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Fascisti tremate, arriva Landini!

16 Ottobre 2021

In vista della manifestazione di oggi di CGIL-CISL-UIL, proponiamo una lunga riflessione sullo stato attuale dell’antifascismo militante

landini roma cgil


«Vorrei che fosse chiaro che se qualcuno ha pensato di intimidirci, di metterci paura, di farci stare zitti, deve sapere che la CGIL, il movimento dei lavoratori sono quelli che hanno sconfitto il fascismo in questo Paese, hanno riconquistato la democrazia: non ci intimidiscono, non ci fanno paura»
(Maurizio Landini, il giorno dopo l’assalto fascista alla CGIL di Roma)

Non fa paura a Landini il montante fascismo. Forse però, in vista della manifestazione di oggi, dovrebbe farlo riflettere. Perché pure noi paura non ne abbiamo, ma solo per la semplice ragione che da materialisti storici facciamo quel che dobbiamo, ben consci che accadrà quel che potrà. Ma se pensiamo appunto che quel che è accaduto sabato scorso a Roma potrà accadere di nuovo, qualche timore più che fondato non possiamo non farcelo venire. E non dovremmo farcelo venire solo noi.

È vero, è stato il movimento operaio a sconfiggere il fascismo, e poco importa che l’abbia fatto col contributo alleato. Le principali città d’Italia, da Napoli a Torino, furono liberate dalla Resistenza ben prima dell’arrivo degli alleati. I tanti «liberi pensatori» che sopravvalutano l’apporto degli alleati irridendo la Resistenza (apporto per altro sempre ambiguo e in fondo doppiogiochista: la scopo reale degli alleati era liberarsi più della rivoluzione che del fascismo) non hanno il baricentro della loro Storia nelle lotte di classe, perciò non si chiedono mai cosa avrebbe potuto fare la Resistenza se non fosse stata stoppata da Stalin e Togliatti. Perché è per questo che la Resistenza ha liberato “solo” Napoli e l’alta Italia, altrimenti del semiapporto degli americani avrebbe fatto anche a meno, perché sarebbe stata più rapida e soprattutto internazionale, come l’incendio di una rivoluzione in tutta Europa.

Naturalmente il qualunquista storico obbietterà che la Storia non si fa coi se e coi ma. A noi non serve ribattere, ci basta registrare il dato di fatto di una Resistenza continuamente frenata e depistata dai suoi stessi dirigenti, per confermare semplicemente che il suo potenziale fu largamente inespresso. Valuti chi legge, quindi, quanto possa essere fondata la nostra ipotesi più che prudente.

Il fascismo sconfitto di cui parla Landini è però il fascismo alla fine del ventennio, un fascismo non in ascesa ma già in caduta libera. Un fascismo a cui il movimento operaio dette la spallata decisiva. Senza questa spallata il fascismo avrebbe potuto prolungare non sappiamo di quanto la sua agonia, ma certo non avrebbe potuto arrestare la fine ingloriosa della sua parabola. È questo il fascismo che non fa paura a Landini. E in fondo ha ragione, perché per questo fascismo in rovina pure una burocrazia perniciosa come quella della CGIL da lui guidata potrebbe bastare.

Epperò il fascismo montante di oggi – ammesso per ipotesi al momento molto improbabile che possa tornare nella forma dittatoriale di un secolo fa – quello con cui Landini dovrebbe confrontarsi, non è il fascismo moribondo della Repubblica sociale di Salò, ma più simile, qualora ritorni davvero, a quello in ascesa della Marcia su Roma: quello che la CGL se la mangiò in un boccone, quasi senza colpo ferire.

Landini fa bene a distinguere il “movimento dei lavoratori” dalla CGIL. Anche se queste sono due parti della stessa classe operaia, solo studiando il processo dialettico che intercorre tra le due parti si può comprendere bene come si sia mossa l’una e come l’altra, scoprendo quali raggiri, quali sotterfugi, quali meschine astuzie abbia dovuto usare la seconda per indurre a più miti consigli la prima e imbrigliarla.

Il fascismo andò al potere sull’onda di riflusso del “biennio rosso”. L’immensa delusione degli operai per la rivoluzione tradita dalla CGIL e dai socialisti disorientò a tal punto le masse che non seppero più riprendersi dalla reazione fascista. La rivoluzione era già stata stoppata e fatta rifluire dalla burocrazia riformista di socialisti e dirigenti CGL, ma la paura di agrari e imprenditori era ancora così forte per le occupazioni del biennio rosso che dello stato liberale non ne vollero più sapere. Solo Mussolini poteva difendere la proprietà privata borghese. E Mussolini fu. Il fascismo fu il castigo inflitto alla classe operaia per la colpa dei riformisti di non aver voluto neanche provare a far la rivoluzione.

La nostra classe arrivò all’avvento del fascismo attraverso una serie di tappe disastrose: prima, quasi come prologo, nel settembre 1920, la burocrazia sindacal-socialista restituì le fabbriche occupate ai padroni in cambio di notevoli miglioramenti economici (due settimane di ferie, rialzo dei salari del 25%, eccetera). La miglior vittoria economica (Buozzi) in cambio della peggiore disfatta politica della Storia. Le porte al fascismo si spalancarono così. Ma il fascismo ancora non sarebbe entrato se la stessa burocrazia non avesse firmato il “patto di pacificazione” col fascismo nel 1921 e non avesse fatto poco e nulla al momento dello scioglimento dei sindacati (patto di Palazzo Vidoni). Il tutto condito con patetici appelli al re perché fermasse il fascismo; al Parlamento perché salvasse la democrazia borghese; alla polizia perché difendesse operai e Camere del lavoro e agli operai perché disertassero le prime formazioni armate spontanee – gli Arditi del Popolo – perché bisognava «avere il coraggio di essere vili» e bisognava «non provocare la reazione».

La burocrazia avrebbe mobilitato chiunque pur di tener fermi i lavoratori, persino il Signore, ma Dio si sa è di destra, per cui mobilitò la Chiesa insieme al fascismo, al re, al Parlamento, alla polizia e all’esercito contro il “diavolo rosso”, e agli operai non restò che assistere, attoniti, allo spettacolo indecoroso del loro principale partito che ammainava la bandiera rossa per innalzare in quattro e quattr’otto, quasi giulivo e felice, bandiera bianca.

Unica tappa positiva di questo processo, al netto di tantissimi altri episodi minori, la nascita del nostro originario partito, il Partito Comunista d’Italia, che non nacque semplicemente dalla scelta di Gramsci e Bordiga, come ha riportato la stampa borghese nelle sue interessate commemorazioni per il nostro centenario. Il PCd'I non nasce semplicemente dall’idea dei nostri due fondatori principali (le idee non sono mai qualcosa che gira per la testa di qualcuno in base a come si sveglia alla mattina, sono anche e soprattutto il riflesso di uno scontro sociale in atto); è il portato del processo rivoluzionario iniziato in Russia nel ‘17 e proseguito in Italia nel ’19-'20, e un po’ in tutta Europa. L’avanguardia rivoluzionaria si stacca dalla parte marcia, traditrice e riformista della retroguardia. Si stacca perché nonostante il tradimento socialista del biennio rosso c’è ancora la possibilità di acciuffare la rivoluzione e fermare così il fascismo. La condizione è la crescita del partito rivoluzionario, non della ricomposizione pura e semplice dell’unità infranta coi socialisti, che è solo la palla al piede degli operai. Ma il partito appena nato è giovane e compie errori di estremismo: per purezza non vuole unirsi agli Arditi del Popolo, soffre di astensionismo elettorale, infine non capisce ancora un tubo della tattica del fronte unico. Questi tre errori sono fatali, ma non cancellano l’insegnamento più istruttivo: la nascita per scissione dai riformisti traditori.

In tutte e due le fasi rivoluzionarie e cruciali per l’avvento e la caduta del fascismo, il comportamento prima della CGL e poi della rinata CGIL fu sempre lo stesso: sempre controrivoluzionario (anche se per motivi diversi: per subordinarsi alla borghesia nel primo caso, per subordinarsi allo stalinismo nel secondo). Grazie alla zuccherosa storia borghese, che è tutta un inno al buon senso, lo stesso sostanziale comportamento genera due giudizi opposti: col fascismo in ascesa, stroncare la rivoluzione significò aprire le porte al fascismo, e perciò la CGL e D’Aragona qualche responsabilità se la devono cuccare, perché persino la Storia borghese o riformista non ce la fa proprio a passarci sopra in silenzio; col fascismo al tramonto, invece, dirottare la rivoluzione verso la democrazia borghese, con l’aggiunta di un pezzo di carta straccia chiamato Costituzione, basta e avanza per riempire di panna il cuore dello storico di tutti i colori, rivoluzionario escluso, e decorare così la CGIL di onore e gloria in eterno per l’avvento della repubblica democratica padronale.

Ora, se confrontiamo l’oggi con cento anni fa, cosa c’è di simile e cosa di diverso? Da un punto di vista della composizione delle classi, manca tutto un un mondo agricolo su cui il fascismo non può più contare. È però in aumento di molto il sottoproletariato che può compensarne in parte la perdita. La politica rivoluzionaria della classe operaia, che è l’unica politica in grado di trascinarsi dietro la piccola borghesia cauterizzando l’influsso nefasto del sottoproletariato, è bandita dalle forze che dominano nel movimento operaio. Questa politica codarda delle burocrazie sindacali e politiche, tutte di matrice stalinista o riformista, è benzina sul fuoco che incendia la reazione.

Al di là della composizione di classe, se consideriamo il fascismo nel suo significato più profondo di dittatura aperta del capitale finanziario, per un suo nuovo avvento manca tutto un processo rivoluzionario che spinga la classe operaia sul piede di guerra. La risposta della borghesia allora non fu solo dettata dalla rivoluzione italiana. Domata questa, infatti, ci stava ancora lo spauracchio di quella russa a terrorizzarla. Oggi è sparito anche quel timore. È difficile che in queste condizioni la borghesia ricorra a una misura così estrema per risolvere i suoi problemi. Finché senza il fascismo riesce ad avere un parlamento – lo stesso praticamente monocolore – sarebbe folle spingersi fino alla dittatura aperta. Tanto più che la borghesia dispone pure di una burocrazia sindacale ancora più pronta di allora a sdraiarsi sotto ai suoi piedi. Basta solo che la borghesia le offra un tavolo!

Inoltre, a livello internazionale, se la borghesia non ha più il terrore rosso a minacciarla ad Est, è tuttavia imbrigliata in quel compromesso tra imperialismi chiamato Unione Europea. L’Unione Europea ha già ampiamente dimostrato di saper chiudere un occhio al suo interno verso i regimi autoritari. Stiamo parlando però di regimi autoritari periferici. Difficilmente l’UE potrebbe reggere al suo interno una dittatura aperta di uno dei suoi paesi chiave come l’Italia. L’imperialismo italiano ha tutto da perdere in un quadro del genere. L’arresto di una dozzina di fascisti, tra cui Roberto Fiore, il capo di Forza Nuova, ne è in fondo una conferma: la borghesia frena il fascismo perché non ha molto interesse ad accelerare gli eventi.

Gli eventi però non si possono controllare del tutto come si vuole. E se questi sono certamente i fattori che più rendono improbabile il ritorno in tempi brevi del fascismo, dobbiamo analizzare anche alcune controtendenze. I cicli del capitale oggi sono sempre più brevi e asfittici, tanto che assomigliano e sempre più assomiglieranno a una specie di lunga stagnazione. Questo scompagina le forze borghesi e piccolo-borghesi, tanto che il parlamento, nonostante tutti i trucchi – dai premi di maggioranza ai governi tecnici – fa sempre più fatica a trovare un normale e duraturo equilibro. Partiti crescono e crollano alla velocità della luce, si pensi alla lunga parabola di PCI e DC e a quella brevissima di Renzi e M5S. Alla lunga tutto questo può stufare la borghesia, che potrebbe propendere per le maniere forti della scelta estrema, specie se, facendo due conti – e nessuno sa fare i conti meglio della borghesia – decidesse che è ora di mettere in pratica fino in fondo l’enorme sproporzione dei rapporti di forza a suo favore.

Fino ad oggi, il fascismo è stato la risposta di una borghesia in difficoltà, di fronte a rapporti di forza che andavano riequilibrandosi a favore del proletariato. Prima che si spostassero ulteriormente a sinistra la borghesia irrompeva col fascismo. Ma che può succedere quando i rapporti di forza si spostano, mai come ora, tutti verso destra? La borghesia non potrebbe essere presa da una specie di delirio di onnipotenza?

Non dimentichiamo che la burocrazia sindacale, oltre ad essere ancora più remissiva di allora, ha perso anche la sponda di due partiti di massa quali il partito socialista e quello comunista, che non esistono più. Allora la borghesia, nonostante la forza potenziale di questi due partiti, vinse tutto sommato facilmente. Figuriamoci che gioco da ragazzi sarebbe vincere oggi, quando quei partiti manco ci sono più.

L’antifascismo che oggi si appresta a scendere in piazza contro il fascismo è in questo stato comatoso. Landini, per peggiorarlo, subito dopo l’attacco ha ricevuto in pompa magna Mario Draghi, ringraziandolo con un abbraccio. Ha fatto, esattamente come i socialtraditori di ieri, appello al parlamento perché sciolga le organizzazioni fasciste, proprio a quello stesso parlamento che, non avendola mai applicata, ha praticamente sciolto la Costituzione il giorno stesso che l’ha varata; ha subito in silenzio in televisione quel servo di Maurizio Molinari mentre equiparava No TAV e fascisti, cioè chi lotta contro il capitale a chi lotta contro gli operai, giusto per smorzare l’attacco fascista e farci capire da che parte sta e starà la stampa al momento del dunque; ha disertato la mobilitazione dei sindacati di base lunedì, che era la prima naturale risposta che poteva dare all’attacco – al suo posto ha proclamato questa manifestazione senza un’ora di sciopero, e coi due corpi di guardia padronale, CISL e UIL, a tener ancora più immobile di quanto già non sia la CGIL.

L’antifascismo si fa anzitutto contro i padroni, che sono i veri mandanti dei fascisti. Manifestare contro i fascisti, dopo un attacco del genere, senza toccare un solo centesimo del portafogli dei loro protettori, significa incoraggiarli a proseguire. Se per una Camera del Lavoro assaltata non viene messo in conto ai padroni manco un euro, i padroni si sentiranno incoraggiati a mandare qualcuno a devastarne un’altra o a fare di peggio.

Orfana della pusillanimità dei socialisti come della immatura generosità del partito comunista appena nato, la CGIL va a manifestare a Roma avendo da tempo perso il legame stretto con la classe. Allora, nonostante i tradimenti e il servilismo, il legame con la classe e con tutte e due le organizzazioni politiche era profondo. Eppure già allora tutto questo non bastò. Lo spettacolo della camere del lavoro aperte domenica 10 ottobre con praticamente solo l’apparato a sventolare contro il fascismo è qualcosa che dovrebbe inquietare anche il più sprovveduto dei militanti. La burocrazia CGIL ha già mostrato più volte nella storia capacità di recupero, e anche stavolta non possiamo né escluderlo né sottovalutare le molte risorse che la CGIL può trarre dal fondo della sua storia lunga e complessa. Intanto però dobbiamo registrare il dato di fatto di uno scollamento tra base e vertici che non è mai stato così ampio.

A questo bisogna aggiungere l’estremismo regressivo dei sindacati di base che mentre la CGIL veniva attaccata dai fascisti no green pass, sotterravano una piattaforma classista per sprecare il primo giorno di lotta sostanzialmente unitario a gridare anche loro “no green pass”. E tutto questo succedeva il giorno dopo che la CGIL veniva devastata proprio da una manifestazione no green pass a trazione fascista. La loro diserzione, che si annuncia parziale o totale, dalla manifestazione della CGIL è figlia anche di questa deriva antiscientifica e reazionaria per la difesa di un pugno di tessere, perché anche se ammantano le loro ragioni di chissà quali teoremi classisti, il problema di fondo è questo e solo questo.

Infine, in questa panoramica, dobbiamo dare un occhio anche ai vari comitati antifascisti. Entrati in crisi quando il PD è andato al governo al posto di Salvini, si sono un po’ rianimati quando Salvini ci è rientrato. Tuttavia restano comitati di un antifascismo interclassista. Verrebbe quasi da definirlo "antifascismo da fronte popolare", se non fosse per l’assenza nei comitati della grande borghesia. Forse, questo antifascismo potremmo meglio definirlo come antifascismo da “fronte sociale”. La sua composizione eterogenea mischia studenti ad associazioni no profit di stampo "equo e solidale", oltreché naturalmente salariati.

I salariati impegnati nei comitati antifascisti stanno di norma ai margini della classe operaia, raramente giocano qualche ruolo attivo dentro la classe, e quando lo giocano è un ruolo più o meno di subordinazione alle burocrazie di turno. Questo antifascismo è sostanzialmente idiosincrasico alla classe operaia rivoluzionaria, perché è un antifascismo per lo più istintivo, ideologicamente piccolo-borghese, refrattario allo studio e alla teoria, infatti ha subito incorporato l’idea base e un po’ anarcoide dei gruppuscoli autonomi e dei centri sociali, l’idea cioè di essere loro il soggetto della storia, anziché la classe operaia. L’idea sbagliata, insomma.

L’antifascismo o è proletario o non è. Di più: l’antifascismo o è rivoluzionario o è l’antifascismo che si prepara a perdere. Il soggetto rivoluzionario per eccellenza è la classe operaia. L’antifascismo che si rifiuta di radicarsi nella classe operaia è quindi destinato a ridursi pian piano a folklore o, nelle migliore delle ipotesi, ad essere travolto il giorno della piena fascista. È appena il caso di aggiungere che nume tutelare di questo antifascismo è l’ANPI, quello che in vista dell’arrivo di Draghi patrocinò l’appello all’unità per Salvare l’Italia. Un antifascismo del genere presto o tardi si mette nel sacco da solo.

Tra i risultati più importanti di questi comitati c’è l’aver ottenuto in varie città delibere che mettono al bando i fascisti da qualsiasi attività politica. È l’attuazione, in piccolo, della Costituzione. Lungi da noi sminuire questi risultati, tuttavia queste delibere ottenute nel crescendo di atti fascisti dimostrano ancora di più l’impossibilità di vincere il fascismo per via legale. Lo stato borghese e i suoi apparati – parlamento, magistratura, esercito, carabinieri e polizia – restano come e più di prima il corpo di guardia della proprietà privata borghese. I fascisti sono l’ultima cartuccia che la borghesia tiene di scorta per i casi eccezionali in cui rischia di essere espropriata. È per questo che lo stato borghese non può mai sciogliere del tutto i fascisti, ed anzi tende sempre a tollerarli. Lo fa in vista di scenari peggiori per la classe dominante.

Abbattere il fascismo è questione esclusiva, dunque, della classe operaia. Il movimento operaio può farlo contando solo sulle sue forze, rispondendo colpo su colpo alle provocazioni fasciste. Per questo è importante ripristinare alla svelta il servizio d’ordine che presidi le manifestazioni e che risponda alla violenza fascista con una violenza ancora maggiore. Perché non esiste altra strada. Se i fascisti menano bisogna menarli più forte. È questo in fondo il modo di combatterli delle prime, spontanee formazioni armate: gli Arditi del Popolo. Allora il neonato Partito Comunista d’Italia non capì l’importanza di parteciparvi e per purezza né restò fuori. E tuttavia, proprio gli errori del PCd'I, dimostrano che, nonostante le vittorie degli Arditi del Popolo, a gioco lungo persino le formazioni più combattive e rivoluzionarie non sono in grado da sole di vincere il fascismo. Per vincere devono essere subordinate e centralizzate da un partito rivoluzionario che le coordini.

Questo è lo scenario nel quale ci apprestiamo a scendere a Roma. Oggi si annuncia la presenza di molta gente: società civile, partiti, intellettuali, artisti, registi, eccetera. Ma tra eserciti finti che sparano a salve (CISL e UIL), eserciti semifinti che temono più la mobilitazione delle loro truppe dei fascisti (CGIL), quanti salariati vedremo, RSU e delegati a parte?

Landini ha ancora qualche ora per deludere altre possibili presenze e ridurre ancora di più il potenziale che vuol sprecare. Per ora quel che è certo è che sabato andrà in scena l’antifascismo retorico e sostanzialmente innocuo. Quell'antifascismo che scende in piazza sabato, ma è sostanzialmente l’antifascismo della domenica. Quello che piace a borghesi e burocrazia sindacale. Il problema è ricreare un antifascismo di classe, rivoluzionario, l’unico che può battere il fascismo in ascesa. Senza la classe diretta dal suo partito rivoluzionario il fascismo in ascesa non lo sconfiggi.

Noi porteremo il nostro contributo per ricostruire precisamente tutto questo. Come sempre. Ma mentre lo portiamo mettiamo in guardia da facili illusioni, perché bisogna dirlo chiaro e tondo che questo antifascismo burocratico di una CGIL arrivata ai massimi livelli di immobilismo e di ignavia, a piegarlo come un grissino non sono solo i fascisti, persino i Barbapapà armati di zucchero filato potrebbero mangiarselo in un boccone.

Lorenzo Mortara

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