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Lenin e l'Ucraina. La questione nazionale e la guerra

Appunti sull'attualità del bolscevismo

20 Marzo 2022
lenin


«Quello che l'Irlanda era per l'Inghilterra l'Ucraina è diventata per la Russia: sfruttata sino all'estremo e senza dare nulla in cambio. Pertanto gli interessi del proletariato mondiale in generale e del proletariato russo in particolare richiedono che l'Ucraina riconquisti la sua indipendenza.» (Lenin, 1914).

«I socialisti russi i quali non chiedono la libertà di separazione per la Finlandia, per la Polonia, per l'Ucraina ecc, [...] agiscono come sciovinisti, come servi delle monarchie imperialiste e della borghesia imperialista, le quali si sono coperte di sangue e di fango.» (Lenin, gennaio 1916)

«Perché noi grandi-russi che opprimiamo più nazioni quante non ne opprima qualsiasi altro popolo dobbiamo rinunciare a riconoscere il diritto di separazione della Polonia, dell'Ucraina, della Finlandia?» (Lenin, luglio 1916)

«Se la Finlandia, la Polonia, l'Ucraina si separano dalla Russia non c'è niente di male. Che c'è di male? Chi dice che c'è del male è uno sciovinista. Bisogna essere usciti di senno per continuare la politica dello zar Nicola. [...] Vogliamo l'unione fraterna di tutti i popoli. Se vi sarà la repubblica di Ucraina e la repubblica in Russia, il legame tra le due nazioni sarà più forte, la fiducia più profonda. [...] Ogni socialista che non riconosca la libertà della Finlandia e dell'Ucraina cadrà nello sciovinismo, e non potrà giustificarsi con nessun sofisma.» (Lenin, luglio 1916)

«I socialisti rivoluzionari e i menscevichi hanno tollerato che il governo provvisorio dei cadetti, cioè dei borghesi controrivoluzionari, non facesse il suo elementare dovere democratico, non dichiarasse di essere per l'autonomia e per la piena libertà di separazione dell'Ucraina. [...] È stato da parte del governo provvisorio un atto di inaudita impudenza, di sfrenata insolenza dei controrivoluzionari, una vera manifestazione della politica poliziesca russa; e i socialisti rivoluzionari e i menscevichi, ridendosi dei loro stessi programmi di partito hanno tollerato questo atteggiamento del governo e lo difendono sui loro giornali! A che grado di vergogna sono giunti i social rivoluzionari e i menscevichi!» (Lenin, giugno 1917)




La guerra della Russia all'Ucraina ha risvegliato una discussione salutare anche negli ambienti della sinistra anticapitalista, attorno al rapporto tra la questione nazionale e la battaglia contro l'imperialismo.

Un settore di estrema sinistra, classista e internazionalista, si batte contro tutti gli imperialismi, a partire giustamente da quello di casa nostra; riconosce (a volte con qualche ritardo) l'esistenza di un imperialismo russo e della sua politica di potenza; denuncia la guerra come prodotto dell'imperialismo internazionale e dei conflitti tra le potenze per la spartizione del mondo. Conclude con la corretta rivendicazione del socialismo. Riteniamo tutto questo una linea spartiacque nei confronti dell'atlantismo, del campismo filoputiniano, del puro pacifismo. Una linea di demarcazione su cui non a caso abbiamo proposto iniziative unitarie e caratterizzate.

Tuttavia nella maggior parte dei casi questa impostazione classista rimuove la questione ucraina. Siccome il PD e l'atlantismo di casa nostra sostengono formalmente la resistenza Ucraina; siccome i governi della NATO hanno destinato armi alla resistenza per i propri scopi imperialisti (conservare il controllo sull'Ucraina, contenderla all'imperialismo rivale, continuare a taglieggiarla attraverso il Fondo Monetario Internazionale col ricatto del debito ecc.); siccome il governo ucraino è un governo nazionalista filoccidentale, per di più responsabile di misure reazionarie verso le popolazioni russofone... allora non esiste una questione ucraina, né si pone di conseguenza il tema dell'autodeterminazione dell'Ucraina e della sua difesa contro l'invasione russa. Riteniamo questa posizione sbagliata, come è sbagliata l'argomentazione sottostante, a volte esplicitata e a volte no, secondo cui nell'epoca imperialista le questioni nazionali sono superate, e in ogni caso i rivoluzionari in quanto tali, essendo classisti e internazionalisti, non debbono occuparsi delle questioni nazionali. È bene dunque riprendere una riflessione generale di metodo sulla questione nazionale, per poi applicarla alla vicenda ucraina.


MARX CONTRO PROUDHON

La questione nazionale è un tema importante dell'elaborazione marxista. In questi anni di riflusso del movimento operaio italiano e della stessa coscienza politica della sua avanguardia, ambienti e correnti di estrazione stalinista hanno letteralmente capovolto il significato stesso della questione nazionale, intendendo con questa la necessaria riscoperta della sovranità nazionale dell'Italia e del suo Stato contro la cosiddetta globalizzazione del mercato, o la “dominazione americana”, o la “dittatura tedesca” (o di Bruxelles). Coprendo così la natura imperialista dell'Italia, scivolando nello sciovinismo nazionalista, e accodandosi di fatto a suggestioni ideologiche delle destre reazionarie. Non a caso si tratta spesso degli stessi ambienti rossobruni che oggi professano una simpatia putiniana contro la nazione ucraina. All'opposto, la questione nazionale nella tradizione marxista riguarda le rivendicazioni e istanze delle nazioni oppresse dall'imperialismo, da ogni imperialismo, innanzitutto dal proprio, contro ogni forma di sciovinismo nazionale e di socialpatriottismo.

Le citazioni di Lenin in esergo, tra le centinaia disponibili, chiariscono che l'autodecisione delle nazionalità oppresse, incluso il loro diritto di separazione, era parte organica del programma stesso della Rivoluzione d'ottobre, così come della Terza Internazionale delle origini. Non era peraltro una posizione nuova. Marx aveva battagliato contro Proudhon per il suo rifiuto dell'indipendenza politica dell'Irlanda: “Un popolo non può essere libero sinché opprime altri popoli”. Non si trattava solamente di un motivo di giustizia verso la nazione irlandese, ma dell'interesse stesso della lotta rivoluzionaria del proletariato britannico. L'oppressione dell'Irlanda era infatti un fattore di divisione e contaminazione sciovinista del proletariato inglese. Non si poteva rovesciare l'imperialismo inglese senza rivendicare la libertà della nazione irlandese. Non si poteva costruire l'unità internazionalista tra proletari britannici e irlandesi se non consentendo agli irlandesi la libertà di separarsi dalla nazione britannica. Marx rivendicava la separazione dell'Irlanda dall'Inghilterra «anche se dopo la separazione si dovesse giungere alla federazione». Perché una libera ricomposizione unitaria implicava la libertà dall'oppressione. Lenin chiarì bene questo concetto fondamentale di Marx.

«Marx, che non è mai stato fautore dei piccoli stati né del frazionamento statale in generale né del principio federativo, considerava la separazione della nazione oppressa come un passo verso la federazione e, conseguentemente, non verso il frazionamento, ma verso il centralismo politico ed economico, verso il centralismo sulla base della democrazia.» (Il proletariato rivoluzionario e il diritto dei popoli all'autodeterminazione)

Sulla base di questa tradizione il bolscevismo rivendicò il diritto alla piena autodeterminazione di tutte le nazionalità oppresse dallo zarismo, quindi il loro diritto alla separazione dalla Russia. Su questa base nacque la stessa Unione Sovietica. Non la subordinazione coatta alla Russia sovietica delle altre nazioni, ma una Unione di nazioni libere dallo sciovinismo grande-russo. L'ultima battaglia di Lenin fu non a caso contro l'atteggiamento sciovinista di Stalin nei confronti dell'autodeterminazione della Georgia. Al punto da dichiarare la propria solidarietà ai comunisti georgiani contro i metodi di Stalin.


LENIN E ROSA LUXEMBURG SULLA QUESTIONE NAZIONALE

Già prima della rivoluzione russa, la questione nazionale era stata oggetto di confronto e scontro prima tra Lenin e Rosa Luxemburg, poi tra Lenin e la tendenza che lui definì di “economismo imperialistico” (tra questi Radek e Pjatakov). Cosa sosteneva questa tendenza? Sosteneva che nell'epoca dell'imperialismo le vecchie questioni nazionali erano ormai superate e che la rivendicazione dell'“autodecisione delle nazioni” era irrealizzabile. Essendo l'economia capitalistica interconnessa su scala mondiale, come poteva liberarsi una piccola nazione? Era l'argomento con cui Rosa Luxemburg si era opposta alla richiesta di autodeterminazione della Polonia.
Lenin polemizzò vivacemente con questa posizione. Tutte le rivendicazioni democratiche sotto il capitalismo possono conoscere solamente, nel migliore dei casi, una realizzazione monca, contraddittoria, angusta. Valeva ad esempio per il suffragio universale o per la cancellazione delle discriminazioni legali verso le donne. Era questa una ragione per ignorare tali rivendicazioni democratiche elementari? Al contrario. Solo la lotta per queste rivendicazioni poteva saldarle alla lotta del movimento operaio mostrando come solo una soluzione socialista avrebbe potuto soddisfarle pienamente. Così era per la l'autodeterminazione delle nazioni oppresse:

«Noi esigiamo la libertà di autodecisione, cioè l'indipendenza, cioè la libertà di separazione delle nazioni oppresse non perché sogniamo il frazionamento economico o l'ideale dei piccoli stati, ma, viceversa, perché desideriamo dei grandi stati e l'avvicinamento, persino la fusione, tra le nazioni, su una base veramente democratica, veramente internazionalista, inconcepibile senza la libertà di separazione.» (Il proletariato rivoluzionario e il diritto dei popoli all'autodeterminazione).

Un anno dopo Lenin tornò sullo stesso concetto con una generalizzazione teorica di scuola:

«Esiste una certa analogia tra il modo in cui l'umanità deve giungere alla liquidazione delle classi e il modo come essa deve giungere alla successiva fusione delle nazioni. Alla liquidazione delle classi conduce, infatti, soltanto lo stadio transitorio della dittatura della classe oppressa. Alla fusione delle nazioni conduce solamente la liberazione delle nazioni oppresse, l'effettiva distruzione dell'oppressione nazionale, e il criterio di questa realtà consiste ancora una volta, in senso politico, nella libertà di separazione. La libertà di separazione è il mezzo politico migliore e unico contro lo stolido sistema dei piccoli stati e del particolarismo nazionale.» (Annotazione alle tesi "La rivoluzione socialista e il diritto di autodecisione delle nazioni")


IL CONFRONTO SULLA INSURREZIONE IRLANDESE DEL 1916

La discussione si ravvivò nel 1916, in piena guerra imperialista, in occasione dell'insurrezione irlandese. Gli “economisti imperialisti” – per usare l'espressione di Lenin – videro nella sconfitta dell'insurrezione la prova della sterilità delle rivendicazioni nazionali e dei movimenti nazionali. Karl Radek parlò di «un movimento puramente urbano, piccolo-borghese, il quale nonostante il grande rumore che faceva non valeva socialmente un granché». Per di più l'imperialismo tedesco aveva sostenuto politicamente ed economicamente il movimento irlandese. Appoggiare questo movimento non era forse subordinarsi a un imperialismo in guerra contro un altro imperialismo?
Lenin demolì questa argomentazione dalle fondamenta. Il bolscevismo internazionale si batteva controcorrente per la trasformazione della guerra imperialista in guerra civile contro la borghesia sotto la parola d'ordine disfattista “il nemico principale è in casa nostra”. Ma questa parola d'ordine non era affatto in contraddizione col sostegno alle rivendicazioni delle nazioni oppresse. Al contrario. Solo ponendosi alla testa di tutte le lotte progressive antimperialiste si poteva favorire la rivoluzione sociale e dunque il rovesciamento dell'imperialismo, indipendentemente dal loro carattere contraddittorio e spurio.

«Colui che attende una rivoluzione sociale pura non la vedrà mai. Egli è un rivoluzionario a parole che non capisce la vera rivoluzione. [...] Credere che la rivoluzione sociale sia immaginabile senza le insurrezioni delle piccole nazioni nelle colonie e in Europa, senza le esplosioni rivoluzionarie di una parte della piccola borghesia, con tutti i suoi pregiudizi, senza il movimento delle masse proletarie e semiproletarie arretrate... significa rinnegare la rivoluzione sociale.» (Risultati della discussione sull’autodecisione)

Da questo punto di vista Lenin salutò l'insurrezione irlandese come conferma clamorosa delle proprie posizioni sull'autodeterminazione delle nazioni oppresse. Quanto al sostegno fornito agli irlandesi dall'imperialismo tedesco, Lenin osservò che in una guerra imperialista è naturale che ogni potenza provi ad utilizzare le contraddizioni interne alle potenze rivali, in funzione dei propri interessi. Il Giappone aveva fornito denaro a gruppi russi in occasione della rivoluzione in Russia del 1905. La Francia appoggiava il movimento nazionale ceco durante la guerra. Ma ciò non privava quelle rivoluzioni o movimenti della loro natura progressiva. Non più di quanto l'appoggio britannico all'impresa dei Mille nell'Italia del 1860 invalidasse la natura storica progressiva del Risorgimento italiano antiaustriaco e antiborbonico.
In altri termini, ciò che vale per la borghesia deve valere per il proletariato. Come ogni imperialismo utilizza ogni contraddizione dell'avversario per i propri scopi reazionari, così la classe operaia deve utilizzare ogni guerra nazionale contro questa o quella dominazione imperialista per i propri scopi rivoluzionari internazionalistici contro l'imperialismo. In altri termini, agli occhi di Lenin, un'insurrezione nazionale in Europa contro il proprio imperialismo poteva solo favorire, e non indebolire, la prospettiva della rivoluzione socialista contro l'imperialismo in generale.


LA GUERRA NAZIONALE E LA TRADIZIONE INTERNAZIONALISTA

Se questa linea di condotta valeva nel contesto di una guerra imperialista dispiegata, e quindi di una politica disfattista contro tutte le potenze in conflitto, a maggior ragione vale nel contesto separato di un conflitto tra una potenza imperialista e un determinato stato nazionale. Quando la Serbia fu attaccata dall'Austria, i bolscevichi difesero contro l'imperialismo austriaco i diritti nazionali della Serbia nonostante i suoi forti legami con la Russia zarista. Fu solo quando la guerra si trasformò in una guerra mondiale che i bolscevichi – e i bolscevichi serbi tra questi – assunsero la posizione del disfattismo bilaterale.

Così in tutti i conflitti tra stati imperialisti e paesi dipendenti, colonie o semicolonie, i marxisti rivoluzionari hanno sempre difeso il paese dipendente dall'imperialismo, indipendentemente dalla natura del suo regime interno. L'URSS di Lenin si schierò con la Turchia di Kemal Ataturk, che pur reprimeva i comunisti, contro l'imperialismo britannico, senza per questo fornire il minimo appoggio politico al kemalismo e senza rinunciare a rivendicare i diritti nazionali dei popoli oppressi dalla Turchia, a partire dagli armeni. I comunisti internazionalisti sostennero la Cina di Chiang Kai-shek contro l'invasione dell'imperialismo giapponese, senza per questo dismettere la denuncia della natura antioperaia del Kuomintang borghese, e senza rinunciare alla piena autonomia politica verso il Kuomintang.

Nessuna di queste guerre nazionali fu immune dall'appoggio strumentale di imperialismi rivali. L'impero zarista sostenne la Serbia contro l'Austria, l'Austria sostenne la Turchia contro la Gran Bretagna, la Gran Bretagna e l'insieme degli imperialismi democratici (e coloniali) sostennero la resistenza etiope all'Italia, Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna appoggiarono la Cina del Kuomintang nazionalista contro il Giappone... Tutto ciò è inevitabile dentro uno scenario mondiale segnato dalla lotta delle potenze per la spartizione del mondo. Ma ciò non invalida il sostegno ai movimenti nazionali o alle guerre nazionali antimperialiste. Al contrario. Proprio la lotta contro tutti gli imperialismi, e contro l'imperialismo in generale, è inseparabile dal sostegno a una guerra nazionale contro l'imperialismo.
Lenin inquadrava così la questione:

«Gli stati maggiori si adoperano assiduamente a sfruttare nella guerra attuale ogni movimento nazionale e rivoluzionario nel campo dei loro avversari: i tedeschi, l'insurrezione irlandese; i francesi, il movimento ceco, ecc. E, dal loro punto di vista, hanno perfettamente ragione. Non si può seriamente condurre una guerra seria senza sfruttare le minime debolezze dell'avversario; senza approfittare di ogni possibilità tanto piú che non è assolutamente dato sapere in quale preciso momento e con quale forza «scoppierà», in questo o quel luogo, l'una o l'altra polveriera. Saremmo dei pessimi rivoluzionari se, nella grande guerra di liberazione del proletariato per il socialismo, non sapessimo approfittare di ogni movimento popolare contro le singole calamità, generate dall'imperialismo, allo scopo di inasprire e di estendere la crisi.» (Risultati della discussione sull'autodecisione)

Se l'imperialismo è il nemico dell'umanità e il principale strumento di rapina e di guerra nei confronti non solo del proprio proletariato ma anche delle nazioni oppresse, battersi per l'egemonia del proletariato nella lotta delle nazioni oppresse è parte integrante della lotta contro l'imperialismo e per la rivoluzione socialista internazionale. Questa impostazione fonda a sua volta la piena indipendenza politica della classe operaia nei confronti del nazionalismo, sia esso della nazione dominante (imperialista), sia esso della nazione oppressa (dipendente). È un punto importante. I comunisti non sono mai “nazionalisti”, neppure all'interno dei movimenti nazionali o delle guerre nazionali contro l'imperialismo. Il punto di riferimento è sempre la rivoluzione socialista internazionale, dunque l'indipendenza da ogni borghesia nazionale. Ma l'indipendenza da ogni borghesia non è e non può essere una posizione di indifferenza tra il nazionalismo della nazione dominante e quello della nazione oppressa, tra un paese imperialista e chi a questo si oppone. Al contrario, la lotta internazionalista all'interno del paese imperialista per il diritto di autodeterminazione della nazione che opprime si salda alla lotta per l'egemonia nella nazione oppressa contro le sue direzioni nazionaliste, piccolo-borghesi o addirittura reazionarie. Solo la combinazione di questa politica e della sua diversa articolazione nei diversi scenari può fondare l'alleanza internazionalista tra il proletariato della nazione dominante e il proletariato della nazione oppressa, contro le rispettive borghesie.


UCRAINA: DISFATTISMO INTERNAZIONALISTA E DIFESA NAZIONALE

Si tratta allora di applicare questa impostazione generale al contesto particolare della guerra in Ucraina. E di farlo sapendo che ogni contesto ha inevitabilmente le proprie specificità irriducibili, ma che proprio per questo è necessario un metodo generale con cui affrontarle e padroneggiarle.
La guerra in Ucraina intreccia livelli diversi, oltretutto in un quadro in pieno movimento. Comprendere il loro intreccio è importante quanto comprendere la loro distinzione. E viceversa, ridurre la complessità della guerra ad un solo elemento presente (o l'elemento interimperialistico o l'elemento nazionale) non solo impoverisce l'analisi ma distorce la stessa linea di intervento. Forse la semplifica, sicuramente la svilisce.

Dicendo “né con la Russia né con la NATO” abbiamo definito la nostra contrapposizione a entrambi i poli imperialisti (Russia e NATO). Abbiamo detto che entrambi sono corresponsabili della guerra, perché entrambi perseguono il controllo dell'Ucraina dentro la spartizione delle zone d'influenza. La guerra stessa è figlia di questa lotta. Qui sta l'elemento interimperialista della guerra in corso. Qui sta la nostra parola d'ordine disfattista (“il nemico principale è in casa nostra”) all'interno della Russia come nel campo della NATO. E siccome in quanto PCL operiamo nel campo della NATO – quello degli imperialismi d'Occidente, incluso l'imperialismo italiano – il baricentro del nostro intervento disfattista è innanzitutto contro di questi. Contro la grande corsa al riarmo (impressionante la svolta tedesca), contro le stesse sanzioni antirusse, i cui costi sono scaricati sui salari e sui posti di lavoro del proletariato d'Occidente, mentre in piena pandemia si prospetta un'ulteriore corsa all'indebitamento pubblico per finanziare il militarismo, procurare commesse all'industria bellica, sostenere la ricerca militare. Il clima isterico e maccartista contro tutte le posizioni non atlantiste, tutte accusate di intelligenza col nemico, serve solo a motivare la ragione pubblica di questa politica imperialista.

La domanda è: l'elemento interimperialista assorbe in sé ogni altro aspetto di questa guerra? In altri termini: la guerra della Russia contro l'Ucraina è riducibile al solo elemento interimperialista? A noi davvero non pare. Persino la cronaca quotidiana della guerra ci parla di altro. Ci parla della specifica guerra dell'imperialismo russo contro la nazione Ucraina, e della resistenza ucraina alla guerra dell'imperialismo russo. Ovviamente la NATO, per i propri scopi imperialisti, appoggia la resistenza ucraina contro la Russia, anche coi rifornimenti militari, attività di addestramento, basi militari di appoggio. Ci sarebbe da sorprendersi se così non fosse. Ma il sostegno militare all'Ucraina coincide con l'ingresso della NATO in guerra?


LA SPECIFICITÀ DELLA GUERRA RUSSA ALL'UCRAINA

Se così fosse, dovremmo concludere che la terza guerra mondiale imperialista è già cominciata, con tutti i terribili risvolti ed incognite che questo comporta per la sopravvivenza stessa dell'umanità. Se questo fosse, la questione ucraina sarebbe certo archiviata e riassorbita in un confronto planetario, la parola d'ordine della trasformazione della guerra imperialista contro la borghesia sarebbe centrale su ogni fronte, l'intera politica dei rivoluzionari sarebbe costretta a una improvvisa e drammatica torsione su scala mondiale e in ogni paese. Ma così oggi non è. Può essere che questo sarà lo scenario futuro. Non ci pare probabile, almeno in tempi immediati, ma certo è (drammaticamente) possibile. E tuttavia confondere una possibilità futura con la realtà presente non è un buon metodo per i marxisti.

Nell'oggi la NATO sceglie di non aprire la guerra contro la Russia. Il rifiuto della no fly zone sui cieli ucraini significa questo. Gli stessi imperialismi che sanzionano la Russia per i propri scopi, che lanciano campagne di riarmo, che inviano armi all'Ucraina, annunciano ogni giorno che non è nelle loro intenzioni entrare in guerra. Gli USA pensano alla competizione strategica con la Cina, non a morire per Kiev. Il governo nazionalista di Zelensky, che invoca ogni giorno invano la no fly zone, è ben consapevole della differenza tra sostegno militare all'Ucraina e ingresso in guerra al fianco dell'Ucraina. Possiamo ignorarla noi?

La guerra della Russia all'Ucraina ha dunque oggi una propria specificità. L'ha sul campo, da un punto di vista militare. L'ha dal punto di vista nazionale, perché vede contrapposte due nazioni che si sono fronteggiate nella storia. Una nazione dominante, la Russia, e una nazione dominata, l'Ucraina. Il nuovo imperialismo russo, nato dal crollo dell'URSS e dalla restaurazione capitalistica, ha trovato la propria espressione in un regime politico bonapartista e in un corso politico sciovinista, esplicitamente rivolto a celebrare le glorie della grande Russia imperiale, contro i lavoratori russi e contro i lavoratori ucraini.

Il discorso di Putin del 21 febbraio che di fatto apriva la guerra le forniva anche la motivazione pubblica: l'Ucraina non è una nazione, ma un'invenzione di Lenin e dei bolscevichi. Stalin ha provato a porre rimedio a questa “folle invenzione” ma non è andato sino in fondo. Putin si candida a completare l'opera, ad estirpare la “follia” bolscevica, a riassorbire l'Ucraina nella Grande Russia. Nel tempo breve è il recupero dell'Ucraina alla sfera dell'influenza russa dopo i fatti di piazza Maidan del 2014. In un quadro più complessivo è il tentativo della Russia di sfruttare l'indebolimento dell'egemonia mondiale americana dopo la disfatta in Iraq e in Afghanistan, e la centralità della competizione degli USA con la Cina sul Pacifico, per recuperare le proprie posizioni in Europa, e modificare gli equilibri intervenuti negli ultimi trent'anni. È tutto comprensibile dal punto di vista imperialistico. Le grida scandalizzate degli ambienti liberali atlantisti sulla violazione del diritto internazionale e altre amenità riflettono solamente la loro ipocrisia. L'imperialismo non conosce la forza del diritto ma solo il diritto della forza, in ogni epoca e in ogni quadrante. Ma il punto è capire quale posizione assumere nei confronti di questa guerra dal punto di vista classista e proletario.


LA DIFESA DELL'UCRAINA E LE VARIABILI DELLA GUERRA

La guerra all'Ucraina dell'imperialismo russo non si configura come puro atto militare, ma come guerra d'invasione. Con i caratteri tipici di una guerra d'invasione. Non sappiamo quale sarà il suo esito, né sappiamo a dire il vero se lo stesso Putin ha già una visione della forma che dovrebbe assumere dal suo punto di vista il recupero del controllo russo dell'Ucraina (rovesciamento militare del governo ucraino, occupazione militare, spartizione ecc.). Sappiamo che questa guerra conosce una resistenza, sia militare che civile. La sua direzione è borghese nazionalista, con tratti anche reazionari. Ma indipendentemente dalla natura del governo ucraino, e indipendentemente dai sentimenti nazionalistici della popolazione, indipendentemente dalla presenza di alcune organizzazioni fasciste, i comunisti hanno il dovere di difendere l'Ucraina dall'imperialismo russo. Come hanno difeso l'Iraq e la Serbia dall'aggressione degli imperialismi occidentali e NATO, indipendentemente dalla natura del regime di Saddam Hussein o di Milosevic. È il principio di autodeterminazione della nazione ucraina, del suo diritto storico all'esistenza contro chi lo nega e la vuole cancellare.

Naturalmente il quadro della guerra può cambiare. Anche rapidamente. Nel caso ad esempio di un arretramento della Russia sul terreno diplomatico in direzione della difesa dei vecchi accordi di Minsk, e nel caso che il governo ucraino decidesse, in quel contesto, la prosecuzione della guerra contro la Russia, il cambio di scenario sarebbe rilevante. Segnerebbe da un lato il sostanziale fallimento del disegno imperialista russo di riconquista dell'Ucraina – un fallimento imposto dalla resistenza incontrata – ma dall'altro una modifica della natura stessa della guerra: da guerra di difesa dell'Ucraina contro un'aggressione imperialista a guerra offensiva dell'Ucraina, col sostegno NATO, contro la Russia. In quel caso si imporrebbe una posizione di disfattismo bilaterale. Ma così oggi non è. Oggi resta all'ordine del giorno la guerra della Russia contro l'Ucraina, e il diritto di resistenza ucraina alla Russia.


IL DIRITTO ALLA RESISTENZA UCRAINA E LE ARMI DELL'IMPERIALISMO NATO

La resistenza alla guerra o è anche militare o non è. Da comunisti ci opponiamo alla guerra, vorremmo cancellarla dalla faccia della terra. Ma la guerra è oggi una realtà, come lo è lo sfruttamento e l'oppressione, inseparabili dal capitalismo e dall'imperialismo. Oggi l'imperialismo russo ha scatenato una specifica guerra contro l'Ucraina. Contrapporsi all'imperialismo e alla sua guerra significa sostenere la resistenza ucraina. Non ci sono vie di fuga da questa inevitabile conclusione. Chi evoca il rifiuto delle armi e l'etica della nonviolenza si colloca fuori dallo scontro in atto per salvarsi l'anima, fosse pure con le più nobili intenzioni, quando non finisce involontariamente con l'avallare la richiesta di resa all'Ucraina da parte di ambienti capitalistici che pensano solo al ritorno della tranquillità dei propri affari, indipendentemente dalle ragioni e dai diritti dei popoli. Di più. L'evocazione della pace come mito assoluto al di sopra delle classi e dei diritti nazionali diventa canale di legittimazione delle diplomazie imperialiste, dei loro negoziati e dei loro traffici. Al punto da salutare come attori di pace lo stato sionista d'Israele che bombarda i palestinesi o il regime di Erdogan che stermina i curdi. Oppure di sognare una diplomazia dell'Europa che sia cosa diversa da quella dell'imperialismo francese, impegnato a domare i popoli dell'Africa subsahariana, o dell'imperialismo tedesco in fase riarmista, o dell'imperialismo italiano, intento a rivalutare il colonialismo tricolore prefascista. Tutti, peraltro, imperialismi NATO allineati sulla politica delle sanzioni e della propria guerra economica alla Russia.

Sostenere la resistenza ucraina significa appoggiare l'invio di armi all'Ucraina da parte delle potenze imperialiste della NATO? No. Perché l'invio di armi è inseparabile dalle ragioni politiche dell'invio: preservare il controllo degli imperialismi NATO sull'Ucraina, ai fini della sua spoliazione pacifica e democratica da parte del Fondo Monetario Internazionale, quella spartizione che negli ultimi otto anni ha impiccato l'Ucraina al pagamento di un gigantesco debito estero, condizionando ogni prestito ai tagli sociali. Siamo contro questa rapina e contro i governi imperialisti che la gestiscono. Non diamo alcun credito alle loro operazioni, ma le denunciamo. Il loro sostegno alla resistenza è come la corda che sostiene l'impiccato. Il diritto di autodeterminazione dell'Ucraina che oggi difendiamo dall'imperialismo russo è incompatibile con la tutela degli imperialismi NATO, e richiede, in prospettiva, una rottura anticapitalistica coi loro interessi.

Ma qui e ora il popolo ucraino ha il diritto di difendersi dall'invasione russa con tutti gli strumenti disponibili, indipendentemente dalla loro provenienza. Non sabotiamo questo diritto, non boicottiamo il suo esercizio. È il diritto di ogni resistenza. La politica rivoluzionaria subordina sempre i mezzi ai fini. Sono i fini a selezionare i mezzi, tanto più quando i mezzi sono le contraddizioni del campo avversario. Il governo bolscevico di Lenin e di Trotsky si predispose a usare il sostegno interessato – alimentare e militare – dell'imperialismo francese e britannico nello scontro con l'imperialismo tedesco pur di salvare la rivoluzione. L'insurrezione irlandese del 1916 si predispose a usare armi tedesche per sollevarsi contro l'imperialismo britannico. Una resistenza venezuelana all'eventuale aggressione dell'imperialismo USA avrebbe tutti i diritti di servirsi del sostegno economico e militare dell'imperialismo russo e dell'imperialismo cinese. Una resistenza catalana o basca all'aggressione dell'imperialismo castigliano avrebbe il diritto di usare a proprio vantaggio tutte le contraddizioni tra gli imperialismi europei... Perché dunque dovremmo negare alla resistenza ucraina i diritti che riconosciamo ad altri popoli?


LA NECESSARIA AUTONOMIA DAL NAZIONALISMO UCRAINO

Il punto essenziale è combinare la difesa popolare dell'Ucraina con la totale autonomia politica dal nazionalismo reazionario ucraino e dal governo di Kiev.
Denunciamo non solo la sua politica di subordinazione dell'Ucraina al capitale finanziario internazionale e agli stati imperialisti occidentali, ma anche la sua negazione dei diritti nazionali delle popolazioni russofone. Dal 2014, dalla rivolta reazionaria di piazza Maidan (che alcune sinistre sventurate presentarono come rivoluzione) i governi nazionalisti ucraini hanno cancellato non solo l'attività legale dei partiti comunisti ma anche i diritti linguistici della minoranza russofona, nel segno di una contrapposizione frontale, politica e militare, alle “repubbliche” del Donbass. È la politica che ha mirato a dividere il proletariato ucraino in funzione della raccolta elettorale dei sentimenti antirussi. È una politica che ha agevolato di fatto la campagna reazionaria speculare dello sciovinismo grande-russo di Mosca. Naturalmente la campagna per la “denazificazione” dell'Ucraina è una truffa propagandistica, la versione russa delle guerre umanitarie degli imperialismi occidentali. Ma le munizioni di questa truffa sono state fornite dal nazionalismo della Grande Ucraina. Sgretolare il muro del nazionalismo ucraino è la condizione decisiva per ricomporre l'unità tra il proletariato dell'ovest e dell'est del paese, e per disarmare politicamente gli spazi di consenso dello sciovinismo russo.


I DIRITTI NAZIONALI DELLE POPOLAZIONI RUSSOFONE E LE REPUBBLICHE DEL DONBASS

Il diritto di autodeterminazione che vale per il popolo ucraino deve valere anche per i diritti nazionali della popolazione russofona. Ciò che significa anche il diritto alla separazione. Tuttavia un diritto è tale se il suo esercizio è libero. Il diritto di autodeterminazione della minoranza russofona è incompatibile non solo col nazionalismo ucraino ma anche con le truppe di occupazione dell'imperialismo russo.

Contrariamente alle leggende circolate a piene mani in diversi ambienti della sinistra radicale, i governi di Donetsk e di Lugansk non sono affatto governi proletari, e neppure antifascisti. Tanto più oggi. Il loro personale dirigente è segnato da figure equivoche, persino reazionarie, coinvolte negli affari delle oligarchie nate con la restaurazione capitalistica ucraina, che proprio nell'Est ha trovato la principale espressione. Avventurieri come Gubarev, Borodai, Strelkov, saliti ai vertici delle Repubbliche, hanno inneggiato al peggiore nazionalismo dell'estrema destra russa (Dugin), hanno perseguitato i comunisti (in particolare a Donetsk), hanno rivendicato bandiere e gesta delle armate bianche contro la Rivoluzione d'ottobre negli anni della guerra civile del 1918-1921.

Non a caso Putin ha trovato sponda in questi ambienti. Non a caso, come all'ovest sono nati Settore Destro e il battaglione Azov, lance di punta del nazionalismo ucraino e fattore di richiamo di ambienti fascisti europei (CasaPound), così all'Est si contano presenze parafasciste non meno inquietanti: il battaglione Vostok, l'"esercito ortodosso russo”, Oplot, con relativa capacità d'attrazione di altri ambienti fascisti di casa nostra (Forza Nuova). Questi riferimenti e culture convivono con i richiami alla "grande guerra patriottica" dell'Unione Sovietica, non in ragione della sua base socialista, ma piuttosto della sua retorica nazionalista grande-russa di estrazione staliniana. Si tratta in buona sostanza di un impasto rossobruno.
La natura politica delle repubbliche separatiste non rimuove la necessità di difendere i diritti nazionali delle popolazioni russofone dal nazionalismo ucraino, così come la natura del governo ucraino non rimuove la necessità di difendere l'Ucraina dallo sciovinismo grande-russo. Ma certo identificarsi nelle repubbliche separatiste significa gettare il proletariato ucraino dell'ovest tra le braccia del suo governo nazionalista, e rafforzare la divisione del proletariato ucraino.


L'INTERNAZIONALISMO PROLETARIO CONTRO OGNI NAZIONALISMO.
PER UN'UCRAINA INDIPENDENTE E SOCIALISTA


Unire la classe lavoratrice ucraina significa combattere contro l'imperialismo russo e contro il nazionalismo reazionario ucraino. Per un'Ucraina indipendente e socialista rispettosa dei diritti nazionali delle sue minoranze. Indipendente e socialista: nella consapevolezza che solo la rivoluzione socialista diede all'Ucraina una reale indipendenza, liberandola dall'oppressione polacca, tedesca e russa.
Nel corso della rivoluzione russa del 1917, dopo il rovesciamento dello zar, Lenin si batté contro il governo borghese provvisorio nato dalla Rivoluzione di febbraio anche perché rifiutava di concedere il diritto di autodeterminazione alle nazionalità oppresse, inclusa l'Ucraina. Il diritto di autodeterminazione dell'Ucraina fu una delle bandiere della Rivoluzione d'ottobre.

L'Unione Sovietica, scaturita dall'Ottobre, rispettò il diritto di autodecisione dell'Ucraina, e la Repubblica Socialista Sovietica d'Ucraina trovò il suo posto nella libera unione delle repubbliche sovietiche, conquistando ampi settori della massa contadina cui la rivoluzione aveva dato la terra, e sottraendoli per questa via alla reazione bianca e al nazionalismo reazionario ucraino, antirusso e antisemitico. Solo il bolscevismo si è rivelato in grado di disarmare il nazionalismo nel segno della fratellanza proletaria. Ma lo ha fatto non ignorando la questione nazionale ucraina, bensì riconoscendola e affrontandola dal punto di vista di classe e socialista.

Nel novembre del 1919 Lenin proponeva al Comitato Centrale del Partito Bolscevico una risoluzione che affermava:

«In considerazione del fatto che la cultura ucraina (lingua, scuola, ecc) è stata soppressa per secoli dallo zarismo russo e dalle classi sfruttatrici, il Comitato Centrale del Partito Comunista impone a tutti i membri del partito di usare ogni mezzo per contribuire a rimuovere tutte le barriere sulla via dello sviluppo della lingua e della cultura ucraine. Poiché i molti secoli di oppressione hanno dato origine alle tendenze nazionaliste tra le fasce arretrate della popolazione, i membri del partito devono esercitare la massima cautela nei confronti di tali tendenze e devono opporsi ad esse con parole di spiegazione sull'identità degli interessi dei lavoratori dell'Ucraina e della Russia»

Un anno dopo, in piena guerra civile, combattuta in larga misura in Ucraina, Lenin scrisse una "Lettera aperta agli operai e contadini ucraini”.

«Il potere sovietico in Ucraina ha i suoi compiti speciali. Uno di questi merita la massima attenzione in questo momento. È la questione nazionale, o, in altre parole, la questione se l’Ucraina debba essere una Repubblica Socialista Sovietica Ucraina separata e indipendente, vincolata in alleanza (federazione) con la Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, o se l’Ucraina debba amalgamarsi con la Russia per formare un’unica repubblica sovietica. Tutti i bolscevichi e tutti gli operai e i contadini politicamente consapevoli devono riflettere attentamente su questa questione. L’indipendenza dell’Ucraina è stata riconosciuta sia dal Comitato esecutivo centrale panrusso della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa che dal Partito Comunista Russo. È quindi evidente e generalmente riconosciuto che solo gli stessi lavoratori e contadini ucraini possono decidere e decideranno al loro Congresso dei soviet di tutta l’Ucraina se l’Ucraina si fonderà con la Russia, o se rimarrà una repubblica separata e indipendente, e, in quest’ultimo caso, quali legami federali saranno stabiliti tra quella repubblica e la Russia. [...] Vogliamo un'unione volontaria delle nazioni, fondata sulla piena fiducia, sul riconoscimento dell'unità fraterna, sul consenso assolutamente volontario.»

Furono questi i principi della Rivoluzione russa. Quelli che che oggi Putin condanna come follia, muovendo guerra all'Ucraina. Sono i diritti che nessun paese imperialista, per “democratico” che sia, ha mai garantito alle nazioni che opprime.

L'Ucraina attuale paga la cancellazione di quelle conquiste lungo la regressione storica del Novecento. Prima la controrivoluzione politica staliniana, poi la restaurazione capitalistica hanno riproposto in forme diverse quell'oppressione nazionale che il bolscevismo aveva debellato, alimentando inevitabilmente il grande ritorno del nazionalismo, sia nella forma dello sciovinismo russo antiucraino sia nella forma del nazionalismo ucraino antirusso. Solo il recupero della politica leninista e di un programma socialista, rivoluzionario e internazionalista, può nuovamente indicare alle masse oppresse e sfruttate dell'Ucraina la via del proprio riscatto sociale e nazionale.

Marco Ferrando

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