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Rivolta e rivoluzione. Il vapore e il pistone

8 Luglio 2023
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Senza un’organizzazione dirigente, l’energia delle masse si volatizzerebbe come il vapore non racchiuso in un cilindro a pistone. Eppure il movimento dipende dal vapore e non dal cilindro o dal pistone.
[Trotsky, Storia della rivoluzione russa]

Il 27 giugno, Nahel, un ragazzo di 17 anni, viene ucciso a sangue freddo dalla polizia a Nanterre.
Si accende la rivolta, dapprima nei sobborghi della Île-de-France e poi in numerosissime altre città: Rennes, Nizza, Marsiglia e Lione le più grandi.

Si susseguono per oltre cinque giorni scontri violentissimi con le forze dell’ordine, animati da giovani e giovanissimi che incendiano migliaia di auto, saccheggiano decine di negozi e attaccano le sedi istituzionali. Viene decretato il coprifuoco in molte città e la destra invoca lo stato di emergenza.

È la rivolta più grande delle banlieue francesi dal 2005, quando un analogo movimento attraversò l’intero paese, scatenato anche allora dalla morte di due ragazzi in conseguenza di un intervento della polizia.

I protagonisti della rivolta sono le giovani e giovani francesi le cui famiglie originano dall’immigrazione dalle ex colonie francesi dell’Africa del Nord e dell’Ovest a cominciare dagli anni ’50. La causa scatenante immediata sono le violenze della polizia, in gran parte pervasa dall’ideologia razzista e dalle idee dell’estrema destra. Ma le sue radici sono molto più profonde.

Il commentario massmediatico borghese tende variamente a motivare la rivolta con il diffondersi di fenomeni criminali da una parte, le gang giovanili, e l’islamismo radicale dall’altro. Questi fenomeni sono sicuramente presenti e possono costituire elementi di identificazione e riconoscimento da parte delle giovani e dei giovani delle banlieue. Si tratta però appunto di epifenomeni, cioè di elementi accessori tutt’al più rafforzativi della volontà di rivolta, di rivendicazione di alterità rispetto al “sistema”, le sue gerarchie, la sua moralità.

Anche la discriminazione razziale, pur avendo un collegamento importante con la compressione della qualità di vita di questi giovani e delle loro famiglie, con la stigmatizzazione dei loro comportamenti da parte delle classi benestanti e dunque indirettamente con la giustificazione delle violenze quotidiane della polizia, è un fenomeno secondario.

Il forte inurbamento avvenuto negli anni ’50 del Novecento da parte del proletariato francese e di quello immigrato dalle ex colonie africane provocò già allora, come in tanti altri paesi capitalisti avanzati durante la ricostruzione postbellica, la crisi delle abitazioni. L’espulsione dei ceti più poveri ne fu la conseguenza, con condizioni che si fecero sempre più drammatiche a partire dagli anni ’70.

Sorsero così le banlieue, territori che, anche a causa delle politiche governative francesi, furono sempre più abbandonati, lasciati senza servizi (scuole, presidi sanitari, centri culturali) e dove la polizia si abituò ad usare le maniere forti, per così dire.

Prima lo sfruttamento in fabbrica durante la ricostruzione che sfociò nel maggio ’68; poi, rifluita la grande ondate della lotta di classe, i fenomeni di precarizzazione e disoccupazione soprattutto giovanile hanno esasperato le condizioni di vita soprattutto dei giovani proletari declassati, o sottoproletari. Insomma la banlieue ha finito per rappresentare plasticamente la grande disuguaglianza intervenuta tanto nella società francese quanto in tutti i paesi capitalisti europei.

La radice dell'attuale rivolta disperata di queste classi popolari emarginate è dunque fondamentalmente ancorata nella questione sociale, la questione che connota più di tutte la contraddizione capitale-lavoro.
Questo però non significa che tale rivolta abbia necessariamente un carattere progressivo. La tipologia della rivolta, con il suo corredo di saccheggi e distruzioni, segnala innanzitutto la disperazione sociale dei suoi protagonisti.

Della famosissima citazione di Trotsky, riportata all’inizio di questo articolo, questa rivolta corrisponde al vapore che innesca il movimento del cambiamento. Le violentissime e vendicative rivolte contadine contro i grandi proprietari terrieri nella Russia del 1917 trovarono infine una direzione rivoluzionaria nel partito bolscevico, che promise loro le terre che il governo Kerenskij non poteva concedere. Il movimento contadino fu uno dei fattori decisivi dell’Ottobre.

Nelle ore in cui scrivo è scattata sulla rivolta la pressa costituita da un lato dal richiamo all’ordine delle istituzioni borghesi, le meno invise alla popolazione (i sindaci), dall’altro dalle manifestazioni fasciste. La reazione si organizza mentre la rivolta rifluisce.
Sarebbe però un errore da parte dei marxisti rivoluzionari considerare questo un esito scontato.

Per individuare le responsabilità del carattere della ribellione delle periferie francesi bisogna risalire a qualche mese addietro.

Da gennaio a maggio si è sviluppata un’imponente mobilitazione della classe lavoratrice francese contro la legge che allunga l’età pensionabile da 62 a 64 anni. Questa mobilitazione ha visto la partecipazione complessiva di milioni di lavoratori, e scioperi partecipati e ripetuti in molti settori, da quello del lavoro pubblico, della sanità, alla scuola, ai trasporti, porti e aeroporti. Meno nel settore industriale, il cuore della classe operaia.

I manifestanti sono riusciti a portare dalla propria parte una parte considerevole dell’opinione pubblica, tanto da condizionare fortemente il dibattito parlamentare che sostanzialmente non ha sostenuto la proposta di legge. Macron ha dovuto così ricorrere ad un artificio legale reazionario (art. 49-3 della Costituzione della Quinta Repubblica) per varare la legge senza approvazione parlamentare. Così facendo, si è prodotta obbiettivamente una contrapposizione diretta tra il movimento di massa e l’istituzione più rappresentativa dello Stato, la presidenza della Repubblica.

Il movimento di massa si era generosamente e con fiducia rivolto al fronte sindacale unitario che andava da Solidaires, a CGT, CFDT e FO, per sostenere gli scioperi di settore e gli appuntamenti di piazza.

La sinistra riformista (NUPES), sostanzialmente indisponibile ad una contrapposizione netta con la presidenza e dunque con il cuore istituzionale della Repubblica francese, ha indicato, quale sbocco delle rivendicazioni, la sterile via istituzionale (il referendum) preoccupandosi piuttosto di un proprio futuro incasso elettorale dentro il gioco del sistema politico borghese.

Solo dal NPA è stata avanzata chiaramente la rivendicazione dello sciopero generale, l’unico in grado di piegare il governo e Macron, sotto la guida della capacità di autorganizzazione del movimento stesso.

Ma lo sciopero generale è stato di fatto boicottato dalla burocrazia dei maggiori sindacati, con uno schema consolidato: prima si è diluita la forza delle mobilitazioni dei lavoratori in tanti scioperi di settore, con livelli oscillanti di partecipazione, poi è stato rotto il fonte sindacale con l’uscita della CFDT, ed infine dopo la grandiosa manifestazione del primo maggio è stata proclamata la giornata del 6 giugno formalmente come una nuova grande giornata di azione, in realtà con l’intento, poi verificatosi, che fosse la meno partecipata, ratificando così il deflusso del movimento e la chiusura della stagione di lotta dei lavoratori con una loro chiara sconfitta.

La mancata proclamazione dello sciopero generale, la disattivazione delle forme di autorganizzazione di massa (comitati di sciopero, consigli delle lavoratrici e dei lavoratori, assemblee dei delegati di lotta eletti), il limitarsi ad una politica tutt’al più di pressione sul governo e la presidenza della Repubblica, hanno costituito un altro ed ennesimo capitolo del tradimento da parte della burocrazia sindacale.

La mobilitazione della classe lavoratrice è così defluita, non trovando nello sciopero generale un momento per misurare la propria forza e la propria indipendenza, basate sulle proprie capacità di autorganizzazione, nei confronti delle politiche economiche del capitalismo francese, forza capace di dispiegarne l’egemonia sull’insieme delle classi popolari compresi larghi strati di piccola borghesia.

Non solo. Nel momento più alto della mobilitazioni, dalle organizzazioni che fanno riferimento al movimento operaio è mancata l’indicazione, comprensibile in quel momento alla grande parte dell’avanguardia di classe e a larghi starti della classe lavoratrice, della forma alternativa di governo: il governo delle lavoratrici e dei lavoratori, basato sulle proprie organizzazioni, l’unico in prospettiva capace di garantire il complesso delle rivendicazioni sociali delle classi popolari e il ribaltamento dei rapporti di forza tra le classi stesse.

È mancata dunque una direzione alternativa sia del sindacato che delle organizzazioni della sinistra politica. In altri termini, è mancato il partito rivoluzionario.

Rifluito il movimento di massa dei lavoratori, la disperazione sociale delle periferie urbane non ha trovato un riferimento sociale alternativo verso cui indirizzare le proprie aspirazioni. Così decine di migliaia di giovani hanno disperso la propria determinazione a contrastare le violenze della polizia in una ribellione furibonda senza prospettive, e che si espone alla repressione tanto per mano delle forze dell’ordine quanto per mano delle organizzazioni fasciste.

La legalità borghese è stata ripristinata con le buone o le cattive (compresa un’altra uccisione di un ventisettenne colpito al petto da un proiettile di gomma sparato dalla polizia) mentre la destra lepeniana dispiega la propria retorica "legge ed ordine", promuovendo addirittura una grande raccolta firme a supporto della difesa legale del poliziotto che ha ucciso Nahel, e si prepara ad un grande incasso elettorale.

In altre parole, per estrarre da questa vicenda un insegnamento di metodo, se il movimento di massa non incontra, come il vapore incanalato nel pistone, una direzione alternativa della sua organizzazione più elementare (il sindacato di classe), la propria forza autorganizzata, e soprattutto il partito rivoluzionario, allora come dice Trotsky, sempre nello stesso passo della citazione precedente: «Allora comincia la reazione: disillusione in certi ambienti della classe rivoluzionaria, accentuarsi dell’indifferenza e, successivamente, consolidamento delle forze controrivoluzionarie».

La costruzione di questo partito è dunque un compito sempre più urgente dei marxisti rivoluzionari, tanto in Francia come in ogni paese del mondo e a livello internazionale.

Federico Bacchiocchi

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