Dalle sezioni del PCL

Torino va al ballottaggio, D'Orsi vota PD

8 Ottobre 2021
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Dopo la presa di posizione della Segreteria nazionale del PCL, pubblichiamo anche quella della sezione di Torino


Non sono passati tre giorni dallo spoglio delle schede elettorali del primo turno per l’elezione del sindaco di Torino che Angelo D’Orsi, lo storico scelto da Rifondazione, dal Partito Comunista Italiano, da Sinistra Anticapitalista nonché da Potere al Popolo, ha sentito il dovere di dichiarare che al ballottaggio voterà per il PD.

Sul sito di Sinistra in Comune, la coalizione che lo sosteneva a caratteri cubitali con la forza di ben tre simboli, Rifondazione, Sinistra Anticapitalista e DemA (il movimento per aiutare De Magristis a sfasciare anche Torino dopo Napoli) possiamo ancora leggere nei sottotitoli per D’Orsi: «Diciamo basta ai Sindaci dei banchieri, degli speculatori edilizi e degli industriali! Lo Russo e Damilano si presentano come avversari, mentre sono uniti nel favorire gli interessi dei potenti, contro i diritti e i bisogni della cittadinanza».

Oggi, grazie alle dichiarazioni di D’Orsi, scopriamo che Lo Russo e Damilano non sono più uguali. Naturalmente, lo storico di Gramsci, ha puntualizzato che è lui e solo lui a votare per Lo Russo, non la coalizione. Avendo studiato Gramsci, ha forse imparato dal suo antagonista Togliatti il vizio burocratico di giustificarsi con scuse penose? O davvero l’anima candida di D’Orsi ignora che il voto del rappresentante di coalizione può esser singolo finché si vuole, ma squalifica comunque tutta la coalizione?

D’Orsi spiega che la legge elettorale per eleggere i sindaci è antidemocratica, favorisce le maggioranze, svilisce la rappresentanza ed è fatta su misura contro le piccole coalizioni di alternativa. Tutte cose che lui ha sempre osteggiato. A noi pare che votando Lo Russo si rafforzi precisamente questo sistema, quindi chi lo osteggia per poi votarlo lo osteggia solo a parole. Rasenta poi il manuale dell’analfabetismo politico, la spiegazione del voto. È la sindrome del voto utile che ha sconfitto, a suo dire, la sua coalizione. La stessa sindrome che ora colpisce lui portandolo a votare Lo Russo al ballottaggio. La sindrome del voto utile per D’Orsi è «scattata questa volta già al primo turno, davanti alle reiterate affermazioni di Damilano: “vincerò al primo turno”, e quella libertà che normalmente l’elettorato si concede al primo turno, votando secondo le proprie vere affinità politiche, è stata schiacciata, sotto la paura della vittoria dei peggiori. Ma questo non può costituire una valida ragione per astenersi al secondo turno» (cit).

La presunzione dell’intellettuale piccolo-borghese è ben noto che non ha confini. D’Orsi ha stabilito, non si sa in base a cosa, che non ha perso perché il 97,5% dei votanti preferiva un altro, ma perché un potenziale 10% di suoi elettori l’ha tradito per votare Lo Russo! Quando con l’appoggio al ballottaggio al PD si dimezzerà anche il suo 2,5%, scoprirà forse che è più probabile il contrario.

Il colmo, par di capire, è che se per ipotesi il popolo di sinistra si è dato già al primo turno la mazza sulle cosiddette, chi è rimasto fuori deve darsela anche al secondo quando non sarebbe nemmeno più necessario: il cretinismo parlamentare nazionale, in salsa comunale è da sempre cretinismo al cubo.

La vicenda ha almeno il merito di evidenziare come fondamentale sia l’analisi che si fa del Partito Democratico. Tra chi vede e chi non vede il PD come un soggetto sia pur contradditoriamente progressista e che dunque possa passare come un’alternativa alle politiche di destra, come un pur maleolente «meno peggio» dovrebbe aprirsi più che una linea di demarcazione, un Vallo di Adriano. Se il PD poté passare per l’equivoco progressista trent’anni fa, quand’era fresca la trasformazione dal PCI, non è così dopo decenni di selvagge politiche liberali a suo marchio.

Da tempo infatti il PCL identifica il Partito Democratico come una delle tre destre di governo, insieme al centrodestra berlusconiano, con leghisti e neofascisti dentro, e insieme al populismo di destra del M5S. Riconosciuta - ed è necessario, dirimente, categorico farlo per una sinistra che si definisca «di classe» - la natura liberale, capitalistica e imperialistica del PD, in base a quale dicotomia tra «meno peggio» e «peggio» si può preferire Lo Russo a Damilano?

«In mano a Damilano – dice D’Orsi – vedo la maggioranza in Sala Rossa in mano a Fratelli d’Italia e Lega». Orribile scenario, sì. Che potrebbe essere scongiurato favorendo il PD, qualora il PD avesse dimostrato di non governare con l’eguale discriminazione etnica, con l’eguale militarismo in casa e fuori, l’eguale violenza antiproletaria in anni e anni di potere. Col PD al governo, sono forse stati rimossi i criminali Decreti Sicurezza o in loro forza vengono ancora arrestati i sindacalisti? Qual è la differenza tra Minniti e Salvini? Quella tra Berlusconi e Renzi? E l’attuale ministro del lavoro Orlando, ritiene D’Orsi, ha forse opposto un silenzio diverso da quello che sarebbe provenuto da Giorgia Meloni allo sblocco dei licenziamenti?

La differenza tra centrodestra e PD è esclusivamente di bandiera e di retorica, con quella salvimeloniana indubbiamente più odiosa. Ma i partiti che amministrano il capitale fanno le politiche che servono al capitale. E se al capitale occorre chiudere i centri d’accoglienza e mutilare il diritto di sciopero, trova il modo di farlo la Lega come lo troverebbe e lo ha trovato il PD. Non è un estremismo ideologico quello che mette nello stesso calderone Damilano e Lo Russo. È la storia di trent’anni di governi regionali e nazionali, durante i quali il PD, avvalendosi della complicità sindacale e del sostegno della sinistra radicale, è riuscito persino a sfondare più celermente e più in profondità del centrodestra. Gli sfratti non sono meno gelidi se si comminano sotto il PD e non sotto Forza Italia. I licenziamenti non sono più confortanti se avvengono sotto il PD e non sotto Lega. Le manganellate non sono più soffici se si prendono sotto il PD e non sotto FdI.

Eppure, a questa che è la sola e innegabile realtà, D’Orsi contrappone un non meglio identificato «principio di realtà» sua. Al culmine della boria depensante piccolo-borghese, il professore rivela di essere realista e che il male della sinistra è il «masochismo», non piuttosto l’aver votato politiche che hanno massacrato gli operai, non chi mette Freud al posto di Marx, senza aver capito un tubo, almeno del secondo.

La sinistra radicale capitanata da D’Orsi è stata sconfitta. Ora il principio di realtà, sentenzia D’Orsi, dovrebbe prevalere su quello di piacere e votare il meno peggio. E indubbiamente Lo Russo, dal punto di vista della sua classe borghese, è meno peggio di D’Orsi, al quale il suo principio freudiano dovrebbe suggerire che l’unica realtà emersa ben prima del suo appoggio a Lo Russo, è che lui e la sua coalizione (Rifondazione, il PCI ex-PdCI, Pap e DemA per i quali basterebbe il nome) di radicale non hanno mai avuto niente, a parte la sua faccia tosta.

Chiuso l’argomento su D’Orsi, di cui ovviamente non ci stupiamo, non è colpa sua ma di chi l’ha candidato, abdicando per l’ennesima volta alla costruzione di un’alternativa classista. E con ciò non ci riferiamo tanto a Rifondazione e PCI su cui non si può riporre troppa speranza, quanto a Potere al Popolo e soprattutto ai diversamente trotskisti di Sinistra Anticapitalista.

PaP e la sovranista Rete dei Comunisti gridano al tradimento. Per PaP centrodestra e centrosinistra rappresentano lo stesso comitato d’affari. Il PD che ha governato Torino è il campione degli sfratti, dei tagli alla sanità pubblica, della chiusura degli ospedali, della cementificazione, della privatizzazione del trasporto pubblico, del Tav a tutti i costi e della repressione di chi vi si oppone. Tutto giusto, solo non si capisce per quale motivo D’Orsi doveva essere il prescelto campione contro tutto questo.

«Ci aspettavamo maggiore serietà dal professore» rispetto all’impegno preso «per iscritto», protesta PaP riferendosi forse alle tre righe che giganteggiano sulla home del sito di Sinistra in Comune «Lo Russo e Damilano si presentano come avversari, mentre sono uniti nel favorire gli interessi dei potenti».

Ma quale serietà c’è nel pensare che una sloganistica d’occasione possa sostituire il programma, lo statuto, la teoria e la storia di una organizzazione viva e vissuta, di un partito? Con quale coerenza le sinistre radicali denunciavano la retorica reazionaria dell’antipartitismo del M5S quando da decenni sono esse le prime a non assegnare nessuna funzione alla forma partito, svalutandone disinvoltamente princìpi e responsabilità e affidandosi ciclicamente a emeriti «esterni a tutte le segreterie» (un’idiozia annunciata con orgoglio) come il «prestigioso candidato»?

Ciuccio è chi l’ha scelto, non D’Orsi. Non è il professore ad aver tradito un programma in meno di 48 ore. Si può ancora vedere dal sito che quel programma non esisteva; solo una serie di disarticolati punti tenuti insieme da una annacquata colla di progressismo civico che in nessun passaggio si peritava di spiegare dove e come recuperare le risorse per l’attuazione delle sue proposte. Non una parola sulla guerra da muovere ai capitalisti e come farlo. D’Orsi non era altro che il cartello pubblicitario che Sinistra in Comune aveva scelto per il richiamo del momento. L’ultima volta che le medesime sinistre oggi al fianco di PaP si posero a rimorchio di un «esterno» come il magistrato Antonio Ingroia, in men che non si dica questi non finì a difendere i poliziotti del massacro alla Diaz, innocenti esecutori degli ordini? Cosa aspettarsi? Chi fa la cosa sbagliata, Ingroia a pensarla da Ingroia, D’Orsi a pensarla da D’Orsi o PaP e RdC a pretendere senza alcun diritto che questo o l’altro «esterno» a caso la pensi come loro?

Quanto a SA, prima delle elezioni scriveva: «A Torino le principali forze della sinistra di classe, anticapitalista e comunista hanno dato vita [a un] percorso unitario che vede candidato a sindaco lo storico Angelo D’orsi, docente all’Università di Torino, noto gramsciano e soprattutto da sempre impegnato nelle battaglie a sostegno delle lavoratrici e dei lavoratori, per la difesa dei diritti sociali e contro le guerre imperialiste».

Così elogiava il noto gramsciano tanto impegnato e da così lungo tempo da non far parte di nessuno dei partiti politici che lo hanno espresso come candidato (complimenti, a tal proposito, per aver compreso la gramsciana funzione di intellettuale organico!). Ma la gravità maggiore è che, con la dichiarazione di D’Orsi, scopriamo dopo nemmeno due giorni dalla débâcle che tali principali forze sedicenti classiste, sedicenti anticapitaliste e sedicenti comuniste, sarebbero le principali forze ausiliarie del comitato d’affari che vuole governare il sistema-Torino con Lo Russo! E meno male che il comunicato di SA continuava così: «Le elezioni torinesi costituiscono, così, un appuntamento importante non solo su scala locale, ma anche nazionale. Un risultato positivo potrebbe dare forza, infatti, all’idea che è possibile la costruzione di un’alternativa seria e credibile alle forze che stanno governando il paese». Oggi che l'alternativa seria e credibile al PD, è Lo Russo del PD, i diversamente trotskisti dicono semplicememte che la loro «campagna elettorale si coclude qui». Non una parola sul rivoluzionario che hanno sostenuto fino a ieri, neanche mezza sulla loro responsabilita politica per un simile misfatto. Scendono dalla coalizione come fossero sul tram: un tram chiamato fallimento. E per fare che? Ma per sostenere lo «lo sciopero generale dell'11 ottobre, indetto unitariamente dai sindacati di base». Non dicono però che lo sosterranno dopo aver disertato tutti i tentativi di ricomposizione classista oggi in corso, dal Patto d'Azione all'assemblea dei cobattivi, per inseguire Rifondazione, D'Orsi e quindi Lo Russo e il PD.

Una anche vaga spiegazione del voltafaccia del professore non la troverete sul sito di SA. PaP almeno lo spiega col tradimento. Noi no, perché per tradire occorre prima aderire. Queste sono solo le logiche conseguenze dell’esprimere candidati sindaci che rivoluzionari non sono, non sono «di classe», non sono «di rottura», e non hanno nessun legame con la storia, coi programmi e con le finalità di quei partiti che evocano quella «discontinuità» che solo la rivoluzione può realizzare. Per PaP che col centro-sinistra non ha mai governato e che ha un baricentro tutto spostato verso il mutualismo, possiamo anche accettare che si sia trattato di un errore di percorso, sempre che lo si corregga, cosa su cui nutriamo dubbi. Correggere gli errori con Proudhon al posto di Marx è un modo infallibile per ripeterli ancora più grossi.

Completamente diverso il discorso per Sinistra Anticapitalista. Nessuno esce più svergognata di SA dall’indicazione di D’Orsi per il PD. Chi oggi manda alle stampe la riedizione lodevole di «In difesa del marxismo», l’ultimo libro di Trotsky, ha qualche responsabilità in più, perché il marxismo almeno lo mastica. E chi lo mastica per poi sputare su Trotsky e sostenere D’Orsi non ha giustificazioni. Tanto più che non è la prima volta. Ai compagni e alle compagne di SA domandiamo per l’ennesima volta che senso abbia rincorrere all’infinito le sottane degli ex partiti di appartenenza (Rifondazione) e di PaP (una Rifondazione 2.0, con gli identici riferimenti internazionali da Tsipras a Iglesias passando per Mélenchon), disertando puntualmente un cartello elettorale coi soggetti politici che gli sarebbero più affini? Puntualmente, alla prima curva il carrozzone dell’ennesima coalizione viene fatto ruzzolare dal fantino che non lo sa guidare perché l’unica patente politica che abbia mai preso, gliel’ha data il centro-sinistra in premio per i suoi libri per sminuire, magari con stile, il bolscevismo di Gramsci. Che la dirigenza di SA continui beatamente a non trarre bilanci da questi apologhi disastrosi non fa meraviglia: quando l'errore è ormai parte organica di un impianto ideologico, il pablismo nella fattispecie, «la storia insegna, ma non ha scolari». Ai militanti volenterosi di questa organizzazione chiediamo invece di interrogarsi sull’utilità, sulla coerenza, sul senso di essere «trotskisti» a questo modo.

Infine, avremmo una domanda per tutti quei compagni che in questi giorni ci hanno riempito di disprezzo per i risultati da prefisso telefonico. Noi non siamo felici della nostra pochezza, tuttavia quando vediamo tanta faciloneria di giudizio ci domandiamo: ma i compagni che sputano ghignanti sulle sinistre da prefisso telefonico, lo sanno che la bolletta la pagherà tutta la nostra classe?

Noi saremmo felici di farla l’unità (come in effetti facciamo in ogni fronte unico per il mondo, vedi qua in Italia il Patto d’Azione o l’Assemblea dei Lavoratori Combattivi, disertate da SA e Rifondazione, o il Coordinamento che a Torino proprio SA ha deliberato di sciogliere perché non guadagnava l’adesione di PaP e PRC), ma il caso D’Orsi ripropone l’ennesimo dilemma: unità su quale programma?

Anche Acerbo prima delle elezioni ha pianto per il settarismo di chi non ha allargato la sua unità. E la sua unità è quella della Sinistra in Comune per un chimerico riformismo che, col crollo dell’URSS e il profondo arretramento del movimento operaio e della sua coscienza, ha chiuso il suo spazio di possibilità. La falce e il martello che sventolano ridicole per il programma di Bernstein e Kautsky, questa è l’unità che si vorrebbe?

Noi pensiamo che l’unità debba essere fatta sul programma della rivoluzione, il programma di Rosa Luxemburg, di Lenin, di Trotsky, di Marx, di Engels. E del Gramsci che nel ’19-’20, proprio a Torino, istituiva i consigli di fabbrica all'insegna del «fare come in Russia» e si scontrava con la collaborazione di classe dei socialdemocratici fondando un partito rivoluzionario (settario, isolazionista, «masochista» l’avrebbero definito le tristi maschere che oggi lo usano per patrocinare tutto il contrario del suo operato). Non certamente di quel Gramsci contraffatto dai suoi traditori, Togliatti e Stalin.

Questo è il nostro programma. È questa unità che è difficile da fare, ma la sola utile. Non l’altra che invece è facilissima perché non serve a nient'altro che a lor signori.

Partito Comunista dei Lavoratori - sezione di Torino

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