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Il cuore dello Stato. Piantedosi e la strage di Cutro

6 Marzo 2023

A Cutro non c'è stata l'assenza dello Stato ma la sua presenza. È lo Stato che serve solo a erigere i muri a difesa dei sacri confini della proprietà e della merce del suo territorio

piantedosi


«Non dovevano partire». Non è la frase dal sen fuggita di un ministro degli interni, è la linea del governo sull'immigrazione. Chi arriva dal mare se la cerca. Non merita il soccorso della Guardia Costiera, ma l'intervento della Finanza, a tutela dei confini e della legge. Nella gelida notte di Crotone è accaduto esattamente questo. Non una negligenza dello Stato ma la presenza dello Stato, la confessione della sua natura.

«Da Roma è arrivata la decisione di far uscire i mezzi della Guardia di Finanza per un'attività di repressione reati, e non di soccorso»: è quanto dichiara testualmente il Procuratore Capo di Crotone. Si tratta al momento dell'unico fatto accertato, assieme all'ingombro di 60 cadaveri, crepati a cento metri da riva. Lo Stato serve «per la repressione dei reati». Non è forse un reato lo sbarco tentato di “clandestini”? A che serve lo Stato se non a difendere le sacre frontiere? Il cuore di Piantedosi non si occupa di umanità, ma di legge. È il cuore dello Stato, l'unico di cui dispone.

Colpa degli scafisti, non dello Stato” grida in coro il governo. Ma gli scafisti lucrano grazie alle leggi dello Stato che condannano l'immigrazione alla clandestinità. I famigerati trafficanti di esseri umani non esisterebbero senza mercato, cioè senza “traffico”. Gli Stati europei, le loro leggi, i loro governi sono la loro fortuna, la loro polizza a vita. Sono la loro rendita di posizione sul mercato internazionale della disperazione.

Distinguiamo tra migranti economici e chi fugge da guerre, inondazioni, persecuzioni”. Ma quali sono oggi i “migranti economici” che sfiderebbero il mare per diletto? Chi sono gli amanti dei “viaggi esotici” e del “turismo croceristico” di cui straparla il magistrato crotonese coordinatore dei GIP? I cadaveri di Crotone sono siriani, afghani, iracheni... Fuggono da guerre, terremoti, repressioni, discriminazioni. Chi fugge in mare con i propri figli lo fa per salvare le loro vite. Ad ammazzarli ci pensa lo Stato, magari con l'omissione di soccorso, magari dicendo che «non dovevano partire».

“Aiutiamoli a casa loro” significa solo “crepino a casa loro, e ci lascino in pace”. Perché possano crepare a casa loro ci vuole un aiuto, Naturalmente “umanitario”. È la funzione del cosiddetto Piano Marshall per l'Africa con cui si pavoneggia la nuova capa del governo. Significa da un lato assicurare al proprio imperialismo i diritti di saccheggio delle materie prime, vecchie (petrolio) e nuove (cobalto e litio), con i bimbi di dieci anni che affondano le proprie mani nelle miniere del Congo per nutrire le batterie elettriche dell'Occidente mentre l'Africa resta in larga parte senza luce. Dall'altro finanziare i peggiori regimi del continente, fornirli di nuove armi, motovedette e droni con cui impedire la fuga dei loro migranti, che è anche la fuga da quei regimi. È questa la politica italiana verso l'Egitto del boia al-Sisi, la Tunisia del dittatore Saied, il regime algerino che schiaccia il movimento Hirak, e innanzitutto la Libia. Dove l'Italia – da Minniti a Salvini a Piantedosi – finanzia direttamente lager e stupri della Guardia Costiera libica, ammanicata da sempre coi trafficanti, i famosi “trafficanti di esseri umani” che l'ipocrisia occidentale denuncia nel momento stesso in cui li alimenta.

Tuttavia stupri, torture, segregazioni non bastano per bloccare le partenze. Di conseguenza bisogna bloccare gli arrivi. Un'omissione di soccorso a 100 metri da terra, al prezzo di una settantina di cadaveri, è funzionale allo scopo. Non può forse disincentivare altre partenze? Il sabotaggio delle ONG è parte di questa politica. Allungare a dismisura i loro percorsi, restringere il numero dei salvataggi consentiti, non è una “politica miope”, è la scelta lucida di setacciare le possibilità di sopravvivenza e di approdo. Meno ne arrivano, meno ne partiranno: questo è il calcolo. Non importa che il calcolo sia sbagliato, come la storia insegna. Importa che sia il calcolo dello Stato. La logica questurina dello Stato non è provvista d'intelligenza. E tuttavia è una logica. I morti sono solo un effetto collaterale, un “carico residuale” che affoga. Una grana per Piantedosi.

Il governo a guida postfascista è per sua natura campione di cinismo. Ma non è affatto un'eccezione. “Bloccare le partenze”, portare in Africa la frontiera europea, irrobustire Frontex a difesa militare della nuova frontiera è la linea di tutti gli imperialismi europei. Meloni può dire soddisfatta che l'Europa è unita nell'intento. Ha ragione. I problemi e le contraddizioni riguardano lo smistamento dei migranti che riescono a sopravvivere, non le politiche di blocco e di respingimento. Quelle le condividono tutti, non ultimo il governo “di sinistra” spagnolo, che col voto determinante di Podemos e dei suoi quattro ministri fa col Marocco lo stesso accordo che l'Italia fa con la Libia: soldi per bloccare le partenze e segregare i migranti. Respinti in ogni caso brutalmente se cercano di passare la frontiera di Ceuta e Melilla.

L'Europa capitalista è incompatibile con l'umanità. Solo governi dei lavoratori e delle lavoratrici, in ogni paese e su scala continentale, possono recidere alla radice le cause delle migrazioni dall'Africa e dal Medio Oriente, liberando popoli oppressi dal fardello del colonialismo, dello sfruttamento, delle guerre. Cancellando il loro debito estero, sostenendo i loro movimenti di liberazione, restituendo loro le ricchezze naturali, tutelando il loro ambiente di vita, aiutando la loro emancipazione economica e sociale su basi nuove. E al tempo stesso garantendo i diritti di accoglienza dei migranti, innanzitutto il loro diritto alla vita.

Partito Comunista dei Lavoratori

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