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I senza partito: l'ossimoro dei comunisti

15 Ottobre 2022
manifestazione russia


Un buon leninista non è solamente una persona a cui piacciono i libri di Lenin, ma anche colui che ne assimila il metodo e lo mette in pratica, adattandolo alla realtà odierna.

«Senza teoria rivoluzionaria, non vi è movimento rivoluzionario» diceva Lenin. Che significa tale frase? Tante cose, tra cui che la teoria è essenziale per un rivoluzionario, perché nella teoria si concentra l’assimilazione delle “verità” scaturite dalla prassi. La teoria insegna cosa è bene fare per la rivoluzione ed evita il ripetere continuo degli stessi errori: è il responso, se non definitivo in senso assoluto, almeno scientifico della lotta di classe.

La teoria ci insegna, storia alla mano, che senza il partito non vi è rivoluzione che possa vincere. Lo dimostra non solo la rivoluzione bolscevica, ma dopo, a rovescio, tutta la storia novecentesca delle disfatte del movimento operaio, nelle quali sempre si può rintracciare lo zampino nefasto delle direzioni che, di volta in volta, guidavano in quel momento la classe operaia (esempio per tutti, la disfatta di Allende e dell’Unidad Popular nel Cile del 1973). Proprio per questo, nelle organizzazioni del marxismo rivoluzionario o che in qualche modo si richiamano ad esso, la forma partito è ancora quella più avanzata, la sola idonea per il superamento di questa società. Un partito ben organizzato come quello bolscevico (con tutti i suoi limiti) rappresentava per la classe operaia consapevole, la guida giusta. Secondo Lenin, in assenza del partito, le masse non sarebbero state in grado di andare al di là delle rivendicazioni economiche, tradeunionistiche, atte ad alleviare le condizioni del mondo del lavoro, ma non a superarle.

Il Che fare? di Lenin, ma soprattutto la rivoluzione bolscevica, ha posto fine ad interpretazioni anarchiche e apartitche come funzionali per il superamento del capitalismo. Senza partito ci si condanna al capitalismo.

La storia del bolscevismo con Lenin alla guida, è la lotta per il partito e nel partito, correntizzato e (sanamente) frazionato. Solo la successiva vulgata distorta e falsa dello stalinismo ha rappresentato il bolscevismo come una sorta di struttura pensante in modo omogeneo.

Chiaramente la forma Partito non è solo incarnata nella retorica del CC e del segretario di turno, ma rappresenta tanto più oggi la forma organizzata della politica, del centralismo tattico e strategico. La parabola del M5S è solo l’ultima e più evidente conferma di questo aspetto. Ci si può definire come un movimento, come “Non partito dal non-programma” e altri infiniti non sensi, ma nei fatti lo si è, e definirlo movimento è di conseguenza un errore, esattamente come è un errore definire “movimenti” le strutture sedicenti "autorganizzate", evolutesi dalle schegge dell' “autonomia operaia”, perché sono in realtà partiti ben organizzati. Questo vale anche per i centri sociali, specie quelli più grossi, come ad esempio Je So’ pazzo di Napoli che ha dato vita a Potere al Popolo. E non è un caso che un centro sociale abbia dato vita a un partito, perché in realtà già lo era nel suo piccolo, solo che non era in grado di trarne tutte le conseguenze. Il fatto che altri movimenti, al momento del dunque, non si candidino alle elezioni, non dimostra che non siano partiti, dimostra solo il loro camuffamento equivoco incapace di andare fino in fondo alle loro teorizzazioni a metà, incapaci cioè sia di definirsi partito sia di dichiararsi ufficialmente anarchici.

Se però per tutta una serie di “compagni” semplicemente di sinistra, non riconoscere la forma partito di Lenin e del marxismo rivoluzionario, ed anzi avere altri ascendenti politici come Panzieri e Negri, non è una contraddizione politica in senso stretto, al contrario l'assenza formale di partito, per il resto del movimento operaio che si richiama al comunismo e non si dichiari apertamente anarchica, rappresenta una contraddizione mastodontica in quanto vera e propria contraddizione “tecnica”: non è possibile definirsi comunisti e marxisti senza militare in un partito.

Alcuni esponenti dei "senza partito" che hanno fatto irruzione nel panorama politico dei social, raccogliendo il malcontento lasciato dalle organizzazioni per cui hanno militato (un malcontento, va ricordato, quasi mai politico ma personale) hanno trasformato la loro attività politica nella destrutturazione del loro ex partito come principale battaglia politica. Così possiamo leggere insulti pesanti ai danni delle forze marxiste rivoluzionarie, derisione per lo scarso peso (una delle cose più comiche, perché noi che abbiamo ironia siamo ben consapevoli di non essere il grande partito che sarebbe necessario, ma chi ci sputa dal cocuzzolo della sua montagna ancora più piccola e solitaria, non sente mai ridere alle spalle il suo specchio capovolto?). Forse questi insulti sono il frutto più della frustrazione personale che di vere e proprie divergenze politiche.

Ad esempio, aver organizzato e promosso il presidio, in questi giorni, sotto l'ambasciata Russa ha prodotto per i compagni "senza partito o confusi" una forma di aggressività social fuori dal comune, come se all’interno delle piattaforme social si sia creata una sorta spersonalizzazione politica ove la critica politica viene sostituita da illazioni ed insulti. Alcuni utilizzano la rete come un vero e proprio sfogatoio, per fare crescere questa smisurata aggressività. I social diventano un catalizzatore di empatia e al tempo spesso un luogo di disgregazione politica.

Eppure Lenin ammoniva: «L'apartiticità non può non diventare la parola d'ordine di moda, perché la moda si trascina impotente a rimorchio della vita, e la più "comune" manifestazione di superficialità è appunto l'organizzazione apartitica: democrazia senza partito, movimento apartitico degli scioperi rivoluzionarismo senza partito». Quello che parla è un Lenin di bruciante attualità. In questa frase c’è l'essenza del suo pensiero.

Come comunisti facciamo politica nel partito perché senza saremmo dei comunisti alla moda e superficiali. E stiamo nei partiti comunisti, perché solo così possiamo dimostrare di assumerci delle responsabilità nei confronti della classe operaia. La responsabilità di chi sa che tutta la storia dimostra che senza una guida a forma di partito, semplicemente la classe operaia non può vincere. È questo il nocciolo, molto semplice per altro, di chi come noi sta nel PCL.

I compagni e le compagne hanno tutto il diritto di criticare le organizzazioni marxiste come la nostra. Ma devono anche avere l’onestà intellettuale di proporre un'alternativa. Fucilare il PCL dal davanzale della propria finestra, è sparare a salve. Se il PCL (con tutti i suoi limiti) non va bene, si dovrebbe costruire qualcosa di meglio e quindi proporlo. È giusto che questa organizzazione faccia un bilancio (come sempre abbiamo fatto), anche severo, della sua attività politica e dia delle risposte ai propri arretramenti, ma altrettanto dovrebbe farlo chi è uscito da questa organizzazione senza produrre, per usare un eufemismo, molto, aldilà dei suoi sterili strilli contro di noi e contro tutti.

Riascoltiamo Lenin: «Chi conduce una lotta apartitica per la libertà o non ha coscienza del carattere borghese della libertà o consacra questo regime borghese o reinvia la lotta contro di esso o un suo perfezionamento alle calende greche». Lenin non poteva essere più chiaro: non aspettate le calende greche, cari compagni senza bandiera politica, costruite il partito! Questa è la miglior critica ai gruppi dirigenti esistenti.

Partendo dagli insegnamenti della rivoluzione del 1905, Lenin offre nuovi sviluppi teorici alla concezione del partito, quello di dare all'iniziativa spontanea il giusto posto, per meglio definire la funzione della coscienza e del partito. Solo tramite il partito organizzato la coscienza spontanea può essere portata al livello della coscienza rivoluzionaria, cioè della necessità ineluttabile della rivoluzione.

Per questo domandiamo, sapendo che i compagni conoscono l’importanza del partito, perché non portano avanti dentro il PCL, se fuori non vi è nulla di meglio, le loro critiche? Questi compagni dovrebbero avere il coraggio di uscire dall'ambiguità politica: quella di non avere un'organizzazione in cui militare, o peggio di stare in qualcuna che scimmiotta il partito senza avere il coraggio di provare ad esserlo.

Gli apartitici sembrano avere una caratteristica strutturale comune, ovvero quella di criticare da battitori liberi le organizzazioni comuniste, eludendo qualsiasi senso di responsabilità. Un battitore libero ha gioco facile perché può criticare tutto senza mai proporre un briciolo di alternativa, è quel soggetto che non può stare in un partito per lungo tempo perché ci vuole troppa pazienza, troppo impegno, forse anche quell’umana empatia che lui non ha per i compagni ed eventualmente anche per i loro errori (lui errori non ne fa mai, lui è sicuro di aver sempre ragione, specie nei momenti cruciali come la questione Ucraina, che meriterebbe almeno, un minimo di cautela prima di tranciare giudizi), così meglio andare allo stadio o lanciare cori e insulti nella sterminata curva sud dei social.

I senza partito sono il risultato di alcune trasformazioni politiche avvenute durante la loro militanza, non sono tanto il frutto del fallimento della loro organizzazione, a cui spesso danno la colpa (si può rompere con qualsiasi organizzazione senza serbare livore), ma sono il frutto del proprio fallimento, del tempo che loro hanno dedicato alle organizzazioni senza ottenere i risultati sperati.

Se fosse facile costruire oggi un'organizzazione comunista all'altezza dei compiti, l'avremmo già fatto. «Se per tutte le responsabilità - Trotsky scriveva - il nostro partito si fosse affidato alla pedagogia oggettiva del corso delle cose, l'evolversi degli eventi avrebbe potuto coglierci impreparati». Solo stando in un partito si può avere la speranza di acciuffare la rivoluzione quando verrà il momento. Senza, non c’è alcuna possibilità, di trovarsi preparati al momento. Perché dal nulla, il partito non nascerà in quattro e quattr’otto.

Essere “militante” di un partito “leninista”, purtroppo, sta diventando sempre più sinonimo di politica vintage, di “perdita di tempo”, di sottrazione di preziose energie per dedicarsi al nulla. Che lo sia anche per compagni e compagne non solo comuniste ma anche marxiste e trotskiste, è il lato più preoccupante della questione.

Militate compagni e compagne, discutete, litigate e soprattutto costruite, abbiamo bisogno di tutto il vostro coraggio. Non state col fucile in mano, siamo comunisti, non cacciatori di like!


Note

Testi di Lenin tratti dal Che fare? E da Il partito socialista e il rivoluzionarismo senza partito, opere scelte Vol.1.

Testi di Trotsky tratto da La democrazia, Vol.4 Opere scelte Trotsky, Prospettiva Edizioni

Eugenio Gemmo, Lorenzo Mortara

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