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La guerra in Ucraina un anno dopo

La natura del conflitto e la posizione dei rivoluzionari

22 Febbraio 2023

Un'analisi aggiornata della guerra a un anno dal suo inizio, a difesa di un posizionamento coerentemente leninista. La denuncia dell'imperialismo russo. La difesa dell'Ucraina da una guerra imperialista d'invasione. La denuncia del ruolo degli imperialismi NATO e della loro corsa al riarmo. L'opposizione politica a Zelensky dal versante dei lavoratori ucraini. La rivendicazione di una pace giusta in Ucraina, a partire dal ritiro delle forze russe di occupazione. Il ruolo potenzialmente decisivo del proletariato russo. Il nostro sostegno al RRP (Partito Operaio Rivoluzionario) russo e alla sua opposizione al proprio imperialismo e alla sua guerra. La prospettiva socialista e rivoluzionaria internazionale in contrapposizione a tutti gli imperialismi e alla minaccia di una terza guerra mondiale

unannoguerra


A un anno dall'invasione russa dell'Ucraina è importante fare il punto sulla guerra. Sulla sua natura, sulla sua evoluzione, sul posizionamento politico dei rivoluzionari.

Nell'anno trascorso, sia nel confronto politico che nel senso comune, sono sedimentati e confusamente intrecciati verità, pregiudizi, rappresentazioni ideologiche impermeabili all'evidenza, inquinamenti prodotti dalle opposte propagande di guerra e dal loro riflesso, spesso capovolto, nella percezione dell'opinione pubblica. Un inestricabile groviglio nel quale spesso si disperdono i fondamentali della guerra, quasi fossero un fastidioso ingombro.

Lo sappiamo che c'è un aggressore e un aggredito! Ma ora basta, dobbiamo fermare l'escalation che ci sta conducendo alla terza guerra mondiale! Basta armi all'Ucraina, la parola passi alla diplomazia, vogliamo la pace”: questo è dopo un anno un senso comune diffuso, anche a sinistra. Condensa e miscela ingredienti diversi, con diverse declinazioni. Da un lato la paura più che motivata dell'escalation bellica, il rifiuto del militarismo, il fastidio per la retorica borghese, tanto ipocrita quanto insopportabile, a maggior ragione se di un governo a guida postfascista. Dall'altro la volontà di non immischiarsi in “fatti che non ci riguardano”, il regredire del senso di solidarietà e di empatia verso la popolazione ucraina bombardata, veri e propri casi di ucrainofobia, persino una sottile fascinazione delle “ragioni” della Russia e del lato oscuro della forza.

Cogliere questo sentimento pubblico, in tutte le sue contraddizioni e sfaccettature, è molto importante. Non per assecondarlo passivamente e lisciargli il pelo, come fanno per ragioni diverse il M5S, le sinistre riformiste, e persino Berlusconi (a quanto pare in compagnia di... Matteo Messina Denaro), ma per educarlo, separando il lato progressivo di questo sentimento (il rifiuto dell'escalation bellica, della minaccia nucleare, dell'incremento delle spese militari) dall'indifferenza verso un popolo invaso, dall'illusione nelle diplomazie degli imperialismi, dalla rimozione della natura stessa della guerra, che è e resta innanzitutto la guerra dell'imperialismo russo all'Ucraina. Quella iniziata un anno fa.


LA GUERRA DELL'IMPERIALISMO RUSSO

Un anno fa la Russia ha invaso l'Ucraina, non per “difendere il Donbass” ma per conquistare e assoggettare Kiev. Per cancellare la sovranità nazionale dell'Ucraina e la sua stessa legittimità storica. «L'Ucraina è una invenzione di Lenin e dei bolscevichi» dichiarò Putin a reti unificate il 21 febbraio 2022. Dunque deve tornare alla Russia, alla Grande Madre Russia, rivendicata e celebrata dal regime, dal Patriarcato di Mosca, da tutto lo sciovinismo patrio. Da qui la motivazione pubblica dell'invasione del 24 febbraio, insieme imperiale e (dichiaratamente) anticomunista. Due giorni dopo una colonna di sessanta chilometri di carri armati russi marciava in direzione di Kiev.

La previsione era quella di una sua rapida caduta, con la fuga precipitosa del governo in carica e la sua sostituzione con un governo fantoccio filorusso. Era anche la previsione del governo USA, che offrì infatti immediatamente a Zelensky un asilo dorato incoraggiandolo di fatto a fuggire. Erano le ore in cui il cancelliere tedesco Scholz si lasciò scappare sottobanco una confidenza rivelatrice: “Se proprio invasione deve essere, il male minore è che l'Ucraina si arrenda in fretta”. Fatto sta che le previsioni di tutti sono state smentite dalla scelta della resistenza da parte ucraina, cambiando così la dinamica del conflitto. Chi rappresenta le vicende del mondo come opera dei grandi burattinai imperialisti che tutto pianificano e tutto dispongono dovrebbe riconoscere che la realtà dei fatti ha contraddetto una volta di più il loro schema, sin dalle origini di questa vicenda.

L'invasione dell'Ucraina da parte di Putin è un risvolto della politica di potenza dell'imperialismo russo. Un diffuso luogo comune nega la realtà dell'imperialismo russo. Nel migliore dei casi rappresenta la sua politica come sostanzialmente difensiva contro l'espansione della NATO e dell'Occidente. La ragione è semplice: nella memoria del popolo di sinistra l'imperialismo è solo quello americano. È la memoria lunga del dopoguerra. Ma oggi la realtà del mondo è profondamente diversa. Certo, dopo il crollo del Muro di Berlino nel 1989 e la restaurazione capitalista in URSS, gli imperialismi NATO hanno progressivamente allargato la propria area di influenza, inglobando larga parte dell'Est Europa nel proprio dominio e proiettandosi in Medio Oriente. Le promesse ufficiose fatte a Gorbaciov circa il rispetto occidentale dell'area di influenza russa durarono lo spazio del mattino, non più di quanto durò la promessa russa del 1994, col Patto di Budapest, di rispettare i confini dell'Ucraina dopo aver ottenuto il suo disarmo nucleare. Ma la linea espansionista degli imperialismi occidentali ha subìto negli anni 2000 ripetuti rovesci, prima in Iraq, e poi in Afghanistan. E a partire dalla grande crisi capitalistica del 2008 si confronta con l'ascesa impetuosa dell'imperialismo cinese su scala mondiale. Al centro dello scenario internazionale non c'è oggi l'irresistibile espansione degli USA ma la crisi profonda della loro egemonia.

La politica di potenza dell'imperialismo russo, dalla metà degli anni 2000, si è sviluppata in questo contesto. È una reazione non solo all'espansione della NATO post-1989 ma anche e soprattutto all'indebolimento degli imperialismi occidentali. L'irruzione della Russia nella guerra siriana, nel Nord Africa (Libia), in Africa centrale, e persino in Mar Artico, punta a capitalizzare in proprio la crisi dell'egemonia USA e dei loro alleati (è il caso della crisi della Francia in Africa), e il varco aperto dall'ascesa cinese. L'invasione dell'Ucraina, successiva alla disfatta USA in Afghanistan, è un riflesso di questa dinamica.


IL RUOLO DEGLI IMPERIALISMI NATO

Gli imperialismi di casa nostra, spiazzati dall'imprevista resistenza ucraina, si sono affrettati a sostenerla per interesse proprio, provando a fare di necessità virtù. La spiegazione è elementare: non intendono subire senza contrasto l'espansione di un imperialismo rivale in Europa, tanto più che la Russia è alleata decisiva dell'imperialismo cinese, l'avversario strategico degli USA su scala globale. Un abbandono della resistenza ucraina al suo destino da parte dell'imperialismo USA avrebbe significato un semaforo verde per la Cina sul Pacifico (Taiwan), e un ulteriore ridimensionamento del proprio ruolo nel mondo. Dunque un tracollo della credibilità dell'imperialismo USA presso tutti i propri alleati, sia in Europa (a partire dalla Polonia e dagli stati baltici) sia in Asia (a partire dal Giappone e dalla Corea del Sud).

Il sostegno degli imperialismi occidentali all'Ucraina è oggettivamente determinante per la sua tenuta nella guerra. Al tempo stesso l'aiuto occidentale sostiene l'Ucraina come la corda sostiene l'impiccato: mira a consolidare l'assoggettamento dell'Ucraina all'influenza della NATO, della UE, del Fondo Monetario Internazionale, e alle loro politiche di rapina. L'imperialismo fa l'imperialismo, sarebbe illusorio attendersi altro.

Ma la teoria della guerra in Ucraina come guerra per procura della NATO contro la Russia è profondamente falsa. Lo è, come abbiamo visto, nello stesso innesco della dinamica di guerra. Ma lo è anche nella sua dinamica successiva.

Lo sforzo militare è intenso su entrambi i lati. L'imperialismo russo ha reagito al fallimento del proprio disegno iniziale con l'escalation della propria offensiva militare. La sconfitta della marcia su Kiev, il fallimento dei ripetuti tentativi di conquistare Karkhiv, la perdita successiva di Kherson a settembre, hanno spinto il regime putiniano a una mobilitazione straordinaria di nuove truppe, all'annessione formale di quattro provincie, e soprattutto allo sviluppo imponente dei bombardamenti sulle infrastrutture civili ucraine. E ora sembra alle viste una nuova imponente offensiva di terra in primavera. Gli imperialismi NATO hanno risposto, sotto pressione ucraina, con un ampliamento parallelo del sostegno militare a Zelensky, prima col ricorso agli Himars, poi con la promessa dopo un anno di guerra dei carri armati pesanti, per quanto gli aiuti reali siano molto minori di quelli propagandati e promessi, a fronte di una perdurante sproporzione delle forze sul campo a vantaggio della Russia (si pensi ai 10000 mezzi corazzati di cui Putin ancora dispone e all'enorme disponibilità di truppe).

Il sostegno militare della NATO all'Ucraina non equivale all'ingresso diretto della NATO in guerra contro la Russia.

Questa distinzione elementare tra sostegno militare e ingresso in guerra vale innanzitutto sul piano storico generale: la Gran Bretagna sostenne l'Etiopia contro l'imperialismo fascista nel 1936 ma non fu in guerra con l'Italia sino al 1940; la Gran Bretagna sostenne la Cina contro l'invasione giapponese nel 1936-'38 ma non era allora in guerra col Giappone; l'URSS staliniana sostenne (ahimè) economicamente e militarmente la Germania nazista fra il 1939 e il 1941, ma non era per questo in guerra contro Gran Bretagna e Francia; Cina e URSS negli anni '60 e '70 sostennero militarmente il Vietnam contro gli USA ma certo non erano in guerra con gli USA... Gli esempi si potrebbero moltiplicare, come si vede, con i più diversi protagonisti, riferimenti e contesti. L'idea per cui un sostegno militare significa di per sé essere in guerra non trova il conforto della storia.

Tale distinzione vale anche nel caso della guerra attuale. L'imperialismo USA e gli imperialismi europei vogliono impedire la vittoria dell'imperialismo russo in Ucraina, che significherebbe la loro sconfitta, ma non al prezzo di essere trascinati direttamente in guerra. Per questo si oppongono all'invio diretto di proprie truppe. Rifiutano la concessione della no fly zone che Zelensky ha richiesto. Hanno minimizzato l'incidente al confine polacco a settembre. Dilazionano ripetutamente gli aiuti (persino dei famosi Leopard) e ne riducono il più possibile l'importo effettivo. Pongono come condizione dei rifornimenti militari l'impegno ucraino a non attaccare il territorio russo in profondità, misurando la stessa natura degli aiuti militari in base a questa clausola di ingaggio.

Più in generale, l'idea per cui gli USA mirerebbero alla guerra contro la Russia per smembrarla e spartirsela ha molto a che fare con la propaganda patriottica putiniana, ma molto meno con la verità. Confonde i piani fantascientifici di alcuni ambienti dell'estrema destra polacca con gli orientamenti dell'imperialismo USA. Il quale da un lato vuole sconfiggere per il proprio interesse i piani di Putin in Ucraina, ma dall'altro teme che una caduta di Putin e ancor più una dissoluzione della Federazione Russa possano essere capitalizzati dalla Cina, il proprio nemico strategico, con un'ulteriore espansione della propria area d'influenza in Asia. Le riflessioni di un Kissinger non sono estranee a questo ordine di preoccupazioni strategiche.


UNA GUERRA ASIMMETRICA

Le trattative tra NATO e Ucraina che accompagnano ogni consegna (o promessa) di nuove armi sono dunque il riflesso di un braccio di ferro tra pressioni diverse: da un lato la pressione ucraina al rialzo, sotto l'incalzare drammatico della guerra russa, dall'altro la volontà della NATO di contenere gli aiuti dentro le compatibilità di un sostegno esterno senza coinvolgimento diretto. Un equilibrio difficile e precario e tuttavia ricercato, cui si si aggiungono come ulteriore fattore di condizionamento le contraddizioni interne al campo degli imperialismi NATO, tra imperialismo USA e imperialismi europei, tra imperialismo britannico e imperialismo tedesco e francese. Ma anche all'interno degli stessi paesi imperialisti tra équipe di governo e stati maggiori. Ovunque preoccupati – dal Pentagono ai comandi tedeschi e francesi – di salvaguardare la propria forza militare evitando di “esagerare” con l'invio di armi all'Ucraina. Ciò che a volte viene scambiato per un improbabile pacifismo dei generali è solo la preparazione alle guerre future, magari contro la Cina sul Pacifico.

La guerra in corso è e resta dunque una guerra asimmetrica. L'Ucraina è il terreno di combattimento, non la Russia. La Russia invade e bombarda l'Ucraina da un anno, distruggendo città, centrali elettriche, fabbriche, ospedali, scuole. L'Ucraina si difende sul proprio territorio senza attaccare il territorio russo (al di là ovviamente delle linee contigue di rifornimento e delle basi militari di attacco adiacenti al fronte) e senza coinvolgere la popolazione russa. È un fatto. Dieci milioni di sfollati ucraini sono il portato di questa realtà, assieme al carico di morti e di terrore. Non sono l'effetto della difesa ucraina e degli aiuti militari NATO, sono l'effetto dei bombardamenti russi e dell'occupazione russa. Dire il contrario, attribuire le vittime ucraine alla resistenza all'invasione (“è Zelensky che vuole il massacro del suo popolo”) non costituisce solo un cinico falso logico, ma anche un sostegno obiettivo alla propaganda di guerra putiniana. Cioè un sostegno all'imperialismo invasore.


LA GUERRA DEL DONBASS DEL 2014 E LA GUERRA RUSSA ALL'UCRAINA

Chi rappresenta la guerra attuale come un prolungamento della guerra del Donbass del 2014 rimuove questa realtà.

Quella fu una guerra del governo nazionalista ucraino post-Maidan, guidato dalla destra di Poroshenko, contro la ribellione delle popolazioni russofone alle sue misure reazionarie. Noi, in quel contesto, sostenemmo senza riserve le repubbliche del Donbass contro il governo reazionario ucraino, nonostante la natura rossobruna dei governi separatisti e il sostegno militare loro accordato, per interesse proprio, dall'imperialismo russo.

Questa è una guerra di invasione dell'imperialismo russo contro l'Ucraina intera, inclusa la popolazione russofona del Donbass. Il Donbass è oggi uno dei terreni della guerra, non la ragione della guerra. La “liberazione del Donbass dai nazisti ucraini” è propaganda ipocrita dell'imperialismo russo. Tanto più grottesca se si pensa che la cosiddetta “denazificazione” dell'Ucraina è condotta dalle truppe panislamiste cecene arcireazionarie di Kadyrov e dalle milizie naziste della Wagner, il cui ruolo nella guerra d'invasione russa è oltretutto incomparabilmente superiore a ciò che resta dei fascisti Azov nella difesa ucraina. Al punto che i capi della Wagner, forti del proprio ruolo al fronte, sgomitano ormai in prospettiva per la successione politica a Putin.

Siamo dunque a difesa dell'Ucraina contro la guerra d'invasione dell'imperialismo russo. Proprio perché siamo contro tutti gli imperialismi, siamo contro tutte le loro guerre, a sostegno di tutti i popoli da questi invasi. Abbiamo difeso l'Iraq, la Serbia, l'Afghanistan contro le guerre imperialiste dell'Occidente; difendiamo l'Ucraina dalla guerra d'invasione dell'imperialismo russo.

È una posizione che discende dall'intera tradizione del marxismo rivoluzionario internazionale, come abbiamo ampiamente documentato. Lenin e Trotsky hanno sempre difeso le nazioni dipendenti contro le potenze imperialiste che le opprimevano e/o le aggredivano, anche quando tali nazioni venivano sostenute per interesse proprio da imperialismi rivali. Nel 1916 il sostegno tedesco al movimento nazionale irlandese non impedì a Lenin di sostenere l'Irlanda contro l'imperialismo britannico. Il sostegno della Gran Bretagna all'Etiopia contro l'imperialismo fascista non impedì a Trotsky di rivendicare la difesa dell'Etiopia contro L'Italia. Cosi come il sostegno britannico alla Cina, aggredita dall'imperialismo giapponese, non gli impedì di sostenere la Cina contro il Giappone. In ognuno di questi contesti esistevano le contraddizioni interimperialiste, ma non rappresentavano l'elemento dominante. E le tesi ultrasinistre che in nome di quelle contraddizioni rifiutavano il sostegno alle nazioni dipendenti furono oggetto di una polemica costante sia di Lenin che di Trotsky. La nostra difesa dell'Ucraina contro l'imperialismo russo, nonostante l'appoggio all'Ucraina degli imperialismi NATO, è l'applicazione coerente ed elementare di questo metodo leninista. Come lo è il nostro sostegno alla resistenza curda, pur sostenuta da armi e istruttori americani.

Naturalmente, se la guerra cambiasse natura, cambierebbe la nostra posizione. Se la NATO entrasse direttamente in guerra contro la Russia, assumeremmo una posizione di disfattismo bilaterale, come a fronte di ogni guerra interimperialista. Se la Russia si ritirasse entro i confini del 24 febbraio e l'Ucraina, magari spinta da alcuni ambienti imperialisti guerrafondai (Gran Bretagna, Polonia...) continuasse la guerra contro la Russia, anche in quel caso la nostra posizione cambierebbe in direzione del disfattismo bilaterale. Ma così oggi non è.

Non escludiamo affatto la possibilità di una trascrescenza della guerra attuale in direzione di un conflitto interimperialista. Semmai una delle conseguenze paradossali della rappresentazione della guerra attuale come già interimperialista è proprio quella di rimuovere il rischio di un salto interimperialista della guerra. A maggior ragione nel caso di quella “teoria” strampalata (purtroppo affacciatasi anche in ambienti rivoluzionari) per cui essendo oggi in epoca nucleare, le guerre tra gli imperialismi possono essere solo indirette e “bastarde”, “come in Ucraina”. Pur di negare il diritto alla resistenza ucraina contro l'invasione russa, si giunge di fatto a negare la stessa possibilità di una guerra diretta tra le potenze imperialiste. Un'analisi sbagliata conduce paradossalmente a illusioni semipacifiste del tutto irresponsabili, a scapito della lotta contro la minaccia della terza guerra mondiale imperialista, purtroppo tragicamente possibile.

Resta il fatto che non possiamo confondere una terribile possibilità del futuro con la realtà presente. Lo ribadiamo. L'elemento interimperialistico è ben presente nel conflitto: ne spiega il contesto, disegna gli schieramenti internazionali, influisce sulle forze militari in campo su entrambi i versanti. Ma i soggetti centrali della guerra, quelli che si combattono sul campo, sono da un lato l'imperialismo russo, dall'altro lo Stato ucraino. Questa è oggi la linea del fronte. Non possiamo essere neutrali a fronte di una guerra imperialista d'invasione contro un paese che imperialista non è. Tanto più se il confine della guerra ricalca la frontiera di un'oppressione storica, prima zarista, poi staliniana, per mano dello sciovinismo grande-russo.

Chi dipinge la resistenza ucraina come un semplice braccio esecutivo della NATO non solo nega l'esistenza della nazione ucraina e del suo popolo (al pari di Putin), ma è incapace di spiegare la stessa dinamica della guerra. Certo, la NATO fornisce armi, istruttori, intelligence. Ma ad usare quelle armi sono gli ucraini. A morire sono gli ucraini. I militari ucraini, ma anche i civili. In Russia più di un milione di giovani sono fuggiti per evitare l'arruolamento in guerra. In Ucraina più di centomila volontari si sono arruolati nelle forze di difesa territoriale. È il riflesso indiretto della natura della guerra: da un lato una guerra imperialista d'invasione, dall'altro una guerra nazionale di difesa.

La guerra di difesa non avrebbe resistito un anno intero senza il retroterra di un sostegno popolare. Sostegno che è anche servizio civile, supporto logistico, soccorso ai feriti, cura del vettovagliamento, sostegno morale. Fattori che pesano sul fronte di guerra non meno delle armi. Chi non capisce questo ignora la storia delle guerre di ogni tempo.


LA NOSTRA DIFESA DELL'UCRAINA, IL RIFIUTO DELLA NATO E DELLE SANZIONI

Siamo a difesa dell'Ucraina, in piena autonomia dalla NATO. Siamo contro la NATO, contro la sua espansione in Nord Europa (sulla pelle del popolo curdo), contro il suo allargamento sul Pacifico in contrapposizione alla Cina, contro l'aumento delle spese militari dei governi d'Occidente e la loro folle corsa al riarmo. In una parola, siamo contro gli imperialismi di casa nostra, che sono sempre per noi il nemico principale. Gli ucraini hanno il diritto di usare tutte le armi disponibili per difendersi dall'invasione russa: è il diritto di ogni popolo invaso da un imperialismo. Noi abbiamo il dovere politico di dire che gli imperialismi che danno loro le armi lo fanno nel loro proprio interesse. Abbiamo il dovere politico di dire che un ingresso dell'Ucraina nella NATO sarebbe non una garanzia di pace ma l'iscrizione alle guerre future. Abbiamo il dovere di dire che l'ingresso dell'Ucraina nella UE, come vuole Zelensky, significherebbe impiccare l'Ucraina a nuove politiche di austerità e sacrifici, che ricadrebbero innanzitutto sui lavoratori e le lavoratrici ucraine, quelli che oggi reggono sulle proprie spalle i costi della resistenza all'invasione.

Siamo dalla parte della resistenza ucraina, non delle sanzioni occidentali contro la Russia. Più precisamente siamo contro le sanzioni. Le sanzioni contro la Russia non solo scaricano il proprio costo sui lavoratori d'Occidente e sui lavoratori russi, ma sono oggi usate dal regime reazionario di Putin sul fronte interno per costruire il consenso sciovinista alla propria guerra imperialista. Sono dunque di fatto contro gli interessi della resistenza ucraina all'invasione e contro lo sviluppo di un'opposizione russa alla guerra. A maggior ragione lo sono le odiose posture russofobe in campo culturale, artistico, sportivo. Più in generale, la nostra opposizione alla guerra dell'imperialismo russo non ha nulla a che spartire con la guerra degli imperialismi occidentali contro la Russia. La NATO combatte la Russia per i propri interessi imperialisti. Noi difendiamo l'Ucraina contro la Russia nel nome degli interessi del proletariato russo, del movimento operaio internazionale, del popolo ucraino.


ALL'OPPOSIZIONE DI ZELENSKY, DALLA PARTE DEI LAVORATORI UCRAINI

Siamo all'opposizione del governo Zelensky. Appoggiare il diritto di resistenza ucraina non significa affatto appoggiare politicamente il governo ucraino. Così come appoggiare il diritto di resistenza del popolo iracheno, il diritto di resistenza del popolo serbo, il diritto di resistenza del popolo afghano, non ha mai significato per parte nostra appoggiare politicamente Saddam Hussein, Milosevic, i talebani. Come appoggiare la resistenza etiope contro l'Italia, o la resistenza cinese contro il Giappone, non significava per Trotsky appoggiare politicamente il Negus o Chiang Kai-shek. È un aspetto elementare della politica rivoluzionaria

Sulla figura e la natura politica di Zelensky regna in realtà una confusione enorme. La propaganda imperialista russa lo presenta come nazista e capo dei nazisti. La propaganda imperialista del campo NATO lo presenta come eroe della democrazia e del progresso. Mentono naturalmente entrambe. Zelensky è un borghese di estrazione ebraica, esponente del centro politico ucraino che si è candidato nel 2019 in opposizione alla destra nazionalista di Poroshenko. Non a caso ha raccolto molti voti proprio nel Donbass. Al tempo stesso, da politico borghese uscito dalle file dello spettacolo (al pari di un Grillo) ha marcati tratti populisti, e si è andato costruendo come riferimento centrale dell'imperialismo NATO e dell'Unione Europea. Inutile dire che la guerra d'invasione russa e la demonizzazione di Zelensky da parte di Putin hanno accresciuto la sua popolarità interna, precedentemente in significativo declino. Per parte nostra non abbiamo bisogno di accodarci alla “zelenskofobia” alimentata dagli ambienti rossobruni per denunciare le politiche borghesi di Zelensky.

Le politiche sociali di Zelensky sono antioperaie e antisindacali: privatizzazioni, precarizzazione, liberalizzazione dei licenziamenti, aumento dell'orario di lavoro, libera compravendita dei terreni a vantaggio della grande proprietà fondiaria. Tutte politiche suggerite dal Fondo Monetario Internazionale e pretese dalla UE. Alle quali si aggiunge l'impegno a pagare l'enorme debito pubblico accumulato per le spese di guerra. Queste politiche sono respinte giustamente dal sindacalismo di classe in Ucraina. I lavoratori e i sindacati ucraini si sono impegnati nella difesa del paese dall'invasione russa, che è innanzitutto la difesa delle proprie case e del proprio lavoro. Anche per questo le politiche sociali del governo sono vissute e spesso denunciate come una pugnalata alla schiena. Lo spettacolo degli oligarchi ucraini che si arricchiscono con la guerra portando all'estero le proprie ricchezze sulla pelle dei loro operai che combattono al fronte e nelle retrovie suscita sdegno e sgomento, giustamente.

Lo stesso vale per le nuove normative militari. Gli ultimi decreti del governo Zelensky privano i soldati al fronte di importanti protezioni legali di fronte ai loro ufficiali, accrescendo a dismisura il potere di questi ultimi. Una petizione popolare ha raccolto decine di migliaia di firme contro tali misure, accusandole di favorire la demoralizzazione dell'esercito e dunque di indebolire la resistenza all'invasione. La lotta di classe trova il proprio spazio anche in una guerra di difesa nazionale.

Lo sgomitamento per la spartizione della futura ricostruzione dell'Ucraina fa oggi del governo di Kiev un crocevia di pressioni e interessi imperialisti occidentali, tra loro concorrenziali ma convergenti. USA, Gran Bretagna e Germania, assieme alla vicina Polonia, puntano ad assicurarsi il grosso della torta quale ricompensa degli aiuti militari. Francia e Italia vogliono partecipare alla partita. La visita di Bonomi a Kiev, a nome di Confindustria, ha qui la sua principale ragione. Ogni imperialismo d'Occidente (ma anche la Turchia e persino la Cina) punta ad ottenere per sé manodopera a basso costo, investimenti detassati, laute commesse per le proprie imprese. Il patriottismo filoucraino è il patriottismo del proprio portafoglio.

Nel mentre difende il paese dalla guerra d'invasione russa nel nome della sovranità nazionale, Zelensky subordina l'Ucraina al controllo imperialista dell'Occidente. Da qui la nostra opposizione. Nel mentre difendiamo l'esistenza stessa dell'Ucraina dall'aggressione mortale dell'imperialismo russo, ci opponiamo alla sua svendita all'imperialismo di casa nostra. L'autodeterminazione nazionale del popolo ucraino, che innanzitutto richiede la sconfitta dell'invasione russa, potrà realizzarsi compiutamente solo rompendo con ogni imperialismo. Dunque solo su basi socialiste. Non è un caso se fu la Rivoluzione d'ottobre a riconoscere quel diritto all'indipendenza ucraina che Putin vuole oggi cancellare nel nome della Grande Russia.


PER UNA PACE GIUSTA, SENZA ANNESSIONI

Vogliamo la fine della guerra, rivendichiamo la pace. Non qualsiasi pace. Poche parole come “pace” sono da sempre strumento di inganno. La guerra in Ucraina non fa eccezione.
Ogni protagonista della guerra declina la pace in base ai propri interessi. Putin chiama “pace” la resa dell'Ucraina: la perdita della sua sovranità o in subordine la sua amputazione, con relative annessioni. È la pace dell'imperialismo aggressore. Gli imperialismi NATO che oggi contrastano nel loro proprio interesse l'operazione russa cercano in realtà sottobanco una via d'uscita. La proposta di “pace” veicolata recentemente dalla CIA ai diplomatici russi circa una spartizione concordata del territorio ucraino occupato quale possibile soluzione del conflitto è stata respinta sia dalla Russia che dall'Ucraina, per opposte ragioni. Ma dà l'idea della logica con cui si muovono gli imperialismi “democratici”. Per loro i diritti dei popoli sono da sempre merce di scambio; vale per i palestinesi, vale per i curdi, perché non potrebbe valere per gli ucraini?

Rivendichiamo una pace giusta. Una pace senza annessioni. Ciò che significa innanzitutto il ritiro delle truppe russe di occupazione dai territori conquistati dopo il 24 febbraio 2022. “Putin go home” è la prima rivendicazione di pace in Ucraina. Ogni soluzione di pace sotto occupazione militare può essere solo un inganno. Le soluzioni di pace in Palestina sotto l'occupazione sionista sono al riguardo eloquenti. Non può esservi una pace giusta in Ucraina senza il ritiro delle forze russe entro i confini del 23 febbraio 2022. È grave che larga parte del pacifismo italiano, nel mentre respinge il diritto alla resistenza ucraina, rifiuti di chiedere il ritiro dall'Ucraina delle forze russe di occupazione, la più elementare delle rivendicazioni per chi si oppone alla guerra.

Al tempo stesso, una pace giusta non vuol dire subordinazione alla destra nazionalista ucraina, o alle tendenze revansciste presenti in ambienti NATO (Gran Bretagna e Polonia in primis). Al contrario. Non è per noi in discussione l'appartenenza della Crimea alla Russia. Il popolo di Crimea è russo, non semplicemente russofono. Ogni pretesa del nazionalismo ucraino di riconquistare la Crimea sarebbe priva di ogni diritto. Così non è per noi in discussione il diritto di autodeterminazione delle popolazioni russofone del Donbass. Valeva nel 2014 contro il governo ucraino, vale oggi in presenza dell'invasione russa. Sono le popolazioni del Donbass che hanno il diritto di scegliere liberamente dove vogliono vivere, se nel quadro di una Ucraina federale o all'interno dello Stato russo, o come repubbliche indipendenti. Di certo il loro destino non può essere affidato né ai referendum farsa delle forze russe occupanti né alla volontà di rivincita della destra ucraina.


IL RUOLO DECISIVO DEL PROLETARIATO RUSSO

La lotta per una pace giusta assume a riferimento non l'imperialismo russo, non gli imperialismi NATO, ma la resistenza ucraina e il proletariato russo.

Il principale fattore di pace non sono le sanzioni occidentali ma la possibile ribellione dei lavoratori russi, i grandi dimenticati della lotta contro la guerra.
Anche a causa delle sanzioni e delle campagne russofobe, il regime di Putin conserva tuttora purtroppo un consenso nettamente maggioritario in Russia. Ma la situazione non è cristallizzata. Molto dipende dal fronte di guerra. La sconfitta russa a Kherson a settembre e la successiva mobilitazione dei 300000 coscritti ha dato una scossa sul fronte del consenso interno, lo hanno rilevato tutti i sondaggi, di diversa fonte, sulla continuità o meno della guerra. In particolare le crepe del consenso interno si sono manifestate nella giovane generazione e presso le popolazioni della periferia dell'impero, quelle popolazioni non russe su cui si concentra il grosso della campagna di arruolamento alla guerra. Come ogni Bonaparte, Putin si regge sul prestigio della vittoria. Non a caso la guerra di annientamento russo della Cecenia (nel totale disinteresse della sinistra occidentale) ha lastricato l'ascesa di Putin. Per la stessa ragione, una sconfitta sul fronte ucraino potrebbe innescare una crisi del regime. E una crisi del regime putiniano potrebbe trascinare con sé una mobilitazione popolare di ampia portata in Russia.

Chi legge la storia solo in termini di geopolitica, dai liberali di Limes agli ambienti campisti di estrazione staliniana, ignora la stessa categoria di una possibile rivoluzione russa. Tutto si ridurrebbe al bivio tra Putin e la NATO, il resto è chiacchiera. Fortunatamente la storia reale è più creativa di questo schemino. Nessun regime è per sempre. Può cadere per fratture interne, può cadere per effetto di una ribellione dal basso, può cadere per la combinazione di entrambi i fattori. La guerra, ogni guerra, espone il regime che la promuove a una prova cruciale, a maggior ragione un regime bonapartista. Una vittoria lo consolida, una sconfitta può trascinarlo in rovina e persino aprire la via a una rivoluzione. La sconfitta militare della Russia prima nel 1905, poi nel 1917, minò il regime zarista, e innescò grandi crisi rivoluzionarie. Una sconfitta del regime putiniano in Ucraina potrebbe aprire il varco ad una crisi rivoluzionaria in Russia, con effetti enormi sulla lotta di classe internazionale.

Il Revolyutsionnaya Rabochaya Partiya (Partito Operaio Rivoluzionario), con cui il PCL è in rapporto, si batte coraggiosamente per questa prospettiva. Mentre il PC staliniano di Zuganov si schiera col regime putiniano votando i crediti di guerra, il RPR si è schierato da subito contro il proprio imperialismo e la sua guerra, in coerenza con la tradizione leninista. Si tratta della principale organizzazione trotskista in Russia, una delle più consistenti formazioni dell'estrema sinistra presente nel paese. Noi che ci battiamo contro ogni imperialismo a partire dal nostro, salutiamo l'intervento rivoluzionario dei nostri compagni russi contro la guerra del proprio imperialismo. È un augurio per la rifondazione dell'internazionale rivoluzionaria, che i venti di guerra rendono più necessaria che mai.

“Se vuoi la pace prepara la rivoluzione” è la parola d'ordine con cui partecipiamo alle manifestazioni pacifiste e contro la guerra, un anno fa come oggi. Il capitalismo porta la guerra come le nubi portano la pioggia, scriveva Jean Jaurès. Solo il rovesciamento del capitalismo e dell'imperialismo, solo una rivoluzione socialista, in ogni paese e su scala mondiale, può liberare l'umanità dalle guerre. Il pacifismo, anche quello più onesto, è incapace di comprenderlo. I marxisti rivoluzionari hanno il dovere di ricordarlo sempre, contro tutti gli imperialismi e su i tutti i fronti di guerra.

Marco Ferrando

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