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La mimetica di Giorgia Meloni in Iraq

L'imperialismo italiano cura i propri interessi nel nuovo scenario globale

23 Dicembre 2022

Dall'Ucraina all'Africa al Medio Oriente, l'Italia vuol mettere i suoi interessi imperialisti al passo del nuovo scenario mondiale. Il neonazionalismo meloniano si presta alla missione

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«Dobbiamo trainare l'Europa nel ponte con l'Africa perché è in Africa che si scommette il futuro dell'Occidente, visto che che è l'unico continente che non ha un impero e cresce in popolazione ed è l'unico che dispone delle risorse che servono a noi» (Il Sole 24 Ore, 23 dicembre): con queste parole Adolfo Urso, ministro delle imprese e del made in Italy, si è rivolto alla conferenza degli ambasciatori tenutasi alla Farnesina. Chiarendo una volta di più, se ve ne era bisogno, la rotta strategica italiana.

Nello scenario apertosi con la guerra in Ucraina, e col relativo ampliamento della NATO al Nord (Svezia e Finlandia), l'Italia si candida a coprire il fronte sud dell'Alleanza Atlantica, chiedendo agli USA un'investitura di ruolo. Si tratta innanzitutto delle relazioni con l'Egitto, che possono avvantaggiare l'Italia nel braccio di ferro con la Francia, la Turchia e la Russia, per la spartizione delle zone d'influenza in Libia. Si tratta dell'Iraq, dove l'Italia guida il contingente della NATO, e assicura con l'Arma dei Carabinieri l'addestramento della polizia irachena anche nei confronti delle rivolte sociali. E dove gli interessi energetici dell'ENI già orientarono l'Italia a Nassiriya all'epoca della seconda guerra del Golfo. Peraltro un rafforzamento del ruolo italiano in Iraq serve agli USA per contenere le ambizioni dell'Iran, alleato della Russia e della Cina, che punta da sempre a espandere la propria zona d'influenza a Baghdad.

Ma è soprattutto l'Africa “la profondità italiana”, come titolava Limes. Proprio per le ragioni che Urso indica. Un continente ricco non solo di gas e petrolio ma delle materie prime su cui si fondano le nuove tecnologie, a partire dal litio e dal cobalto. L'unico continente al mondo che contrasta il calo della natalità, al punto che nel 2050 avrà raddoppiato la sua popolazione, sino a raggiungere il 25% della popolazione planetaria. Per questo l'Africa è oggi contesa tra i diversi poli imperialisti.
L'imperialismo cinese ha costruito in Africa una diramazione centrale della Via della Seta, con l'accaparramento diretto di immensi territori per lo sfruttamento delle materie prime e una fitta rete di infrastrutture: l'indebitamento degli stati africani verso la Cina misura la penetrazione dell'imperialismo cinese, che ha raggiunto nel 2021 un interscambio continentale di 261 miliardi di dollari (a fronte dei 64 miliardi degli USA).
L'imperialismo russo si è mosso in proprio puntando a scalzare l'imperialismo francese nelle sue roccaforti tradizionali (Mauritania, Mali, Burkina Faso, Repubblica Centroafricana, Niger) grazie a rifornimenti militari e presenza in loco delle milizie mercenarie Wagner.
La stessa Turchia di Erdogan ha moltiplicato forme e canali della propria presenza in Africa, persino in Somalia ed Etiopia.

È in questo quadro che gli USA cercano di rimontare le posizioni perdute e attivare una propria controffensiva sul continente. La ritrosia di diversi stati africani a schierarsi contro la Russia sulla guerra Ucraina ha messo Washington in allarme. Biden ha dunque formulato la proposta di «partnership per il ventunesimo secolo» rivolta espressamente al continente africano: in buona sostanza la promessa di una montagna di dollari, un aiuto agli stati africani sul fronte del debito (...con la Cina), l'offerta all'Africa di una presenza nel G20 e di una sua entratura – sia pure marginale – nel Fondo Monetario Internazionale. Il tutto in cambio di una sponda africana nel confronto globale con la Cina e con la Russia.

L'Italia intende entrare per interesse proprio in questa partita. Offre un sostegno all'operazione americana in cambio di contropartite nella spartizione del bottino. L'ENI è dopo tutto la principale azienda sul continente africano. L'Italia pretende un ruolo politico e diplomatico proporzionale. A differenza della Francia, Roma non ha in Africa uno spazio coloniale da difendere ma semmai da conquistare. L'insistenza di Giorgia Meloni sull'esigenza di blindare il fronte sud dell'Unione Europea contro i flussi delle migrazioni è un modo di presentare come interesse generale l'interesse nazionale dell'imperialismo italiano. O più precisamente di far leva su un'esigenza europea per candidare l'Italia a una funzione guida in Africa dietro il vessillo della UE e col tacito avallo americano. In contrapposizione a Russia e Cina, e in concorrenza aperta con la Francia.

Ma il rilancio dell'imperialismo italiano è inseparabile dallo sviluppo del militarismo. L'Italia ha un bilancio militare ancora al di sotto delle proprie ambizioni. 25 miliardi l'anno, 1,5% del prodotto interno lordo. Non dispone della forza del militarismo francese, innanzitutto nucleare. Né dispone della forza del bilancio economico tedesco, che può destinare altri 100 miliardi al proprio riarmo. Le attrezzature belliche tricolori sono inadeguate: solo 150 carri armati, 50 cannoni semoventi, niente droni e apparati da guerra elettronica. Occorre dunque cambiare passo. Innanzitutto finanziario: per raggiungere il 2% del PIL in armamenti occorrono altri otto miliardi. Ma anche tecnologico. Da qui l'investimento dell'Italia attraverso il gruppo Leonardo nella costruzione del supercaccia Tempest al fianco della Gran Bretagna, e parallelamente l'impegno con Germania e Francia su un progetto di carri armati europei. Nessun esercito europeo alternativo alla NATO, s'intende, ma un rafforzamento militare del suo pilastro continentale. La Francia si candida a paese guida dell'operazione. L'Italia non può contrastare il disegno francese, ma può cercare di imbrigliarlo in un quadro di concertazione europea, ritagliandosi un proprio spazio. Con una strizzata d'occhio agli USA, e uno sguardo alla partita in Africa.

«Trainare l'Europa nel ponte con l'Africa» come dice Urso significa questo. L'Italia vuol mettersi al passo del nuovo scenario mondiale. Partecipa al sostegno della NATO all'Ucraina in aderenza alla politica USA per battere cassa su altri scacchieri e coltivare altre mire. Non la “spartizione della Federazione Russa”, che in realtà nessun imperialismo persegue, fosse pure per ragioni di realismo, ma la spartizione dell'Africa, dell'«unico continente che non ha un impero e l'unico che dispone delle risorse che servono a noi». Il linguaggio del neocolonialismo non potrebbe essere più chiaro. Il nazionalismo della nuova destra tricolore si pone apertamente al suo servizio.

Meloni in tuta mimetica arringa le truppe italiane in Iraq dicendo che “la Patria è madre”. È la Patria dell'imperialismo italiano, la stessa che immolò i propri figli sui monti del Carso o nel deserto di El Alamein, la stessa che li chiamerà domani su nuovi fronti di guerra. Opporsi all'imperialismo di casa nostra, come a tutti gli imperialismi, è l'unica via di opposizione alla guerra.

Partito Comunista dei Lavoratori

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