Dalle sezioni del PCL

Ballottaggio a Roma, un'altra prospettiva

18 Ottobre 2021
gualtierimichetti


Il ballottaggio, per la natura stessa dell'impostazione maggioritaria della legge elettorale, impone una scelta fra due candidati maggiormente votati che non sono riusciti ad essere eletti al primo turno: l'applicazione più che pratica del detto comune che recita "delle due, l'una”, inducendo l’individuo a scegliere tra una proposta o l’altra. Non ci sono scelte “altre”: o l'uno, o l'altro candidato.
Le sollecitazioni a votare la coalizione a sostegno di Roberto Gualtieri contro la candidatura unitaria di centrodestra (a sostegno di Enrico Michetti) necessitano di un chiarimento e una posizione del PCL anche, e soprattutto, in forza delle "ragioni" con cui settori della società civile, dell'associazionismo di sinistra e/o del sindacalismo - ovunque collocati - si spingono, ancora una volta, nel discorso di accettazione subalterna del meno peggio.


LO SPETTRO DEL MENO PEGGIO

Le due opzioni rappresentate da Michetti e Gualtieri rappresentano, con buona pace di chi sostiene il contrario, due facce di un’identica medaglia. Intendiamoci: la differenza che sta in superficie, assurta a paradigmatica e generale, da parte di coloro che sostengono Gualtieri in quanto sia meno peggio del candidato di centrodestra, è palese: non stiamo sostenendo che da un punto di vista morale, umano o di physique du rôle della carica che entrambi aspirano ad ottenere siano effettivamente sovrapponibili. Chi sostiene che Michetti sia “il peggio del peggio” ha ragione. Ma è la risposta ad essere sbagliata, Corrado Guzzanti docet.

La critica che rivolgiamo è tutta interna alle posizioni politiche che entrambi posseggono per cui, stavolta sì, c’è una sovrapponibilità e giustapposizione di tematiche che vedono l’originale reazionario (Michetti) impostato in un certo modo e la fotocopia della destra reazionaria (Gualtieri) divergere di qualche millimetro, tuttavia ben inserita all’interno del quadro economico del centrodestra. Né l’uno, né l’altro sono portatori di una diversa visione della città, al netto della propaganda da bar di questi mesi.

Nessuno dei due ha detto una parola riguardo il debito pubblico di Roma Capitale: una tra le principali questioni dell’immobilismo e del fallimento della città (così come pur correttamente citato da Paolo Berdini, ex assessore e candidato sindaco dell’omonima lista al primo turno).

Perché questa questione è così importante per chi scrive?

Perché è la madre delle questioni che fanno parlare di “coperta corta” nella gestione economica del governo di Roma Capitale. Già il Commissario Straordinario per il Rientro del Debito del Comune di Roma, Silvia Scozzese, relazionando in commissione bilancio della Camera dei Deputati del 5 aprile 2016, disse testualmente: «Né i piani di rientro del debito di Roma Capitale finora redatti, né il documento di accertamento definitivo del debito sembrano contenere una ricognizione analitica e una rappresentazione esaustiva della situazione finanziaria da risanare antecedente al 2008. Attualmente, per il 43% delle posizioni presenti nel sistema informatico del Comune, non è stato individuato direttamente il soggetto creditore».

Tagliando con la metaforica accétta: il Comune deve ridare dei soldi, ma "non sa" a chi.

C'è chi ha giocato coi soldi dei romani, c'è chi ha finanziarizzato il debito facendolo pagare a tutta la città.

C’è chi lo ha fatto utilizzando i voti degli elettori millantando cambiamenti stratosferici andando a favorire il capitalismo finanziario piuttosto che le periferie della città e le opere di cui Roma ha bisogno da almeno un trentennio.

Centrodestra e centrosinistra, in questo, sono più che complici: sono soci. Lo stesso Gualtieri era ministro dell’economia durante il lockdown: il PNRR e i soldi che arriveranno portano anche la sua firma. I disastri che subiranno gli strati popolari da un simile meccanismo economico-finanziario sono, invece, sempre gli stessi e a pagare saranno i soliti noti. Ma d’altra parte va avanti così da circa trent’anni: il protocollo è chiaro.

Il potere politico di Roma viene spartito di lustro in lustro da candidati di centrodestra e di centrosinistra, ad eccezione dell’amministrazione Raggi la quale, nonostante fosse arrivata al governo della città ponendo come primaria la questione dell’audit sul debito, non ha mosso un dito in tal senso. Anzi, nell’ambito dell’inaugurazione di un comitato elettorale del IV municipio in appoggio di candidati della lista civica che porta il suo nome, la sindaca uscente ha avuto modo di dichiarare: «Roma è passata da un outlook negativo a un outlook stabile. Vuol dire che siamo tornati ad essere affidabili sul mercato, affidabili per gli investitori. Un’inversione pazzesca [di tendenza]».

Il messaggio delle tre coalizioni maggiori (così come della Lista Calenda) è chiaro: a noi interessa fare affari sulla pelle dei cittadini romani, nient’altro.

La realtà cruda è sotto gli occhi di tutti ma viene ammantata dalla differenza tra le polemiche sterili (es. i cinghiali) oppure riguardo i diritti civili, riguardo cui ci sarebbe - secondo i sostenitori di Gualtieri - un abisso tra i due. Ovviamente c’è, ma la questione dell’identità sessuale non può essere posta come unico elemento dissonante fra due candidati che rappresentano gli interessi di pochi contro la maggior parte della popolazione. La riproposizione di politiche nefaste rappresenterà una globale negatività tanto per le persone eterosessuali quanto per le persone LGBTQI+.


UNA NECESSARIA "CASSETTA DEGLI ATTREZZI"

“Bisogna essere realisti e pragmatici: votare il meno peggio, non si può sempre dire che il PD è orribile ovunque, bisogna calibrare il dissenso e appoggiare la coalizione di centrosinistra là dove si può creare alterità in determinati territori”. Questo, più o meno, l’adagio dei sostenitori del voto contro l’altra coalizione. All’interno della coalizione di centrosinistra, in effetti, vi è stata una larga porzione di elementi appartenenti ai centri sociali, all’associazionismo civico di sinistra, che ha accettato la subordinazione politica candidandosi sostenendo l’area del PD a sostegno di Gualtieri al comune come in ogni municipio. L’esperimento della lista di sinistra è andato piuttosto male, rispetto alle aspettative, e ha scontato un confronto impietoso con i candidati della galassia democratica inseriti nella lista del PD o nella “civica per Gualtieri”, soprattutto nei municipi. Lo “spostamento a sinistra dell’asse del centrosinistra”, di dilibertiana/vendoliana memoria, non ha avuto alcun tipo di successo o capacità politica, se non mostrare - ancora una volta - come non ci sia la volontà di appoggiare una prospettiva anticapitalista da parte di una certa porzione dell’attivismo sociale della città, in funzione di un’immanenza cogente che, spesso, si intreccia con il personalismo di personaggi politicamente poco raccomandabili in perenne cerca di voti e nuovi bacini elettorali per consolidare la propria posizione che - altrimenti - perderebbero.

Non possiamo scindere, nell'analisi generale, un PD meno peggio dell'altro in ragione della contingenza elettorale o della localizzazione territoriale, come se - ad esempio - quello di Primavalle sia migliore di quello nazionale oppure seguendo l’adagio “in questo caso meglio questo che l'altro”. Dobbiamo essere consapevoli che questa è un'illusione evanescente, un’affermazione che vale solo nel momento della sua enunciazione e che va poco oltre. Sappiamo tutti che le classi dirigenti locali non sono altro che "digerenti" della linea nazionale e sostenitori di politiche sbagliate, esattamente come l'altro schieramento.

Le ragioni del non appoggiare nessuna delle alternative proposte prende le mosse dalla natura stessa delle posizioni assunte dal PCL nel corso degli anni e di questa (mesta) campagna elettorale nello specifico.

Il PCL ha proposto sin dall'inizio un programma di classe ai programmi liberali del Centrosinistra. Entrambi rappresentanti di Confindustria e dei poteri forti. Il centrosinistra ha portato sia un candidato che un programma appiattito sulle politiche liberali, genuflesso ai poteri forti. Il punto non è fare, adesso, il distinguo tra due correnti del pensiero borghese, ma creare una vera alternativa. La verità è che l'unica vera alternativa è la cacciata delle classi dirigenti del Paese, e l'avvento di un governo dei lavoratori.
In ogni lotta parziale, nazionale o locale, il PCL continuerà a battersi per questa prospettiva di liberazione.
Ci impegneremo, concretamente, da questo momento in poi, a rilanciare il PCL nella città di Roma nel segno di una lotta per un governo delle lavoratrici e dei lavoratori, l’unico che realisticamente possa realizzare misure di rottura col sistema dei partiti che ha giocato con le nostre vite, i nostri soldi, il nostro avvenire, scaricando la crisi e il debito della città sulla maggioranza dei romani. Se non ci si batte per un governo delle lavoratrici e dei lavoratori, se si persegue la ricomposizione di un “nuovo” centrosinistra, se ci si muove in ogni caso in una logica solo istituzionale ed elettorale, alla fine si continuerà a muoversi in funzione del contingente, sperando che cambi qualcosa se in quel dato territorio o porzione di municipio l’area verde “x” è stata salvata dalla cementificazione. Insomma, generalizzando il particolare e rendendo avulso ogni guizzo, pur localmente positivo, da una prospettiva globale che ha bisogno di respiro e di un’organizzazione, soprattutto, che ne faccia vivere i contenuti.

Il PCL è qui per questo: cassetta degli attrezzi contro la barbarie selvaggia.

Partito Comunista dei Lavoratori - sezione di Roma

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