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Landini e Meloni. Chi rispetta cosa?

Il gioco delle parti nella reciproca legittimazione. La necessità di una alternativa alla burocrazia, non semplicemente di un dissenso

17 Marzo 2023

Il fatto che Maurizio Landini abbia offerto il palcoscenico della CGIL alla capa del postfascismo italiano misura simbolicamente la deriva della burocrazia sindacale

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Il fatto che Maurizio Landini abbia offerto il palcoscenico della CGIL alla capa del postfascismo italiano misura simbolicamente la deriva della burocrazia sindacale. Contestare la capa del governo, contro le raccomandazioni di Landini, è stato un atto sacrosanto che ci ha visto partecipi e che sosteniamo appieno.

Se Meloni ha accettato l'invito è segno di rispetto” ha dichiarato Landini. Penoso. “Rispetto” di chi e di cosa?
Siamo in presenza di un governo che criminalizza i migranti, intimidisce prèsidi antifascisti, cancella il reddito di cittadinanza, promuove condoni fiscali agli evasori, porta le spese militari al 2% del PIL, taglia le spese sanitarie, progetta la secessione dei ricchi attraverso l'autonomia differenziata, addirittura regala alle imprese il concordato preventivo biennale, per cui un'impresa pattuisce col fisco quanto versare e poi può fatturare quello che vuole senza pagarci le tasse... E tutto questo dopo aver reintrodotto i voucher, bloccato i contratti, umiliato il lavoro... Sarebbe questo il rispetto di Meloni per la CGIL?

La verità è che siamo in presenza di uno scambio cifrato di favori. Meloni usa il palcoscenico offerto dalla burocrazia CGIL per incassare una insperata legittimazione e sdoganare la propria presenza politica postfascista nella più improbabile delle platee, quella dell'unica organizzazione di massa del movimento operaio italiano. Landini mira a sua volta ad ottenere il riconoscimento platonico di interlocutore del governo, fosse pure di un governo a guida postfascista

È il gioco dei ruoli, diversi ma complementari. Complementari perché diversi. Entrambi alla ricerca di accreditamento agli occhi dell'altro. Entrambi con un occhio rivolto al padronato. Meloni vanta l'ospitalità della CGIL agli occhi dei capitalisti come misura della propria duttilità e capacità di dialogo, come prova del fatto che il governo a guida postfascista non altera la pace sociale e che i padroni possono dormire tranquilli. È questo il senso dell'evocata unità nazionale. Landini esibisce l'interlocuzione con Meloni per riaffermare la centralità della CGIL all'interno della burocrazia sindacale quale strumento di controllo dei lavoratori e delle lavoratrici, ed evitare ogni scavalco concorrenziale di CISL e UIL nella relazione diretta con padronato e governo. È la funzione organica di agenzia della borghesia nel movimento operaio, come Lenin definiva la burocrazia sindacale.

Ma proprio questo chiama la necessità di una alternativa alla burocrazia, non semplicemente di un dissenso. L'invito a Meloni è solo la punta dell'iceberg, seppur clamorosa, di una politica di subordinazione della classe operaia al capitalismo italiano e ad ogni suo governo. È la politica che negli anni e decenni ha sostenuto, cogestito, coperto la precarizzazione del lavoro, la cancellazione dei diritti, i tagli sociali. È la politica che ha consentito l'età pensionabile a 67 anni col semaforo verde di tre ore di sciopero. È la politica che ha consegnato alle destre, Meloni inclusa, ampi settori del lavoro salariato.

Allora è positivo e importante contestare l'invito a Meloni con un atto di dissenso pubblico. I compagni del PCL sono stati in prima fila nella contestazione della capa postfascista. Ma è decisivo ricondurre questo dissenso alla battaglia per una alternativa complessiva, programmatica, di linea, alla burocrazia sindacale. Non c'è bisogno di una opposizione di sua maestà, ma di un'altra direzione del movimento operaio italiano. È questo il senso della nostra battaglia in CGIL, e non solo.

Partito Comunista dei Lavoratori

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