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La scure dei licenziamenti si abbatte sugli operai della Bosch di Bari

Rispondere con la lotta

18 Febbraio 2022
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Con lo sblocco dei licenziamenti della scorsa estate si è aperta una nuova fase nella lotta di classe condotta dal padronato contro la classe operaia. Dopo la dismissione di Alitalia sono difatti tantissime le realtà industriali che sono state sottoposte alla scure dei licenziamenti, dal Nord al Sud. In taluni casi gli operai e i lavoratori hanno posto in campo una reazione molto forte ai licenziamenti, giungendo sino ad occupare la fabbrica, come è accaduto alla GKN di Firenze. In altre situazioni, invece, il potenziale combattivo di lotta degli operai è stato diluito dall’assenza di una risposta unitaria delle principali direzioni sindacali all’aggressione padronale. È stato cioè il comportamento delle grandi centrali sindacali, impegnate strenuamente in una concertazione al ribasso, a consentire la vittoria dei padroni nella gran parte delle vertenze conclusesi. Non è una novità, ovviamente, ma è un segnale inquietante, poiché la fase che si apre, soprattutto nel settore automobilistico, è quella di una profonda ristrutturazione industriale che si muoverà, però, lungo alcune direttrici fondamentali, già largamente sperimentate prima della pandemia: impiego sempre maggiore di lavoratori più facilmente ricattabili perché assunti con contratti a termine, eventualmente rinnovabili; delocalizzazione della produzione nei paesi dell’Europa dell’est (o nei paesi asiatici) dove il costo del lavoro è più basso; incremento della produttività attraverso il contenimento dei salari e l’aumento dell’intensità del lavoro. Senza una ripresa generalizzata del conflitto, dunque, la nuova fase di ristrutturazione della produzione post-pandemia, collegata alla grottesca “green-economy”, produrrà l’espulsione dal lavoro di imponenti settori di classe operaia in tutte le aree geografiche del nostro paese.


LA SITUAZIONE NELL'AREA INDUSTRIALE DI BARI

Nell’area industriale barese, la dinamica dello scontro di classe non si sottrae a questo quadro. Un primo campanello di allarme era suonato con il licenziamento di due operai della Skf, ritenuti, dai padroni, responsabili della produzione di pezzi difettosi. Torneremo avanti su questa vicenda. Sono in realtà tutte le fabbriche dell’area industriale che rischiano un pesante ridimensionamento o addirittura la chiusura. Il caso più eclatante è quello della Bosch, uno dei maggiori insediamenti operai nel Mezzogiorno sotto-industrializzato, con 1700 operai circa impiegati nella produzione. La multinazionale tedesca, che attualmente produce componenti per motori diesel, ha prima lanciato, poi smentito e infine rilanciato definitivamente la volontà di apportare un pesantissimo taglio di personale: circa 700 operai dovranno essere espulsi dalla fabbrica barese per effetto della ristrutturazione aziendale. Tutto il settore della produzione automobilistica sta attraversando una fase di ristrutturazione legata alla trasformazione dei motori a combustione in motori elettrici. Questo cambiamento, per certi versi epocale, viene ora accelerato in Italia dall’arrivo dei fondi del PNRR. La strategia criminale delle grandi multinazionali è quello di utilizzare questa ghiotta occasione per acquisire nuovi macchinari con fondi pubblici (cioè con soldi dei lavoratori) e contemporaneamente ridurre l’impiego di forze produttive nel nostro paese, delocalizzando gran parte della produzione nei paesi dell’Europa dell’est. I 700 esuberi annunciati dalla Bosch preludono, probabilmente, ad ulteriori pesanti tagli. È esattamente la stessa strategia utilizzata dalla Stellantis negli stabilimenti in Abruzzo.

Non è, tuttavia, solo alla Bosch di Bari che è previsto un pesante ridimensionamento della produzione. Venti di guerra soffiano anche nella ex Osram, nella Magneti Marelli e in altre realtà, dopo una stagione di sconfitte pesanti (ex OM Carrelli, Transcom, Natuzzi e molte altre) del sindacalismo concertativo filo-padronale che ha condannato alla cassa di integrazione e poi alla disoccupazione migliaia di operai. Non sono solo gli operai a rischiare l’espulsione dal lavoro. Si preannunciano forti ridimensionamenti del personale anche in Tim Bari e nel call center Brsi di Bitritto. Ma vi sono molte altre realtà lavorative dove la minaccia dei licenziamenti potrebbe manifestarsi già nelle prossime settimane.

Di fronte a questo quadro drammatico risulta assolutamente indispensabile prepararsi alla lotta. Tuttavia, come la storia, anche quella recente, ci insegna, affinché le lotte possano condurre ad un esito vittorioso è necessario che nelle singole vertenze gli operai siano in grado di costruire dei comitati di fabbrica e una direzione delle lotte che affronti con radicalità lo scontro in atto. Dalla nostra analisi delle varie realtà territoriali ci sembra che questo sia, ad oggi, il limite principale da superare. Abbiamo ancora nella testa il drammatico esito della vertenza dell’ex Ilva di Taranto e le dinamiche concertative che hanno condotto al licenziamento di diverse migliaia di operai e l’impressione che abbiamo, analizzando i rapporti di forza nella Bosch, è che a un destino simile potrebbero essere condannati gli operai della multinazionale tedesca se non svilupperanno metodi radicali di lotta in risposta all’aggressione dei padroni.


LA VICENDA DEGLI OPERAI SKF LICENZIATI

Per quello che riguarda la zona barese va osservato che, nel corso degli ultimi anni, sono nati alcuni importanti collettivi operai, costituiti da avanguardie sindacali e politiche marxiste che conducono un lavoro di propaganda nelle realtà in crisi. Tra queste ci sembra importante citare l’esperienza di Mezzo caffè, un giornale operaio che, tra l’altro, esercita una costante critica del comportamento delle locali burocrazie sindacali. A seguito del licenziamento dei due operai della Skf è inoltre sorto anche un Comitato contro i licenziamenti, costituito da diverse avanguardie sindacali e politiche del variegatissimo arcipelago della sinistra. Questo comitato ha svolto un importante ruolo in una recente vertenza operaia, coordinando le mobilitazioni a sostegno della lotta di uno dei due operai della Skf licenziati. Questa vicenda merita di essere raccontata poiché indica un salto di qualità, probabilmente ancora embrionale, nella presa di coscienza degli operai baresi: dopo aver rifiutato diverse centinaia di migliaia di euro in cambio delle sue dimissioni, l’operaio ha difatti impugnato legalmente il licenziamento e la magistratura ha dovuto dargli ragione, imponendo la sua reintegra nel posto di lavoro. Una piccola importante vittoria resa però possibile dalla presenza in Skf di una avanzata componente sindacale marxista, in particolare quella della CUB, e dalla grande dignità dell’operaio licenziato, che ha intrapreso la strada dello scontro frontale con i padroni. Ad oggi il lavoratore non è stato ancora reintegrato perché i padroni della Skf hanno a loro volta impugnato la sentenza della magistratura e, pur dovendo pagargli il salario, preferiscono tenerlo a casa, vietandogli di rientrare in fabbrica. Evidentemente ai padroni fanno paura gli operai con la schiena dritta!


LA TAPPA BARESE DELL'INSORGIAMO TOUR

La vicenda dell’operaio licenziato è stato uno dei tanti temi affrontati durante l’incontro tenutosi l’11 febbraio nella sede della CLAB (Camera del Lavoro Autorganizzata di Bari) con il collettivo di fabbrica GKN, in una delle tappe dell’Insorgiamo tour. La riunione è stata molto partecipata e ha costituito un importante momento di confronto tra le avanguardie sindacali e politiche baresi e gli operai del Collettivo di fabbrica GKN.

Come sezione pugliese del PCL pensiamo che la lotta sviluppata dagli operai della GKN rappresenti un esempio che tutta la classe operaia italiana dovrebbe provare ad emulare. Nel descrivere la loro vicenda i compagni di GKN hanno in pratica riassunto, nei suoi elementi fondamentali, quello che può essere considerato un esempio di applicazione pratica del Programma di transizione, spesso richiamato in modo meccanico da alcune organizzazioni pseudotrotskiste, ma incompreso nella sua reale dinamica e applicazione concreta.

Una prima conclusione a cui ci sembra di poter giungere è la seguente: la vicenda del collettivo di fabbrica GKN è la dimostrazione più lampante di quanto sia importante, per poter tener testa all’attacco padronale, la presenza di un’avanguardia sindacale solidamente marxista in una fabbrica. Perché non si tratta solo della vicenda dell’occupazione della fabbrica ma di tutta la gestione della lotta, a partire dalla lunga fase di relativa pace sociale che l’ha preceduta; una fase in cui il comitato dei lavoratori GKN ha posto le basi di una analisi collettiva, cioè condivisa dal corpo degli operai di tutta la fabbrica, della realtà della fabbrica e delle dinamiche che avrebbero portato alla chiusura. Cioè il collettivo di fabbrica GKN ha lavorato costantemente, lungo tutta la fase che ha preceduto l’occupazione, ad innalzare il livello di coscienza degli operai GKN.

Ma questa vicenda ci lascia un’altra importantissima lezione. Essa dimostra la concretezza del collettivo di fabbrica GKN, il cui lavoro non è consistito nel ripercorrere quelle dinamiche, tipiche delle sette ultrasinistre, che consistono nel blaterare slogan rivoluzionari nelle assemblee per apparire i più duri e puri; al contrario, anche utilizzando i sindacati concertativi, il collettivo GKN ha condotto un lento lavoro preparatorio di organizzazione teorica e pratica del conflitto, con il fine di sviluppare l’autorganizzazione degli operai. Autorganizzazione operaia senza la quale non sarebbe stato possibile, ad esempio, espellere le guardie padronali e avviare l’autogestione della fabbrica.

Ma questa vicenda è importante anche perché dimostra la capacità del comitato di coniugare la lotta per le rivendicazioni immediate con la prospettiva - ineludibile se si vuole davvero invertire la lunga stagione di sconfitte del movimento operaio - dell’insurrezione generale dei lavoratori in tutto il nostro paese. Capacità che si è manifestata nella concretezza di chi non rifiuta la possibilità di una risoluzione parlamentare delle singole vertenze attraverso una legge contro le delocalizzazioni (possibilità peraltro resa impossibile, nei fatti, dalle vergognose disposizioni legislative adottate dall’attuale governo), né teme il confronto al MISE, ma al contempo non nutre alcuna illusione nella soluzione concertativa e si prepara dunque a resistere, coordinandosi con tutto il movimento di solidarietà della sinistra toscana.

Ed è importante, infine, la capacità del collettivo GKN di fare concretamente un’analisi dei rapporti di forza tra capitale e lavoro in Italia e, a partire dall’amara constatazione di rapporti di forza assolutamente sfavorevoli in questa specifica congiuntura, decidere di percorrere in lungo e in largo tutta la penisola per spiegare alla classe operaia di tutto il paese che la risoluzione vittoriosa di ogni singola vertenza operaia, incluso quella della Bosch Bari, dipende solo dall’unione di tutti i lavoratori attorno a un piano di rivendicazioni e dalla loro capacità di porre con radicalità, sul terreno del conflitto, il peso della loro enorme forza.
E dunque, con dei temi così importanti e così sentiti dai lavoratori, la serata barese alla CLAB dell’Insorgiamo Tour non poteva che ridestare alla partecipazione attiva le avanguardie sindacali e politiche che vi hanno partecipato.

E, tuttavia, non bisogna né farsi illusioni, né d’altra parte fasciarsi la testa prima di essersela rotta: nelle fabbriche dell’area industriale barese non esiste, ad oggi, escludendo i pochi esempi sopra citati, un’avanguardia in grado di rompere il tranello delle burocrazie sindacali. In risposta all’annuncio dei licenziamenti, la FIOM ha tuttavia annunciato due giornate di sciopero alla Bosch per il 25 ed il 26 febbraio, durante le quali si preannuncia un importante presidio dinanzi alla fabbrica. Ci sembra sia importante che, durante quel presidio, le avanguardie sindacali e politiche combattive provino a spiegare, agli operai della Bosch, che fidarsi ancora una volta delle decisioni prese dall’alto dalle direzioni nazionali dei sindacati confederali servirà esclusivamente a preparare il terreno di una nuova mattanza sociale; che l’unico modo per salvare il posto di lavoro è quello di rispondere all’aggressione padronale attraverso l’auto-organizzazione operaia, cioè attraverso la formazione di un comitato rappresentativo di tutti i lavoratori della Bosch che elegga democraticamente nelle assemblee i suoi delegati e i suoi portavoce. Perché solo tali delegati potranno rappresentare, in tutti i confronti che si svilupperanno, le richieste provenienti realmente dalla base operaia. È questa l’unica strada per evitare la sconfitta che si materializzerebbe dal delegare le direzioni delle grandi centrali sindacali colluse con i padroni a rappresentare le istanze dei lavoratori, come la storia degli ultimi quindici anni di vertenze a Bari ci ha insegnato. Solo attraverso la creazione di un comitato di fabbrica i lavoratori della Bosch potranno decidere democraticamente al loro interno, a partire dalla loro analisi della situazione, se è giunto, come noi crediamo, il momento di avviare, anche alla Bosch Bari, l’occupazione e l’autogestione della fabbrica.

Partito Comunista dei Lavoratori - sezione pugliese

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