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Ucraina, imperialismo, questione nazionale. La difficile strada della rivoluzione

14 Maggio 2022
putin


È in corso una tragica guerra: morte, devastazione, mentre ancora la pandemia si aggira minacciosa in uno scenario in cui dominano macerie non solo materiali.

Decenni di miserie politiche e intellettuali producono un letargo profondo, uno smarrimento abissale della coscienza delle classi subalterne e del movimento dei lavoratori. Di fronte alla guerra e nella stessa guerra si sviluppa una devastante aberrazione per la quale la Russia post-sovietica si configura come l’ultimo disperato argine che si oppone alla tracotanza del capitalismo. Quanto è profonda la crisi in cui è impastoiato il movimento operaio, che vittima di decenni di scientifica diseducazione, tradisce l’insegnamento fondamentale di Marx, cioè quello di guardare la realtà con gli occhi del materialismo storico.

È ormai da tempo che la Russia post-sovietica è diventata un paese in cui la restaurazione del capitalismo è guidata da una cricca di magnati di un regime corrotto e affamatore, avido di ricchezze materiali, supportato da una subcultura politica reazionaria e sciovinista che, del resto, era sottotraccia nello scellerato dominio staliniano.
Certo, dalla “altra parte” c’è il “popolo del progresso”, guidato dai dèmoni statunitensi, e strumentalizzando questo spettro mostruoso si costruisce un'aberrante cultura politica che chiama il popolo del progresso a mobilitarsi in difesa di Putin.
È un popolo abbrutito da una profonda miseria intellettuale, è un popolo subalterno e passivo che di volta in volta ha condiviso tutte le scelleratezze politico-ideologiche con cui dalla crisalide di una burocrazia in via di liquidazione si sviluppava la mostruosa farfalla di una nuova borghesia prepotente.

Dunque tutti dietro, dapprima, al rinnovamento della Perestroika, alla liquidazione dei vecchi apparati pseudocomunisti (come il PCI togliattiano), per poi trovarsi come vassalli intellettuali del miserabile regime putiniano.
È un esercito di microbi intellettuali costituito da una miriade di orfanelli di Stalin che, disabituati a pensare in proprio, non possono vivere senza un’icona da venerare. È l’ultima edizione della miseria dell’italiano medio e dei suoi riferimenti politico-intellettuali. Il marxismo non ha nulla da spartire con questo scempio, anzi il marxismo si candida con forza a contrastare e a sconfiggere questo incubo mostruoso, questa “nuova” ideologia che stravolge i connotati della realtà. È un impasto di castronerie vecchie e nuove, è la conferma di quello che Engels e Labriola hanno visto circa la sopravvivenza di fantasmi culturali che danno vita a innumerevoli immagini del mondo della sovrastruttura che persistono illusoriamente anche dopo la scomparsa delle loro basi materiali.

In ogni caso, la difesa irrazionale dell’indifendibile Putin finisce con il ridare una specie di legittimazione ai banditi della NATO, facendoli apparire come il baluardo della difesa dei popoli aggrediti dalla malefica Russia e facendo ingrossare le file della stessa NATO con nuove pedine (Svezia e Finlandia) e dando modo all’industria bellica occidentale di saccheggiare le tasche dei lavoratori con il 2% del PIL destinato al riarmo.
Che politica lungimirante! Che strabiliante strategia leninista!

Non solo le recenti contorsioni del campismo ostacolano la costruzione di un soggetto rivoluzionario e classista nell’Occidente capitalistico; il loro arroccamento attorno alle macerie del post-stalinismo consegna milioni di giovani al deserto dell’antipolitica, all’attrazione delle varianti molteplici e perfide della cultura politica delle classi dominanti. Che vergogna e che squallore miserevole!

E in più, tra le molteplici implicazioni di questo mostruoso obbrobrio, c’è la riproposizione di posizioni che Lenin e i bolscevichi avevano ridicolizzato. Tra esse non è secondaria la questione posta dalla presenza di precise identità nazionali, linguistiche e, più in generale, la cui sopravvivenza era minacciata dall’ordine mondiale costituito dalle potenze coloniali. Su questo terreno i leninisti hanno saputo considerare dialetticamente il nazionalismo dei potenti rispetto a quello dei popoli oppressi.
Era una cosa, ad esempio, il panslavismo reazionario dello zarismo che si proponeva come punto di riferimento di tutti i popoli slavi che voleva assoggettare prepotentemente (come avvenne con polacchi e ucraini) al dominio di Santa Madre Russia.
Era un’altra cosa, sempre all’interno del mondo slavo, la rivendicazione di polacchi e ucraini del riconoscimento pieno della loro identità.
Quando Putin parla dell’errore compiuto da Lenin nell’inventare l’Ucraina non solo dimostra un’abissale ignoranza della storia, ma, in più, finisce per consegnare la direzione e la gestione dei movimenti di liberazione nazionale all'egemonia del campo reazionario e delle classi egemoni che si trovano in quelle realtà!

E ancor di più, il putinismo riesuma un vecchio obbrobrio della cultura politica ottocentesca, quello dell’identità stato-nazione che configura lo stesso stato come un micidiale Leviatano che assoggetta ogni elemento di diversità ai detentori del potere politico e li incardina alle sue coordinate culturali.

“L’invenzione dell’Ucraina” non fu dunque un tragico errore di Lenin, come proclamano e conclamano Vladimir Putin, ieri ufficiale del KGB, la sua marionetta cesaropapista del patriarca di Mosca Cirillo, universalmente noto per la sua omofobia, e il farneticante Lavrov, autore di gravi dichiarazioni antisemite ("Zelensky ebreo come Hitler").

La nascita del grande impero russo avvenne attraverso una lunga serie di sopraffazioni e violenze e lacerazioni. Come quella perpetuata dai progrom antisemiti, come quella costituita dalla resistenza dei cosacchi ucraini di Pugaciov e di Mezzappa, come quella rappresentata dalla cancellazione dello Stato polacco, al cui popolo furono imposte lingue, personale amministrativo e ogni sorta di mortificazione.
Proprio in Polonia lo zarismo fu duramente contrastato dalla “lega bianca” di Czartoryski e, ancor più in senso progressivo, dalla lega rossa di Lelelev, che si batteva non solo per riconquistare l’indipendenza nazionale ma per una chiara laicizzazione dello stato e una significativa riforma operaia, i cui sostenitori costretti all’esilio dallo zar, emigrarono soprattutto in Francia per essere poi tra i protagonisti dei moti del 1848.

È un quadro molto diverso da quello artatamente costruito da Putin per giustificare la “denazificazione dell’Ucraina”. Lo stesso Putin, del resto, mentre si produce in queste orribili ciance, non pronuncia neppure una mezza sillaba sul patto Molotov-Ribbentrop, sulla nuova spartizione della Polonia, sul rafforzamento del nazismo che ne conseguì, sull’eccidio di migliaia di comunisti e comuniste, tra cui diversi italiani e italiane portati al macello da questo stesso scellerato patto.

Oggi molte coscienze si rivolgono a Putin come un nuovo redentore della storia. Sono soltanto anime morte, che però non meritano alcuna compassione. La loro ignoranza e la loro ignavia devono essere duramente contrastate e definitivamente sconfitte. Esse sono la spaventosa figliolanza di una orripilante egemonia culturale post-stalinista.

La rinuncia al materialismo storico è una selva oscura popolata da alberi di specie diverse, e non solo del nazionalismo post-staliniano. Ci si può imbattere in altre mostruosità.
C’è infatti chi parla di una “guerra per interposta nazione”, vedendo il conflitto esclusivamente come uno scontro tra la Russia e gli USA, USA di cui l’Ucraina sarebbe solo un’amorfa pedina.
C’è dunque chi parla del conflitto come di uno scontro esclusivamente interimperialistico e rimuove la presenza delle questioni nazionali nell’epoca tardo-imperialistica. L’errore non è nuovo: esso presuppone la presenza di un mondo globalizzato in cui l’elemento della struttura annienta ogni molecola delle specificità culturali, e in genere la rilevanza delle identità nazionali. È un errore figlio in certo qual modo di un determinismo acritico; è la manifestazione di una concezione della storia che idealizzando la totalità dell’elemento materiale si trasforma, paradossalmente, nell’ideologizzazione della struttura stessa. È, in altri termini, la sepoltura che cancella ogni elemento di soggettività, senza però spiegare il motivo per il quale la forza delle classi oppresse non trascresce immediatamente in un nuovo potere rivoluzionario.

Tutti questi feticci ideologici ostacolano la costruzione di una risposta rivoluzionaria di cui c’è una chiara necessità. È un quadro in cui l’avanguardia internazionale del movimento operaio deve preparare una via d’uscita complessa. Essa non può ignorare i dati strutturali della crisi, ma al tempo stesso non può rimuovere le sedimentazioni e le anomalie ideologiche che gravano sulle coscienze di masse enormi e impediscono al proletariato mondiale di diventare classe dirigente; di produrre egemonia culturale e, al tempo stesso, forza di governo.

I marxisti rivoluzionari non possono ricorrere a semplificazioni e imboccare scorciatoie che portano a baratri. Certo le loro forze sono oggi inadeguate alla drammaticità delle questioni. Lo sciocco settarismo ideologico e l’animosità che, ad esempio, in Italia circonda l’eredità del marxismo rivoluzionario di Antonio Gramsci rivendicata con lucido orgoglio dal PCL, è la chiara manifestazione di una cieca volontà di autoannientamento che infesta ampi settori dell’estrema sinistra.
Di fronte a queste miopie tragicomiche, siamo fieri di richiamare la coraggiosa battaglia condotta dai compagni del Partito Operaio Rivoluzionario Russo. Contro la repressione putiniana e la presenza di un clima politico-culturale reazionario, questi nostri compagni denunciano la natura reale del conflitto, la responsabilità dell’imperialismo russo, il peso devastante degli sciovinismi russo e ucraino; si battono per il rovesciamento rivoluzionario dei governi di Mosca e di Kiev e dell’ordine mondiale imposto dalle borghesie europee e americane. Vedono nel proletariato ucraino la sola forza che può liberare in senso progressivo la stessa Ucraina dal nazionalismo e, allo stesso tempo, invitano i lavoratori e le lavoratrici della Russia a scioperare contro la guerra.

Nello stesso momento in cui siamo sconcertati dalle elucubrazioni di folti manipoli di teorici del nulla che pullulano vicino a noi e contro di noi, siamo fieri e orgogliosi di essere a fianco dei rivoluzionari russi che ripuliscono le bandiere rosse di Lenin e le fanno sventolare nei tormenti di una tempesta che rischia di spazzare via ogni traccia di civiltà.
È la bandiera dell’ordine nuovo socialista, oggi più che mai necessario in tutto il mondo.

Pino SIclari

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