto dei nazisti (interpreti, ma anche podestà, vicepodestà, prefetti e altro) e che possono essere qualificati come collaborazionisti. Va aggiunto che un'altra persona, qualificata nelle motivazioni della concessione del riconoscimento come «impiegato comunale» era, per ammissione della stessa figlia, uno squadrista della prima ora.

Per quanto riguarda le formazioni armate, è da tenere presente che gli appartenenti alla polizia erano gli stessi che fino al 25 luglio '43 avevano servito Mussolini, e che nella Zona d'Operazioni Litorale Adriatico formazioni della Guardia di Finanza – unico caso in Italia, a quanto pare – partecipavano ad azioni antipartigiane al fianco dei tedeschi.

Inoltre l'arresto in massa di appartenenti alla polizia e alla Guarda di Finanza è dovuto anche al fatto che l'esercito jugoslavo considerava come nemiche – e quindi da disarmare, arrestare e internare – tutte le formazioni che erano state al servizio dei tedeschi, e quindi anche la polizia e la Guardia di Finanza.

A parte queste precisazioni, è facile constatare come la gran parte dei riconoscimenti (86 – il 73%) sono andati ad appartenenti a formazioni collaborazioniste e fascisti in armi o meno.
Mentre, per converso, uno solo dei nominativi raccolti viene qualificato come antifascista. E per di più si trattava di un autonomista fiumano, che voleva non il ritorno dell'Italia, ma la rinascita dello Stato libero di Fiume (1920-1924).

Di un altro dei premiati, che risulta essere membro delle forze armate della RSI, sappiamo però anche che viene tuttora annoverato tra gli appartenenti al CLN di Trieste. Quindi, essendo larghi di manica, su 118 nominativi di uccisi abbiamo due antifascisti (l'1,6%). Ma non si racconta in giro che le uccisioni hanno riguardato anche (e spesso si aggiunge soprattutto) gli antifascisti?

Tutt'altro che antifascista era invece Vincenzo Serrentino, il caso più eclatante tra i premiati del 2007, causa di un incidente diplomatico con la Croazia. Nella motivazione ufficiale viene presentato semplicemente come «ultimo prefetto di Zara italiana». In realtà Serrentino arrivò a Zara nel '19 come ufficiale del Regio esercito e fu all'inizio degli anni '20 tra i principali dirigenti del Fascio di combattimento di Zara. In seguito divenne tenente colonnello delle Camicie nere e dopo l'occupazione della Jugoslavia da parte delle truppe dell'Asse fece parte del Tribunale speciale per la Dalmazia, l'organo di giustizia che serviva a dare una copertura giuridica alle rappresaglie contro il movimento partigiano. Per questo la Jugoslavia inserì il Serrentino, assieme agli altri suoi colleghi del Tribunale speciale, nella lista di criminali di guerra italiani presentata alle Nazioni Unite. Lui fu però uno dei pochi che gli jugoslavi riuscirono a catturare e portare davanti a un tribunale.
Venne infatti giudicato a Sebenico e condannato a morte, sentenza che venne eseguita il 15 maggio del 1947. Quindi la Repubblica italiana ha concesso un riconoscimento alla memoria non solo a tutta una serie di fascisti, ma addirittura a una persona giudicata e condannata per crimini di guerra!
E oltre a Serrentino almeno un altro dei premiati è stato fucilato dopo essere stato condannato (nel caso in questione dal tribunale militare della quarta Armata jugoslava).

Ma ancora non è finita. Tra le persone premiate ce ne sono 14, la cui morte difficilmente può essere attribuita ad infoibamento, ma evidentemente tutto fa brodo per far lievitare i numeri degli uccisi solo perché italiani. Si tratta di scomparsi o uccisi dopo la fine del periodo di giustizia sommaria in Istria (settembre-ottobre '43) e prima della conclusione della guerra nei territori in questione (3 maggio 1945). Dunque morti avvenute in piena guerra (le date di uccisione o scomparsa vanno dal 12.11.1943 al 28.4.1945), o, secondo alcuni dati, in altri luoghi (una all'aeroporto di Cerveteri Furbara!).

Di alcune altre non si capisce in base a cosa la responsabilità della loro scomparsa possa essere attribuita ai partigiani.
Ad esempio, nel caso di un uomo «partito per Racia (Monte Maggiore) e scomparso il 16.1.1944», oppure di un altro «scomparso presso la Cava Faccanoni (Trieste) il 12.2.1945».

Tra i premiati ci sono però addirittura persone morte in combattimento e che quindi – anche in base al testo della legge – non dovevano essere incluse. Il caso in questo senso più spudorato è quello di un milite della Milizia difesa territoriale caduto il 2 febbraio del '44 nei pressi di Rifembergo vicino ad Aidussina nell'attacco portato dai partigiani all'autocolonna su cui viaggiava con i suoi camerati fascisti e tedeschi.

Anche costui è un infoibato, ucciso solo perché italiano? E perché non premiare anche gli altri caduti in quell'attacco? Perché assieme a lui vennero uccisi (o meglio, infoibati) – naturalmente solo perché italiani – anche 81 suoi camerati italiani e... tedeschi! Da aggiungere che la rappresaglia nazifascista fu immediata: vennero incendiati i paesi di Komen (Comeo), Tomacevica, Dovce, Mali Dol e Rihemberk (Rifembergo) e internate 1100 persone (in gran parte donne e bambini). Ma questo naturalmente non conta, non vale la pena ricordarlo. In fondo, se ci rifacciamo allo spirito del discorso pronunciato nella Giornata del Ricordo dal presidente della Repubblica Napolitano, si trattava di paesi e uomini e donne appartenenti a una civiltà inferiore. E per di più infettati dal bolscevismo.

È abbastanza chiaro ora chi e cosa ricorda la Repubblica nel Giorno del Ricordo?



(1) consultabile su: https://www.fondazionersi.org/caduti/AlboCaduti2019.pdf [la versione consultata dall'autore è una precedente edizione, ndr]

(2) pubblicato sul sito: http://www.laltraverita.it/elenco_caduti_e_dispersi.htm

Sandi Volk

CONDIVIDI

FONTE