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Elly Schlein, realtà e abbaglio

Il significato di un voto. Il rischio di nuove illusioni di ritorno sul PD. L'importanza di una barra classista e anticapitalista

1 Marzo 2023
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L'affermazione di Elly Schlein nelle primarie del PD è al centro di un vasto commentario politico, anche e soprattutto a sinistra. Il Manifesto vede nella “vittoria di Elly” la grande occasione di una ricomposizione unitaria a sinistra: è la linea editoriale di un quotidiano che ha fatto del frontismo progressista (con PDS, DS, PD) la propria cifra, sin dai tempi del sostegno a Dini (“baciare il rospo”, 1995). La segreteria di Rifondazione Comunista si spertica nelle congratulazioni a Schlein, e nell'augurio di “un PD non liberista”: un richiamo della foresta, a futura memoria, dell'ennesimo “nuovo” centrosinistra, magari in versione spagnola.

È allora importante fare chiarezza, sul significato del voto, sui suoi possibili riflessi sul piano politico, e soprattutto sul posizionamento dell'avanguardia di classe e dei marxisti rivoluzionari.


IL SIGNIFICATO POLITICO DI UN VOTO

Sarebbe sbagliato rimuovere il significato politico del voto, che non va confuso col giudizio sulle primarie. Le primarie sono un'espressione dell'impronta genetica del PD quale partito borghese liberale. Il fatto che il segretario o la segretaria del partito venga eletto/a non dagli iscritti ma dagli elettori dimostra che questa cosiddetta forma superiore di democrazia scimmiottata dal PD americano contraddice i criteri più elementari di una democrazia di partito a favore di una procedura plebiscitaria. Quella che in passato incoronò, in stagioni diverse, i Prodi o i Renzi.

Tuttavia l'esito di ogni elezione, al di là della forma, racchiude un significato politico. Nel 2013 l'investitura plebiscitaria dell'outsider Renzi all'insegna della retorica populista della rottamazione premiò la scalata del PD da parte di una cordata liberal-confindustriale capeggiata da un aspirante Bonaparte. Dieci anni dopo, la scalata del PD da parte dell'outsider Schlein raccoglie una domanda diversa, per molti aspetti opposta: quella di una svolta a sinistra del partito, speculare a quella renziana. Il fatto che per la prima volta gli elettori abbiano contraddetto l'orientamento degli iscritti è indicativo. Come lo è il pronunciamento nettissimo nelle città, il segno giovanile e spesso femminile del voto, la sconfitta del voto cammellato dei governatori e dei sindaci. La crisi profonda del PD e della sua credibilità agli occhi di parte importante del suo elettorato ha certo favorito questo esito.

A fronte di un governo a guida postfascista, una parte del popolo di sinistra, orfano di riferimenti, reduce da mille sconfitte, disillusioni e tradimenti, investe su una giovane dirigente appena entrata nel partito, non compromessa direttamente nelle politiche governative del PD renziano e postrenziano, portatrice di posizioni più radicali, che promette formalmente di cambiare tutto. Per alcuni aspetti è la stessa domanda che aleggiò tre anni fa nel movimento giovanile delle sardine. Il fatto che sia Schlein a raccogliere questa domanda di svolta misura il vuoto a sinistra del PD dopo il suicidio di Rifondazione Comunista nelle braccia di Prodi (2006-2008) e l'assenza da tempo di un partito riconoscibile della classe lavoratrice. Non a caso, secondo diversi rilevamenti, si sono recati a votare per Schlein anche una quota di elettori del M5S di provenienza PD, di elettori di Sinistra Italiana, di astenuti al voto del 25 settembre.


LA COSTITUZIONE MATERIALE DEL PD

La domanda di svolta che Schlein ha raccolto cozza tuttavia con diverse barriere.
La prima è la costituzione materiale del PD e dei suoi assetti. Schlein è un nome nuovo, ma non sono certo nuovi i suoi sostenitori nell'apparato del PD, a cominciare da Franceschini, Boccia, Orlando, Provenzano, tutti immancabili ministri negli anni di Renzi, Letta, Gentiloni, Conte, Draghi. Tutti corresponsabili, a diverso grado, delle politiche antioperaie che hanno colpito i lavoratori, i giovani, le donne nel corso dell'ultimo decennio. Tutti corresponsabili, anche per questo, dello sfondamento del populismo reazionario in ampi settori del lavoro salariato. Se Meloni oggi governa l'Italia è anche grazie a loro. Questo variegato personale politico, di fronte al crollo del PD e al rischio concreto di una sua scomparsa, è salito sulla scialuppa di Elly Schlein vedendola come ancora di salvezza. Innanzitutto la propria salvezza. Buona parte degli eletti a rimorchio di Schlein nell'Assemblea Nazionale del PD provengono da queste file d'apparato. Il loro peso specifico non sarà marginale nel nuovo organigramma del PD, a partire dalla Direzione Nazionale che verrà eletta il 12 marzo.

A questo si aggiunge l'altra (quasi) metà dell'apparato PD, quello che ha sostenuto Bonaccini. Da un lato la corrente organizzata degli ex renziani, guidati da Guerini, oggi alla presidenza del Copasir. Dall'altro un'ampia pletora di amministratori locali, governatori regionali (De Luca, Giani, Emiliano), sindaci (a partire da Nardella). Nel suo insieme, un blocco variegato ma consistente. Bonaccini si candida a rappresentarlo e a garantirne la rappresentanza. È possibile che su questo versante si producano abbandoni o smottamenti, magari in direzione del cosiddetto Terzo polo di Renzi-Calenda. Ma al momento non è questa la tendenza prevalente. A prevalere è la richiesta di riconoscibilità e di peso nel partito, facendo leva sul voto maggioritario tra gli iscritti. Non a caso Romano Prodi, tra i padri costituenti del PD, si è affrettato a invocare l'unità del partito come bene supremo; una richiesta prontamente accolta da Schlein: «L'unità del PD è la mia prima priorità».

Ma come conciliare l'unità dell'apparato del PD con la promessa di cambiare tutto? Gli stessi gruppi parlamentari del partito, nella loro grande maggioranza, a partire dalle capigruppo, sono schierati/e con Bonaccini. Ciò che non cambia con il rimpiazzo delle capigruppo (peraltro con l'incognita del voto segreto). Come gestire i gruppi parlamentari sino alla fine della legislatura senza disporre di una loro maggioranza? Certo, Schlein ha promosso nelle proprie liste per l'assemblea nazionale del PD una nuova leva di suoi diretti sostenitori, in particolare di giovane generazione. Saranno verosimilmente il suo punto di forza negoziale nelle trattative interne per la composizione degli organismi. Ma l'unità del PD non tarderà a indicare il suo prezzo. I cerchi non si fanno quadrati.


UNA SINISTRA LIBERALPROGRESSISTA

La domanda di svolta cozza soprattutto con l'evanescenza della “piattaforma Schlein”, a fronte della profondità della crisi capitalistica e delle contraddizioni tra i poli imperialisti su scala mondiale. L'orizzonte politico-culturale di Schlein, confermato nel suo testo programmatico di 33 pagine, resta confinato nel perimetro del progressismo borghese liberale. È la cultura dell'obamismo e del prodismo, dove peraltro la stessa Schlein si è formata, facendosene direttamente paladina. Una cultura intrisa formalmente di innumerevoli riferimenti all'eguaglianza dei diritti, all'ambientalismo, alle istanze femministe, al solidarismo cattolico verso i poveri e i migranti, ma sempre attenta alla salvaguardia del capitalismo, del libero mercato, dell'imperialismo, del militarismo, delle sue implicazioni internazionali e nazionali.

Il risultato è che ovunque, alla prova dei fatti, la poesia alata del progressismo è stata rimpiazzata dalla prosa, cioè la prosa dell'ordinaria politica borghese. Obama non ha neppure scalfito l'infamia del sistema sanitario USA nel mentre ha accresciuto le spese militari e di guerra, quelle che il democratico Biden sta oggi portando alle stelle (col sostegno di Bernie Sanders). Il cattolico progressista Romano Prodi ha gestito da Presidente del Consiglio il più imponente piano di privatizzazioni in Europa nel 1996-'98, e la più grande detassazione dei profitti del dopoguerra, nel 2007. I numi mitologici di cui Schlein si circonda non promettono dunque nulla di buono. In ogni caso, nulla di paragonabile alle domande, e illusioni, che a lei si rivolgono.


IL PROGRAMMA BIFRONTE DI ELLY SCHLEIN

Lo stesso programma di Schlein è emblematico. Le evocazioni di immagine si sprecano. Si citano «gli errori» compiuti dal PD in tema di lavoro, si rivendica il primato della sanità pubblica e della scuola pubblica, si rivendica «un nuovo contratto sociale» con un nuovo welfare universalistico e di comunità. Ma si tace, guarda caso, sulle fonti di finanziamento di tutto questo. Si esclude di finanziarlo con nuovo debito pubblico, che naturalmente si continuerebbe a pagare con tanto di interessi (70 miliardi all'anno regalati alla banche), e si esclude al tempo stesso ogni volontà di accrescere la pressione fiscale sulle imprese. Ma allora, banalmente, chi paga? Peraltro la tesi per cui occorre spostare il peso del fisco dal lavoro e dalle imprese alle rendite ripropone un approccio interclassista che salvaguarda le richieste confindustriali di abolizione dell'IRAP e di riduzione ulteriore di IRES, in un paese in cui i salariati e i pensionati reggono sulle proprie spalle l'80% delle tasse. Quanto al salario minimo, è certo di per sé una richiesta progressiva, peraltro sostenuta persino da Calenda. Ma la sua entità è decisiva per comprenderne la reale natura, come lo è se stabilirla per legge o meno. Il silenzio al riguardo di Schlein tiene aperte tutte le porte. Come sul capitolo pensioni, dove si limita a criticare “le rigidità delle Fornero” guardandosi bene dal proporne la cancellazione.

Nessuna svolta, inoltre, neppure promessa, sul punto cruciale delle spese militari e del loro continuo incremento. Che non sono affatto i pochi miliardi di aiuti all'Ucraina (un miliardo, nel caso dell'Italia), come sembra credere un pacifismo strabico, ma l'enorme aumento programmato da 25 a 38 miliardi del bilancio militare italiano, la crescita a 60 miliardi del bilancio militare francese, l'aumento di 100 miliardi del bilancio militare tedesco, la crescita del 30% delle spese militari del governo spagnolo (quello... “di sinistra”, con quattro ministri di Podemos). È la nuova gigantesca corsa alle armi – e al rischio di una nuova guerra mondiale – che sta attraversando tutti gli stati imperialisti, vecchi e nuovi, e che prevede per tutti i paesi NATO di elevare al 2% del PIL la soglia minima della spesa militare.

Il punto è che la obamiana Schlein difende la NATO e l'appartenenza italiana alla NATO, combinandola con raccomandazioni di pace. Com'è possibile conciliare l'aumento delle spese militari con un nuovo massiccio investimento anche solo nella sanità pubblica? Ma soprattutto, quale credibilità può avere la propaganda di pace se si accetta passivamente il militarismo del proprio imperialismo?


LA DOPPIEZZA DEL PROGRESSISMO LIBERAL

È la doppiezza del progressismo liberal, certo non nuova. Il ministro Speranza, sotto Conte due e sotto Draghi, parlava di grande attenzione alla sanità pubblica nel mentre procedeva di fatto alla riduzione della spesa sanitaria rispetto al PIL. Il M5S “pacifista” è quello che con Conte (uno e due) ha incrementato maggiormente le spese militari nell'ultima legislatura. Quando alla giunta regionale emiliana, in cui Schlein ha governato con Bonaccini, basta dare un occhio ai finanziamenti pubblici alla sanità privata, e si vedrà che competono con quelli lombardi di Fontana.

Non si tratta semplicemente di cattiva fede, ma delle compatibilità materiali di un capitalismo in crisi che da trent'anni ha eroso, dopo il crollo dell'URSS, lo spazio materiale del riformismo. Chi oggi si candida a governare questo sistema si candida a gestire controriforme sociali e scalate militari, quali che siano le sue promesse e le sue narrazioni. L'antiliberismo è solo una parola vuota con cui da trent'anni si maschera la rinuncia all'anticapitalismo, e dunque la subordinazione alla società borghese nella sua epoca di decadenza. L'antiliberista Tsipras è quello che in Grecia dopo il 2015 ha applicato il memorandum della Troika contro lavoratori e pensionati e ha aumentato la spesa militare sino al 4% del PIL. L'antiliberista Podemos è quello che oggi gestisce nel governo Sanchez, al massimo livello di responsabilità, il respingimento dei migranti e il militarismo spagnolo. L'antiliberista tricolore Mélenchon ha rimosso dal programma di NUPES la richiesta di rottura con la NATO. Quanto alla sezione finlandese del Partito della Sinistra Europea, oggi partecipa a un governo che vuole entrare nella NATO. Sono i riferimenti europei della sinistra radicale in Italia (PaP e PRC).


UN'OPPOSIZIONE DI CLASSE PER UNA ALTERNATIVA DI SISTEMA

Si dirà che oggi Schlein non deve cimentarsi col governo del capitale ma con l'opposizione a Meloni, per cui le contraddizioni annunciate di prospettiva possono essere in parte congelate e occultate da un maggior “radicalismo” di toni e posture. È vero. Ma il punto è proprio questo: occorre evitare che un PD liberalprogressista, sotto mutate spoglie, possa nuovamente candidarsi assieme al M5S a forza egemone dell'opposizione al governo, per subordinarla all'ennesima prospettiva di alternanza.

Per questo è essenziale far emergere una piattaforma di svolta attorno a cui ricomporre il fronte unico di lotta di tutte le organizzazioni del movimento operaio, politiche e sindacali. Una piattaforma di lotta generale incentrata su rivendicazioni di classe: aumento generale dei salari di 300 euro netti, reintroduzione della scala mobile dei salari, drastica riduzione dell'orario a 30 ore settimanali a parità di paga, una patrimoniale del 10% sul 10% più ricco con cui finanziare il raddoppio degli investimenti nella sanità pubblica, nell'istruzione, nella riorganizzazione ecologica della produzione e nel risanamento dell'ambiente. Una piattaforma di vertenza generale unificante, che sappia porsi al centro della scena, contro il governo della destra e in alternativa al liberalismo progressista. Una piattaforma che sappia assumere e incorporare tutte le rivendicazioni democratiche (antifasciste, ambientaliste, di genere, antirazziste, antimilitariste) per ricondurle a una alternativa anticapitalista, fuori da ogni subordinazione all'alternanza.


PER UN PARTITO DELLA CLASSE LAVORATRICE ATTORNO A UN PROGRAMMA ANTICAPITALISTA

Dobbiamo evitare l'eterno ritorno della subordinazione al PD liberale, sia esso liberalconfindustriale o liberalprogressista. Negli anni Novanta l'opposizione di massa a Berlusconi fu subordinata all'alternanza di centrosinistra, a partire dal primo governo Prodi. Negli anni Duemila l'opposizione al nuovo governo Berlusconi fu nuovamente subordinata a Prodi. In entrambi i casi nel nome del “nuovo”. In entrambi i casi contro i lavoratori. In entrambi i casi col ruolo decisivo del gruppo dirigente delle sinistre (PRC, PdCI). Vogliamo oggi ricominciare a imbastire, sotto l'abbaglio di Schlein, l'ennesima tela dell'alternanza?

La prospettiva che si sceglie determina la politica che si fa. A differenza del compagno Maurizio Acerbo, non abbiamo auguri da rivolgere a Schlein, né illusioni da spendere sul PD. Poniamo l'esigenza di un partito della classe lavoratrice che si batta per un governo dei lavoratori. Un partito contrapposto a tutti i partiti borghesi, e a tutte le loro versioni. L'unica risposta vera, non illusoria, alle stesse domande di sinistra che Elly Schlein ha raccolto.

Partito Comunista dei Lavoratori

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