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La guerra di Israele

7 Febbraio 2023
jenin


I recenti fatti di Jenin dimostrano che il governo di estrema destra a guida Netanyahu è un atto di guerra dichiarata contro il popolo palestinese. Che tuttavia è privo più che mai di una direzione. La cosiddetta Autorità palestinese, da tempo incorporata all'occupazione sionista, è stata in larga parte esautorata dal nuovo corso di Netanyahu che ha dato mano libera ai coloni. La sua unica rivendicazione è quella di poter svolgere come in passato le proprie funzioni di polizia nei territori, a garanzia dell'ordine di Israele. Basti pensare che le ultime elezioni in Cisgiordania si sono tenute nel 2006. Hamas recita parole di fuoco contro il governo israeliano ma la sua vera preoccupazione è quella di mantenere il proprio controllo su Gaza su basi reazionarie e panislamiste. La retorica antisionista è solo copertura ideologica della propria autoconservazione.

Ma sotto la coltre dei vecchi apparati, la giovane generazione ribolle. In Cisgiordania vivono – si fa per dire – tre milioni di palestinesi. A Gaza due milioni. In Israele vivono due milioni di arabi su nove milioni di abitanti. A ciò si devono aggiungere i milioni di palestinesi della diaspora, quelli ammassati nella disperazione dei campi profughi di tutto il Medio Oriente. L'età media dei palestinesi è 21 anni, il 38% ha meno di 15 anni.

Questi dati descrivono l'enorme base di massa e il potenziale di energia di una rivoluzione palestinese. Senza direzione o con direzioni compromesse, la rabbia palestinese alimenta inevitabilmente il terrorismo contro i civili ebrei all'interno della stessa Israele. È la risposta impari e suicida al terrorismo sionista, quello dell'esercito e dei coloni, incomparabilmente superiore perché su basi di Stato. Il terrorismo disperato di un tredicenne non può nulla contro il terrorismo delle forze sioniste di occupazione. E finisce di fatto col rafforzarlo. E tuttavia rivela nel suo spontaneo primitivismo l'indisponibilità della giovane generazione palestinese a subire il tallone di ferro di Israele. Quando l'eroismo dei giovani palestinesi troverà una direzione politica rivoluzionaria, capace di unire gli oppressi e di dar loro un progetto, lo Stato sionista tremerà. E sarà l'inizio di una storia nuova in Medio Oriente.

L'illusione subalterna di “due popoli, due Stati”, nutrita per mezzo secolo dal riformismo internazionale, è ormai e da tempo definitivamente crollata. Solo la dissoluzione rivoluzionaria dello Stato sionista, solo una Palestina libera, laica, socialista, può garantire la pacifica convivenza della maggioranza araba e della minoranza ebraica. Una prospettiva inseparabile a sua volta dalla rivoluzione socialista nella regione araba e mediorientale.

Negli ultimi tredici anni grandi masse hanno preso la parola, in Tunisia, in Egitto, in Libia, in Siria, in Algeria, in Iraq, in Sudan e infine in Iran, dimostrando ovunque la propria forza e il proprio coraggio. Ma non hanno trovato una direzione all'altezza di quel coraggio. Da qui i ripetuti rovesci (Algeria, Iraq), la subordinazione a vecchie o nuove influenze imperialiste (Egitto, Libia, Siria), il tradimento delle speranze (Tunisia), la tenuta di tirannie dispotiche (Iran).

Non mancheranno nuove sollevazioni. Il problema centrale resta la loro direzione. Costruirla è il compito dei marxisti rivoluzionari, e non solo in Medio Oriente.

Partito Comunista dei Lavoratori

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