Interventi

L'alternativa al riformismo della CGIL? Il riformismo della sua opposizione!

Intervento del compagno Mortara all'assemblea del 15 giugno 2022, che riuniva i tre coordinamenti nazionali di "Riconquistiamo tutto", "Democrazia & Lavoro", "Le giornate di marzo", aree di minoranza CGIL

25 Giugno 2022
piramide rovescaita


Questo testo, insieme alla dichiarazione di voto contrario al documento alternativo proposto dalle tre minoranze in vista del congresso CGIL, non è stato pubblicato sul sito di "Riconquistiamo Tutto!"

Dichiarazione di voto contrario e altri documenti li trovate qui.


Premessa: avevo rinunciato al mio intervento chiedendo di poter leggere alla fine la “dichiarazione contraria” (non più di tre minuti) e di veder pubblicato il mio intervento scritto sul sito. La lettura mi è stata rifiutata all’ultimo minuto, senza nessuna spiegazione preliminare, la seconda rischiesta è al momento inevasa...


Sono contrario al documento varato dalle tre componenti di minoranza che sfideranno Landini al prossimo congresso. Con altri compagni critici ho provato a raddrizzarlo con degli emendamenti (bocciati per altro da una sola componente nella deriva interminabile di una gestione un tanto al chilo di RT!). Gli emendamenti sono stati bocciati in blocco confermando che chi non sa entrare nel merito delle questioni ed è pretestuoso è chi ci lancia simili accuse. Infatti gli emendamenti in linea generale sono stati bocciati perché presentati dal gruppo che più ha criticato, negli ultimi anni, linea e gestione autoritaria interna di RT. Li avessero presentati altri, più malleabili, avrebbero certamente avuto più ascolto.

Così come è rimasto, nonostante alcune modifiche, il documento “alternativo” è la quintessenza di un documento democratico-riformista. È tutto l’impianto che è sbagliato. I 10 punti del documento confermano che “classismo, radicalismo e anticapitalismo”, sono più semplici enunciazioni che contenuti reali, come se bastasse definirsi classisti e anticapitalisti per esserlo davvero. Il classismo radicale del documento è quindi pura retorica anticapitalista, perché chi l’ha scritto non ha mai riflettuto a fondo su cosa significhino davvero radicalismo, classismo e anticapitalismo.

Radicalismo, classismo e anticapitalismo sono tre parole che possono anche essere sostituite da una sola che le contiene tutte e tre: marxismo. Un documento classista e anticapitalista è semplicemente un documento che fa suo il metodo marxista, non che gli è estraneo. Se gli è del tutto estraneo come nel caso di questo documento, significa che per quanto radicale possa sembrare, resta un documento riformista.

Le caratteristiche base del riformismo sono l’ambiguità, la vaghezza, il nascondersi, il pressappochismo terminologico, l’empirismo più o meno totale su qualunque questione. Il classismo, quando è autentico, ha le caratteristiche opposte: precisione millimetrica, nessuna vaghezza, chiarezza cristallina.

Tutte le caratteristiche del riformismo si ritrovano dalla prima all’ultima riga di questo documento a cominciare dal titolo: le radici conflittuali di cui si parla, l’autonomia da governi e padroni che la CGIL dovrebbe recuperare per essere più vicina alle sue origini, sono radici puramente immaginarie. Tutta la storia della CGIL da Rigola a D’Aragona, da Di Vittorio a Lama, da Cofferati a Trentin fino ad arrivare a Epifani, Camusso e Landini, è una storia tutt’altro che conflittuale. È la storia di dirigenti regolarmente subalterni alla borghesia nei momenti decisivi della lotta di classe, con punte particolarmente penose e vergognose come con la capitolazione al fascismo col tentativo di pacificazione.

L’ambiguità si vede nella condanna ma non troppo dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Una riga si perde nel mare dolciastro di un pacifismo più piccolo borghese che proletario. Un documento autenticamente classista non parte dalla denuncia delle mire espansive dei vari membri imperialistici della NATO (“il nemico è in casa nostra” non significa ridimensionare l’aggressore fino quasi a farlo sparire: Putin infatti non è nemmeno nominato, almeno nella prima bozza, nelle altre non so perché me le son perse nella gestione sui generis del nostro esecutivo), parte dal riconoscere il pieno diritto degli ucraini (specie i proletari che a differenza dei borghesi restano con molta più facilità sotto il fuoco delle bombe) a resistere e a difendersi dall’invasione di Putin e dell’imperialismo russo.

Il pressappochismo si vede nell’uso di termini ed espressioni superficiali e sostanzialmente scorrette quali “stato sociale”, “nuovo modello di sviluppo” eccetera. Espressioni per altro che sono il marchio di fabbrica di tutte le “encicliche” della maggioranza, come dei riformisti di tutte le razze. Il gruppo dirigente della minoranza s’inalbera se contestiamo, ci vede ovviamente solo il giochino di chi vuole mettere il cappello più rivoluzionario a questo o quel paragrafo. Noi critici siamo insomma ridotti a babbei. E come noi evidentemente anche Marx, quando criticava il programma di Gotha, per espressioni aclassiste o interclassiste come “stato libero”.

Il punto non compreso dal gruppo dirigente della minoranza, per presunzione o miopia, è che la nettezza classista sulla pagina, è la garanzia nero su bianco di una prassi davvero conseguente e conflittuale, a cominciare dal terreno più facile e immediato perché dipende da noi: la battaglia in CGIL contro il gruppo dirigente. Battaglia che per altro non esiste solo nelle fabbriche, comincia proprio dentro i documenti. Compito di una componente classista è non lasciare entrare nei suoi documenti istanze che col classismo non c’entrano niente, perché nei fatti sono le istanze della maggioranza e quindi un lasciapassare per i compromessi al ribasso che questa vuol fare col padronato.

L'ulteriore spostamento a destra che registriamo nel testo “alternativo” e che abbiamo documentato negli ultimi quattro anni come nei nostri emendamenti precedenti la “dichiarazione contraria” odierna, è solo l’ulteriore prova che nel prossimo quadriennio il numero già crescente di astensioni e votazioni favorevoli alle proposte della maggioranza aumenterà a dismisura. L’ultimo Comitato Centrale della FIOM, quello che in piena crisi salariale conferma con una sola astensione la scampagnata CGIL del 18 giugno senza disdettare l’ipca, oltre a una serie infinita di chiacchiere e tavoli su questo e su quello purché senza un’ora di sciopero, dà la misura di quello che ci aspetta.

È proprio per questo che l’esecutivo non ha accettato il nostro ultimo emendamento (proposto come 11° paragrafo), in cui dicevamo chiaro e tondo che nonostante la moderazione delle proposte del documento alternativo, anche così l’attuale gruppo dirigente della CGIL non è in grado di conquistarne mezza, perché irrecuperabile alla causa dei lavoratori.

Il documento alternativo si rifiuta di proporre sé stesso, cioè la minoranza, come gruppo dirigente alternativo a Landini e compagnia, proprio perché non confligge fino in fondo con la maggioranza. E anzi confligge sempre meno. Non a caso nel documento l’accusa al gruppo dirigente è spesso annacquata e addolcita dall’uso del primo pronome personale plurale: «Come CGIL abbiamo troppo inseguito… non abbiamo saputo…». È un’ulteriore spia che non c’è separazione netta tra noi e la maggioranza CGIL. Ci si sente (o comunque così ci si descriverà ai lavoratori), come responsabili del disastro al pari della maggioranza. Perché al fondo, istintivamente, ci si sente più parte di un “tutto” chiamato CGIL, che di una parte al momento minoritaria ma irriducibilmente antagonista rispetto alla parte maggioritaria.

Persino lo sciopero non è visto davvero come conflittuale. Per una visione classista, lo sciopero serve a piegare i padroni e via via tutto il loro sistema capitalistico. Nel documento alternativo è rivendicato non tanto quale strumento per spostare i rapporti di forza, quanto come diritto per migliorare la democrazia borghese. Il “nuovo modello di sviluppo” in effetti, essendo “l’oppio dei riformisti” nei fatti può essere al massimo il “migliore dei capitalismi possibili”. Più in là non va. Ecco spiegato perché il documento alternativo si rifiuta di pronunciare la parola “socialismo” che per un documento sedicente classista e anticapitalista non è neanche il colmo, ma l’epitaffio sulla sua tomba.

Immediata conseguenza di un documento che ha il terrore di varcare le colonne d’Ercole del capitalismo è l’adozione di una logica capitalistica che traspare, infatti, pure dalla concezione sostanzialmente liberale dello stato. Il testo trasuda di immaginarie unioni europee subordinate alla finanza, governi padronali che non hanno compreso quale occasione avevano per dare soldi agli operai o che avrebbero potuto fare questo e quello per il bene di tutti, fino al lato comico di rivendicare campagne per l’assunzione di responsabilità sociale da parte delle imprese. Che stato, governi e UE non siano subordinati a nulla, ma siano dirette espressioni per la salvaguardia degli interessi delle classi dominanti sfugge al documento alternativo.

Non sfuggiva invece agli emendamenti bocciati, che servivano per contrastare anche l’altro aspetto tipico del riformismo, forse quello più dannoso: la semina continua di illusioni nella testa dei lavoratori per abbindolarli meglio.

Questo documento non innalza più di tanto la coscienza dei lavoratori, che non hanno bisogno solo di comprendere la necessità di lottare. Questa è solo la base. Un documento alternativo deve anche aiutarli a liberarsi delle infinite illusioni che semina la maggioranza. Questo non lo fa per niente, tutt'al più le rimesta in un brodo un po’ più piccante e radicaleggiante. Un documento veramente classista gliele toglie tutte. Non gliele lascia con la scusa che i lavoratori non capiscono, che è il borbottio burocratico che sentiamo ormai sempre più spesso anche negli interventi di minoranza che ci contestano. Non sta a noi stabilire cosa capiscono i lavoratori. A noi sta la responsabilità del messaggio corretto. Solo burocrati e riformisti scaricano sempre sull’impreparazione dei lavoratori la loro mancanza di radicalità e di coraggio.

Aggiungo che non credo che il basso livello di contenuti classisti possa ascriversi all’ingresso di altre componenti nella minoranza, in particolare Democrazia & Lavoro, tanto più che il suo ingresso dovrebbe essere ben bilanciato dal contemporaneo ritorno dei nostri ex compagni delle Giornate di Marzo. Ufficialmente il rapporto tra coloro che “mangiano pane e classismo” e quelli che fino ad ora non avevano mai fatto del classismo la loro bandiera è schiacciante a favore dei primi (4 a 2 per essere precisi e solo tra i firmatari, perché alla base il divario si amplia ancor di più). Ne segue che in teoria il classismo non avrebbe dovuto essere scalfito se non in qualche sbavatura insignificante. Invece, nonostante la bozza sia già stata scritta più volte, il classismo nel documento resta pur sempre e per l’appunto un classismo puramente abbozzato. Nessuno dei dieci punti può essere definito pienamente classista, alcuni nemmeno lontanamente. Eppure nove su dieci dei sostenitori del documento, e ben tre portavoce su tre delle aree interne, giurano e spergiurano continuamente sul loro classismo immarcescibile.

Chi ha introdotto dunque tutto questo inquinamento riformista? Sembrerebbe, a dirla in modo brutale, che tra i redivivi delle “giornate di marzo” che si considerano gli unici custodi viventi del lascito di Lenin e Trotsky, la furia iconoclasta di chi si vanta di marciare sempre e comunque “controvento” e “l’anticapitalismo sinistro” della principale portavoce e prima firmataria del documento, l’abbia vinta Sgrò che infatti spadroneggia nelle assemblee, fa il bello e il cattivo tempo, stabilisce tempi e modi d’intervento, tagliando quelli scomodi e già annunciando che a Livorno (prossima assemblea) parleranno solo quelli che la pensano come lui (non male per uno che si era presentato, alla prima assemblea congiunta con noi, con un’ora di arringa tutta ma proprio tutta incentrata sulla compressione degli spazi di discussione in CGIL e sulla mancanza di pluralismo e democrazia...). Come mai ha vinto Sgrò? Perché in effetti è solo apparente la sua vittoria, le mediazioni non sono davvero al ribasso, il riformismo strisciante del gruppo dirigente della nostra area era ben visibile da molto prima che si delineassero all’orizzonte i nostri nuovi alleati. E non aveva bisogno per manifestarsi del contributo altrui. È figlio del disprezzo mostrato sistematicamente dal nostro esecutivo per la teoria politica, per l'esaltazione gretta di una pratica di corte vedute.

Il basso livello di coscienza di classe è il vero metro con cui il documento saluta possibili alleanze e rapporti. Anzi, il livello rasoterra di coscienza di classe è il vero significato della falsa contrapposizione tra documento sedicente sindacale ed emendamenti da bocciare perché di partito e quindi di politica (il disco rotto preferito del nostro esecutivo). Sei una tabula rasa in materia di coscienza di classe? Sei perfetto per dire cose prettamente sindacali. Sei una spanna sopra? Mi spiace parli di politica. È questo in fondo il modo di ragionare di chi ci critica. Tutto il documento, infatti, non solo scansa un qualsiasi ragionamento sul problematico rapporto interno ed esterno della minoranza CGIL coi partiti dell’estrema sinistra, ma scansa anche e soprattutto un qualunque richiamo al sindacalismo di base. A conferma che dietro la vecchia polemica sull’incompatibilità con l’assemblea dei lavoratori combattivi non ci stavano nostre invenzioni, c’era un riavvicinamento con la maggioranza CGIL (ulteriore riprova? Dall’abolizione del testo unico sulla rappresentanza siamo passati nel documento di oggi alla “rivisitazione”, cioè alla riforma). E naturalmente potremmo stare a discutere all’infinito sulla coscienza di classe del sindacalismo di base, specie se pensiamo alle mirabolanti prese di posizioni durante la stagione del green pass (resterà negli annali la presa di posizione del Si Cobas, quello al momento più battagliero e determinate, sui portuali di Trieste intrisi di fascismo ma scambiati lo stesso per rivoluzionari), ma certo è impossibile immaginarlo più indietro al momento dei giovani di FFF o delle femministe borghesi di NUDM.

Con chi vuole allacciare rapporti il documento? Coi movimenti, FFF e NUDM su tutti. Perché? Perché non fanno politica? No, perché hanno un basso livello di coscienza politica di classe, sono intrisi di interclassismo piccolo borghese. Sono in un certo senso lo specchio della coscienza ibrida che ha la minoranza CGIL, che fugge come la peste non la politica ma la coscienza politica.

Va da sé che il basso livello di coscienza di classe si accompagni a una presunzione immensa.
Le frasi fatte e i luoghi comuni con cui sono stati squalificati gli “emendamenti politici” dal documento sindacale, che è tutto il significato della parola “merito” usata e abusata a sproposito, saltano a piè pari una realtà ben più complessa. Non c’è dubbio infatti che i nostri emendamenti bocciati possano essere approvati e condivisi dai partiti, ma non dai partiti in generale come vorrebbe la critica superficiale, ma dai partiti radicali, classisti e rivoluzionari, in una parola dai partiti conseguentemente marxisti. Quello che ignorano i professori di riformismo che ci hanno bocciato gli emendamenti è che pure il documento alternativo, quello spacciato per squisitamente sindacale, potrebbe essere (come in effetti è, visto che i partiti nella minoranza esistono e pesano, eccome se pesano, anche se qualcuno fa finta del contrario) condiviso e approvato dai partiti, ma di nuovo non dai partiti in generale bensì dai partiti riformisti.

I Bertinotti, gli Tsipras, gli Iglesias, i Mélenchon di tutte le latitudini si leccherebbero i baffi di fronte a questo documento, e ne farebbero la parte sindacale della loro proposta politica. Si confronti qualsiasi documento sindacale di un partito riformista, ad esempio del Labour ai tempi già morti e sepolti di Corbyn, e si vedrà non solo la similitudine ma una vera e propria coincidenza con questo documento. E del resto dopo averlo tradito e abbandonato nei fatti, il Labour si era tolto ufficialmente il socialismo dalla bocca con Blair nel 1995, e la socialdemocrazia tedesca l’aveva fatto ancora prima nel 1959, a Bad Godesberg. Il nostro documento non osa pronunciare la parola socialismo perché è più vicino a questi figuri che a Marx ed Engels. La differenza tra sindacato e partito non c’entra nulla. È chi lo afferma che non comprende la differenza tra classismo e riformismo e traduce questa sua incomprensione in un documento da “internazionale due e mezzo”, al massimo.

Ed è per questo che lo bocciamo, perché un’ala classista deve presentare un documento classista, non riformista. Lo bocciamo oggi per sostenerlo nelle assemblee durante il congresso. Facendo del nostro meglio per il miglior risultato possibile. Perché se la maggioranza CGIL è irriformabile, la minoranza per noi è ancora ampiamente recuperabile. È il senso della nostra battaglia di questi ultimi anni nella minoranza CGIL, il senso dei nostri emendamenti non passati. Dopo il congresso si capirà ancora meglio.



PS – Non entro nel battibecco intervenuto tra il compagno Cimmino e Sgrò (per l'occasione Presidente dell'assemblea) per l’eliminazione dell’intervento del primo. A Sgrò però dico di riflettere sul fatto che lui ha chiesto prima in generale e poi con riferimento specifico ai firmatari (Mortara-Cimmino-Zasso) della “dichiarazione contraria” di ridurre gli interventi perché se no l’assemblea sarebbe stata interminabile. È evidente che il problema non era solo di un quarto d’ora, il tempo di uno o due interventi, ma di tagliarne molti di più. Inoltre, pur non essendo fotocopie io, Cimmino e Zasso, non c’è dubbio che firmando un documento comune portiamo in linea di massima un intervento più o meno omogeneo. Ma questo non vale solo per noi. Pure i compagni di Democrazia & Lavoro sono omogenei tra loro, così come quelli de “Le Giornate di Marzo”. Persino quelli più vicini alla sensibilità della nostra portavoce sono omogenei tra loro. E allora se si tagliano di due terzi gli interventi “contrari”, pure di due terzi andrebbero tagliati gli interventi favorevoli. Sarebbe interessante sapere quanti dei favorevoli di tutte le tendenze hanno rinunciato al loro intervento come io ho fatto col mio per consentire il loro.

Inoltre va ancora detto che se questo sarebbe l’ideale per una democrazia minimamente civile, non avrebbe comunque nulla a che vedere con l’applicazione rigorosa di una democrazia di classe, cioè rivoluzionaria. Per la democrazia soviettista che dovremmo perseguire, se proprio si devono tagliare gli interventi, si comincia da quelli favorevoli che sono in maggioranza schiacciante. Perché se su 30 interventi, solo 3 sono i contrari, tagliandone 5 dei favorevoli, i “favorevoli” restano ampiamente maggioritari. Se tagli due su tre degli interventi contrari, indebolisci ancora di più chi è già debole. Nella democrazia consigliare che ci serve garantisci la parità nel pluralismo, ma se proprio non puoi per esigenze tecniche, tagli chi è in maggior numero, indebolendo leggermente chi è più forte, non il contrario, addirittura stroncando più del 66% delle richieste della minoranza. Da questo punto di vista Sgrò ha ancora tanto da imparare e forse comincerebbe presto se avesse al suo fianco qualcuno che glielo insegnasse...

Lorenzo Mortara

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