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Inferno a Rosarno. Intervista con l'autore, il compagno Marco Gabbas

12 Ottobre 2023
inferno rosarno


Dal 23 settembre è in prevendita sul sito dell’editore Calibano, Inferno a Rosarno, un libro che parla delle rivolte di Castel Volturno (2008) e di Rosarno (2010). Ne abbiamo parlato con l’autore. del quale trovate anche una intervista pure su youtube.


Che tipo di libro hai scritto?

Grazie per permettermi di parlare di questo libro. Diciamo che Inferno a Rosarno è un libro molto particolare. È un libro particolare perché è un romanzo breve di meno di cento pagine. Quindi è di forma narrativa. Intanto, è un libro molto particolare come tema. Come si capisce dal titolo, Inferno a Rosarno, il libro parla della rivolta di Rosarno, quindi dei braccianti africani, che è avvenuta nel 2010. Ma in realtà parla anche della precedente rivolta, sempre di braccianti africani, che si era invece verificata a Castel Volturno due anni prima, nel 2008. Il libro parla sostanzialmente di queste due rivolte. Il libro è narrato in prima persona, quindi è una narrazione in prima persona da parte di un bracciante africano, che parte dal suo paese dell’Africa (che non viene nominato, perché non ha importanza qual è, comunque dell’Africa sub-Sahariana, dell’Africa nera). Che attraversa tra mille difficoltà il deserto per arrivare in Nord Africa, sino in Libia. Poi dalla Libia riesce a imbarcarsi per arrivare in Italia. Sbarca in Sicilia, e lì diventa bracciante in varie regioni del Sud Italia, tra le quali appunto la Campania e la Calabria. Quindi, questo è un romanzo narrato in prima persona. All’inizio del romanzo specifico anche che in questa storia è quasi tutto vero. Cosa vuol dire che è quasi tutto vero? Vuol dire che io per scriverla (dico la verità, non so quanto possa stupire il lettore, chi la leggerà, se la vorrà leggere) io non mi sono dovuto inventare quasi niente. Quasi nulla. Io in sostanza mi sono documentato su questo tema con i libri, gli articoli, con i documentari, e ho cercato di riprodurre sotto forma narrativa questa storia, queste storie vere. Io mi sono inventato circa il 20 per cento della storia. Quindi, è vero, sì, che questo è un romanzo, ma direi anche che ha molto del reportage.


Perché hai deciso di scriverlo?

Diciamo che si sono state due cause diverse che mi hanno spinto a scriverlo. C’è stata una causa più profonda e una causa più recente, più ultima. La causa profonda sono state le discriminazioni delle quali sono stato vittima io insieme alla mia famiglia, perché io sono parte di una famiglia mista. Mia moglie non è europea. Anche se attualmente, dopo che mia moglie ha preso la cittadinanza italiana non siamo più vittime di gravi discriminazioni (a parte il solito negazionismo, cioè il dire sempre che i nostri problemi non esistono). A parte quello, però, le discriminazioni gravi sono finite. Però, tanti anni di discriminazione contro sé stessi e contro la propria famiglia non passano senza lasciare il segno. Quindi, anche se quelle discriminazioni sono finite, questa è una cosa che ha cambiato per sempre la mia vita. Io ormai mi sento un immigrato, anche se è una cosa che fa ridere alcune persone, ma non me. Quindi, questa è stata la causa più profonda, sicuramente: tutte le sofferenze, le cose che ho subito nel corso di vari anni. Poi invece la causa più recente, o diciamo scatenante, è stato che nel corso delle mie ricerche sul tema delle migrazioni mi è capitato di leggere un libro di una sociologa dell’università di Trento, che si chiama Katia Pilati. È un libro che parlava della radicalizzazione degli immigrati, della radicalizzazione politica, sia in Italia sia in altri paesi europei, che era un tema che mi interessava. Leggendo questo libro, avevo visto che erano menzionate molto rapidamente queste rivolte di Rosarno e di Castel Volturno. Io sapevo di quella di Rosarno, non di quella di Castel Volturno. La cosa quindi mi ha interessato, perché purtroppo gli immigrati e le famiglie miste solitamente sono sempre solo vittime. Cioè, solitamente non si ribellano mai, non prendono mai iniziative per cercare di difendersi. Invece, queste due rivolte vanno e sono andate molto contro questo paradigma. Quindi è stato questo che mi ha stimolato immediatamente.


Perché questo titolo?

Mah, è un titolo che mi è venuto spontaneo. Inferno perché la vita che vivono gli immigrati in generale è un inferno. Tutti gli immigrati, ma ancora peggio se sono neri, se sono braccianti africani, se vivono in delle piantagioni se vivono in delle baracche, in edifici dimessi. Se sono vittime in continuazione dei caporali, se sono sorvegliati a mano armata, letteralmente, con le spranghe. Se vengono rapinati. Se vengono sparati, a volte alle gambe, o addirittura ammazzati. Come è successo a Castel Volturno, dove sette, ben sette immigrati neri sono stati ammazzati. Quindi, è la loro vita che è un inferno. È un inferno senza mezzi termini, intanto. Ma in secondo luogo perché l’inferno è quello che hanno scatenato. Cioè, sia a Castel Volturno, ma forse anche di più a Rosarno. Ciò che hanno scatenato, soprattutto dal punto di vista dell’uomo bianco, per così dire, è stato un vero e proprio inferno. Perché ripeto, l’uomo bianco, il padrone bianco non è abituato. È abituato a vedere questi uomini neri come degli schiavi, come sei semi-animali. Se va bene gli viene come dire “permesso” di stare qui a fare le bestie da soma, facendo questi lavori molto pesanti, come i braccianti, ecc. Quindi, il fatto che si siano talmente incazzati, che si siano talmente ribellati, che abbiano avuto questa esplosione di rabbia. Con violenza, non sempre giusta e non sempre giustificabile, tra l’altro, questo lo dico nel libro. Quindi facendo violenza più a cose, veramente, ma anche un po’ a persone. Ricordiamoci che il bilancio della rivolta di Rosarno (oltre a vetrine spaccate, auto rovesciate, incendi, le spranghe e i bastoni che sono stati usati) è stato di diversi immigrati ma anche diversi poliziotti finiti in ospedale. Quindi, stiamo parlando di un episodio di violenza. Quindi sì, inferno mi è venuto in mente per questo. Sia perché la loro vita è inferno, ma anche perché quelle rivolte, quegli immigrati in quel contesto hanno scatenato l’inferno.


Perché secondo te questo tema è importante?

Mah, è importante per un motivo un po’ banale. Intanto, come ho accennato, questo è un libro che ho scritto col sangue. Cioè, diciamo che scrivendolo ho appunto rovesciato sulla carta tutta una serie di cose che sono successe anche a me, cercando di immedesimarmi. Volgarmente, lo potrei dire, anche per una ragione egoistica. Che è importante perché queste sono cose che io ho sofferto, in parte. Primo: io ho avuto la grande fortuna di essere bianco. Non sono nero e non ho mai fatto il bracciante, questa è stata una grande fortuna. Mi rendo conto che le persone delle quali parlo in questo libro sono state e sono ancora oggi in una situazione molto peggiore. Sono persone invisibili, persone che non esistono. Ripeto, se ne parla un po’ soltanto o quando qualcuno di loro viene ammazzato o quando si ribellano. Ritenevo che fosse importante parlare, dare voce a persone che di
voce non ne hanno, perché nessuno glie la dà, per vari motivi.


Dove possiamo trovare il libro? Farai delle presentazioni in presenza, come si dice oggi?

Allora, vi ringrazio per la domanda, perché voglio davvero ringraziare di tutto cuore l’editore Calibano, che è un piccolo editore di Novate Milanese. Che come dire ha voluto, ha creduto in questa storia. E ha voluto dare voce e mettere in prevendita questo libro per due mesi dal loro sito, dal sito di Calibano editore. Voglio specificare cosa vuol dire prevendita. Vuol dire che il libro sarà in vendita soltanto online, soltanto dal sito dell’editore per due mesi. E se in questi due mesi raggiungerà almeno 90 copie vendute poi passerà alla distribuzione nazionale, nelle librerie, ecc. Ma dico, a dispetto di quello che si potrebbe pensare io mi auguro che riesca a vendere qualche copia, più che altro, molto per riconoscenza verso l’editore. Perché non so appunto se riuscirà a raggiungere le 90 copie per passare alla distribuzione nazionale. Ma secondo me è già un gran risultato che comunque, anche se in poche copie, esca sotto forma di libro, che questa storia esca, e questo editore abbia avuto la sensibilità di dare voce a questa storia. Per le presentazioni, adesso non lo so. È un po’ difficile perché io non vivo in Italia da molto tempo. Quindi sarà un po’ difficile. Se ce la faccio, cercherò di fare delle presentazioni: vediamo.


Che tipo di sfruttamento capitalistico c'è in questo tipo di settore?

Se parliamo del settore dell’agricoltura, diciamo che questo tipo di sfruttamento è per certi versi uguale a quello di altri settori, e per certi versi ha delle differenze. Naturalmente, il fatto che il grande capitalista o proprietario terriero (o il piccolo padroncino) estragga plusvalore dai suoi braccianti non ha niente di strano, è ciò che accade in qualunque attività capitalistica, in una fabbrica, in un call center, ecc. La cosa che rende però particolarmente violento questo tipo di sfruttamento è intanto il suo carattere “nascosto” e diffuso. Stiamo parlando di campi non sempre di grandi dimensioni, talvolta in località remote (talvolta i braccianti si devono svegliare in piena notte per esservi portati in pulmino con ore di viaggio), in ogni caso lontano dalle grandi città. È caratteristica del lavoro agricolo quello di essere nascosto e diffuso. Pertanto, per chi non vi è dentro e chi non vi è a contatto diretto, le persone che vi lavorano sono completamente invisibili. Aggiungo che spesso i braccianti neri vivono in baracche, tendopoli ed edifici abbandonati sempre lontano dalle città. Se parliamo di paghe e ore di lavoro, all’epoca della rivolta i braccianti potevano lavorare dalle 10 alle 15 ore al giorno, per 500-600 euro al mese, sempre che fossero corrisposti. Ma bisogna chiarire che non è semplicemente una questione di sfruttamento economico, o meglio, lo sfruttamento non è comprensibile senza analizzare la questione razziale. Infatti, nessun italiano potrebbe essere trattato in questo modo. Questo perché i “fortunati” tra i braccianti hanno un permesso di soggiorno che la polizia può arbitrariamente rifiutarsi di rinnovare, mentre gli “sfortunati” non hanno neanche quello. Cioè, sono “clandestini” a tutti gli effetti, e in seguito a un qualunque “normale controllo” delle forze dell’ordine possono essere arrestati, chiusi in un Cpr e deportati. In questa situazione di continuo ricatto para-mafioso (“un’offerta che non puoi rifiutare”), questi dannati della terra possono essere spinti a fare davvero qualunque cosa. Naturalmente questo non è il primo caso nella storia: esempi simili c’erano negli Stati uniti della segregazione e nel Sud Africa dell’apartheid (e si potrebbero fare ancora molti altri esempi). La cosa che si nota è che guardando delle foto di alcuni campi del Sud Italia, non si vede neanche un bracciante bianco: sembra di essere in un campo di cotone del Sud degli Stati uniti.


Quali sono le responsabilità dei sindacati e della sinistra?

La sinistra ha sicuramente delle responsabilità gravissime. Se si escludono i razzisti espliciti, moltissimi italiani sono convinti che il problema sia la destra che è nemica degli immigrati. Pertanto, si alza sempre il dito quando al governo c’è la destra, mentre sembra che quando al governo c’è la sinistra non succeda nulla. Tutto questo è scandalosamente falso: purtroppo, negli ultimi decenni destra e sinistra istituzionali hanno fatto letteralmente a gara a chi faceva la legge più discriminatoria. Se si guarda l’elenco delle leggi anti-immigrati varate dagli anni ’90 in poi, si vede che il paradigma è sempre lo stesso: la destra fa una legge anti-immigrati, poi la sinistra ne fa una ancora peggiore, e così via. In tempi recenti si potrebbero ricordare i decreti varati dal calabrese Marco Minniti, che proviene dal Pci. Sempre recentemente, poi, abbiamo assistito ai numerosi necrologi per la morte di Giorgio Napolitano, che ha dato il nome alla prima legge che ha istituito la cosiddetta “detenzione amministrativa” per gli immigrati, cioè il poterli rinchiudere in delle specie di prigioni razziali senza aver commesso alcun reato. Ipocrisia del Pd? Certamente, ma devo dire che personalmente ho riscontrato atteggiamenti incredibili in materia anche nella cosiddetta “sinistra radicale” e nell’Anpi. Si va dal dire «Non possiamo parlare di immigrati perché così facciamo il gioco del nemico», ai veri e propri insulti fatti a degli immigrati che chiedevano aiuto. La questione dei sindacati è più complessa. Negli anni del c.d. “populismo”, si è fatta strada l’idea tra moltissimi lavoratori che i sindacati fossero inutili in quanto tali, o addirittura uno dei tanti “poteri forti” facenti parte della casta, ecc. Purtroppo, non ci si può stupire di questa deriva, quando i principali sindacati italiani sono dei carrozzoni in gran parte passivi o filo-padronali, gestiti da burocrati strapagati. Ciò non toglie che i sindacati o associazioni analoghe sono comunque una forma di organizzazione imprescindibile per i lavoratori. L’assenza di sindacato non aiuta affatto, se l’alternativa è l’individualismo, la solitudine e l’atomizzazione. Detto questo, bisogna dire che anche in grandi sindacati come la Cgil si possono trovare diverse situazioni locali. Alcuni sindacalisti coraggiosi della Cgil sono stati anche minacciati dai padroni per aver difeso i braccianti indiani nel Lazio. In altri casi, gli sportelli immigrazione della Cgil non protestano abbastanza energicamente contro i soprusi delle questure, eppure potrebbero farlo. Poi ci sono i sindacati di base, molti dei quali in effetti raccolgono soprattutto lavoratori immigrati, in parte braccianti, i quali a loro volta riescono a diventare poi attivisti sindacali. Un caso finito tragicamente è quello di Soumaila Sacko, assassinato nel 2018.


In che modo le leggi sull'immigrazione favoriscono lo sfruttamento?

Le leggi che si dice “regolino l’immigrazione” sono invece delle leggi esplicitamente contro gli immigrati. Il loro scopo è proprio quello di creare una colonia interna di sfruttamento. È una colonia indispensabile, ma che all’occorrenza può essere usata come spauracchio per rovesciarvi sopra la rabbia dei lavoratori italiani. È molto semplice: le c.d. “leggi” sull’immigrazione rendono difficile o impossibile l’entrare legalmente in Italia, ci sono associazioni e giuristi di professione che lo dicono da decenni. Dato che si tratta di una situazione incancrenita, non si può più dire che ciò sia frutto del caso o di un errore. Del resto, lo sfruttamento degli immigrati in Italia è forse peggiore che in altri paesi, perché l’Italia è sempre stato un paese con una enorme economia sommersa. In un certo senso, è stato facile e comodo inserire gli immigrati nel mercato del lavoro nero, soltanto che oltre a non avere contratto, spesso non hanno neanche il permesso di soggiorno, e ciò li rende incredibilmente ricattabili.


Perché la vicenda di Rosarno è stata così specifica? Perché la rivolta è scoppiata proprio lì?

Diciamo che a Rosarno si sono verificate una serie di variabili che alla fine hanno fatto scoppiare la rabbia degli immigrati. Voglio precisare che non si tratta di una speciale “cattiveria” dei rosarnesi, dei calabresi, o del Sud in generale. Gli stessi meccanismi di sfruttamento e razzismo funzionano sia al Sud sia al Nord. Nella zona di Rosarno si era venuto a creare un settore agricolo che aveva un enorme bisogno di braccia, che localmente non erano disponibili. Certamente, un fattore aggravante in alcune regioni del Sud è la criminalità organizzata, la quale ovviamente ha le mani ovunque si facciano soldi, quindi anche nell’agricoltura. Una certa cultura mafiosa, sbruffona e spavalda, di certi “picciotti” che non esitano a minacciare con le armi da fuoco o anche a usarle, ha probabilmente contribuito a esasperare gli immigrati. Non è un caso che la rivolta di Rosarno sia scoppiata il giorno dopo che alcuni braccianti erano stati sparati alle gambe. Quella di Castel Volturno, invece, è scoppiata dopo che la camorra aveva ucciso ben sette africani a colpi di mitra. Detto questo, sarebbe sbagliato pensare che queste rivolte siano scoppiate semplicemente “contro la mafia”, come un po’ semplicisticamente ha detto anche Roberto Saviano. Il meccanismo di sfruttamento economico è strettamente legato al razzismo di stato e all’ostilità di una buona parte della popolazione. Non è un caso che a Castel Volturno gli immigrati urlarono slogan contro la
«polizia mafiosa» e contro gli italiani in generale.

Marco Gabbas

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