Prima pagina

La lunga battaglia per la verità

Ricordando Angelo Del Boca (1925-2021), a un anno dalla scomparsa

7 Luglio 2022
Del Boca anniversario


Nato a Novara, nel 1925, Angelo Del Boca, dopo un periodo di leva e di deportazione in Germania, aderisce giovanissimo alla Resistenza, nel 1944, militando nelle file di Giustizia e Libertà. Dopo il crollo del fascismo, nel 1947 si iscrive al Partito Socialista di Unità Proletaria.

La sua attività giornalistica comincia nell'immediato secondo dopoguerra, come inviato della Gazzetta del Popolo di Torino. Dalla metà degli anni Cinquanta, si trova a viaggiare in Africa e Medio Oriente inviato dal giornale torinese. Per la Gazzetta e altre riviste, come La Settimana Incom, si trova in Algeria, dove testimonia le torture e i campi di concentramento dei colonizzatori francesi; in Libia e in Sudafrica, da cui viene espulso per aver intervistato il premio Nobel per la pace Luthulli, oppositore del regime di apartheid. Prosegue l'attività di inviato speciale, oltreché fotografo, fino al 1967, anno in cui lascia la Gazzetta per passare al Giorno, quotidiano dell'ENI, vicino al centrosinistra.
Per i suoi reportage antifascisti e antirazzisti, tra il 1962 e il 1974 viene chiamato a far parte del "Comitato degli esperti", diretto dal deputato belga Hubert Halin, delegato generale dell'Union Internationale de la Résitance et de la Déportation, il cui compito è di osservare le attività neofasciste in Europa. Le attività del comitato cessano comunque nel 1974, con la morte di Halin, quando il terrorismo neofascista, in collusione con apparati dello Stato, da qualche anno insanguinava l'Europa e in particolare l'Italia.

La collaborazione con il Giorno termina nel 1981, dopo le dimissioni dal Partito Socialista al quale era stato iscritto per oltre trent'anni. Si dimette dal quotidiano milanese non solo per contrasti con la direzione, ma soprattutto per poter proseguire il lavoro di ricerca storica sul colonialismo italiano, iniziato nel 1965, con la pubblicazione presso Feltrinelli di La guerra d'Abissinia 1935-1941. Un lavoro che riprende nel 1976 con la pubblicazione del primo volume, presso Laterza, de Gli italiani in Africa orientale, al quale segue un secondo volume sulla Conquista dell'Impero, presso lo stesso editore, tre anni più tardi.

I suoi primi lavori sono immediatamente osteggiati dai fogli reazionari e neofascisti, a partire dall'ex ministro per l'Africa italiana, Alessandro Lessona (che nel 1980 sarà tuttavia costretto a riconoscere l'uso dei gas asfissianti da parte degli italiani, sebbene minimizzandone la portata), e dalle associazioni di reduci d'Africa che, nel 1982, minacciano di portare il giornalista in tribunale a difesa dell'«onore» italiano in Africa orientale. La rivista Il reduce d'Africa si spinge oltre, invitando i suoi lettori a farsi giustizia da sé contro «i Del Boca».

Ma soprattutto viene contrastato dall'establishment neocoloniale che si considera «custode della memoria» delle imprese africane. Infatti, le carte del Ministero dell'Africa Italiana (MAI), passate all'archivio del Ministero degli Esteri (MAE), sono interdette ai ricercatori indipendenti e affidate a un Comitato composto in gran parte da ex funzionari coloniali, che le gestiscono in totale autonomia. In questo modo, gli ex amministratori delle colonie africane si trovano ad essere biografi delle loro azioni, nel tentativo di imporre l'idea della «missione civilizzatrice» dell'Italia. Da questo lavoro, lautamente finanziato da fondi del MAE, sorge una monumentale, quanto inconsistente sul piano scientifico, impresa editoriale in 41 volumi (tra i quali uno in inglese), L'Italia in Africa, dedicata essenzialmente a dimostrare i meriti della colonizzazione e a imporre il mito degli «italiani, brava gente». Il clima cambia con l'arrivo dell'ex partigiano Enrico Serra alla direzione del servizio storico del MAE, ma fino agli anni Ottanta, quando viene soppresso con decreto nel marzo 1984, il Comitato avoca il diritto esclusivo di consultazione della documentazione.

L'ostilità dei residuati del colonialismo italiano nei confronti di Del Boca si fa sentire anche in terra d'Africa: in occasione di una sua conferenza tenuta ad Addis Abeba nel novembre 1990, dal titolo "Italian Colonialism in the Horn of Africa", non mancano le minacce da parte della comunità italiana in Etiopia, che alla fine si risolvono in una lettera di protesta all'allora presidente Pertini.

Tra il 1982 e il 1984 vedono alla luce gli ultimi due volumi dedicati al colonialismo italiano nel corno d'Africa, La caduta dell'impero e Nostalgia delle colonie. Nel 1986 sono pubblicati i due lavori dedicati agli italiani in Libia, Tripoli bel suol d'amore e Dal fascismo a Gheddafi.
Grazie a Serra, Del Boca riesce finalmente ad accedere agli archivi del MAE e utilizzare ampiamente anche la documentazione conservata agli Esteri e relativa all'Africa italiana. Da quel momento la sua opera segna una pietra miliare e un contributo imprescindibile per qualsiasi storico del colonialismo.

E tuttavia, si continuano a negare le verità ricostruite e documentate nei volumi dello storico novarese, in particolare le atrocità e i misfatti di cui si è reso responsabile il colonialismo italiano, non diversamente da quelli degli altri colonialismi europei.

Per oltre sessant'anni, nell'Italia fascista e postfascista, l'uso dei gas (iprite, fosgene e arsina) contro le popolazioni africane – libiche ed etiopi – viene tenuto nascosto o negato. Solo nel 1996 l'allora ministro della Difesa, generale Corcione, ammette ufficialmente l'uso di aggressivi chimici nella campagna d'Etiopia, e presenta alcuni documenti, firmati dal maresciallo Badoglio, che certificavano l'utilizzo dei gas in Etiopia. Ma le ammissioni di Corcione giungono al culmine di una lunga serie di negazioni e accuse contro Del Boca di essere un falsificatore e un «antipatriota», e di attacchi vari durati oltre trent'anni. Il suo più famoso contestatore è stato probabilmente Indro Montanelli, che negò le ricostruzioni di Del Boca per oltre trent'anni, fino a dover finalmente ammettere, solo nel 1995, che nell'occupazione dell'Etiopia si erano usati gas tossici ed altri agenti chimici. L'intera vicenda è ricostruita nel saggio Una lunga battaglia per la verità, riportato nel volume I gas di Mussolini e nell'autobiografia Il mio Novecento.

Tuttavia, una volta riconosciuto l'uso dei gas, non è tramontato il mito di un "colonialismo dal volto umano", alimentato dagli stessi protagonisti che per decenni hanno contestato a Del Boca la sua ricostruzione della verità storica, a cominciare dallo stesso Montanelli.

Se non è possibile ricordare tutti i titoli della sua immensa produzione storiografica e letteraria, occorre però menzionare, tra le ultime fatiche di Del Boca, i volumi Italiani brava gente e Nostalgia delle colonie, nei quali si raggiunge lo scopo di squarciare un velo non solo sulla storia del colonialismo italiano, dei cui crimini oggi si ha una visione chiara, ma soprattutto sulla mentalità neocoloniale frustrata che ancora perdura in vasti settori nostalgici e non solo.
La sindrome dell'«imperialismo straccione», come lo chiamava Lenin, ovvero di una nazione che crede di avere il diritto a una grandeur frustrata da potenze straniere, nasce in età postrisorgimentale, si afferma in età crispina e giolittiana, si rafforza in epoca fascista, ma perdura ancora nell'Italia postfascista e repubblicana. Da una parte, infatti, sono obliterate le atrocità perpetrate dall'imperialismo italiano in vari scenari, dalla Libia all'Africa orientale ai Balcani, dall'altra si assiste alla ripresa di un nazionalismo vittimista aggressivo. Una visione dura a morire anche nello stesso Stato Maggiore dell'esercito, se ancora nel 2010 pubblica un testo vergognoso, Etiopia 1936-1940, che ripropone la menzogna di un "colonialismo buono".

Con la morte di Del Boca, un anno fa, scompare non solo il pioniere degli studi sul colonialismo italiano, ma lo storico che si è battuto, per anni da solo, per ristabilire la verità storica sui crimini nascosti e dimenticati dell'imperialismo italiano in Africa. Ogni storico che oggi si occupi di colonialismo non può prescindere dai lavori dello storico di Novara. E nuove ricerche si sono affermate nel corso degli ultimi vent'anni, a partire dalla lezione di Del Boca, da Oltremare di Nicola Labanca a Lo sfascio dell'impero di Matteo Dominioni, o documentari storici come Fascist legacy.

Gino Candreva

CONDIVIDI

FONTE