Prima pagina

Una frontiera troppo contesa

10 Febbraio 2023
frontiera


Nel cosiddetto "giorno del ricordo" pubblichiamo un commento di Gino Candreva a un documento emesso dall'ex Ministro dell'istruzione del governo Draghi, Patrizio Bianchi, sull'insegnamento della frontiera adriatica nelle scuole. L'articolo fa luce sulle reali intenzioni dell'attività dei governi italiani su questo tema, non solo sul terreno propagandistico generale ma anche e soprattutto nel campo dell'istruzione.



Nell’ottobre del 1993, tra i ministri degli esteri di Italia e Slovenia si conveniva di dare vita a una commissione mista di storici che esaminasse le vicende dell’Alto Adriatico, in modo da giungere a una lettura condivisa delle relazioni tra i due Stati e, in senso più generale, tra le popolazioni italofone e slave dell’area. Il documento comune, dal titolo Relazioni italo-slovene 1880-1956, approvato dopo sette anni di lavoro, in Italia non fu mai accolto dai canali ufficiali né diffuso come concordato, contrariamente a quanto avvenuto in Slovenia. Abbandonata la commissione bilaterale, a partire dall’istituzione del “giorno del ricordo”, nel 2004, si è poi imboccata la strada della costruzione di una verità di Stato, alle cui esigenze adeguare il dibattito tra storici.

Il recente documento del Ministero dell’Istruzione, approvato dal governo Draghi pochi giorni prima delle sue dimissioni, le Linee guide per la didattica della frontiera adriatica (d’ora in poi Linee guida), aspira a fornire una sistematizzazione didattica di questo processo di adeguamento. L’intento è chiaro fin dall’elenco dei componenti il gruppo di lavoro, che ha escluso qualsiasi contributo che provenga da parte slovena o croata, sia storico che memorialistico, mentre ha incluso solo le associazioni degli esuli giuliano-dalmata. Fino ad una bibliografia, che omette alcuni degli studi scientifici più seri e aggiornati, e una sitografia limitata ai siti internet degli esuli, estremamente selettive. A questo scopo, gli intenti dichiarati del documento “il recupero della memoria… accompagnato dal riferimento alla storia in quanto disciplina critica” (p. 13) sono ampiamente disattesi, visto che qualsiasi storia “critica” è espunta dal testo del MIUR. Lo stesso richiamo a una memoria condivisa (p. 61) cade nel vuoto nella misura in cui le memorie dell’altro sono sottaciute. Ne emerge, persino nei suoi tratti più problematici, una visione nazionalista unilaterale che misura la storia delle terre di confine sul metro della presenza italiana, recuperando le ragioni dell’irredentismo adriatico, fino all’invito a recuperare, a scuola, gli inni patriottici (p. 78).

L’idea di fondo che pervade le Linee guida è la rivendicazione del ritorno dell’Istria e della Dalmazia alla “madrepatria”, ripercorrendo il “cammino bimillenario lungo i sentieri dell’italianità adriatica” (18). Consegue un’idea di “italianità”, risalente addirittura all’epoca augustea, slegata da ogni concetto di cittadinanza e appartenenza nazionale o statuale. Non è chiaro quale “referee” abbia potuto avallare questa interpretazione dell’impero romano.

Ci si sarebbe anche aspettato, da un documento così corposo, una maggiore attenzione agli sforzi compiuti dall’editoria scolastica negli ultimi trent’anni nell’affrontare la questione della frontiera adriatica, che è invece ignorata.

A differenza di quanto è avvenuto con altre pubblicazioni e convegni del MIUR (che omettevano integralmente il periodo 1922-1945), nelle Linee guida si dà conto del drammatico passaggio dell’oppressione fascista sulla Jugoslavia. Ma il riferimento è generico, quando non relativistico: come a giustificarle, le discriminazioni antislave da parte dell’Italia fascista sono poste sullo stesso piano delle discriminazioni che altri paesi (a p. 31 si nominano Francia, Inghilterra e Polonia) praticavano verso le loro minoranze nazionali, mentre si sottolinea che i rapporti tra le popolazioni “furono in massima parte ispirati a reciproca tolleranza” (ibidem). Anche questa lettura cozza con la realtà storica, visto che, a fronte di casi di convivenza, nel periodo fascista si volle trasformare la popolazione italiana in una vera e propria élite coloniale, non solo con la repressione, ma soprattutto mediante la spoliazione delle terre, la distruzione delle cooperative e delle industrie locali e una politica economica e culturale discriminatoria. Episodi di fraternizzazione avvennero invece nella resistenza jugoslava, alla quale aderirono circa 40.000 militari italiani, approssimativamente un decimo delle truppe di stanza nel paese balcanico. Un fenomeno purtroppo sottaciuto nelle Linee guida.

Pur non fornendo alcuna cifra delle vittime jugoslave dell’occupazione italiana e della guerra di aggressione scatenata dall’Asse italo-tedesco contro il paese balcanico, che secondo gli storici ammontano a oltre 250.000, le Linee guida elencano i campi di internamento italiani e danno conto delle atrocità commesse dal regio esercito ai danni della popolazione civile. E tuttavia le attribuiscono fondamentalmente alla reazione alla resistenza partigiana: “La guerriglia partigiana e la relativa attività repressiva attuata dalle truppe tedesche e italiane divenne (sic!) via via più sanguinosa” (p. 32).

Seguendo l’avvertenza, che sarebbe un’”elusione”, e non una contestualizzazione, collocarle come reazione alle violenze fasciste (p. 17), molto più spazio è dedicato invece alla vicenda delle “foibe”. Senza riferimento a fonti precise, si parla di “alcune migliaia di persone … uccise”, ma solo “in parte” gettate nelle voragini del Carso (ibidem). Confondendo fenomeni tra loro assolutamente differenti, il termine “foibe” non indica più un preciso evento storico, ma tutto ciò che avvenne tra Trieste, l’Istria e la Jugoslavia, nell’immediato secondo dopoguerra (p. 35). Nell’utilizzare un termine emotivamente forte, la genericità serve ad accentuare il dramma più che a stimolare una riflessione critica sulle “complesse” vicende della frontiera adriatica. Sarebbe stato auspicabile che Linee guida così corpose avessero riportato una lettura più complessa e problematica delle vicende dell’Alto Adriatico, superando una visione strettamente nazionalistica e riprendendo e approfondendo gli spunti e le riflessioni già consolidati dalla commissione mista degli storici del 2000.

Gino Candreva

CONDIVIDI

FONTE