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Crimini vaticani e coperture italiane

Il sequestro e l'assassinio di Emanuela Orlandi documenta l'intreccio di connivenze e silenzi

12 Gennaio 2023
emanuelaorlandi


La scomparsa di Emanuela Orlandi costituisce da quarant'anni un buco nero. Ma ciò che già è emerso documenta il torbido intreccio tra Vaticano, criminalità romana, e Stato italiano.

Una giovane quindicenne, figlia di un commesso della Casa Pontificia, scompare a Roma nel 1983 dopo un'esercitazione musicale. Altre decine (secondo Capaldo) di giovani ragazze romane scompaiono in modo analogo lo stesso anno, tra le quali Mirella Gregori. Per anni si sono moltiplicate le interpretazioni più diverse dell'accaduto, con l'accavallarsi disordinato di piste nazionali e internazionali, e l'irruzione in scena di misteriosi soggetti. Tuttavia tutte le ricostruzioni, seppur molto diverse, ruotano attorno ad alcune costanti.
1) Il ruolo della banda della Magliana, e in particolare del bandito Renato De Pedis, morto nel 1990, e singolarmente sepolto presso la Cripta di Sant'Apollinare, tra illustri uomini di Chiesa.
2) Il coinvolgimento nell'affare di alti prelati ai massimi vertici della Chiesa (dal cardinale Marcinkus ai vertici dello IOR, al cardinale Poletti a monsignor Casaroli, a monsignor Viganò, a monsignor Morandini, a monsignor Celata...) quali interlocutori diretti della banda della Magliana.
3) Il sistematico boicottaggio da parte del Vaticano – lungo l'arco di tre pontificati (Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco) – di ogni indagine giudiziaria sull'accaduto con la motivazione che la scomparsa di Emanuela Orlandi è avvenuta in territorio italiano e non vaticano.
4) L'archiviazione delle indagini da parte della magistratura italiana, su pressione diretta del Vaticano, nel 2015.
5) La promozione ai vertici della magistratura vaticana del magistrato italiano che aveva archiviato le indagini, Giuseppe Pignatone.

Proviamo allora a mettere insieme i pezzi e a formulare una prima ipotesi.
La pedofilia vaticana reclutava giovani ragazze per i propri festini. La banda della Magliana, e in particolare De Pedis, sequestrava le ragazze da offrire ai predatori sessuali in abito talare in cambio dei favori finanziari dello IOR. Emanuela, al pari di altre ragazze, fu sequestrata allo scopo. Le ragazze abusate non dovevano testimoniare l'abuso e soprattutto rivelare i responsabili. La banda che le aveva sequestrate si occupava dunque della loro scomparsa, a tutela degli ambienti vaticani e dei propri interessi.

Una seconda ipotesi innesta sul tema una variante. Emanuela sarebbe stata rapita da De Pedis in funzione di un ricatto della banda della Magliana al Vaticano, in ordine all'ingente somma da questa investita nello IOR, che il fallimento del Banco Ambrosiano avrebbe bruciato, ma di cui la banda pretendeva la restituzione.
Secondo questa versione Emanuela sarebbe stata consegnata al Vaticano dopo l'avvenuta transazione, e da questi sarebbe stata soppressa in quanto imbarazzante testimone delle relazioni tra il Vaticano e la banda, e anche del giro connesso di pedofilia, nel quale Emanuela sarebbe in qualche modo finita.

Sembra quest'ultima l'ipotesi accreditata Giancarlo Capaldo, l'ex Procuratore che guidò le indagini sino alla loro archiviazione. Nell'intervista rilasciata alla Stampa dell'11 gennaio Capaldo dichiara: «Credo che Emanuela Orlandi sia entrata, con l'ingenuità dei suoi 15 anni, in un gioco troppo più grande di lei. Ritengo che sia stata sequestrata a fini di ricatto e poi riconsegnata da Renato De Pedis a qualcuno inviato dal Vaticano. Temo che successivamente sia morta».

L'intervista di Capaldo è estremamente importante per la sua autorevolezza, trattandosi del magistrato italiano che dal luglio 2008 al marzo 2012 ha seguito ininterrottamente le indagini. Capaldo rivela un particolare significativo: fu il Capo della gendarmeria Vaticana Domenico Giani a sollecitare la rimozione dell'indagine su mandato della Segreteria di Benedetto XVI. Il Procuratore Capo Pignatone raccolse la richiesta, avocò a sé l'indagine e, contro il parere di Capaldo, chiese e ottenne la sua archiviazione in Cassazione nel 2015. Guarda caso Pignatone divenne successivamente Presidente del tribunale del Vaticano. I segreti ben custoditi diventano evidentemente ragione di carriera. Quanto a papa Bergoglio, si è comportato come i suoi predecessori: rifiutandosi di incontrare la famiglia Orlandi e ostentando un glaciale silenzio sulla vicenda.

Ora improvvisamente, dopo quarant'anni, sembra che la magistratura vaticana accenni a una propria indagine sul caso, per iniziativa di Alessandro Diddi, “promotore di giustizia” in Vaticano (l'equivalente di un pubblico ministero). Meglio tardi che mai, potrebbe dire qualcuno. Ma così non è. Il Vaticano si muove a rimorchio di iniziative e inchieste di altri: la serie sul caso comparsa su Netflix, il servizio di Purgatori su Atlantide con intercettazioni inedite, l'interrogazione parlamentare a sorpresa di un deputato, l'annuncio di nuove registrazioni clamorose da parte dell'avvocato della famiglia Orlandi, l'emersione pubblica delle contraddizioni plateali di monsignor Gänswein, segretario di Ratzinger, circa l'esistenza o meno in Vaticano di un fascicolo riservato sul caso Orlandi (esistenza già rivelata da Paolo Gabriele, maggiordomo di Ratzinger, deceduto nel 2020)... Meglio allora prendere in mano la faccenda per poterla pilotare evitando di trovarsi spiazzati. E magari vedere se può venirne un utile nella guerra interna alla Chiesa dopo la morte del Papa emerito.

Intanto il Papa “progressista” incontra la Presidente del Consiglio postfascista plaudendo alla sua politica per la famiglia e la natalità. È il giorno in cui il governo stanzia per il Giubileo del 2025 un miliardo e trecentoquindici milioni.

La verità su Emanuela Orlandi può aspettare. Assieme al ritrovamento del suo corpo.

Partito Comunista dei Lavoratori

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