Dalle sezioni del PCL

Signor professore, studi!

Risposta alla lettera di Angelo d'Orsi

14 Ottobre 2021
d'orsi


Signor professore,

dopo la sconfitta elettorale di «Sinistra in Comune» e lo sfaldamento con accenti di dissociazione più e meno indignati per la sua dichiarazione di voto al PD, il sito Marxismo Oggi pubblica la sua replica alle accuse di tradimento rivoltele da PaP e Rete dei Comunisti, la lettera aperta che ha intitolato «L’estremismo è ancora una malattia, non solo infantile. Lettera aperta ai compagni e alle compagne di Potere al Popolo» (1).

Avremmo risposto in ogni caso, perché tante se non tutte le tematiche su cui l’ex candidato si posa a volo di farfalla recano un carattere politico generale che riguarda metodo e merito di una politica di classe, il vero significato di categorie evocate sempre più a sproposito, il passato che non passa e un diffuso senso comune dell’oggi.
La sua lettera, signor professore, rientra in quel dibattito a sinistra che è, insieme alle lotte contro il capitale e lotta a sua volta all’interno del nostro campo politico, di precipua importanza in un contesto di tanta confusione, disorientamento, incoscienza delle masse popolari. Più importante delle elezioni, anche se lei non condividerà certamente. Offre un rilevante spunto di analisi e raffronto tra differenti tattiche e strategie della sinistra radicale, un modo per spiegare le divergenze e convincere la platea del popolo della sinistra della correttezza di una linea contro un’altra, diradando la nebbia, guadagnando adesioni. È democrazia, la sola che sosteniamo, quella proletaria. Ma tanto più ci preme rispondere in quanto il rinomato gramsciologo chiama espressamente in causa il Partito Comunista dei Lavoratori e un suo non meglio identificato «esponente». Il PCL non risparmia critiche a nessuno, e non ha mai avuto paura di farsi nemici, se è questo il costo di dar voce a quella «verità che è sempre rivoluzionaria». Lei, professore, è nella piena facoltà di esercitare il suo diritto di critica. Solo, si richiede che questa critica sia almeno veridica. Perché dalla critica alla calunnia, già che rammemora le purghe staliniane, il confine si valica in un attimo, ma la differenza è dal giorno alla notte. Contestare in parte o in toto una posizione oggettivamente sostenuta dalla controparte si chiama critica. Attribuirle tesi e scopi falsi per poi istruirle contro un pretestuoso processo no.
Ma andiamo con ordine, e passiamo al vaglio non solo la riga che ci cita, ma tutta la lettera, proprio nello spirito costruttivo di quel dibattito a sinistra e proprio per riaffermare quella verità storica e generale che interessa ai fini di bilanci e prospettive per costruire una vera politica di alternativa in questo Paese, e non solo.

La sua lettera, professore, si apre ricordando l’espulsione di Trotsky e la persecuzione dell’Opposizione di sinistra da parte di Stalin. Non peritandosi di chiarire la puntualità del riferimento, non si offenderà se la ipotizziamo da noi: l’allusione vorrà probabilmente significare che le critiche ricevute dopo aver annunciato che «col PD può esservi dialogo» diano sostanzialmente corso alla stessa campagna di diffamazione e potenziale crimine stalinista. Se così è, la patente di stalinista dovrebbe appiopparla a Marx ed Engels, quanto impietosi nelle loro polemiche contro Proudhon, Bakunin, Mazzini e una interminabile lista di sedicenti socialisti e rivoluzionari! A Lenin, quanto implacabile contro Kautsky, Bernestein e perfino i suoi medesimi compagni di partito come Bogdanov e Lunacharskij! Allo stesso Trotsky - e conviene che avrebbe del paradossale - quanto irriducibile contro lo stesso Stalin, contro Plechanov, contro stessi suoi simpatizzanti come Serge o Nin, contro i socialisti rivoluzionari, gli anarchici, i menscevichi dalla parte del golpe piccolo-borghese di Kronštadt! Fino, professore, a far di Gramsci medesimo uno stalinista, morto sì per mano del fascismo, ma di quel fascismo che si affermò per responsabilità delle dirigenze socialdemocratiche che disinnescarono la rivoluzione proletaria in Italia e riconsegnarono le chiavi del controllo sociale alla borghesia che, stanca di scioperi e occupazioni, le assegnò infine a Mussolini. Col loro filisteismo, col loro «mandarinismo», non cesserà di accusare, il fondatore del Partito Comunista d’Italia, o Turati e D’Aragona che hanno armato la mano del boia di Gramsci, dei socialisti, del proletariato italiano ed estero. Questo il grande rivoluzionario sardo non lo dimenticherà mai, come non dovrebbero dimenticarlo i «gramsciani».

La lettera continua con un riferimento più lungo alla gioventù di Salvador Allende. Ci ricorda che il gruppo Avance di cui egli faceva parte «decise di lanciare un manifesto che invitava a creare in Cile soviet di operai, di contadini, di soldati e di studenti. Allende ricorda che egli avvertì che si trattava di "una follia, che non aveva nessuna possibilità di riuscita, che era una sciocchezza colossale. Venne espulso dal gruppo su due piedi». Lei dice, professore: accusate me come i settari di Avance accusarono Allende, seppure Allende morì da eroe dimostrando dedizione assoluta. Nessuno infatti mette in dubbio che Allende sia morto rimanendo coerente alle sue idee. Ma erano idee sbagliate, professore, e per questo è stato assassinato non solo il leader di Unidad Popular ma tanta parte del popolo cileno. Allende, che era un riformista e non un marxista rivoluzionario, si rifiutò di istituire e armare i soviet. Per questo quando gli USA spedirono i commando fascisti, questi poterono prendere il potere senza scontrarsi con l’opposizione di un popolo in armi. Per questo, professore, la rivoluzione in Russia vinse e in Cile no. Le consigliamo un documentario, Santiago, Italia di Nanni Moretti, dove sentirà questa terribile verità enunciata dagli stessi operai cileni. «Vennero i fascisti, ma noi non avevamo come combatterli». A causa di quale linea politica, professore? Aveva ragione o no chi contrastava Allende sul tema dei soviet?

Ma lei queste domande non se le pone, a questa analisi non si spinge. Le è sufficiente la acritica mitografia di Allende delineata da tanta sinistra socialdemocratica per recriminare che lei sta all’eroico presidente come i suoi detrattori stanno ai settari-infantilisti di Grupo Avance. Decisamente superficiale da parte di un intellettuale. Superficialità direttamente proporzionale alla supponenza con cui intima altrui: «Abbiate conoscenza della storia del socialismo e del comunismo, della teoria e della prassi di questo grande movimento internazionale, che ha avuto i suoi vertici sublimi e i suoi abissi orrendi». E quale conoscenza ne ha lei, professore, per non comprendere il torto di Allende o per non curarsi se l’esecrato Stalin sia o no nel codice politico dei partiti che lo hanno candidato? Esprime orrore per la sua figura, e noi che siamo trotskisti veri non possiamo che compiacercene. Tuttavia, anche rispetto al più grande controrivoluzionario di tutti i tempi esiste una critica da sinistra e una da destra.
È al corrente, lei, professore, che una parte dei soggetti politici che la sostenevano, come PCI e Rete dei Comunisti, si richiamano alla tradizione stalinista? Quest’ultima formazione, sovranista di sinistra, sul suo organo online Contropiano arriva addirittura a condividere la tesi, che in ambienti campisti e rossobruni si rafforza opportunisticamente col rafforzarsi del sinoimperialismo, che in Cina governi il socialismo! Sciovinismo che non osa nemmeno lo stalinismo di sinistra.
È consapevole che Rifondazione Comunista in parte rimane stalinista e in parte rinnega Stalin da destra, cioè liquidando con Stalin tutta l’iniziativa sovietica?
È informato che lo stesso vale per Fronte Popolare e Potere al Popolo? Chieda ai dirigenti di tutte queste organizzazioni come si pongono a proposito della Guerra civile spagnola che lei stesso menziona, e che il Ken Loach che l’ha sostenuta raccontava in Terra e Libertà! Si faccia dire da che parte sta, ancora oggi, il gruppo dirigente di PCI o RdC, se con Stalin o coi rivoluzionari russi e spagnoli.
L’unico soggetto tradizionalmente antistalinista ad averla sostenuta era Sinistra Anticapitalista. Uno su sette tra partiti e associazioni. Un po’ pochino, le pare? E un po’ illogico, allora, da parte di chi tiene al bilancio storico, candidarsi con chi non lo trae. Quegli «abissi» che ricorda e contrappone ai «vertici sublimi» della storia del comunismo vi è chi li rivendica da cima a fondo, chi di Trotsky e dei bolscevico-leninisti racconta ancora che fossero in tresca con Hitler e gli USA; che l’avanzata di Franco in Spagna non fosse da fermare con la rivoluzione socialista ma con la repubblica borghese che disarmò il proletariato e regalò il paese al fascismo; che lo stalinismo ha avuto ragione su tutta la linea e che il sangue che ha versato non era sangue bolscevico, non dell’80% del partito che fece la rivoluzione, dell’Armata Rossa che vinse la guerra civile, ma era sangue di traditori, di cospiratori, di rinnegati anticomunisti.
«Il nome di Stalin» lo annovera tra i tragici esempi. Ebbene, professore: lei è stato il candidato sindaco di un cartello elettorale formato all’80% di patrimonio stalinista. E PaP, che accusa di stalinismo proprio dove lo stalinismo non c’entra nulla, è solo il nipote abiatico del primo ceppo stalinista in Italia che si chiama Palmiro Togliatti, e che tutti i suoi patrocinatori rivendicano. Per cultura personale, professore, rinnoviamo l’invito: anche se non ha vinto le bramate elezioni, faccia un giro di domande nella sua coalizione. Imparerà, magari, che gli «abissi orrendi» riguardano i suoi stessi sostenitori, e non solo in ordine alla storia in bianco e nero, ma anche a quella recentissima fatta di voti alla guerra, voti alla precarietà, voti alle privatizzazioni dati da Rifondazione Comunista ai tempi in cui si componeva di tutti i dirigenti e i gruppi (eccetto PaP) che oggi formano gli altri partiti della coalizione. Orrendamente abissale è il precipizio in cui quel PRC precipita dall’oltre 2 milioni di voti (5,6%), piazzatasi quinta forza del Paese nei primi anni ‘90, alla disperata irrilevanza di oggi da cui non esce nemmeno con l’aiuto di magistrati, editori, intellettuali di volta in volta chiamati a restituirgli una qualche attendibilità.

Passiamo avanti. Non intendiamo difendere PaP di Torino, abbiamo già detto nell’articolo «Torino va al ballottaggio, d’Orsi vota PD» che è stato causa del suo male. Alla sua lettera segnatamente indirizzata a Potere al Popolo, se riterrà, il destinatario replicherà da sé. Ma vi sono cose sulle quali non si può soprassedere, professore. Se non altro per il rispetto di chi l’ha votata e della verità scritta, che noi sappiamo essere altra da quella pensata, e proprio per questo non siamo dell’avviso che una manciata di petizioni vagamente «sociali» sia sufficiente a costituire un programma e una proposta di alternativa seria e lungimirante. Proprio per questo ci cimentiamo qui nello sbugiardamento di simili operazioni elettorali. Proprio per questo ci siamo presentati da soli, consapevoli in partenza dell’esiguità del risultato. È comunicare alle masse la necessità della lotta anticapitalista il nostro obiettivo, guadagnare militanza al nostro partito. Il Lenin che cita impropriamente lo legga davvero! Scoprirà un feroce critico del «cretinismo parlamentare» (cit. Gramsci), dell’elettoralismo borghese che lei chiama «realismo».

Dopo aver ripetuto che ad averla sconfitta è stata, per lei, la «sindrome del voto utile» abbattutasi sull’elettorato stavolta già al primo turno; dopo aver dato di nuovo la colpa di ciò al potere taumaturgico delle parole di Lo Russo, novello Mago Silvan che diffonde un incantesimo via cavo e riesce a distogliere l’elettorato dalla altrimenti irresistibile alternativa di Angelo d’Orsi; dopo aver mostrato ancora che lei, professore, non ha nessuna voglia di dare un ripassino alla storia delle sinistre che l’hanno candidata e sulla memoria che del loro operato hanno lasciato in quel proletariato che preferisce l’astensione al votare sedicenti comunisti che poi legiferano contro se stesso pur di conservare una poltrona e «uscire dal precariato» (cit. Franco Turigliatto); dopo tanta professione di megalomania ed egocentrismo, spiega qual è la logica del doppio turno per giustificare la sua scelta di votare PD. Reiterazione inutile, professore, perché tutti hanno perfettamente capito. È lei che ha bisogno di un doposcuola per capire che, anche nella logica del ballottaggio, la sua posizione è oggettivamente in contrasto con l’essenza politica della sua coalizione. Coalizione che lei, proprio lei, professore, sta costringendo a smarcarsi dalle sue «personale valutazione» (!), a sfinirsi nel ripetere «le componenti della coalizione ribadiscono (…) che, in vista del ballottaggio del 17 e 18 ottobre, non esprimono indicazione di voto per nessuno dei due contendenti, in quanto rappresentativi entrambi dello stesso “Sistema Torino”, nonché, a diverso titolo, dei governi regionale e nazionale, contro i quali si sviluppa la nostra opposizione» (2). Si è accorto, professore, che la sua dichiarazione non ha scontentato solo PaP ma, più sommessamente (del resto il pablismo non è abituato a farsi sentire), anche Sinistra Anticapitalista all’indomani delle sue esternazioni si è sentita in dovere di annunciare: «Qui finisce la nostra campagna elettorale», «Noi scendiamo qui»?

Voglia accettare questa breve ripetizione, professore.
Lei è stato il candidato di una coalizione che faceva del suo principale slogan il seguente: Lo Russo e Damilano si presentano come avversari, mentre sono uniti nel favorire gli interessi dei potenti, contro i diritti e i bisogni della cittadinanza. Le risulta? Appariva a tutto campo nella home del sito di «Sinistra in Comune», colpendo come un pugno nell’occhio.
Approfondiamo. Potere al Popolo, pomo della discordia, è tanto (giustamente) convinto che PD e centrodestra siano la stessa cosa da avere in mente (non più giustamente) la seguente rappresentazione della realtà: esiste un nuovo bipolarismo oggi in Italia, sul modello DC-PCI del Novecento. Ma non è tra centrodestra e PD, ma tra centrodestra e PD da una parte, che costituiscono due bandiere della medesima politica, e dall’altra, a sinistra, il Movimento 5 Stelle. Questo, secondo PaP, è il nuovo soggetto progressista della scena politica italiana. Certamente contraddittorio, certamente da assestare, ma non è un nemico. Non quanto PD e Berlusconi. Aiutandola con uno schemino, professore, PaP si posiziona oggi nei confronti del M5S come Democrazia Proletaria si posizionava nei confronti del PCI. Come altrimenti si spiegava lo strano dato che, mentre da Palazzo Civico esce dopo più di sei disastrosi anni una giunta grillina (la seconda giunta grillina in ordine di importanza dopo Roma), la sloganistica della coalizione non pone neanche di passata il problema Sganga e la controcampagna si limita ai nomi di Lo Russo e Damilano?

Eccoci al nodo. Rispetto a questa impostazione ideologica, quando lei dice «il meno peggio è il PD» commette eccome un’infrazione, una violazione, un alto tradimento per PaP. Tradisce la filosofia politica sulla quale si costruisce PaP e sulla quale si è cercato di modellare, al fine di tener dentro questo partito tutto un carosello elettorale (posto che il PRC col PD è assai più conciliante). Può ribadire finché vuole che «la scelta è personale», non ci si può costituire parte politica quando fa comodo e quando non più rivendicare un’individualità che contravviene a quella parte. O qualche reazione c’è da aspettarsela.
La nuda e cruda verità è che con chi correva e su quali idee sono questioni che lei non ha perso tempo a porsi, professore, e l’esame della realtà l’ha colta impreparata e l’ha bocciata. Come del resto ha fatto PaP, il quale ha almeno la dignità di riconoscere lo sbaglio. Lei invece distribuisce colpe a destra e a manca, come fa lo studente rimandato che non vuole assumersi la responsabilità della propria negligenza. Lo stregone Lo Russo, l’elettorato stupido che casca nella balla del voto utile (che balla non ritiene, essendo poi lei, contraddittoriamente, il primo ad avvalorarla), i sabotaggi di chi non ritira i manifesti, l’infantilismo da citazione leniniana che non c’entra un tubo con la vicenda, la poca visibilità del nome sui poster, gli scarsi numeri mobilitati alle iniziative che generavano in lei «frustrazione e perplessità sulle vostre [di PaP] capacità». Che bassezza, quest’ultima, professore! Non si accorge nemmeno che volendo colpire i suoi critici, squalifica se stesso. Non le sfuggirebbe una frase del genere se fosse realmente presente nelle lotte (oggi, non nel ‘64) e conoscesse la fase di arretramento profondo in cui versa il proletariato e la sinistra radicale tout court.

Proseguiamo lungo la sua argomentazione del voto in favore di Lo Russo. Lei ritiene, professore, che ci si trovi di fronte a un pericolo fascista, e per scongiurare una tale sciagura occorrerebbe ben più che un voto al PD, ma una «Assemblea Costituente di tutte le forze democratiche e antifasciste», come proponeva «il suo» Gramsci. Fa bene a specificare che è «il suo», professore, perché non è quello reale.
Cosa c’entra, di grazia, quell'Assemblea Costituente proposta da Gramsci, che era proletaria, progressista, socialista e mirava a spezzare la borghesia sviluppando la rivoluzione e instaurando la dittatura del proletariato sull’esempio russo, con l’appoggio al principale partito della borghesia italiana per arginare un pericolo fascista che non c’è?
E le spieghiamo perché non c’è, e lei non può inventare storie che non esistono per giustificare condotte sbagliate e dire «sono mie personali valutazioni», professore. Gli intellettuali servono a far luce, non ad avere più diritto d’altri a restare nella caverna! Le analisi in proprio quando si è candidati con una coalizione politica non stanno né in cielo né in terra. Questo è infantile, altroché!
La borghesia conferisce pieni poteri ai fascismi solo di fronte a grandi minacce rivoluzionarie. Dovrebbe esserle noto, da storico e da gramsciano. Il fascismo è una politica avventurosa, e la borghesia preferisce non ricorrervi se non è costretta. A costringerla è solo il rischio di una rivoluzione sociale. In Italia il fascismo si instaura per interrompere il Biennio rosso, in Germania per respingere l’avanzata spartachista, in Spagna per difendere la borghesia dalla rivoluzione, e lo stesso in Cile. Lei sbaglia l’analisi di fase, professore, e con essa sbaglia tutto. Ma anche se l’analisi fosse giusta, anche se avessimo il fascismo alle porte, sbaglia a interpretare come la proposta di un interclassista fronte popolare, che salvaguarda gli stessi istituti democratico-borghesi che spianerebbero la via al fascismo, l’Assemblea Costituente di Gramsci che era invece la proposta di un fronte unico, tra soli soggetti di classe, soli soggetti fortemente progressisti. Ciò che il PD, converrà, non è.
In Italia, semmai, ricorre ciclicamente il rischio dell’affermarsi di un regime bonapartistico di destra. Salvini inseguiva questo progetto, sul modello del governo di Orbán. Ma sa, prima di Salvini, chi era l’altro Matteo che tentava una soluzione bonapartista della crisi italiana? Chi prendeva la testa del primo partito borghese, emarginando le sue vecchie componenti costitutive e riorganizzandolo attorno al proprio comando? Chi realizzava un nuovo sistema di governo, fortemente autocentrato, basato sulla ricerca di un proprio rapporto diretto con l’opinione pubblica interclassista quale leva centrale della propria forza politica? Chi perseguiva un progetto di riforma elettorale e istituzionale reazionario, una Terza repubblica stabilizzata con un sistema tendenzialmente bipartitico, un parlamento selezionato e controllato? Matteo Renzi. E con quale partito? Non ci crederà: il Partito Democratico. Il Partito che oggi lei sostiene perché ci salvi da una dittatura fascista che non v’è rischio che si presenti (non senza il rilancio del movimento operaio), mentre v’è tutto il rischio di virate bonapartistiche di destra dove Lega e PD sono i più temerari timonieri.

Veniamo finalmente a noi. E qui conviene citarla per intero, signor professore, poiché è bravissimo a commentarsi da sé:

«Un risultato», continua rivolgendosi a PaP, «ve lo riconosco: con il vostro comunicato avete stanato un bel po’ di tristi figuri che mal digerivano che uno diverso da loro, che un intellettuale (una categoria verso cui ho sempre percepito disprezzo da parte di PaP, purtroppo), dovesse rappresentare la Coalizione. E costoro non hanno esitato a dar fondo al loro repertorio di parole senza senso, in frasi sgrammaticate, offensive, vili (i soliti haters, che tante volte abbiamo incontrato sulle Reti sociali nel corso degli anni): non tutti, beninteso di PaP. Buon ultimo l’esponente del “Partito comunista dei lavoratori”, una delle liste di disturbo aggiuntasi in extremis, solo per danneggiarci, come se non bastasse il Pc dell’ineffabile, immarcescibile Rizzo: bene, dall’alto del suo 0,12% non ha mancato di aggiungere la sua voce davvero “autorevole” (!) alla deprecazione generale, liquidandomi come un caporale liquida una recluta e la spedisce in punizione».

Mirabile manifestazione di Dunning-Kruger, professore! Il suo ego pesa come la sua ignoranza.
Il PCL si sarebbe candidato esclusivamente per «disturbare», per «danneggiare» la signoria vostra! Non perché, da partito comunista conseguente, coi carrozzoni riformisti, capitolardi e sconclusionati come Sinistra in Comune non intende confondere e mutilare il suo programma rivoluzionario. E la correttezza e la dignità di una presentazione autonoma dei comunisti lei non la capisce nemmeno nell’occhio del ciclone di una bufera scatenata proprio dalla contraddittorietà di un’operazione disorganica ed effimera come la sua. Proprio incorreggibile, questo professore. Davvero miope, questo intellettuale.

Sinistra in Comune è stata bravissima a danneggiarsi da sé. Il nostro partito si sarebbe presentato a prescindere dalla candidatura della sua coalizione, come può evincere dalla presentazione del PCL in tutte le altre città e in tutte le passate tornate elettorali. Se il PCL l'ha «danneggiata» è un problema del programma portato avanti da Sinistra in Comune, probabilmente. Un compendio raccogliticcio di brocardi vagamente sociali che, certo, da una parte affermava l’importanza del riscatto popolare, ma dall’altra non spendeva una parola su come concretizzarlo, cioè sulla necessità della rottura netta e irreversibile col sistema capitalistico, della guerra alla borghesia e alle sue leggi, tema su tema. Inevitabilmente poi, nella misura in cui un elettore ha facoltà di scegliere questo partito all’altro, reca un «danno» al soggetto scartato. L'attrattiva va meritata, ed evidentemente, per quel che concerneva il nostro 0,12%, non la meritava la sua sperimentata e pericolante arca di Noè. Quanto renzismo tradisce questo suo «fastidio» per la democrazia, prestigioso candidato di alternativa di sistema! Chissà quale alternativa ha in mente!

Quanto all’autorevolezza, vede, professore: se pensassimo che a darla fossero i numeri, faremmo come lei una volta non ottenuti: ci affideremmo all’ala protettiva del più votato. Ma non le serviamo noi per rammentarle lo scivolone del partito che ha stravinto alle scorse elezioni, quel M5S miseramente decaduto. Cosa sono i numeri nelle elezioni borghesi, professore? Il numero delle illusioni che si moltiplicheranno in sfiducia e discredito appena bruciate. È per lo stesso motivo che la sinistra che lei ha rappresentato, e con la quale veniamo purtroppo confusi anche noi (per questo incassiamo lo 0,12%), quelle poltrone non tornerà più a scaldarle. La nostra autorevolezza, professore, la costruiamo con l’onestà e con la coerenza rivoluzionaria, e non ne chiediamo altra. Essa ci pagherà quando i tempi saranno maturi, e noi lavoriamo quotidianamente perché maturino. Non ci presentiamo alle fabbriche solo in tempi di elezioni. In quel «tenace, minuto, perseverante lavoro» a cui invitava Gramsci e che non c’entra nulla con cartelli elettorali tra riformisti più e meno radicali noi siamo impegnati ogni giorno.
Anche i bolscevichi erano un piccolissimo gruppo che il popolo non seguiva, trovando più facile affidarsi ai menscevichi. Quando si accorse che questi non smettevano di tradirlo nemmeno di fronte alla mattanza della guerra, la storia cambiò.

Volendo anche noi concludere con Gramsci, il nostro Gramsci che è il Gramsci rivoluzionario, quello vero e non quello rimasticato e sputato in mucillagine socialdemocratica dal PCI di Togliatti – il Togliatti che, alla sua stessa stregua, caro D’Orsi, faceva passare l’Assemblea Costituente teorizzata dal miglior bolscevico italiano come la prefigurazione della Costituzione borghese sotto la quale oggi muoiono tre lavoratori al giorno; parafrasando il suo celebre appello all’istruzione, troviamo solo da dirle, semplicemente:

signor professore, studi!




(1) https://www.marxismo-oggi.it/saggi-e-contributi/articoli/502-l-estremismo-e-ancora-una-malattia-non-solo-infantile-lettera-aperta-ai-compagni-e-alle-compagne-di-potere-al-popolo

(2) https://frontepopolare.net/2021/10/13/comunicato-della-coalizione-di-sinistra-a-torino/

Partito Comunista dei Lavoratori - sezione di Torino

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FONTE