Teoria
Alla riscoperta della formidabile Rivoluzione messicana (1910-1920) [prima parte]
16 Gennaio 2024
Villa e Zapata nel Palazzo Nazionale
Pubblichiamo la prima parte (la seconda la trovate qui) di un'accurata e dettagliatissima ricostruzione storiografica e politica della Rivoluzione messicana del 1910, condotta sulla base di un'analisi materialista storica degli eventi.
Qualche passo indietro per capire il contesto del Messico che partorirà la Rivoluzione. L'era coloniale (la dominazione spagnola) termina nel 1821 con la proclamazione di indipendenza e la dotazione di una costituzione repubblicana. Nel 1846 gli Stati Uniti invadono il Messico e attraverso la guerra spoglieranno il paese di circa la metà del suo territorio. Dopo circa dieci anni sarà il presidente Benito Juarez, con un gruppo di politici liberali sostenuti da una borghesia emergente, a porre le basi per ergere un Messico moderno, emanando nel 1857 una nuova costituzione e aprendo il percorso per uno sviluppo capitalista liberale, nel contesto di un ciclo di espansione del capitale che coinvolge ormai anche l'America latina. Non sarà un percorso lineare. Juarez realizzò la separazione della Chiesa dallo Stato e ne nazionalizzò i beni ed aprì uno sviluppo dinamico del paese, con concessioni ”progressiste” aperte dal contributo e dalla spinta delle masse contadine, sulle quali la borghesia si era appoggiata in questa battaglia. Sul versante dello sviluppo capitalista sarà il mercato delle terre ad essere al centro delle dinamiche di accumulazione di capitale, ma l'economia nazionale resterà ancora intrisa di caratteristiche feudali. Con differenziazioni: a Sud i latifondisti divorarono le terre comunali, a Nord, dove invece sorse una classe media rurale, le terre vengono conquistate in una lotta costante contro gli indios (apache). Questa dinamica e questo copione, nell'ambito delle relazioni capitalistiche della terra, continueranno a perpetuarsi anche durante il corso del presidente Porfirio Diaz: la grande assente continuerà ad essere una vera riforma agraria.
Dal 1876, dopo la morte di Juarez, al 1910 sarà infatti l'ex generale Porfirio Diaz che si farà carico di traghettare il Messico nel moderno scenario economico internazionale, che in questi anni passa dal mercato mondiale del capitalismo di libera concorrenza all'era dell'ascesa imperialista. Questo periodo della storia messicana prende il nome di “porfiriato”, un periodo dove, attraverso politiche liberali di mercato e metodi dittatoriali (soprattutto dopo il terzo mandato, dal 1884), si incrementa l'estensione delle relazioni capitaliste. Anche grazie alle cosiddette leggi di colonizzazione le terre passarono dalla mano dei suoi vecchi proprietari (incluse le comunità indigene) a quella di un pugno di possidenti, nazionali e stranieri. L'economia agraria si caratterizza sempre più come un'economia di piantagione, dove domina, fin dal tempo della dominazione spagnola, il sistema dell'hacienda (modificato man mano, ma non nei sui caratteri distintivi): istituzione economica, sociale e di potere allo stesso tempo.
Non tutto però gira attorno al mondo agricolo. In questa era si avrà un importante sviluppo industriale, soprattutto nel ramo ferroviario, tessile, alimentare, elettrico, unito ad un nuovo auge dell'industria mineraria.
Di pari passo allo sviluppo industriale, conseguentemente, si conobbe anche la formazione di un giovane proletariato, presente soprattutto nel settore minerario e ferroviario (in quest'ultimo con la presenza di connessioni molto forti al proletariato statunitense e alla sua esperienza di lotta). Sorgono così le prime idee, prevalentemente di stampo socialista utopico e anarchico, quindi i primi sindacati, le prime organizzazioni. Si conoscono le prime lotte ed i primi scioperi, scatenati a partire dalla rivendicazione della riduzione dell'orario di lavoro, da 15 a 12 ore al giorno. Centrale per la messa in moto del movimento operaio e la formazione di una sua ideologia è stata la figura di Ricardo Flores Magòn (assieme al fratello Enrique), fondatore del Partido Liberal Mexicano, con un programma nazionalista democratico, poi passato all'anarchismo rivoluzionario.
La struttura economica messicana registrava quindi intrecci e contraddizioni profonde. D'altronde era quello che Trotsky esponeva nella “legge dello sviluppo diseguale e combinato”: un paese arretrato, nell'epoca dell'imperialismo, non segue un processo di sviluppo lineare e per tappe obbligate, sul modello dei paesi sviluppati europei. Ma piuttosto, grazie all'azione di interdipendenza e “contaminazione” che esercita l'economia mondiale nel suo stadio imperialista, si conoscerà all'interno di un singolo paese la contemporanea coesistenza, la combinazione, di differenti elementi di fasi storiche di sviluppo diverse, da quelle più arcaiche a quelle più moderne (capitalismo maturo), ed il procedere, anche nel suo divenire, nel suo sviluppo, saltando fasi intermedie.
I tratti fondamentali del Messico di quegli anni erano quelli tipici di un paese coloniale, dove nello stesso tempo si trovavano elementi del capitalismo moderno, del colonialismo, e forme economiche precapitalistiche. Proprio nella regione del Morelos esistevano affiancate queste contraddizioni più evidenti.
L'intrecciarsi di questi aspetti, in un contesto dove ancora non si era passati per una rivoluzione democratico-borghese, con al centro la riforma agraria (baricentro di una qualsiasi tappa democratico-borghese), alimentava ricadute sociali esplosive (risolvibili solo con la teoria della rivoluzione permanente).
In questi anni, si può dire che regna ancora la stabilità, garantita soprattutto con la dura repressione del regime: per proletari e contadini infatti sono riservati cercare, deportazioni, massacri, che coinvolgono anche popoli interi. Le organizzazioni operaie e gli scioperi sono proibiti per legge. La pace sociale porfirista dura quindi splendidamente fino al 1905, senza elezioni e senza opposizione organizzata. Anche a livello internazionale la borghesia viveva la sua belle epoque e, di riflesso, nel movimento socialista internazionale si erano fatte strada le idee revisioniste di Bernstein. Ma questa tappa della pace borghese aperta con la sconfitta della Comune di Parigi stava terminando. Nel 1905 si conosce la prima rivoluzione russa. Nel 1907 arriva la crisi economica mondiale. Ed anche in Messico la talpa scava.. vanno covando e accumulandosi le contraddizioni che porteranno allo scoppio della rivoluzione.
L'anno è il 1910, l'inizio della rivolta popolare, l'inizio della formidabile rivoluzione messicana. Dopo l'ennesima rielezione di Porfirio Diaz, avvenuta con elezioni farsa, è Francisco Madero, il candidato dell'opposizione, che il 20 novembre dà fuoco alle polveri chiamando la popolazione messicana alla sollevazione contro il presidente ed il suo regime. L'appello alle armi era il risultato finale di crescenti e irrisolte frizioni dentro il campo della borghesia (esplose soprattutto con la crisi mondiale del 1907). Madero, haciendero, capitalista impresario moderno, era infatti un uomo rappresentante della borghesia liberale. Con il suo movimento “antirielezionista” (contro la rielezione di Diaz) aveva lanciato il cosiddetto Plan de San Luis Potosì (dal nome della città dove fu scritto): per lo più una dichiarazione dove i punti centrali ruotavano attorno al disconoscimento del governo di Porfirio Diaz ed il ricorso alla lotta armata contro questo, mentre, per attirare i contadini, si dichiarava timidamente che le terre sottratte “truffaldinamente” dalle autorità messicane alle comunità contadine sarebbero potute ritornare agli antichi proprietari mediante un processo alquanto burocratico. Questo punto rappresentava l'unica rivendicazione sociale del piano.
Insomma, con il sostegno e l'appoggio della piccola borghesia cittadina, accresciuta di numero in questi anni assieme alle sue aspirazioni democratiche, settori di neo borghesia (liberale), per garantirsi un proprio proficuo sviluppo, sentivano la necessità vitale, oltre di liberare ulteriormente i freni da un impianto economico ancora ancorato a strutture tradizionali, di un cambio di registro nei modi di governo tra i rapporti tra le classi, una nuova maschera da dare al dominio della borghesia sulle classi subalterne: il superamento della dittatura porfirista era quindi il primo passo da compiere.
Nelle frizioni e nell'ormai scontro tra i settori della borghesia messicana avevano un certo ruolo anche le relazioni e le contraddizioni interimperialiste. Se Diaz era legato ai rappresentanti del capitale inglese e francese, Madero era appoggiato dall'ascendente imperialismo statunitense in lotta con il vecchio imperialismo europeo.
La sollevazione non parte immediatamente, ma quando parte, nei primi mesi del 1911, si diffonde a macchia d'olio e da Nord a Sud del paese è guidata dalle masse contadine che, come una grande onda, riversano la violenza contro il regime porfirista e tutto quello che lo rappresenta. E' il momento in cui i contadini possono esprimersi e rompere le proprie catene. Nelle aspirazioni del movimento si trovano non solo gli aspetti democratici istituzionali del proprio paese, ma si incontrano chiaramente anche aspetti sociali, si condensa lo scontento generale frutto di più di trent'anni di saccheggio di terre e sfruttamento subìto.
Come tante altre volte nella storia la borghesia si stava servendo del movimento contadino per i propri fini. Ma il movimento contadino finisce per agire in maniera autonoma ed incontrollata. Infatti non sono tanto le aspirazioni ed il programma di Madero a guidare i contadini, ma piuttosto l'azione e l'esperienza maturata nel campo di battaglia nella riappropriazione attraverso le armi delle loro antiche terre, contro i latifondisti, i borghesi ed il loro stato. Il tutto in una logica irrefrenabile.
L'esistenza nei contadini messicani di una tradizione collettiva differente rispetto a quelli europei, passati invece attraverso il feudalesimo, influì nell'apportare alla rivoluzione, nel suo sviluppo, caratteristiche peculiari in relazione alle rivoluzioni fino ad allora conosciute.
Così, nel corso della lotta armata e già dai suoi primi momenti, emergono due grandi centri di forza, due poli attrattivi: a nord i contadini rivoluzionari sono guidati da Pascual Orozco e Francisco “Pancho” Villa, a sud quello che si farà conoscere come Ejercito Libertador del Sur (Esercito di Liberazione del Sud) è guidato da Emiliano Zapata affiancato dal capo militare Jenovevo de la O. Le loro roccaforti erano rispettivamente lo stato del Chihuahua e lo stato del Morelos.
I rivoluzionari, seguendo metodi di guerriglia, hanno subito grandi successi militari. Il 10 maggio 1911 Ciudad Juarez (a nord) è la prima città a finire nelle mani dei rivoluzionari. L'avanzata rivoluzionaria mostrava tutta la sua forza.
Il movimento operaio in questa fase invece resta in disparte, ancora minoritario e disperso (i centri operai erano lontani dai centri politici) resta ai margini della rivoluzione.
Degne di nota le esperienze di un pugno di militanti anarchici magonisti (del Partito Liberal Mexicano - Regeneraciòn era il loro periodico) che, concentrati ed influenti nella bassa California, attraverso delle sollevazioni, per un breve periodo presero in mano le città di Mexicali e Tijuana, al confine con gli USA. Esperienze collettiviste che però, anche per gli stessi limiti organizzativi e politici della corrente anarchica, al di là dell'appoggio dell'IWW (Industrial Workers of the World), restarono isolate e terminarono dopo pochi mesi.
Madero, da parte sua e su diversi binari, contemporaneamente cercava di portare avanti una trattativa con Diaz per arrivare ad uno sfilamento pacifico e formale del dittatore e quindi avviare un processo di transizione che potesse interrompere l'insurrezione contadina. Effettivamente i due capirono la pericolosità della situazione: era necessario arrivare ad un accordo prima che gli eserciti contadini, del Nord e del Sud, travolgessero entrambi. Si arriva così all'accordo dei patti di Ciudad Juarez firmati il 21 maggio: Diaz rinunciava al potere e si incaricava al presidente ad interim Francisco Leon de la Barra di convocare nuove elezioni. Allo stesso tempo si stipulava che le ostilità di guerra sarebbero terminate da entrambi i fronti, l'esercito rivoluzionario spogliato delle armi e queste date al vecchio esercito federale. Nessun accenno alla questione problematica della terra.
Il 25 maggio Diaz quindi abbandona la carica e va in esilio in Francia, il 7 giugno Madero entra trionfante a Città del Messico. Per le forze della borghesia la rivoluzione era quindi terminata, ma per i contadini la rivoluzione era appena iniziata.
In diversi punti del paese, in modo spontaneo, piccoli gruppi di contadini armati, semplici peones o indios, si impossessavano della terra delle haciende e le coltivavano sotto il controllo delle loro armi che avevano rifiutato di consegnare. Molti popoli invadono e recuperano le terre che anni prima gli furono sottratte. Un movimento generale ed incontenibile, in particolar modo nello stato del Morelos ed in quello di Puebla, a sud. La rivoluzione democratico borghese pianificata da Madero si andava a scontrare con dei limiti oggettivi: i problemi fondamentali che questa rivoluzione doveva risolvere, cioè quello della terra (attraverso una riforma agraria) e quello dell'indipendenza nazionale, non potevano essere risolti dalla stessa borghesia. I contadini invece, spontaneamente, in maniera non cosciente, andarono fino in fondo apportando al processo una dinamica di rivoluzione permanente.
Il 6 novembre 1911 Madero prese il potere dopo la vittoria alle elezioni, da lì il suo impegno si sarebbe concentrato nella costruzione di un paese democratico, attraverso l'introduzione di alcune riforme politiche formali. Era la rivoluzione che l'aveva portato alla guida del paese ma fu lui stesso che, guidato degli interessi della classe che rappresentava, per “responsabilità”, evitava una rottura verticale con il regime precedente. Non solo concesse la “buonuscita” a Diaz, ma permise che gli stessi apparati amministrativi e militari restassero immutati ed in continuità con l'epoca porfirista, con al loro interno, anche in ruoli chiave, figure conservatrici e reazionarie. Una scelta che, come vedremo, gli fu fatale e che ricorda più di tutti la vicenda del riformismo di Allende e del suo mandante assassino Pinochet (si sa, il riformismo, anche radicale, è restio ad apprendere dalla storia).
Inoltre Madero, proprio per portare avanti la sua missione, aveva l'obbligo e l'urgenza di farla finita con la rivoluzione contadina. Se durante il suo regime repubblicano liberale si concedevano libertà democratiche al mondo operaio (poterono vedere la luce diverse organizzazioni sindacali, tra cui la Casa del Obrero Mundial), anche grazie ad un nuovo protagonismo del proletariato che conobbe lotte e nuove conquiste sindacali, dall'altro lato si impresse fin da subito una dura repressione verso i contadini ribelli ed i loro leader.
Con i patti di Ciudad Juarez e con l'inizio del potere di Madero si veniva a creare, nella rivoluzione, due fronti che minacciavano il nuovo governo: uno a sud e uno a nord.
Il più pericoloso era nelle regioni a sud di Città del Messico e sopratutto nel Morelos, qui si condensava la resistenza verso il nuovo potere centrale di Madero che fin dagli accordi di transizione con Diaz dimostrava di non dare risposte alle rivendicazioni dei contadini.
La spiegazione sul perché qui più che altrove aveva luogo una lotta rivoluzionaria trova origine nella particolarità di quell'area che conosceva una presenza diffusa di villaggi liberi che non furono mai assorbiti dalle haciendas, ma erano storicamente in lotta costante per difendere le loro terre o riprendersele. Contestualmente era presente un proletariato impegnato nell'industria dei zuccherifici (il settore industriale più moderno del Messico, la terza regione zuccheriera al mondo).
E' infatti da questo contesto che emerge la figura di Emiliano Zapata: nato da una famiglia contadina, ancor giovanissimo eletto presidente del consiglio comunale di un piccolo municipio di 400 persone, trasformatosi poi in capo rivoluzionario per difendere i vecchi diritti di proprietà delle terre comunali e per questo datosi alla lotta armata, ancor prima del 1910, contro il governatore del Morelos e contro Diaz.
Zapata si legò in maniera naturale a Madero quando quest'ultimo lanciò il Plan de San Luis Potosì e l'appello alla sollevazione contro Diaz, ma fin dai primi momenti l'oramai riconosciuto capo del movimento del Sud dava alla condotta della rivoluzione un indirizzo proprio e sempre più autonomo, in stretto legame al mondo contadino, rispetto agli indirizzi di Madero.
Già appena dopo gli accordi di Ciudad Juarez, quindi con il governo interino di Leon de la Barra, la politica verso gli zapatisti ed i contadini del Sud, che ormai senza freno continuavano ad occupare e a coltivare nuove terre sotto la forza dei loro fucili, si caratterizza con una forte repressione alternata a tentativi di negoziati, condotti proprio da Madero, verso Zapata. Il capo militare del Sud si oppone fin da subito a consegnare le armi, anche se poi i negoziati portarono a rivedere in parte questa scelta. Per gli zapatisti si trattava di prender tempo. La rottura definitiva tra Zapata e Madero avviene dopo l'ultimo negoziato andato a male tra i due, siamo a fine agosto del 1911 (quando Madero ancora non era presidente). Da qui la lotta governativa contro lo zapatismo riprese forza. In risposta Zapata si riarmò con nuovi uomini e dopo tre settimane che Madero era al potere arrivò alla conclusione di redarre un nuovo programma politico: il Plan de Ayala, scritto dallo stesso Zapata e da Otilio Montaño (maestro di scuola e capo guerrigliero) e firmato da altri capi militari costituitisi quindi nella Junta Revolucionaria dello stato del Morelos, una struttura di potere contrapposta a Madero.
Il nuovo piano fa sue le rivendicazioni del vecchio Plan de San Luis Potosì, ma si spinge oltre, cioè fino alle radici delle aspirazioni dei contadini. Si disconosce quindi prima di tutto Madero come capo della rivoluzione e come presidente del Messico, si chiama al suo rovesciamento, denunciandolo per essersi alleato con elementi del porfirismo, per aver tradito le promesse e per aver represso il movimento rivoluzionario. Si mettono in fila poi alcuni punti sociali fondamentali: le terre usurpate dagli hacendados e dai governativi verranno date in possesso ai villaggi o ai cittadini che ne hanno il diritto di proprietà; verranno espropriati, con un indennizzo pari ad un terzo, i potenti proprietari dei monopoli della terra; agli hacendados o ai governativi che si oppongono a questo piano, cioè ai controrivoluzionari, si esproprieranno e si nazionalizzeranno i beni che, per i due terzi, finiranno in indennità di guerra, pensioni per vedove e orfani della vittime che soccombono per questo piano. Il Plan de Ayala è e resterà l'atto di indipendenza politica del movimento contadino rispetto alla direzione di Madero e alle successive direzioni borghesi della rivoluzione, l'atto di nascita dello zapatismo e manifesto politico nazionale della rivoluzione contadina.
La forma di lotta che portava avanti l'Ejercito Libertador del Sur era basata sulla tattica della guerriglia, alimentata dall'appoggio senza riserve dalla popolazione. La struttura dell'esercito era semplice e povera allo stesso tempo, elementi che influivano sull'indirizzo politico. Non esistevano caserme, non c'erano stipendi, né rifornimenti regolari, salvo quello che ricevevano dai villaggi. Il limite più sentito dall'esercito era il denaro. L'esercito era composto da varie bande territoriali, ognuna con indipendenza di azione, ma ognuna riconosceva Zapata come capo. Ogni soldato era allo stesso tempo un contadino che lavorava la terra. La base completamente contadina, che definiva la concezione della guerra e la struttura dell'esercito, non permetteva alcuna forma di organizzazione superiore.
Nel fronte Nord, all'indomani della salita al potere di Madero si crea una divisione tra le forze rivoluzionarie. Pascual Orozco e Pancho Villa furono tra loro allineati durante tutta la lotta contro Porfirio Diaz, entrambi presentando qualche divergenza con Madero rispetto alla condotta della battaglia, perché più radicali e più legati alle istanze contadine. Nonostante questo, dopo i patti di Ciudad Juarez, furono integrati dallo stesso Madero nelle strutture militari e politiche regolari. Ma da qui i percorsi dei due si allontanarono sempre più, fino a trovarsi in due campi opposti. Se Pancho Villa resta fedele a Madero, Pascual Orozco (come Zapata al Sud) rompe con il maderismo quando capisce che la questione della terra non viene risolta dal neo presidente. Orozco dapprima comincia a non collaborare non mantenendo l'ordine cui lui era custode nello stato del Chihuahua, poi nel marzo 1912 arriva a sollevarsi in armi contro Madero, denunciando il suo tradimento e rivendicando un programma fatto di avanzate rivendicazioni operaie e contadine.
Il movimento di Orozco viene però sconfitto nel maggio 1912 dalle truppe federali di Madero comandate dal generale Victoriano Huerta nelle cui fila c'è proprio Pancho Villa. Orozco ripara (per qualche mese) negli Stati Uniti.
Con la rivoluzione contadina sempre viva ed in marcia Madero ed il suo governo arrivano a conoscere una situazione di paralisi e crisi, attanagliati da sinistra e da destra. A sinistra le stesse tendenze democratiche dentro il maderismo chiedevano certe riforme sulla terra, quindi concessioni verso i contadini, per terminare così con la causa della loro mobilitazione. A destra c'era la campagna antigovernativa dei settori reazionari della borghesia che denunciavano il governo nell'incapacità di porre fine alla rivoluzione contadina, proponendo maniere ancor più violente e definitive verso i ribelli. Madero, per sua natura e dato il contesto, non poteva dare una risposta risolutiva né verso una parte né verso l'altra. Certo cerca di rassicurare i grandi proprietari terrieri preoccupati, affermando che le sue intenzioni sono quelle di creare lo sviluppo di piccole proprietà e certo non appoggiare le rivendicazioni dei contadini di Zapata, mai quindi sarebbe stato espropriato qualcosa ai latifondisti. Ma questo non bastava.
Se la soluzione non poteva venire dai contadini, che non si ponevano la questione del potere e dello stato, la risposta dovette venire dalla borghesia, che altra scelta non aveva che il colpo di stato contro Madero. Il generale Manuel Mondragon, il 9 febbraio 1913, dà avvio alla cosiddetta “decena tragica” che, attraverso manovre tra capi militari ed un accordo stipulato all'ambasciata statunitense (Pacto de la Ciudadela o Pacto de la Embajada), porta il 19 febbraio 1913 alla destituzione di Madero, e al 22 febbraio al suo assassinio. Il tutto passando per una lotta violenta nella capitale di dieci giorni che lascia sul campo di battaglia un elevato numero di morti e feriti, militari e civili. E' il generale Victoriano Huerta (ex generale di Madero) a prendere i pieni poteri, appoggiato dal governo degli Stati Uniti i quali vedevano ora meglio rassicurati i loro interessi.
Il golpe e la controrivoluzione huertista però, anziché contenere la rivoluzione, provocò lo slancio e la generalizzazione della rivoluzione contadina in tutto il paese.
Huerta si mosse dapprima cercando di neutralizzare ed attirare a sé i temuti capi militari ribelli del Nord e del Sud, Orozco e Zapata, in nome della comune opposizione a Madero, offrendo loro non solo garanzie, ma anche incarichi politici, denaro e proprietà.
A sorpresa, in cambio di qualche promessa di riforma, cestinando così il suo originale programma politico e sociale, Orozco accettò e passò nel campo del leader golpista che proprio l'anno prima lo aveva sconfitto militarmente. Appoggiò il nuovo governo e divenne il comandante generale di tutte le forze federali messicane, trasformandosi così lui ed i suoi uomini (i “Colorados” di Orozco) nei più feroci controrivoluzionari difensori del regime huertista. Villa tornò ad essere il principale capo militare della rivoluzione in lotta contro il governo.
Per cercare di convincere il capo rivoluzionario del Sud, seguendo le indicazioni di Huerta, Orozco inviò come emissario suo padre, Pascual Orozco senior, a conferire con Zapata. Quest'ultimo, per non lasciare dubbi che lui non negoziava con i traditori, lo fece fucilare. Zapata chiamò a lottare armi in mano contro il nuovo governo e fino a che il piano non fosse compiuto. Nella lotta contro Huerta, Zapata ed il Plan de Ayala divennero un punto di riferimento per tutto il paese.
Se Villa e Zapata erano i leader ed i referenti del campo contadino, nel campo borghese emerge Venustiano Carranza che rifletteva la continuità della tendenza maderista, cioè della borghesia liberal-progressista in alleanza all'emergente settore della piccola borghesia cittadina. Rivendicando una continuità costituzionale (l'esser stato eletto governatore nello stato del Coahuila, a nord) Carranza chiamò a sconfiggere il “governo usurpatore” e si pose a capo dell'appena costituito “Esercito Costituzionalista” (diventandone Primer Jefe), i cui soldati erano soprattutto contadini del Nord.
Dentro lo stesso gruppo variegato esisteva un settore di piccola borghesia giacobina, i cui rappresentanti erano soprattutto Francisco Mugica e Lucio Blanco, che rivendicava che nel corso della lotta contro Huerta si dovevano includere e mettere in atto la redistribuzione delle terre, l'abolizione dei debiti e altre rivendicazioni operaie e sociali radicali (questi generali nel corso della lotta realizzarono infatti espropri di haciende di generali controrivoluzionari e redistribuzioni della terra ai contadini). Era un settore radicato nell'ala militare che provocava non pochi attriti e contraddizioni con il leader Carranza, il quale invece affermava che prima bisognava trionfare contro Huerta e poi sarebbe venuta l'ora di discutere delle riforme sociali. Alvaro Obregon, altro militare, sarà poi colui che si eleverà come arbitro del conflitto tra queste due ali della borghesia.
Se Zapata al sud, con il suo esercito ed il suo programma prosegue una lotta (per lo più marginale e di contenimento) contro Huerta restando indipendente da Carranza e dal campo borghese, Villa dal marzo del 1913, da antico maderista, si incorporò al costituendo esercito costituzionalista cominciando ad organizzare sulla base del suo prestigio i contadini del Chihuahua, formando quella che in breve tempo diverrà la “Division del Norte”. Villa è subordinato a Carranza nella direzione politica e nel programma, ma man mano conta di una crescente indipendenza militare.
L'esercito costituzionalista, oltre alla Division del Norte era integrato da altri due corpi: l'esercito del Nord-est con al comando il generale Pablo Gonzales (che restò per lo più marginale), e l'esercito del Nord-ovest diretto da Alvaro Obregon il quale in poco tempo si contraddistinse per le sue doti militari e le sue ambizioni politiche.
Huerta nei suoi primi mesi, con l'esercito costituzionalista che preparava l'offensiva, riesce a realizzare alleanze politiche con cattolici e porfiristi, ad inglobare l'orozquismo, a negoziare con il movimento operaio ed ad aumentare le risorse all'esercito. Si può dire che mantenne poi, tanto verso il capitale come verso il movimento operaio e contadino, una linea politico-economica che poteva dirsi sulla scia del precedente governo maderista, cercando di mantenere buone relazioni con i dirigenti sindacali, per un primo tempo. Huerta rafforzò inoltre i legami con l'imperialismo inglese, mentre gli Stati Uniti si erano indirizzati verso l'alleato e rivale generale Felix Diaz, nipote di Porfirio Diaz (per un primo momento, fino al cambio di presidenza statunitense).
La storia della guerra civile, fino alla caduta di Huerta è fondamentalmente (ma non unicamente) la storia della Division del Norte, cui si inseriscono le grandi qualità militari e strategiche del suo leader Pancho Villa e del suo, meno conosciuto, braccio destro Felipe Angeles, validissimo ufficiale dell'antico esercito con doti di visione militare e politica superiori a Villa. I punti di forza della Division del Norte erano la cavalleria e l'abile ricorso di azioni sulle linee ferroviarie, vitali per il dislocamento delle truppe e quindi centrali e decisive nella conduzione della guerra. Del resto, a differenza di quello degli zapatisti, l'esercito di Villa era organizzato sulla base di stipendi regolare ai soldati.
Dopo mesi di scontri di bassa intensità tra l'esercito costituzionalista di Carranza e l'esercito federale di Huerta, la vittoria ad opera dell'Esercito del Norte a Torreòn, il 1 ottobre 1913, assieme alla presa da parte delle stesse forze villiste delle importanti città di Ciudad Juarez e di Chihuahua nel dicembre dello stesso anno, impresse un punto di svolta nella conduzione e nell'esito della guerra civile. La Division del Norte sarà nella sua fase di auge durante tutto il 1914.
Oltre i confini Nord del paese, gli Stati Uniti non smettevano di guardare con attenzione e preoccupazione alla dinamica che si andava sviluppando internamente al regime e alla rivoluzione. Non solo un'azione passiva di controllo, ma anche influenze ed ingerenze vere e proprie, tese a proteggere la stabilità degli interessi della propria borghesia nei territori messicani. Dopo il Pacto de la Embajada, ed il ruolo giocato in appoggio a Huerta contro Madero, gli USA intervengono questa volta direttamente, prendendo come pretesto un incidente senza importanza con alcuni marittimi, procedendo con i corpi di fanteria all'invasione e all'occupazione del porto di Veracruz, il 21 aprile 1914. Gli Stati Uniti così volevano dimostrare, a chiunque fosse stato alla guida dello stato messicano, che erano pronti ad intervenire direttamente se si fossero intaccate, attraverso espropriazioni, le loro proprietà, soprattutto quelle petrolifere e minerarie. Ma allo stesso tempo, occupando il porto di Veracruz, gli Stati Uniti bloccavano intenzionalmente i rifornimenti di armi che arrivavano dall'Europa destinati a Huerta. Un mese prima inoltre fu tolto l'embargo alle armi verso il Messico, cui potevano approfittarsene i costituzionalisti visto che controllavano il nord del paese e le frontiere. Una nuova strategia che trovava radici nel cambio di presidenza USA avvenuto circa un anno prima, nel marzo 1913, quando il repubblicano Taft venne sostituito alla presidenza dal democratico Wilson, ma fu soprattutto da quando Huerta cominciò a impegnarsi con l'imperialismo inglese e da quando la dinamica della guerra civile non giocava più a suo favore, che gli Stati Uniti scelsero di cambiare cavallo e quindi appoggiare i costituzionalisti. Si può dire che Theodore Roosvelt aveva appoggiato Madero contro Diaz, Taft sostenne Huerta contro Madero, Wilson appoggiò Carranza contro Huerta (e poi contro i villisti).
Huerta chiamò tutte le forze in campo a lottare contro l'invasione statunitense, a creare quindi un fronte nazionale di difesa e ad accantonare la guerra civile. Data la propria sfavorevole situazione generale era quello che gli rimaneva da fare. I rivoluzionari non accettarono la tregua né il fronte unico, sapendo sia che l'occupazione del porto di Vercruz colpiva l'esercito huertista, già in difficoltà, sia che l'intenzione reale degli USA non era quella di spingersi oltre quel lembo di terra. Carranza, assumendosi la figura di rappresentante nazionale, in opposizione a quella di Huerta, denunciò l'occupazione e richiese il ritiro delle truppe statunitensi dal territorio messicano, dichiarando che la difesa del territorio nazionale era al di sopra della lotta interna del paese. Zapata invece, contrario anch'esso all'invasione, non aveva la forza ma neanche la propensione (e la comprensione) di agire come forza nazionale (come non l'aveva Villa). Le truppe statunitensi evacuarono Veracruz nel novembre 1914, tre mesi dopo il trionfo costituzionalista.
Grazie al defluire di nuove armi all'esercito costituzionalista dai confini del Nord e grazie al blocco di armi, dal porto di Veracruz, che colpiva l'esercito huertista, cominciava senza sosta la grande offensiva guidata da Villa. L'esercito dei contadini, carico di grandi aspirazioni di libertà ed uguaglianza, schiacciava inesorabilmente l'esercito che rispondeva ai latifondisti, preparando sempre più il cammino e le battaglie decisive verso la capitale per la resa dei conti finale, mentre l'esercito di Obregon, suo alleato, restava in una fase di inattività. Villa stava dimostrando come gli stessi contadini potevano ergersi ed organizzarsi, anche nell'esercito, meglio della borghesia. Nel frattempo anche l'esercito di Zapata registrava avanzamenti e conquiste di nuovi territori al sud (per lo più nello stato del Guerrero). Come scrisse Adolfo Gilly: «La Division del Norte era la forma militare del potere dei contadini, così come lo zapatismo era soprattutto la sua forma sociale».
Carranza cercava continuamente di limitare una forza, quella di Villa e del suo esercito contadino, che proprio lui stesso non poteva farne a meno. I metodi dei villisti per alcuni aspetti erano rivoluzionari, anche se fondamentalmente non uscivano dai confini del campo borghese (a differenza dello zapatismo, come vedremo meglio poi). Non c'era la configurazione di una direzione indipendente, di un programma alternativo, per non parlare della prospettiva di un altro potere. Villa ed il suo esercito configuravano una forza che esercitava pressioni per ottenere concessioni dentro il quadro del programma carranzista (capitalista), con allo stesso tempo tutte le potenzialità di un movimento insurrezionale contadino. Fattori che destabilizzavano il potere della borghesia, e che Carranza doveva evitare.
Quando ormai è chiaro che si sta per arrivare allo scontro decisivo con l'esercito di Huerta, Carranza si attiva per mettere i bastoni tra le ruote all'avanzata di Villa e del suo esercito: non potevano certo esser loro ad entrare vittoriosi nella capitale. Dopo ordini di Carranza impartiti alla Division del Norte che non avevano nessun senso dal punto di vista militare si arriva allo scontro aperto tra i due leader. Carranza non si fa scrupoli ad intraprendere anche una lotta attiva contro Villa, mettendo in piedi pesanti azioni di sabotaggio, bloccandogli rifornimenti di carbone ed armi. Allo stesso tempo non vuole la rottura, vuole prendere tempo, decide così di promuove una serie di conferenze per arrivare ad un accordo di riappacificazione con il generale. Si arriva agli accordi che vengono tradotti nel Pacto de Torreon, firmati tra Villa e Obregon l'8 luglio 1914, quasi alla viglia della caduta di Huerta, e oltre a prevedere il mutuo riconoscimento di Villa come capo della Division del Norte e di Carranza come Primer Jefe si dispone che dopo la caduta di Huerta sarà convocata dallo stesso Carranza una Convenzione nazionale composta dai capi militari costituzionalisti eletti dalle giunte dei differenti eserciti (con un delegato ogni mille uomini di truppa) per decidere la data delle elezioni presidenziali. Nel patto vengono inoltre inserite delle clausole politiche dove viene previsto che il Messico si doterà di un regime democratico, l'esercito federale sarà smantellato e rimpiazzato dall'esercito costituzionalista, si perseguiranno gli interessi degli operai e dei contadini, si farà una distribuzione giusta delle terre e verrà punito il clero reo di aver appoggiato il dittatore Huerta. Sono clausole volute da Villa. Mentre Obregon rappresenta l'intermediario tra Villa (i contadini e le masse) e Carranza (la borghesia). Lo stesso Carranza infatti non partecipa in prima persona a queste trattative, né firma il testo, lasciandosi così libero di disattendere gli accordi quando più gli possa convenire.
Il 23 giugno 1914 Villa espugna Zacatecas sancendo ormai la vittoria della guerra, non resta ora che arrivare nella capitale, in una corsa in competizione con l'esercito del Nord-ovest di Obregon. Il 14 luglio 1914 Victoriano Huerta, vinto su tutti i fronti, rinuncia al potere e fugge in esilio. Lo sostituisce come presidente interino Francisco Carbajal, ex ministro del dittatore. Il giorno seguente Alvaro Obregon e l'esercito del Nord-ovest entrano vittoriosi a Città del Messico, vincendo la corsa contro Villa.
L'esercito federale viene man mano sciolto, e rimpiazzato da quello di Obregon (anche nel Sud, dove si schiera contro il fronte e l'avanzata degli zapatisti). Negli stati dove comandano i costituzionalisti si dispongono misure atte a risolvere le esigenze più impellenti della popolazione: abolizione dei negozi aziendali, condono dei debiti verso i contadini ed i peones, istituzione del salario minimo, giornata di lavoro di otto ore, riposo settimanale obbligatorio, libertà del movimento sindacale. Ma ancora nessuna disposizione legislativa sul problema della terra, né d'altro canto nessuna ripercussione verso i contadini che avevano effettuato per proprio conto la redistribuzione della terra.
Villa aveva il controllo nel Chihuahua, Zapata negli stati del Morelos, del Guerrero ed in parte di Puebla. Qui la redistribuzione della terra è pressoché totale.
Se è il campo borghese con Carranza, Gonzales ed Obregon ad aver occupato la capitale e stabilito lì un nuovo governo provvisorio, evitando tra l'altro la congiunzione territoriale (e l'incontro politico) degli eserciti di Villa (a nord) e Zapata (a sud), sono i contadini vittoriosi ed in armi a pesare nelle relazioni di forza e nello spostamento a sinistra del baricentro politico.
Ora la direzione borghese deve prendere l'iniziativa per cercare di smobilitare la classe contadina e sottomettere a sé la sua direzione politica, in tutto il paese.
Carranza vorrebbe liquidare i contadini in maniera sbrigativa e schiacciare con violenza l'opposizione, Obregon invece, rispecchiando la tendenza piccoloborghese, pensa che per smobilitare gli insorti occorra fare delle concessioni, estendendo la propria base sociale, quindi trattare con i suoi capi (soprattutto nel campo villista), attirandoli. Così facendo va costruendo un proprio ruolo, un ruolo di arbitro, di Bonaparte (tra Carranza e l'ala giacobina).
Carranza prova a stabilire dei negoziati con Zapata, a cui chiede di riconoscere e sottomettersi al nuovo potere. Zapata non cede, intransigentemente vuole veder applicato il Plan de Ayala (con la redistribuzione completa delle terre) come condizione “sine qua non” per riconoscere il governo. Carranza non può certo assecondarlo, il Plan de Ayala rappresenta l'antitesi del suo potere. Si torna così alla ripresa delle ostilità, armata, tra i due.
Per imbonirsi Villa invece, Carranza lancia una riunione generica di tutti i capi militari dell'esercito costituzionalista per il primo di ottobre. Non era certo la Convenzione cui si accennava nel patto di Torrejon, cui lo stesso Carranza infatti non aveva firmato, ma nella sua testa era una misura per dare il contentino alle pressioni di Villa, e di Obregon.
Villa non poteva certo accettare, si arriva così alla rottura definitiva tra i due.
Lo sblocco della soluzione viene dall'ala radicale del costituzionalismo, che evita lo scontro armato che altrimenti si sarebbe innescato. Lucio Blanco propone di realizzare la famosa Convenzione in territorio neutro, ad Aguascaliente. Carranza prima rifiuta, ma quando Obregon accetta e si unisce ai lavori preparatori (con ambizioni da Bonaparte), ritrovatosi in condizioni di isolamento, senza una forza reale al suo lato, è costretto a cedere.
Il 10 ottobre 1914, dichiarandosi sovrana, si apre la Convenzione Militare di Aguascalientes, con delegati costituzionalisti (sotto la direzione di Obregon) e villisti. Dopo pochi giorni si decide di sollecitare Zapata ad inviare i suoi delegati. E' un modo, una necessità, per risolvere pacificamente le differenze tra le varie correnti. Il corso della Convenzione cambia e prende un indirizzo inaspettato ed incontrollato quando il 27 ottobre vengono incorporati i 26 delegati zapatisti, che inizialmente partecipano senza voto ma con diritto di parola, visto che, per avere una delegazione effettiva, non smentendosi, questi avevano posto la condizione dell'approvazione da parte della Convenzione dei principi del Plan de Ayala.
Si ha in quel momento l'entrata in gioco di una forza che rappresenta realmente, con un proprio programma, la classe contadina. Ma soprattutto si ha l'incontro politico, e l'unione, tra zapatismo e villismo, cioè proprio quello che Carranza ed Obregon hanno sempre cercato di evitare. L'assemblea così si trasforma. Il giorno dopo, il 28 ottobre, la Convenzione in plenaria, con il voto dei villisti e dei carranzisi (spinti dalla sua ala radicale), approva per acclamazione la gran parte del Plan de Ayala, punti politici e sociali inclusi. La sessione si conclude con inni alla rivoluzione, al Plan de Ayala e a Zapata (restato nel Morelos).
Nei fatti la rivoluzione contadina è stata votata dall'assemblea nazionale sovrana, sorretta dalla forza del popolo in armi. Il potere borghese è in sospeso e si apre una fase di acuta crisi che comincia con la disputa per il ritiro di Carranza dal potere esecutivo.
La Convenzione non si ferma ed il primo novembre 1914 sceglie come presidente interino, con il futuro compito di chiamare ad elezioni, il generale Eulalio Gutierrez. Dall'altra parte Carranza non molla, rivendica il potere e la sua supremazia sulla Convenzione. Il conflitto politico va avanti, ma è ormai chiaro che saranno le armi a decidere finalmente quali saranno i reali rapporti di forza.
Il 10 novembre, il presidente convenzionalista Gutierrez, di fronte alla situazione di impasse, si spinge a dichiarare Carranza come ribelle e a nominare Villa capo degli eserciti della Convenzione. Il 12 novembre Carranza, che nel frattempo aveva già abbandonato la capitale, dichiara ribelle il governo di Gutierrez e Villa, e li denuncia come reazionari (termine che Carranza, da qui in avanti, affibbierà ai villisti e ai suoi alleati). Obregon, vedendo il corso degli eventi e vedendo fallite le proprie aspirazioni fa marcia indietro, riunendosi quindi, con i suoi uomini, a Carranza e dandogli appoggio. Non aveva, in quel momento, un programma politico e un peso sociale per mantenere l'equilibrio tra Villa e Carranza, tra i contadini e la borghesia. Scelse naturalmente di ripiegarsi su quest'ultima. Anche i delegati carranzisti di conseguenza abbandonano la Convenzione, i giochi si sono fatti seri, dalla crisi politica si è passati alla crisi militare. Non tutti però seguono Obregon, fanno eccezione soprattutto diversi capi della sua ala radicale, restati attratti dal polo villista-zapatista.
Nel frattempo la Convenzione, dopo aver adottato (come dichiarazione) il Plan de Ayala, a metà novembre approva altre misure minime da adottare nei territori controllati: evacuazione dal territorio nazionale delle truppe statunistensi, restituzione delle terre miste ai villaggi, “distruzione del latifondismo impegnando la grande proprietà e distribuendola tra la popolazione che fa produrre la terra attraverso il proprio sforzo individuale”, nazionalizzazione dei beni dei nemici della rivoluzione, libertà di associazione e di sciopero per i lavoratori.
Il governo costituzionalista invece non aveva preso nessuna misura effettiva che le potesse garantire l'appoggio della popolazione della capitale. Al momento dello scontro militare quindi la capitale è indifendibile per i costituzionalisti. Quando Villa si rivolge a Zapata per mobilitare le sue forze per avanzare a tenaglia su Città del Messico (Zapata da sud, Villa da nord) trovano davanti a loro la strada spianata: Carranza era già scappato verso Veracruz, Obregon raduna le sue truppe e abbandona la piazza della capitale, (anche perché Lucio Blanco, capo militare della città e comandante della cavalleria dell'esercito Nord-ovest, aveva scelto di appoggiare i convenzionalisti), Pablo Gonzales (esercito di Nord-est) si ripiega senza presentare combattimenti di fronte all'avanzata di Villa. Tutti questi, partiti in marcia, si ritrovano a Veracruz. Il 23 novembre, accordandosi con Carranza, gli Stati Uniti lasciano la città per dar spazio ai costituzionalisti.
La notte del 24 novembre 1914 l'esercito zapatista entra nella capitale. Il 3 dicembre è la volta dell'esercito di Villa, assieme alla Convenzione ed al suo governo. Gli eserciti contadini occupano la capitale, controllano il centro ed il Nord del paese. I contadini in armi sono i padroni del Messico e della sede del potere, il Palazzo Nazionale. Villa e Zapata si faranno fotografare insieme seduti nel trono presidenziale, alternativamente. Le forze di Carranza si ritrovano rifugiate e malridotte in una striscia di terra nel porto di Veracruz, controllando pochi altri centri secondari. La guerra contadina è al suo punto più alto.
Però i contadini, ed i loro rappresentanti, ragionano da contadini. Il 4 dicembre Villa e Zapata si incontrano per la prima volta e discutono sulla linea da portare avanti nella conduzione della guerra e nei rapporti con il governo (il cosiddetto Patto di Xochimilco). Qui prevalgono appunto i caratteri regionalisti e localistici, tipici della classe contadina.
Ci si accorda che i due eserciti avrebbero combattuto ognuno nella proprie zone di origine. Villa al nord, Zapata al centro e al sud. Sarebbe stato quindi quest'ultimo a dover affrontare lo scontro con l'esercito di Obregon, trovandosi nel suo territorio di competenza. Erano scelte assurde, criteri militari senza senso politico generale, che rispondevano piuttosto a valutazioni di prestigio territoriale dei due capi.
Felipe Angeles, generale e consigliere di Villa, provò a dissuaderlo, senza riuscirci. Per lui, giustamente, avendo una visione generale e nazionale, la Division del Norte doveva il prima possibile rincorrere le truppe di Obregon per annientarle già durante la loro fuga verso Veracruz, quando ancora erano debilitate. Una volta tagliata la testa all'esercito carranzista tutto il suo corpo sarebbe crollato. Del resto è anche la lezione militare della comune di Parigi, quando i suoi dirigenti, dopo l'insurrezione, non si preoccuparono di uscire dalla città per andare a sconfiggere i reazionari e conquistare Versailles, allora vulnerabile.
Proprio questa scelta dei due leader fu alla fine l'asse di salvezza del costituzionalismo. Obregon sapeva quello a cui poteva andare incontro, aveva bisogno di tempo per poter riorganizzare le proprie truppe per la controffensiva. Villa e Zapata gli concedevano proprio quel tempo.
Villa e Zapata lottavano per la terra. Angeles (che però si subordina a Villa) e dall'altro lato Obregon lottavano per il potere. Nei leader contadini non c'era alcuna visione nazionale, di potere, non sapevano che farsene della capitale, di “questo rancho troppo grande”.
Gli eserciti contadini avevano preso ed occupato il Palazzo presidenziale, avevano sconfitto definitivamente la vecchia oligarchia che non sarebbe più tornata, avevano fatto scappare la nuova borghesia. Ma questo non basta. Non basta occupare le sedi del potere, occorre prendere ed esercitare quel potere, con un programma, con una linea politica, con un partito. Ed i contadini, come classe, per propria natura, non potevano farlo (da soli). Lo conferma l'atteggiamento di Villa e Zapata.
I proletari erano assenti, non certo come individui, visto che esistevano operai (soprattutto minatori e ferrovieri) inquadrati nelle fila dell'esercito di Villa e Zapata, ma erano assenti come classe indipendente. Il proletariato messicano era ancora in fasce, era debole. Le sue direzioni politiche, tra cui l'anarchismo magonista, erano forze marginali che finivano per andare a rimorchio dei piccolo borghesi convenzionalisti. Non si poteva creare infine quell'alleanza operaia-contadina in grado di andare fino in fondo, costruire un nuovo stato sulle macerie di quello vecchio. Tra l'altro, su scala internazionale, non c'era stata ancora nella storia quella rivoluzione socialista che avrebbe potuto dare appoggio ed ispirazione alla rivoluzione messicana. Anzi, nel suo momento culminante questa si ritrovava completamente isolata, il movimento rivoluzionario internazionale era nel suo punto più basso, era appena scoppiata la prima guerra mondiale. Il Messico rappresentava così nel dicembre 1914 la punta più alta della rivoluzione nel mondo.
I contadini, una volta presa la capitale, lasciarono pressoché invariata la struttura della macchina statale allora esistente né misero in discussione il supremo principio della proprietà privata. L'apparato dello stato rimaneva in piedi con gli stessi uffici, segreterie, funzionari e burocrati. In poche parole non esisteva un vero potere contadino.
Il potere insomma era vacante, e qualcuno doveva prenderlo. La direzione contadina che, al massimo, lo aveva preso in custodia, consegna infine il potere alla piccola borghesia, al governo della Convenzione, di modo che potessero loro governare “in favore del popolo”, pensando allo stesso tempo di poter tenere sotto controllo i suoi membri, anche con la forza delle armi, mentre si divincola dal centro e torna ad occuparsi dei propri affari correnti territoriali.
La piccola borghesia prende il potere, ma si sente allo stesso tempo estranea ed intrusa in questo mondo dove a dominare ed a far la guardia, ricattando il governo, sono i contadini ed i suoi rappresentanti. E' un potere sospeso in aria, una dualità di poteri. Nessuna delle due fazioni aveva la supremazia sull'altra.
Se nei campi si era imposta la redistribuzione rivoluzionaria delle terre, nella capitale tutto era rimasto pressoché intatto. Il governo convenzionalista non intende trasformare la struttura sociale del paese ed agisce da freno alla spinta dei contadini. Del resto “Il giacobinismo, per estremo che siano le sue misure, necessita un quadro di classe borghese”.
Nella capitale regna sempre più il caos, la paralisi delle attività economiche e della vita politica, il conflitto tra i due campi (contadini e piccola borghesia) è sempre più evidente ed aperto. Il governo convenzionalista agisce quotidianamente per far rientrare il processo nella legalità borghese, e finisce per agire come agente della borghesia, agendo da sabotatore su molteplici piani, contro le direzioni contadine. Quest'ultime spingono per mantenere le leggi della guerra ed applicano il terrore rivoluzionario verso chi se lo merita, inclusi membri del governo che mostrano evidenti tratti di corruzione. Le contraddizioni sono destinate a scoppiare a breve termine.
Proprio da un caso di giustizia rivoluzionaria entrò in crisi il regime della Convenzione. Villa, dopo aver rimosso con la forza un ministro indegno di ricoprire quel ruolo per i suoi trascorsi da furfante oppressore, decise di cambiare la guardia presidenziale con propri uomini fidati, comunicando a Gutierrez di essere suo prigioniero, ordinandogli di non fuggire per evitare che quel potere (così nebuloso) divenisse illegittimo. Gutierrez riesce in realtà poco dopo a dileguarsi ed a rompere completamente con la direzione contadina. Il 15 gennaio 1915 abbandona la capitale e passa nelle fila di Obregon. Con lui i principali ministri e quasi tutti i dirigenti piccolo borghesi della Convenzione, altri invece abbandonano la lotta. La Convenzione che resiste elegge il villista Roque Gonzales Garza come nuovo presidente.
Seconda parte