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Inchiesta covid in Val Seriana. La responsabilità di quattromila morti

4 Marzo 2023

Gli avvisi di garanzia a Conte, Fontana e Speranza sulla mancata zona rossa in Val Seriana confermano clamorosamente la denuncia formulata a suo tempo dal PCL

inchiesta covid


Il 9 aprile 2020 il Partito Comunista dei Lavoratori, tramite il proprio portavoce nazionale Marco Ferrando, chiese formalmente alle Procure di Bergamo, Brescia, Milano, Roma, di aprire una inchiesta sulla mancata applicazione della zona rossa in Val Seriana, a partire dai comuni di Alzano e Nembro, denunciando apertamente le responsabilità politiche del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, del Presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, del Ministro della salute Roberto Speranza.

Oggi gli avvisi di garanzia inviati dalla Procura di Bergamo a Conte, Fontana, Speranza, confermano esattamente il contenuto della nostra denuncia

Si trattò della denuncia di un crimine. Commesso a dispetto delle indicazioni delle autorità sanitarie e sotto la pressione pubblica di Confindustria nazionale, lombarda e in particolare bergamasca, che non voleva né interrompere né disturbare il normale corso della produzione “Bergamo is running” recitava lo spot propagandistico degli industriali locali. In altre parole nessun lockdown, avanti con la produzione a tutto volume. Il (proprio) profitto vale più della vita (degli altri).

Non si trattò solamente di posizioni pubbliche, ma anche di pressioni dirette sul governo nazionale e lombardo. A fine febbraio la pandemia era ormai esplosa nella valle. Il 26 febbraio era stato accertato che il contagio in Val Seriana procedeva con la stessa eccezionale rapidità riscontrata nei comuni del lodigiano, dove si era realizzata (con ottimi risultati) la zona rossa integrale con completo lockdown (Codogno). Già il 27 febbraio sarebbe stato possibile predisporre la zona rossa anche in Val Seriana. Non a caso centinaia di agenti venivano dispiegati all'imbocco della bassa valle pronti a cinturare l'area con venti check point. Ma qui irrompono le pressioni contrarie.

Proprio il 27 febbraio il presidente della Lombardia Fontana, in totale contrasto coi dati sanitari disponibili, chiedeva formalmente al governo nazionale di soprassedere «non segnalando alcuna criticità relativa alla diffusione del contagio nei comuni della Val Seriana» (testuale). Il governo nazionale a sua volta prendeva tempo. Il 2 marzo in un incontro col Comitato tecnico scientifico, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte rivendicava la massima parsimonia su nuove zone rosse dichiarando che queste comporterebbero «un costo sociale, politico, non solo economico, molto alto». Evidentemente il capo del governo non voleva entrare in collisione né con la presidenza della Regione Lombardia né soprattutto con Confindustria. Passavano così nuovi drammatici giorni senza che alcuna misura venisse presa. Intanto il contagio dilagava. Il 3 marzo il Comitato tecnico scientifico (CTS) proponeva di istituire in valle la zona rossa. Il 5 marzo, in un contesto ormai fuori controllo, e sotto la pressione del CTS, il ministro Speranza in veste di proponente firmava il decreto per chiudere Alzano e Nembro. Ma il Presidente del Consiglio si rifiutò di emanarlo. Ed anzi revocò la presenza degli agenti virtualmente interessati alla sua applicazione. L'8 marzo una forma molto parziale di lockdown in Lombardia, senza fermo delle attività produttive, fu lo schermo dietro cui Conte coprì il proprio rifiuto della zona rossa in Val Seriana. Confindustria nazionale e lombarda dichiararono la propria soddisfazione mentre la valanga del contagio e delle morti in valle raggiungeva ormai la più alta intensità registrata al mondo.

Il risultato di questo crimine è misurato dai dati. Secondo le proiezioni fornite dagli epidemiologici più accreditati, se fosse stata applicata la zona rossa in valle il 27 febbraio, quando era possibile e doverosa, sarebbero state salvate 4148 vite. Se fosse stata applicata il 3 marzo sarebbero stati evitati 2659 decessi. Il Presidente del Consiglio, il Ministro della salute, il Presidente della Lombardia, si sono resi responsabili complessivamente di oltre quattromila morti evitabili. È un fatto. Il padronato è stato il mandante del crimine, il (suo) governo un docile esecutore.

I parenti delle vittime chiedono giustizia. Ne hanno diritto. E con loro ne hanno diritto milioni di lavoratori e di lavoratrici. Seguiremo l'iter giudiziario iniziato, e al quale abbiamo in qualche modo contribuito. Ma senza dimenticare in un solo momento che è il capitalismo in ultima analisi la vera associazione a delinquere, e che la vera giustizia vi sarà solo quando sarà rovesciato.

Solo una rivoluzione può presentare il conto. Solo una rivoluzione può cambiare le cose.

Partito Comunista dei Lavoratori

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