Dalle sezioni del PCL

Il bilancio dell’esperienza elettorale del PCL in Sicilia

3 Settembre 2022
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Come sezioni del Partito Comunista dei Lavoratori della regione siciliana, congiuntamente esprimiamo qui di seguito un bilancio della recentemente conclusasi esperienza elettorale, e segnatamente della sua prima fase.


Lo ribadiamo preliminarmente: il PCL è un partito bolscevico-leninista e, come tale, mai ha concepito la competizione elettorale in termini riformisti, vale a dire in termini di conquista di poltrone illudendosi e/o illudendo che il capitalismo sia redarguibile col levarsi di qualche voce “critica” dalla sinistra – più o meno assortita, più o meno coerente – di quel criminale comitato d’affari che è il parlamento borghese.
Un partito marxista rivoluzionario si pone sul terreno elettorale essenzialmente allo scopo di conquistare uno spazio di propaganda a più lungo raggio presso la cassa di risonanza giornalistico-mediatica detenuta dalla borghesia. Una volta strappato quel pulpito, la denuncia e la propaganda di un partito marxista rivoluzionario continuerà a essere finalizzata all’autorganizzazione del proletariato per la rivoluzione. Fermo restando, per chi se lo domandasse, che nessun dogmatismo ci vieterebbe di utilizzare una eventuale presenza parlamentare come possibile argine alle politiche padronali. Ma l’argine è una cosa, e vale il tempo e la misura che vale. La rivoluzione avviene con lo scontro tra le masse salariate da una parte, coscienti del proprio compito e forti della propria organizzazione, e il potere borghese dall’altra.
Finché il proletariato non esproprierà i mezzi di produzione e non ne sopprimerà storicamente la proprietà privata neutralizzando padroni e lacchè, nessuna rivoluzione sarà possibile. È chiaro che la borghesia non scompare dai vertici delle piramidi aziendali solo perché posta in minoranza parlamentare, qualora pure fosse possibile ridurre alla pacifica minoranza parlamentare la classe che ha creato quel medesimo parlamento e il sistema che preserva. La storia del riformismo più «audace», quello di Unidad Popular in Cile, illustra la tragica fine alla quale sono destinate le pie illusioni di vittoria sulla borghesia per via parlamentare. No. «Solo la rivoluzione cambia le cose» è un nostro slogan e insieme una legge storica.

Come noto a tutte le nostre sezioni, e in alcuni casi fin a certe cellule e nuclei, che abbiano nel tempo partecipato alla competizione elettorale, tale operazione si suddivide in due fasi. La prima è quella della propaganda in strada, che si svolge intorno ai tavolini della raccolta del numero di firme necessario alla candidatura. È qui che i cittadini disposti a dare il loro contributo affinché il partito possa esercitare quello che secondo la stessa Costituzione borghese è un diritto democratico, vengono informati dai militanti sul programma minimo e sul programma massimo del PCL, sul nostro oggi e sul nostro ieri, su chi siamo e dove andiamo. In questo momento si raccolgono, quindi, non solo le firme, ma anche i contatti, facendo già una prima conoscenza degli interessati alla nostra organizzazione.

Se in questa prima fase si raggiunge il numero di firme imposto dalla borghesia affinché si possa accedere alla tribuna elettorale, si apre la seconda fase, quella della diffusione della nostra voce attraverso i giornali, le televisioni, il web e le iniziative cittadine di presentazione dei programmi dei partiti in lizza.

Le sezioni siciliane del PCL purtroppo non sono riuscite ad accedere alla seconda fase.

Ma il PCL ha sfondato egualmente la soglia delle firme, e avrà quindi il suo accesso alla tribuna elettorale. In Liguria è stato ampiamente soddisfatto il limite delle 750 firme necessarie, grazie al contributo di compagni da altre regioni eroicamente accorsi a dar manforte. È da sottolineare l’avverbio, visto lo sforzo che questa operazione ha comportato, trovandoci esattamente nel periodo in cui i proletari dovrebbero riposarsi dopo un anno – per chi il lavoro ce l’ha! – trascorso a secernere plusvalore. Ma sarà senz’altro da prevenuti «ideologici» pensare che la borghesia abbia di proposito indetto elezioni tanto anticipate da riservare, come tempo per parteciparvi, due settimane a cavallo del Ferragosto!

Le considerazioni che seguono si concentreranno dunque sulle dinamiche occorse durante la prima fase la quale, se è vero che raggiunge il coronamento con la seconda, è altrettanto vero che da sola è – lo illustreremo – tutt’altro che inutile.

I nostri meriti si articolano su tre piani e tutti e tre partono da uno e all’uno ritornano.


LA PROFICUITÀ DI UNA TATTICA

Cosa fa di un partito un partito? Se fondare una organizzazione e iscrivervi dei membri fosse sufficiente, meriterebbe il nome di partito anche una loggia. Svariate sette si autodefiniscono partiti purtroppo anche nell’ambito della sinistra comunista. Caratteristica inalienabile di un partito è la sua schietta riconoscibilità pubblica che è condizione necessaria per il suo allargamento. Una setta, se ha bisogno di crescere, è per sostenersi economicamente, col tributo degli affiliati; al tempo stesso una setta sa che con l’aumentare dei suoi partecipanti, aumentano anche i rischi per la stabilità delle leadership. Anche le sette cercano di crescere per scopi finanziari, ma è una dannata necessità che eviterebbero volentieri. Infatti il metodo di reclutamento di una setta lo si riconosce dalla sistematica sottoesposizione, mimetismo, defilamento. Cambiano nome, rifuggono le larghe masse, evitano le iniziative unitarie dal cui confronto potrebbero uscire con le ossa rotte sia sul piano del merito che del metodo.

Un vero partito politico (parliamo ovviamente dei partiti operai) non può prescindere da questa trasparente esposizione. Un partito che, senza infingimenti, si fa conoscere è un partito che vuole crescere; un partito che vuole crescere è un partito che difenderà sempre al tempo stesso la fermezza dei princìpi e la piena democrazia al suo interno. In una fase di arretramento come quella corrente, quando il riflusso del movimento operaio significa per diretta conseguenza anche riflusso dei partiti operai, questi ultimi dovrebbero più che mai farsi conoscere sfruttando anche lo strumento elettorale. Non arretrare in ragione della crisi, al contrario: rilanciarsi proprio per rimontare la crisi.
Naturalmente queste sono indicazioni di ordine generale. Il PCL ha statutariamente stabilito di concorrere alle elezioni «ove possibile». Possono pertanto presentarsi casi di estrema difficoltà, e col senso della realtà, e non del dogma, che ci caratterizza, ne siamo consci e ne teniamo conto. Ma il senso generale, l’utilità della tattica elettorale quale strumento di costruzione del partito rimane e va, in questo momento, riaffermata.
Il panorama circostante isola il PCL in una galassia di pulviscolari organizzazioni comuniste che oggettivamente arretrano con l’arretrare del movimento operaio. Ma assecondare l’arretramento invece di contrastarlo non significa affatto ricoprire un ruolo d’avanguardia.

Fin qui, dunque, il punto metodologico, politico sulla ragione di una tattica. Passiamo ai risultati concreti. Ai nostri tavoli per la raccolta delle firme si sono avvicinati lavoratori e studenti, italiani e immigrati, giovani e adulti, e una ottima percentuale di intellighenzia tra ricercatori, scrittori, cantastorie, filologi, i quali, chi perché nostro simpatizzante da sempre, chi perché profondamente amareggiato dalla direzione del riformismo abitualmente seguito (ci torneremo), ha con grande soddisfazione sostenuto e pubblicizzato il PCL. Tra studenti cinesi coi quali la sezione del PCL di Palermo continua a intrattenere confronti formativi, interessati alle nostre posizioni sul maoismo e sullo stalinismo in generale, fino a lavoratori argentini simpatizzanti del Partido Obrero e pronti a collaborare con noi, tanti gli interessati al nostro progetto, e tutti verranno ricontattati per una conoscenza approfondita e per una prima formazione. A Caltanissetta e provincia il PCL è riuscito a raccogliere un numero di firme prezioso, consistente e determinante da un punto di vista sia sociale che politico: donne e uomini rappresentanti di comunità extraterritoriali, con residenza e diritto al voto (Marocco, Tunisia e Romania); lavoratori della scuola (docenti e Ata), precari e disoccupati, giovani e pensionati, lavoratori dello spettacolo persino commercianti, farmacisti, OSS e medici specialisti. Non hanno potuto firmare tanti extracomunitari così come gli ex detenuti per via delle regole restrittive, "leggi" che non mirano al reinserimento; molti compagni orfani di partito, che in passato sono stati segretari, consiglieri comunali e militanti del vecchio PCI e di Rifondazione Comunista.

Lavorare alla partecipazione elettorale premia realmente, si vede; non è fideismo, non è dogmatismo.



LA PROFICUITÀ DI UNA POLITICA

È logico che con l’arretramento del movimento operaio arretra anche la sua fiducia in sé stesso. O potremmo sinteticamente dire che l’arretramento del movimento operaio è il grande arretramento della fiducia in sé stesso. In questa sfiducia avviene che i residui sentimenti sociali e progressisti si consegnino nelle mani dei riformisti.
Il riformismo non postula solo la teorica possibilità di salvataggio del capitalismo attraverso una sua fantasiosa bonifica eterna, finendo invece esso eternamente con la resa e il riassorbimento ai posti di comando del sistema quando il nemico oppone alle modeste agende riformatrici la sua poderosa e violenta resistenza. È anche nel soggetto agente di questo «cambiamento» che il riformismo palesa già le basi del suo conservatorismo. Il riformismo esautora la classe operaia. Magistrati, accademici, burocrati riciclati di volta in volta chiamati a risolvere i problemi delle classi subalterne. Il guaio è che proprio la sfiducia nelle proprie forze induce spesso i lavoratori ad affidarsi a questo tipo di borghesia «di sinistra».
Può risultare un ben ingrato compito, in questi momenti, ritrovarsi quali predicatori nel deserto, unici coi piedi puntati mentre il vento spira da tutt’altra parte. Ma anche se un breve ponente alita da ovest, la Terra continua a ruotare verso est. La neve delle chiacchiere si squaglia e la verità emerge sempre. E questa verità mostra che il «nuovo che avanza» avanza nel senso dei rifiuti, perché nuovo non è in niente.

Impossibile tenere nascosto che l’orizzonte nel quale si esaurisce l’evocato cambiamento di Potere al Popolo, il soggetto riformista più nuovo e forse per questo più seguito ultimamente, è Luigi De Magistris. Il sindaco di Napoli per dieci anni che i rapporti di forza tra le classi li ha sì spostati, ma a favore della classe borghese, che ha continuato a pagare il debito pubblico alle banche, che ha tagliato per milioni gli asili nido, che ha privatizzato le terme di Agnano, che nel 2020 si è spinto fino alla denuncia («un atto criminale», cit.) dei lavoratori del trasporto pubblico in sciopero. «Io sono un ex magistrato – ha profferito – e se parlo pubblicamente di condotte criminali è perché ho le ragioni per parlarne pubblicamente». Infatti le ragioni che non si capiscono sono quelle della sedicente sinistra radicale a individuare il paladino del popolo nell’uomo che ha cercato fino all’ultimo momento l’alleanza con Giuseppe Conte, Presidente del consiglio fino a ieri, vidimatore dei decreti contro gli scioperi e i migranti, abbattitore dell’IRAP in piena pandemia, aumentatore delle spese militari, che ha retto il moccolo a Salvini consapevole per sua stessa ammissione delle sue trame.
Altro che potere al popolo! È il popolo per il potere, il popolo che viene impiegato al servizio della classe dominante.
Né deve sorprendere che durante questa campagna elettorale i giovani membri di PaP abbiano persino rinunciato a sfoggiare simboli socialisti come il saluto a pugno chiuso, in luogo del quale le fotografie di inaugurazione della campagna sfoggiavano le churchilliane dita "a V". Non è forse quel Jean-Luc Mélenchon, faro di PaP, che in Francia raccomanda di fare altrettanto? E giacché, per la completezza, il lider maximo di France Insoumise rifiuta anche le bandiere rosse, si capisce come PaP, in testa a tutta l’operazione, abbia senza imbarazzo avallato un simbolo che oltre a non serbare accenno alcuno al movimento operaio, ha deciso di disfarsi anche del più generico colore. Ecco quanta novità in Potere al Popolo!
Ed ecco la novità di tutta Unione Popolare che si compone dei soliti partiti in cerca d’autore, da Rifondazione a Sinistra Anticapitalista (artefici dello sdoganamento del lavoro interinale, delle privatizzazioni, delle detassazioni per i capitalisti, dei centri di detenzione per gli immigrati e delle missioni militari col governo Prodi) e del gruppo ManifestA dei fuoriusciti grillini.

Ma c’è un altro grande motivo per cui il riformismo ha perso quella base che ha deciso di prestare il suo contributo al Partito Comunista dei Lavoratori. La guerra in Ucraina. Se la sinistra tardostalinista ha tutte le sue ragioni di opportunismo attuale e di rispetto verso l’opportunismo tradizionale per i suoi contorsionismi in giustificazione della equidistanza, del disfattismo fuori luogo, del pacifismo ipocrita, non ne ha nessuna la classe operaia. Che, al di fuori di un dibattito tra avanguardie che si esaurisce tra sostenitori attivi e sostenitori passivi dell’imperialismo russo, assume la sua naturale posizione nei confronti di una guerra d’aggressione imperialistica su uno Stato semicoloniale. Il sostegno allo Stato aggredito, alla resistenza in atto, la distanza non dal diritto di autodeterminazione dell’Ucraina ma dal mostruoso imperialismo grande-russo risorto. Non tutti i proletari tengono siti, blog, bollettini di informazione dove profondere i loro fiumi di ragionamenti fallaci, come fanno molti digeriti dirigenti. Ma ragionano lo stesso, e molto meglio di costoro, avendocelo dimostrato.

La storia si comporta così: i rivoluzionari possono sentirsi soli nel difendere la verità fino a quando un’occasione qualunque non dimostra che soli non sono e non sono mai stati. Sia nazionalmente che internazionalmente, siamo rimasti coerenti con il marxismo rivoluzionario, anche se ha dovuto significare la solitudine elettorale e perciò il quintuplo degli sforzi. Ma i fatti parlano. Il PCL a poco a poco cresce e il riformismo si sgretola con la rapidità di una meteora.

Tuttavia, in quanto è fondamentale nella discussione tra compagni esser schietti e franchi non solo nella critica ma nella correttezza della valutazione generale, riconosciamo i meriti: la forza di volontà e la capacità organizzativa delle giovani leve – soprattutto di PaP – che hanno fatto la differenza nella raccolta firme per De Magistris. Alle quali perciò poniamo le seguenti domande: che bilancio sarà possibile trarre da questa vostra esperienza elettorale in UP? Quali sono le prospettive di stare in un’organizzazione che si riconosce, seppur con proclami che potrebbero sembrare radicali come «controllo popolare», pienamente nella socialdemocrazia?

In ultimo, ma per collegamento diretto, è da segnalare il merito dei compagni siciliani. È infatti un grande merito, di tutto il PCL siciliano, quello d’essersi impegnato in questa impresa difficilissima con grande spirito di sacrificio in un periodo (le ferie d'agosto) in cui ci si dovrebbe riposare dopo un anno di lavoro e/o di studio. Grazie a questo tipo di attività diversi compagni/e si sono avvicinati alle sezioni regionali per poter continuare un percorso insieme oltre le elezioni. È valsa la pena di investire energie in questa attività. Se si avesse avuto almeno un'altra settimana si sarebbe raggiunto, in Sicilia, il risultato di presentarsi alle elezioni. Ma una legge antidemocratica, da regime dittatoriale, ce l'ha impedito.

Il bilancio di questa esperienza, che lungi dal demoralizzarci ci accende di entusiasmo convincendoci direttamente delle nostre ragioni e delle nostre potenzialità, ci induce a concludere:

non arretrare di un millimetro!
Avanti, sempre avanti così!
Coi nostri metodi, col nostro programma.

Partito Comunista dei Lavoratori - Sicilia
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